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Archivio per il mese di Maggio 2016


venerdì 27 Maggio 2016, 13:37

Perché non disprezzo Mihajlovic

In curva Maratona da molti decenni vige una regola d’oro, quella di lasciare la politica fuori dalla curva; figlia di un periodo in cui per la politica ci si ammazzava a vicenda, è però una regola che, pur permettendo alla Maratona di essere una delle curve con la maggiore coscienza sociale e con molte persone che affiancano all’attivismo sportivo quello politico, ha tuttora un senso per evitare divisioni.

Per questo, io avrei preferito commentare l’arrivo di Sinisa Mihajlovic come allenatore del Toro in senso strettamente sportivo, come quello di un ex ottimo calciatore che ora, da allenatore, è considerato una delle migliori promesse della generazione dei quarantenni. Tuttavia, proprio per la coscienza sociale di cui parlavamo, è inevitabile che l’arrivo di Mihajlovic abbia fatto storcere il naso a molti commentatori granata, come ben riassunto in questo articolo che sta facendo discutere.

Le simpatie nazionaliste serbe di Mihajlovic sono note, così come è nota la sua amicizia personale con la Tigre Arkan, un criminale di guerra responsabile di molti dei massacri della guerra jugoslava, che era il capo degli ultrà quando lui giocava alla Stella Rossa. Rimase famoso l’episodio del 2000 in cui, dopo la morte di Arkan, i fascisti della curva della Lazio esposero uno striscione in suo onore:

arkan-3

Si disse al tempo che fosse stato Mihajlovic a chiederlo, anche se lui ha smentito; sta di fatto che la Maratona diede allora la risposta perfetta, esponendo la domenica successiva un altro striscione che ha fatto la storia:

7-febbraio-2000-onore-al-gatto-silvestro-L-2_o4FV

Di quello striscione andiamo tutti fieri; ora però, quasi vent’anni dopo, in uno di quei cicli beffardi del calcio ci ritroviamo Mihajlovic in panchina. Io capisco quindi chi lo ritiene almeno moralmente complice di quello che successe nella ex Jugoslavia, e non lo gradisce; eppure, non credo che sia la conclusione giusta.

Per prima cosa, prima di liquidare qualcuno come nazista e genocida vorrei conoscerlo meglio e di persona; perché ho imparato che ciò che scrivono i giornali è solo una approssimazione della verità, e che l’immagine pubblica che ogni personaggio si porta appresso è spesso imprecisa e piuttosto diversa dal vero. Del resto, secondo i giornali io sarei uno che si augura che mezzo governo venga ammazzato a mitragliate (aprile 2013) e che desidera rimpatriare a calci nel sedere quelli che sbarcano dai barconi (agosto 2015) e vi assicuro che nella realtà non penso minimamente alcuna delle due cose.

Ma poi, se leggo i racconti della sua esperienza personale che lo stesso Mihajlovic ha dato nel tempo – per esempio questo, del 2009 – non posso che concludere che l’idea del nazista, razzista e amico degli squadroni della morte è come minimo molto semplificata; non solo per le altre idee che esprime (per esempio l’apprezzamento per Tito e per la sua Jugoslavia multietnica) ma perché i racconti che fa – e vi raccomando di dedicare tre minuti a guardare questo video, che risale solo a un paio di mesi fa – mostrano che nessuno di noi può davvero capire, e figuriamoci giudicare, l’esperienza di un ragazzo di vent’anni, nato e cresciuto proprio sul confine tra Serbia e Croazia, che improvvisamente si trova al centro di una guerra sporchissima, una guerra in cui suo zio croato voleva ammazzare suo padre serbo, poi Arkan cattura lo zio e gli telefona per chiedere se vuole che lo ammazzino o solo che glielo portino.

Anche a me viene naturale giudicare le persone a prima vista, ma poi realizzo che, se distinguere tra il bene e il male è un obbligo morale per chiunque in qualunque situazione, giudicare la scelta degli altri è uno sport per gente con la pancia piena e le pantofole davanti al caminetto. Credo che nessuno di noi abbia vissuto quell’esperienza, e tantomeno quella successiva di vedere il proprio Paese bombardato per mesi dalla NATO, cioé anche da noi. E se questo non mi rende le vere o presunte idee di Mihajlovic più simpatiche, mi porta però a pensare di non avere il diritto di giudicarlo.

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domenica 22 Maggio 2016, 11:09

Una visita al museo Lombroso

Ieri sera ho approfittato della Notte dei Musei per partecipare alla visita guidata del Museo Lombroso. Il museo è piccolo, molto inquietante e molto interessante, purché visitato con un po’ di cervello; aiuta a porsi una serie di domande scomode sul rapporto tra scienza, etica e umanità.

