Questa è una piccola storia di cittadinanza attiva finita male. Riguarda gli animali, uno degli argomenti che più mobilitano l’energia e l’amore di tante persone, e riguarda la burocrazia comunale; un mix che spesso, come in questo caso, produce risultati kafkiani.
Dovete sapere che, secondo la legge, gli animali randagi sono di proprietà del Comune, che se ne deve occupare. Nelle città ci sono principalmente due specie di animali randagi: cani e gatti.
I cani sono in numero minore, ma, specialmente a Torino nord, stanno proliferando; si muovono in branchi e possono essere pericolosi anche per le persone, oltre che per gli altri animali, per cui vanno catturati, sterilizzati e, se impossibili da affidare, tenuti in canile (in realtà ci vorrebbe un recinto apposito che però la Città non ha mai costruito).
I gatti, invece, sono migliaia; sono innocui e vivono generalmente in colonie sparse negli angoli meno visibili della città . Il Comune dovrebbe comunque catturarli, sterilizzarli e poi rimetterli nella loro colonia, evitandone la proliferazione; in pratica, ogni colonia è affidata a una persona o associazione di volontari (le cosiddette “gattare”) che la mantiene a spese proprie.
Ci sono tuttavia delle situazioni particolari; per esempio, quando una colonia viene interessata da lavori edilizi – trattandosi spesso di luoghi semiabbandonati, succede di frequente – chi realizza i lavori è tenuto anche a garantirle un angolo in cui stare, sia durante che dopo il cantiere, o lì o in un’area adiacente. Per esempio, questo accade per il nuovo stadio Filadelfia, e accadrà per esempio al supermercato dell’ex Fiamca di cui abbiamo visto il progetto la scorsa settimana.
Alle volte, però, il Comune si dimentica di far applicare questa regola. E’ successo per esempio con un cantiere a caso, quello della Continassa II, ovvero l’enorme area agricola tra lo stadio e il mattatoio su cui la Juventus sta costruendo sede sociale, impianti sportivi, palazzi e negozi. Lì, accanto all’ex campo rom incendiato e poi sgomberato in tutta fretta, c’era anche una colonia felina; ma in quel caso anche i gatti furono fatti sgomberare, e furono portati dall’ENPA in un angolo appartato del parco Colletta, a cui si accede da una stradina sterrata che sarebbe il prolungamento di via Pindemonte, all’angolo più remoto del cimitero oltre via Zanella.
L’ENPA, per chi non lo sapesse, è una grande ONLUS privata fondata nientepopodimenoche da Garibaldi nel 1871. A Torino, la locale sezione ENPA ha vinto la gara d’appalto per gestire i canili e gattili municipali, compresa la cattura dei randagi, per un importo di circa 1.400.000 Euro che il Comune le paga ogni anno; in più, il Comune le ha attribuito alcune decine di migliaia di euro per coprire i costi delle sterilizzazioni feline; e poi l’ENPA si finanzia anche con donazioni, lotterie e partnership commerciali. Solo che, stando a sentire le gattare, gli interventi dell’ENPA sui gatti sono molto limitati; in particolare, le gattare devono sterilizzare i gatti a proprie spese (cento euro ad animale) perché l’ENPA risponde di aver già speso tutti i soldi stanziati.
Lo stesso vale per le catture; quando la Città riceve una segnalazione di gatti randagi non gestiti o di gatti abbandonati che si lamentano o sono in pericolo, spesso non è l’ENPA, pur vincitrice dell’appalto comunale, a intervenire. Al contrario, i dirigenti comunali chiamano direttamente qualche altra associazione animalista, che, a titolo completamente volontario, va a recuperare un gatto su un tetto a proprio rischio e pericolo, magari all’una di notte sotto la pioggia. Queste associazioni, insomma, si fanno carico di attività che sarebbero di competenza del Comune e/o del suo appaltatore, ma che questi non fanno.
A questo scopo, questi volontari devono però dotarsi anche di strutture adeguate, in particolare per i gatti ex domestici poi abbandonati, che spesso non sono in grado di vivere da soli in una colonia o per strada (non di rado finiscono sbranati dai cani randagi di cui sopra). E così, sempre in quell’angolo di prato oltre il cimitero, nascono strutture private, a spese degli animalisti.
Già nel 2012, infatti, la Lega Italiana per la Difesa del Gatto aveva chiesto di poter usare quel pezzo di prato per ospitare gatti; il Comune rispose che il prato era disponibile solo fino al 2014, perché poi lì sarebbero partiti i cantieri per la costruzione della linea 2 della metropolitana (la barzelletta del secolo). Arrivato il 2014 senza alcun cantiere in vista, il Comune capitolò e concesse il prato all’associazione Gattagorà , in cambio di un canone agevolato di 420 Euro l’anno, pagato dalle gattare per poter fare il lavoro che toccherebbe al Comune.
