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Archivio per il mese di Luglio 2016


sabato 30 Luglio 2016, 19:04

La pace è fuori dalle chiese

Fa piacere che, con spirito di pace, molte comunità musulmane in Italia e in Europa (anche se, ho letto, non quella torinese) domani mandino dei rappresentanti ad ascoltare la messa nelle chiese cattoliche.

Eppure, al di là dello spirito di pace, a me l’aspetto simbolico dell’iniziativa convince poco; per prima cosa, perché l’integrazione avviene alla pari e non costringendo gli uni a partecipare al rito religioso degli altri. Questo però si può risolvere: basta che la settimana prossima siano i cattolici ad entrare nelle moschee.

Ma più ancora sono perplesso perché l’integrazione non riguarda solo i fedeli delle due religioni, ma tutta la società; riguarda anche i fedeli delle altre religioni meno praticate, e riguarda chi non si riconosce in alcuna religione; pezzi di società che dalla strombazzata iniziativa di domani sono apertamente esclusi.

Il luogo giusto per l’integrazione, simbolica e pratica, non è un luogo di culto, ma è la sede laica dell’istituzione pubblica; è la scuola, è il posto di lavoro, è la politica, è il teatro e lo stadio. Quelle sono le sedi dove tutta la società si deve unire al di là delle differenze, non una chiesa, che per definizione, in una società laica e multireligiosa, accoglie solo una parte della cittadinanza.

Perché altrimenti il rischio è che il tema di importanza storica dell’integrazione degli islamici in Europa venga sfruttato da una parte del mondo religioso cristiano, quello che non a caso spesso promuove e organizza l’immigrazione senza se e senza ma, per un proprio obiettivo politico di parte: reintrodurre la religione nel cuore dello Stato, rimetterla al centro di una vita pubblica e politica da cui, per uguaglianza e rispetto di tutti i cittadini, dovrebbe essere stata allontanata ormai da molto tempo. Così, almeno, deve essere se l’obiettivo è una società laica, tollerante e libertaria, anziché una società vincolata da precetti più o meno rigidamente interpretati di libri religiosi di epoche antiche.

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martedì 19 Luglio 2016, 16:13

Quando portavamo gli scarponi

Oggi, dopo il primo consiglio comunale del nuovo mandato, a tenere banco è la polemica tra il M5S torinese e i No Tav, legata a un’improvvida solidarietà alle forze dell’ordine, senza se e senza ma, espressa dal neo presidente del consiglio comunale Versaci. Io ne parlo ormai da ex, e inevitabilmente mi è venuta in mente questa foto.

salarossascarponi.jpg

Risale al 30 maggio 2011, il mio primo giorno di cinque anni fa nel palazzo comunale, il giorno in cui mi presentai con giacca, cravatta e gli scarponi sporchi del fango di Chiomonte. Perché uno – persino uno come me, che certo non può essere accusato di simpatie per i centri sociali e per chi attacca le forze dell’ordine per linea “politica” – può entrare nel palazzo senza per forza rinnegare chi è e da dove viene, senza nascondere la verità delle cose, la ragione e il torto che raramente stanno da una parte sola; e quando gli chiedono di parlare, senza venire meno al doveroso rispetto per le istituzioni e per chi le serve, ma senza nemmeno tacere i loro errori e le loro contraddizioni, può anche dire cose come quelle che dissi io nella prima seduta dello scorso consiglio, il 27 giugno 2011, e che riporto qui per futura memoria.

“Vorrei parlare anche di quanto è accaduto questa mattina, perché noi eravamo presenti (non solo noi, c’era anche il Consigliere Curto ed altri amministratori della Val di Susa). Il consistente drappello di amministratori locali non era lì per fare confusione, ma come forza di interposizione, cioè ci siamo messi tra i manifestanti, dietro, e la polizia che doveva arrivare dal davanti di queste barricate, cercando di far ragionare la gente per provare, perlomeno, a creare all’ultimo momento un minimo di dialogo ed evitare il peggio, che, poi, si è verificato puntualmente. Devo sottolineare che si è verificato puntualmente perché non vi è stata possibilità di dialogo da parte delle Forze dell’Ordine, nel senso che avevano l’ordine di entrare a qualunque costo e sgomberare tutto. Di conseguenza, non c’è stato modo di evitare quanto è accaduto, che non è stato soltanto lo scambio di “piacevolezze” di oggetti lanciati (sicuramente da entrambe le parti, tutto quello che volete), ma ho testimoniato personalmente il fatto di essermi trovato in un piazzale con circa 2.000 persone letteralmente bombardate di decine e decine di lacrimogeni e costrette a correre verso l’unico lato che gli era stato lasciato a disposizione, cioè quello dei monti, arrampicandosi in mezzo alle rocce e ai boschi; tra l’altro, il flusso di lacrimogeni è continuato anche dopo che il piazzale – che era l’obiettivo della liberazione, come è stata chiamata – era già stato liberato.

