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sabato 2 Aprile 2016, 12:58

Se falliscono gli Stati

Una delle conseguenze collaterali dei recenti attentati di Bruxelles è stata la ridicolizzazione del Belgio su scala globale. Praticamente tutte le nazioni sviluppate, difatti, hanno subito prima o poi su di sé i colpi del terrorismo; nessuna, però, aveva mai fatto la figuraccia di annunciare tutta tronfia (in maniera peraltro apparsa da subito imprudente) di aver debellato una cellula terroristica sul proprio territorio, peraltro mettendoci dei mesi per “scovare” uno che se ne stava più o meno nascosto a casa sua, per venire poi colpita così pesantemente subito dopo dagli altri membri della stessa, reagendo con lentezza e confusione.

Il secondo attentato nella metro è avvenuto a un’ora dal primo all’aeroporto, ma pur sapendo bene che questi attacchi arrivano a raffica nessuno stop di emergenza dei bersagli più ovvi era stato pianificato o approntato; nei giorni successivi sono emersi numerosi episodi imbarazzanti, dal presunto terzo uomo arrestato e poi rilasciato e poi arrestato di nuovo alle perquisizioni notturne vietate per legge, fino al capo della polizia che si presenta ubriaco alla riunione di emergenza; e l’aeroporto è tuttora ancora chiuso per via di una lite sindacale tra polizia e governo (!) perché i poliziotti hanno paura (!!).

Ma non è finita qui, perché lo stato belga ha da molto tempo una lunga tradizione di paralisi e inefficienza. Qualche anno fa il Belgio è rimasto per quasi due anni senza governo per via dell’impossibilità di costruire una alleanza sufficientemente solida per governare, al punto che Grillo usava questo episodio come prova dell’inutilità dei governi; e quanto all’incapacità della polizia belga, basta pensare al clamoroso caso di Marc Dutroux. Per cui, pur con tutta la simpatia e la solidarietà per i belgi e la difficoltà di fare un discorso del genere venendo da uno Stato quasi altrettanto inconcludente come quello italiano, non si può che concludere che il Belgio attuale ha un grosso problema, e che è un problema strutturale.

Ci si può chiedere come sia possibile che la capitale d’Europa stia in uno Stato del genere; in realtà è proprio per la debolezza del Belgio che la capitale europea è stata messa lì, a metà tra mondo francese e mondo germanico. Gli stati deboli, insomma, esistono anche perché fanno comodo a quelli più forti, e questa non è certo una novità.

E’ una novità, tuttavia, il fatto che con la globalizzazione uno Stato debole possa provocare danni e rischi a valanga all’intero pianeta. Per questo gli americani hanno cominciato da qualche tempo a parlare di “failed states”, anche se per loro questa è soprattutto una scusa per giustificare gli interventi funzionali alle loro strategie imperialiste. Eppure, il problema che sollevano è corretto.

La ragione fondante che giustifica la creazione di uno Stato, difatti, è stabilire e garantire l’ordine pubblico, attraverso l’esercizio del monopolio legale sull’uso della forza e sulla definizione delle norme a cui tutti si devono attenere. Negli ultimi duecento anni gli Stati hanno assunto sempre nuovi compiti sociali e organizzativi, ma essi non sono possibili se alla loro base non c’è il monopolio dell’ordine pubblico. Uno Stato con tante fantastiche attività di integrazione, di servizio ai cittadini e di redistribuzione della ricchezza può essere una bella Ferrari, ma se non garantisce l’ordine pubblico è una Ferrari senza le ruote: non va da nessuna parte e non serve a niente, fin che non arriverà qualcuno con un carro attrezzi e se la porterà via.

La storia dello scorso millennio è la storia della progressiva formazione di Stati sempre più forti, che via via hanno sottratto il potere alle chiese, ai predoni, alle città murate e ai capetti feudali, costruendo un ordine sempre più stabile fino al trionfo degli Stati nazionali e infine a un’era di pace e stabilità (in Occidente) incredibilmente lunga. A seguito di questo processo storico, a tutti sembrava ovvio che il prossimo passo fosse l’ulteriore integrazione degli Stati in un unico ordine pubblico mondiale. Eppure, a ben vedere, quello degli stati falliti è un segnale per cui questo prossimo passo potrebbe non essere affatto ovvio.

Il potere degli Stati, peraltro, è da tempo sotto attacco anche su molti altri fronti. E’ sempre più evidente come scelte fondamentali per il futuro dell’umanità non attengano più alla sfera della politica, ma a quella dell’economia; esistono ormai molte multinazionali più potenti degli Stati, talvolta vere e proprie monarchie con una efficiente struttura gerarchica e molte più risorse a disposizione rispetto alle casse pubbliche sempre più vuote di tutti gli Stati. Anche la legittimazione popolare data dalla democrazia è spesso in crisi, risultando in un crescente astensionismo, in leader di fatto scelti da pochi e talvolta nemmeno votati dal popolo, nella sfiducia di molti verso le istituzioni. Uno Stato, poi, può esistere (almeno nell’accezione attuale) solo se possiede e difende un territorio e se sa distinguere tra i propri cittadini e il resto dell’umanità; e i fenomeni migratori stanno sempre più dimostrando l’incapacità, forse persino l’impossibilità, di garantire questi requisiti di base in parecchi Stati europei.

Se tutto questo ricada nella sfera dei normali ostacoli al progresso sociale dell’umanità, o se invece possa essere il preludio a un futuro un po’ diverso da quello in cui speravamo, non è ancora dato sapere; certo, gli scricchiolii dell’ordine mondiale basato sugli Stati nazionali sono sempre più evidenti.

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