In teoria, l’associazione doveva usare quello spazio per ospitare una precedente colonia felina già sgomberata, una dozzina di gatti che la signora dell’associazione teneva a sue spese in casa propria. In pratica, però, il Comune disse: noi dobbiamo sgomberare lo Scalo Vanchiglia per far partire i lavori della Variante 200, non sappiamo dove mettere i gatti, non è che ve li prendete voi? Idem per i gatti della Continassa, che, messi nelle adiacenti cuccette dell’ENPA senza alcuna protezione e presto abbandonati a se stessi, erano via via preda dei cani randagi; e per i gatti sgomberati dal campo rom abusivo di lungo Stura Lazio, in cui uno zingaro li teneva chiusi e ammassati in una gabbia in condizioni orrende, ricattando le associazioni animaliste e pretendendo soldi per sé per permettere a loro di alimentare i gatti.
E così, la signora, dopo aver affittato a proprie spese il terreno e aver costruito a proprie spese le casette, invece di metterci i gatti che aveva in casa se ne prese degli altri; e quelli che non ci stavano lì, li mise a pensione in altre strutture private, sempre a proprie spese; mentre gli operatori edilizi che dovevano in teoria, secondo le regole, farsi carico del mantenimento dei gatti durante il cantiere se ne sono potuti tranquillamente lavare le mani. In questo modo la signora, pensionata, ha accumulato circa ventimila euro di debiti che non sa più come pagare.
Pensate che sia finita qui? Ma neanche per idea: perché dopo aver costruito a proprie spese le casupole per ospitare i gatti e la relativa recinzione, necessaria per proteggerli dagli assalti dei cani, nel prato di via Pindemonte si presentano i vigili. “Signora, lei ha tutte le concessioni edilizie a posto per costruire le casette sul prato?” “Ma guardi – risponde la signora – io ho solo messo una base di autobloccanti per non sprofondare nel fango, le casette sono prefabbricate e rimovibili, sono solo appoggiate.” “Eh no, signora, vede? Lei ha fatto la recinzione, e per far tenere la recinzione nella terra ha fatto per ogni palo una piccola base di cemento di 3×3 cm piantata nel prato, quindi questa è un’opera fissa, quindi lei non ha il permesso e ha compiuto un abuso edilizio! Quindi multa, ordinanza di demolizione, si vergogni!”
“Non solo, ma lei, signora, aveva chiesto il prato per ospitare una colonia felina, e invece lei ha fatto un gattile, perché c’è la recinzione!” “Ma scusi, ma qui è pieno di cani randagi che attaccano i gatti, se non metto la recinzione li trovo tutti morti, e poi questi sono domestici, non possono sopravvivere liberi, li troverei tutti spiaccicati su corso Regio Parco!” “Non importa, le norme dicono che se c’è un passaggio sempre aperto per far uscire i gatti è una colonia felina, altrimenti è un gattile e dovrebbe avere l’autorizzazione dell’ASL, lei ce l’ha l’autorizzazione dell’ASL?”
Dopo un dialogo di questo genere, la signora, coi suoi ventimila euro di debiti contratti per fare il lavoro del Comune e dell’ENPA, si è un po’ alterata e un po’ disperata. Alla fine ha contattato altre associazioni, che hanno contattato i consiglieri, e così siamo andati in sopralluogo, assistendo a un surreale confronto tra due gentili funzionarie del Comune, che citavano norme e regolamenti contestando questo e quello, e questa signora in tuta sporca di fango che vuole solo un gran bene ai suoi gatti; con contorno di qualche consigliere comunale notoriamente provocatore che diceva alla signora “se lei vuol fare del volontariato sono affari suoi, nessuno l’ha obbligata a farsi carico dei gatti, se non ce la fa li abbandoni al loro destino”. E ovviamente se ci sono delle norme si devono rispettare, ma che una recinzione in un prato a trecento metri da qualsiasi strada o forma di vita sia il primo abuso edilizio da contestare a Torino fa veramente dubitare delle priorità dell’amministrazione comunale.
Ora, forse, siamo riusciti a far calare un po’ di buon senso su questa storia; l’associazione animalista presenterà una relazione su quanto costruito e si impegnerà a sottoporre preventivamente ulteriori progetti, e l’amministrazione farà in modo di regolarizzare quanto c’è, anche se non si sa come farà la signora a pagare i suoi debiti.
Resta la sensazione, rimettendo insieme tutti i pezzi, di aver toccato con mano come funziona spesso lo Stato italiano: forte coi deboli, e debole coi forti; pronto a sfruttare la buona volontà dei cittadini, salvo poi scaricargli addosso i problemi che dovrebbe risolvere lui.