Lombroso non era uno scienziato pazzo né deviato, era semplicemente uno scienziato che ha applicato il metodo scientifico e la conoscenza teorica e tecnologica della sua epoca a ipotesi soltanto parzialmente errate. Sia l’idea che esistano parametri misurabili del nostro corpo correlabili con i nostri schemi individuali di comportamento, che l’idea che tali parametri siano ereditati dai nostri antenati, sono corrette; soltanto, i parametri non sono le dimensioni e la forma del cranio ma le nostre sequenze di DNA, e la correlazione non è assoluta e deterministica, poiché contano anche le influenze dell’ambiente, della cultura e dell’educazione; tale correlazione non riguarda la “delinquenza”, che non è una patologia, ma piuttosto alcune di quelle che oggi sono considerate forme di disabilità e di disturbi nella socialità dell’individuo.

L’applicazione del pensiero scientifico di Lombroso sulla criminalità innata, partendo dalle sue ipotesi, era logica: se c’è un parametro corporeo che mi permette di dire con certezza che una persona avrà comportamenti criminali, da una parte è inutile punirla perché non c’è alcuna volontà nel suo destino, e dall’altra è insensato tenerla libera nella società perché certamente non potrà che danneggiare gli altri. E’ chiaro che una ulteriore conseguenza logica e scientifica di questo pensiero, tratta da altri nei decenni immediatamente successivi, è che a questo punto tanto vale impedire la nascita di questi individui oppure rinchiuderli o addirittura ucciderli una volta individuati: di lì la “soluzione finale”.

Per questo il museo Lombroso è importante e va visto, perché se ne esce con diverse questioni filosofiche fondamentali che travalicano i confini della scienza, a partire da quella sull’esistenza del libero arbitrio: esiste veramente un libero e insondabile arbitrio degli esseri umani, oppure il nostro comportamento è pienamente determinato da leggi fisiche e reazioni chimiche che semplicemente noi ancora non conosciamo sufficientemente? E comunque, nel momento in cui scopriamo una correlazione certa tra il modo in cui è fatto un essere umano e il modo in cui si comporterà e si inserirà nella vita sociale, qual è il comportamento giusto da tenere?

Proprio perché la scienza, col suo continuo progresso, ci permette sempre più facilmente una selezione eugenetica dei futuri esseri umani prima ancora che nascano, è importante essere coscienti di questa domanda; sapendo che il rifiuto di questa selezione è una scelta fieramente antiscientifica, ma non per questo sbagliata, anzi è l’affermazione del principio che esistono ambiti dell’esistenza umana situati su piani diversi e inconciliabili con quello della scienza.

D’altra parte, però, anche questa affermazione è potenzialmente altrettanto pericolosa del positivismo; e anche su questo il museo Lombroso, suo malgrado, pone delle domande urgenti. E’ innegabile che in Occidente gli ultimi anni vedano una recrudescenza dell’oscurantismo, delle credenze mitologiche in qualsiasi bufala, della ribellione all’autorità della scienza, per sua natura sempre meno intuitivamente comprensibile man mano che avanza e diventa più complessa, ma per questo equiparata a una manipolazione di poteri forti contro il popolo. Così come i momenti di sviluppo e di fiducia nel futuro promuovono il positivismo, i momenti di crisi economica e di paura promuovono il negativismo.

Al povero Lombroso tocca ora un destino beffardamente opposto rispetto a quello di Galileo e di tanti altri scienziati. Galileo, scienziato di valore, fu bruciato (metaforicamente) in vita per essere riconosciuto da morto; Lombroso, riempito di onori mentre era in vita, è ora metaforicamente bruciato da morto. Egli è, in effetti, il bersaglio perfetto per il negativismo; essendosi occupato di studiare scientificamente il corpo umano nell’unico modo che la tecnologia dell’epoca gli permetteva, ovvero sotto forma di collezionista di spoglie (che continuo a pensare andrebbero sepolte e sostituite da riproduzioni, ma non è questo il punto), può facilmente essere fatto passare per un Mengele ante litteram, un crudele e freddo massacratore di esseri umani. Ovviamente era l’opposto; attivamente socialista, i suoi studi miravano al benessere dell’umanità, compresi i più poveri, e l’uso di cadaveri era proprio il modo per farli senza danneggiare nessuno. Ma chi meglio di lui può essere sfruttato come simbolo aggregatore per qualsiasi ribellione antiscientifica e complottista, dal revanscismo neoborbonico al rifiuto della medicina “ufficiale”?

Per questo il museo Lombroso deve rimanere aperto e venire difeso (qui la petizione); e bisogna che esso sia libero di mandare il suo messaggio, senza gli imbarazzi della nostra guida di ieri che ogni due minuti era costretta a ripetere che le teorie di Lombroso erano screditate. Certo, il problema è che spesso chi lo critica non è in grado di capirlo; e allora, l’ultimo messaggio importante che Lombroso ci manda è che nessuna società umana complessa come la nostra può sopravvivere senza la fiducia, anche se non illimitata, nella scienza e nel suo metodo; e che questa fiducia non è mai scontata, ma va costruita dalla società tramite l’educazione.

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