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Archivio per il giorno 5 Dicembre 2015


sabato 5 Dicembre 2015, 11:46

Sul Tirreno il M5S cambia pelle

Non so se mi sia ancora permesso commentare quanto accade a Livorno – la sospensione dei consiglieri M5S che sulla questione dei rifiuti si sono dissociati da Nogarin e hanno votato difformemente dalle indicazioni del Movimento – senza che ciò venga visto come un attacco al M5S, ma ci provo lo stesso, perché la situazione tra i consiglieri di Livorno mette in luce uno degli elementi chiave del cambiamento di pelle del Movimento di cui parlavo anche ieri.

Rassicuro comunque coloro che vedono le analisi politiche come un danno a prescindere: questo genere di dibattito interessa agli attivisti e a una piccola quantità di elettori attenti alle forme della politica, ma non sono certo i principi di funzionamento interno dei partiti che decidono il loro risultato elettorale. Se è vero che originariamente il M5S si è presentato come il “movimento dell’onestà e della partecipazione”, ora si è riposizionato come il “partito dell’unica seria alternativa a Renzi”, e come tale si proporrà, secondo me con esito positivo, come successore di Renzi quando gli italiani che lui avrà deluso cercheranno qualcos’altro, anche solo per cambiare.

Questo mutamento, calato anche nella filosofia organizzativa, permette una maggiore efficienza nell’azione politica e nella comunicazione, e riduce le contraddizioni che gli avversari usano per attaccare e il tempo speso nelle discussioni interne, che agli inizi erano fin troppo articolate (come disse una volta Grillo sarcasticamente, “votavamo per decidere se votare”). Esso, secondo me, ha aiutato anche la crescita di consenso dell’ultimo anno, invece di ostacolarla; ed è funzionale a una visione, anche di moltissimi elettori, in cui “l’imperativo è vincere”, una visione che li porta a percepire questo passaggio positivamente, come una prova di maturità e di forza.

Comunque, nel progetto originario, e tuttora nel non-Statuto, è scritto che l’organismo decisionale sovrano del Movimento 5 Stelle, l’unico che può dare direttive vincolanti agli eletti, è “la totalità degli utenti della rete”, ovvero l’assemblea permanente online dei cittadini.

Oggi però dentro il Movimento ci si aspetta che gli eletti si adeguino alle decisioni non della rete, ma delle riunioni chiuse di partito, che siano tra gli eletti o tra gli attivisti (autodefinitisi tali, perché non esiste una regola ufficiale che stabilisce chi tra gli iscritti al portale sia anche attivista, e ogni gruppo si autoseleziona). Addirittura, se leggete la lettera di sospensione inviata ai consiglieri dallo staff nazionale del M5S e riportata nell’articolo, questo viene indicato come uno dei “principi fondamentali di comportamento degli eletti del MoVimento 5 Stelle”, nonché come uno degli “obblighi assunti all’atto di accettazione della candidatura” (anche se mi sfugge dove e come essi siano stati assunti, ma magari a Livorno hanno firmato un documento specifico).

Lo stesso Nogarin, venuto a Torino qualche settimana fa, espose in sostanza la seguente teoria: “ci dobbiamo riunire tra noi a porte chiuse e magari scannarci, ma poi si vota e si decide una linea a maggioranza, e tutti devono sostenere quella in pubblico e si devono adeguare per conservare l’unità”. Teoria che agli attivisti solitamente piace molto e che sembra loro una grande novità rispetto agli ordini dall’alto della “casta dei partiti”, ma che non è altro che il centralismo democratico di scuola PCI, codificato da Lenin in persona.

Il problema è che una assemblea a porte chiuse di quadri o militanti di partito, oltre ad essere facilmente indirizzabile dai leader del partito stesso e a mancare di quella trasparenza totale che una volta era il marchio di fabbrica del M5S, non rappresenta sempre l’interesse dei cittadini; più facilmente, in caso di contrasto tra i due, rappresenta l’interesse del partito. Per cui, questo metodo, se non si vuole essere un partito ma una struttura di “portavoce dei cittadini”, può andare bene per le decisioni organizzative interne, ma non per le scelte politiche.

Sarebbero altri gli strumenti necessari per ridare veramente il potere ai cittadini, a partire dal recall, ovvero la possibilità per i cittadini di far dimettere un eletto prima del termine del mandato. Ma fin che non c’è, io trovo ragionevole che l’unica cosa vincolante per gli eletti del M5S sia la votazione sul portale, oltre a quanto pattuito nel programma elettorale, e non la decisione di una riunione di partito. E quindi, trovo giusto che i consiglieri che non sono convinti di una posizione, in mancanza di una direttiva della rete, possano distaccarsene e seguire la propria opinione anche votando diversamente dal gruppo, senza per questo essere cacciati dal M5S; e questo è il principio secondo cui io mi sono comportato in questi anni, a costo anche di una crescente impopolarità verso i miei stessi attivisti.

Certamente i consiglieri dissenzienti si assumono poi la responsabilità politica delle loro scelte, per cui, se agiscono male, la rete non li ricandiderà (in un certo senso è quel che è successo a me, solo che nel mio caso, invece di decidere la rete, ha deciso la riunione di partito). Certamente bisogna anche appurarne le motivazioni, perché è diverso dissociarsi in piena coscienza da dissociarsi per propri scopi personali; comunque eventuali motivazioni poco nobili vanno chiarite e provate, e non possono essere date per scontate a priori, con quell’abitudine ormai diffusa nel M5S per cui chi non è d’accordo viene assalito in massa al grido di “chi ti paga?”.

Del resto, la lettera dello staff parla di “danno di immagine”, ma se il Movimento fosse veramente orizzontale la responsabilità di una spaccatura e del relativo danno sarebbe di entrambe le parti, e non solo di una delle due; in questo modo si sottintende che delle due parti ce n’è una che comanda (quella in linea con la direzione nazionale, ovvero quella che nei partiti si chiama la “maggioranza interna”) e una che deve soltanto adeguarsi e sempre obbedire (quella non in linea con la direzione nazionale, ovvero la “minoranza interna”).

Ma la retorica del leader o del partito che dà ordini agli amministratori pubblici “in nome del popolo”, sostituendosi al popolo stesso con la scusa della difficoltà di consultarlo o della sua incapacità di governarsi da solo, non mi piace per niente. Non è nemmeno una grande novità; di tutte le dittature novecentesche, non ce n’è una che non sostenesse di comandare “in nome del popolo”; e “in nome del popolo” governano tutte le istituzioni della democrazia rappresentativa che tanto abbiamo criticato. La democrazia vera, però, è un’altra cosa.

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