Letzgo, rimborsami un caffé
Avevamo appena messo un punto fermo sulla vicenda Uber (rimando al post precedente per chi avesse ancora bisogno di essere convinto che Uber così com’è non va bene) ed ora ne arrivano i cloni: ecco Letzgo, il nuovo clone di Uber che però assolutamente non è Uber e non è un servizio taxi, eh! E’ solo un modo per condividere i propri spostamenti divertendosi.
Io vi consiglio infatti di leggere le FAQ di questo servizio, perché sono ricche di equilibrismi verbali che talvolta sfociano un po’ nel ridicolo; e se le cose, per poter essere scritte, devono venire raccontate in maniera inverosimile, vuol dire che qualcosa che non torna c’è davvero.
Letzgo non è un servizio taxi ma una comunità , dicono loro: difatti è il passeggero che sceglie quanto “rimborsare” all’autista, in piena libertà e amicizia, fatto salvo che l’app ti suggerisce lei il “rimborso” sulla base dei chilometri, che comunque il “rimborso” non ha limiti concreti e può anche essere di 30 euro per un viaggio di due chilometri, che se non “rimborsi” abbastanza l’autista ti può rifiutare il passaggio e anzi Letzgo ti caccia dal servizio, e che c’è persino quella che nei taxi si chiama “bandiera”, ovvero solo per farti salire in macchina il “non-tassametro” dell’app segna già un “rimborso” minimo di 1,90 euro. Ma il trasporto è a titolo gratuito, eh! Però devi sempre “rimborsare” almeno 1,90 euro per corsa.
E se vuoi fare il driver? Devi dichiarare nel contratto di “non essere un trasportatore professionale”, quindi non soggetto a orpelli del passato tipo tasse e contributi previdenziali; d’altronde è noto che chiunque può fare il dentista o l’avvocato a titolo di “non professionista”, e in tal caso non ha bisogno di titoli e può non pagare le tasse, basta dire che “non è una professione”. Se poi invece si scopre che lo fai per guadagnare sono tutti cavoli tuoi, noi di Letzgo non ti conosciamo proprio. E devi anche avere tu una assicurazione che copra i terzi trasportati “in amicizia”, noi di Letzgo non ne vogliamo sapere niente, se poi hai un incidente e l’assicurazione ti fa storie sono problemi tuoi e del poveretto che trasportavi.
Ah, e te l’ho detto che, in amicizia, devi darci il 20% dei “rimborsi” che ricevi?
E c’è di più: c’è un periodo di prova iniziale (non si sa prova di cosa, visto che “non è una attività professionale” e quindi non ha requisiti minimi), durante il quale noi non ti giriamo i “rimborsi” dei tuoi clienti, e se prima della fine della prova non ci vai bene ti cacciamo e ci tratteniamo “a titolo di penale amministrativa” il 100% dei “rimborsi” pagati dai tuoi clienti. E arrivederci e grazie eh!
Ora, io mi premurerò di parlare con questa azienda e magari mi convinceranno che veramente non vogliono fare un servizio di trasporto a pagamento su chiamata, ma una semplice piattaforma di condivisione delle spese per viaggi già programmati. Se questa è l’intenzione, però, c’è un modo molto semplice di chiarirla: mettano nell’app un limite massimo al “rimborso” fissandolo pari al 50% del costo chilometrico del viaggio, visto che si tratta di condividere le spese e non di farsi pagare per trasportare qualcuno sperando di guadagnarci; e aggiungano anche un bel pulsantone per segnalare rapidamente i driver che dovessero chiedere un extra in nero.
In questo modo potrò credere nella buona fede di Letzgo e sostenere il loro diritto ad esistere; altrimenti, mi spiace, ci stiamo solo facendo prendere tutti in giro un’altra volta.