Per un governo a cinque stelle
Sabato e domenica anch’io sarò a Imola per la seconda edizione di Italia 5 Stelle. Avremo uno spazio nello stand del Piemonte e sarà una buona occasione per incontrare vecchi e nuovi amici; e anche per discutere di un tema importante come quello del Movimento 5 Stelle al governo.
L’anno scorso avevo osservato (scatenando un mezzo polverone mediatico, e francamente non si capisce perché il minimo commento debba sempre essere preso per un attacco) che gli spazi di discussione dal basso erano ridotti, con tutta l’attenzione concentrata sul palco; sembra che mi abbiano ascoltato, perché quest’anno sono stati introdotti un paio di spazi agorà che dovrebbero ospitare dibattiti su vari temi, anche se il programma ufficiale ancora non c’è. Cercherò di partecipare dove ho qualcosa da contribuire, ma è evidente, secondo me, che le questioni che attendono il Movimento 5 Stelle, per passare definitivamente da forza di sola opposizione a forza principale di governo del Paese, sono altre e solo in piccola parte sono legati a temi specifici.
Il M5S, negli ultimi due anni, ha iniziato un radicale cambiamento di pelle. Spesso il cambiamento è in meglio; abbiamo ormai parecchi sindaci anche di città di media dimensione, che stanno accumulando una esperienza amministrativa importante per tutti; abbiamo dismesso in gran parte il velleitarismo e la caccia allo scontrino, facendo emergere capacità e credibilità , con diverse persone di valore nazionale. In peggio, ci sono le spinte derivanti da tutti i difetti degli italiani; nella base, ci sono troppi attivisti interessati soprattutto al selfie con Di Battista e al tifo acritico per il Movimento; tra gli eletti, ci sono anche quelli che si sono fatti i propri interessi, quelli che si sono fatti ridere dietro per ignoranza e complottismo, e quelli che si sono montati un po’ troppo la testa, comportandosi sul territorio come se ci fosse una gerarchia con loro a capo.
Restano, dunque, dei problemi irrisolti. Il primo è quello della selezione di una classe dirigente capace, che possa convincere la grande quantità di italiani che non sono convinti di nessun partito o che disprezzano la politica tout court; è il loro voto a decidere le elezioni. Finora, capaci, incapaci e così-così sono emersi più o meno per caso; non esiste un metodo consolidato per scoprire talenti e competenze tra gli attivisti e aiutarli ad emergere nella normale competizione per l’elezione o nelle selezioni, ancora completamente prive di regole, per le posizioni di staff; e non esiste un metodo consolidato per valutare il lavoro degli eletti, e magari per creare un processo in cui le persone, ora che ne abbiamo il modo, facciano una prima esperienza nelle istituzioni a livello locale e soltanto dopo, una volta provati, possano accedere a quello nazionale.
In mancanza di un metodo chiaro e condiviso, ogni deriva è possibile; anche la scorciatoia del “candidiamo Di Battista sindaco di Roma”, che io non condivido, riflette l’esigenza di organizzare i percorsi personali dei nostri attivisti ed eletti per massimizzare le probabilità di avere le persone giuste al posto giusto nel momento giusto. Se non lo si fa in maniera intelligente, difendendo principi sacrosanti come quello di fare politica per un tempo limitato e non come professione a vita, o quello di avere eletti che siano portavoce dei cittadini e della rete e non quadri di una gerarchia o leader da applaudire, il rischio è che prima o poi prevalgano le naturali ambizioni di molti e si arrivi a un liberi tutti, con la competizione scomposta e non meritocratica che già vediamo nei partiti; o che si perdano elezioni per mancanza di candidati adatti.
Il secondo problema irrisolto è quello del posizionamento politico, e direi pure sociale. Se vuole governare, il Movimento deve continuare a penetrare nel cuore della società , nelle varie professioni, nelle reti; siamo partiti dal voto dei giovani, degli outsider e delle fasce più deboli, ma dobbiamo arrivare anche alla testa delle categorie più illuminate, a quelle che per cinquant’anni si sono organizzate per sostenere questo o quel partito e che ora ne sono deluse.
Inoltre, il Movimento deve contenere e allontanare gli estremisti di tutti i tipi; i fascisti e i centri sociali, i razzisti e i buonisti ad oltranza, i maschilisti e le femministe, i leoni da tastiera e i forcaioli di ogni genere. Sui temi più ideologici e delicati bisogna praticare e difendere la concretezza, ricordando che il datore di lavoro del Movimento è l’elettore italiano in tutte le sue sfaccettature, e che la politica esiste per risolvere i problemi della gente e non per educarla o farle la morale.
Per arrivare davvero a governare, battere i pugni sul tavolo e gridare allo scandalo non basta; la nostra onestà è ormai comprovata, e a parte qualche troll nessuno la mette in dubbio; i toni esasperati non ci aiutano più. I dubbi nell’affidarci il governo, quelli che hanno portato diciotto mesi fa a un plebiscito per Renzi quando sembrava che potessimo vincere, sono legati alla paura che oltre all’onestà , sotto le grida, non ci sia niente. E’ il momento della costruttività , della pacatezza, dell’italiano corretto, del curriculum credibile e dei fatti. Di Maio piace perché è tutto questo; e, se davvero vogliamo governare, la sfida è trovare altre decine e centinaia di Di Maio per fargli fare il ministro, il sindaco o l’amministratore in posizioni di responsabilità .
Ecco, questo è il contributo di pensiero che volevo dare in vista della festa di Imola, e spero proprio che, sul posto e in rete, ci sia il modo di parlarne tutti insieme.