Quindi, a missione compiuta, le Forze dell’Ordine hanno ritenuto di dover continuare a spingere la gente contro le rocce e, ovviamente, ho visto persone farsi male, svenire, vomitare per i lacrimogeni e ragazzi con la testa spaccata; questi fatti sui giornali non sono stati pubblicati e non verranno pubblicati, per questo motivo le voglio dire in questa sede, e, ovviamente, ci saranno i video che circoleranno sulla rete e, anche in questo caso, ognuno vedrà quello che vuole vedere.

Come prendere questa situazione? Abbiamo cercato in tutti i modi di mettere un elemento di ragione in questa discussione, di razionalità di dati e di analisi, ma purtroppo non ci siamo riusciti. Siamo arrivati al punto in cui adesso in Val di Susa ci sono decine di migliaia di persone (non so se siano la maggioranza o la minoranza, ma comunque è sicuramente una parte molto consistente degli abitanti della Val di Susa) che non si sentono più cittadini italiani e che hanno vissuto l’arrivo dell’Esercito e della Polizia come un esercito straniero, accogliendoli cantando l’Inno nazionale e “Bella ciao”. Quindi, indipendentemente dal fatto che uno possa concordare o meno con questa visione, abbiamo una parte della popolazione del Piemonte che non si sente più parte di questo Stato e che reagirà di conseguenza, perché quello che vedete qui davanti è soltanto l’antipasto; non capisco come si possa continuare a pensare di costruire quest’opera con vent’anni di Intifada in Val di Susa, perché succederà esattamente questo. Questo è il bel risultato della politica piemontese degli ultimi vent’anni.

C’erano comunque numerosi amministratori ed esponenti politici in questa manifestazione e anche l’altra sera sono intervenuti esponenti di tre diversi movimenti politici, compreso il Segretario nazionale di Rifondazione Comunista, per cui non si può neanche dire che fosse una manifestazione di quattro gatti estremisti, anarchici od insurrezionalisti; è stata una manifestazione politica di un raggio discretamente ampio di forze, con idee anche diverse tra loro, che, alle quattro del mattino, è stata accolta con la violenza ed è stata dispersa con la violenza.

È questa la democrazia? Onestamente, oggi siamo venuti qui con l’idea di non partecipare a questo Consiglio Comunale, perché se questo è il modello di democrazia che vige, allora non ci sentiamo parte di questa democrazia. Dopodiché abbiamo fatto un ragionamento e, per senso di responsabilità verso le Istituzioni, siamo presenti e abbiamo fatto il nostro discorso. Siamo molto dispiaciuti dell’evoluzione che hanno preso le cose, ci dichiariamo indisponibili a gestire questa situazione, che non è più gestibile dal nostro punto di vista. Di conseguenza, non ci assumiamo la responsabilità delle conseguenze dell’azione che è stata fatta questa mattina, se ne assumerà le conseguenze il Sindaco e tutti gli altri politici che hanno scelto di percorrere questa via.”

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lunedì 4 Luglio 2016, 13:59

Vodafone Smart Passport: le mani nelle mie tasche

Se siete italiani, ci sono ottime probabilità che siate o siate stati nella vita dei clienti Vodafone. Io ci ho persino lavorato, nel 1999, quando si chiamava ancora Omnitel; ci sono dunque affezionato. Nonostante questo, ultimamente stanno riuscendo a comportarsi veramente male.

Già l’anno scorso ero rimasto vittima di Vodafone Exclusive, il servizio aggiuntivo da 1,90 Euro al mese che veniva attivato mediante silenzio assenso, generalmente a persone come me che mai l’avrebbero voluto. Adesso la storia si ripete, grazie alla vicenda del roaming europeo.

Ricorderete infatti che in primavera ci eravamo beccati i comunicati trionfalistici dell’Unione Europea sui grandi vantaggi per i cittadini che essa sempre ci dona: in questo caso, l’abolizione dei costi di roaming spropositati che si pagavano per usare il telefono all’estero. In effetti, il Parlamento Europeo ha approvato un Regolamento che prevede un tetto massimo piuttosto ridotto ai costi di roaming, e la loro completa abolizione a partire dal giugno 2017.

Il 29 aprile, infatti, Vodafone mi ha mandato il seguente messaggio:

vodasmartpassport-1

Il messaggio è ambiguo, e fa sembrare che il regolamento europeo imponga a tutti i clienti di adottare “dal 12/6” l’offerta Smart Passport, ovvero un acquisto in blocco di 60 minuti, 60 SMS e 200 MB al giorno per tre euro “solo in caso di utilizzo”. Solo leggendo fino in fondo si scopre che “se disattivi Smart Passport, dal 30/4 paghi secondo le nuove tariffe europee”, e infine che puoi recedere dal contratto senza penali, il che deve sempre trarvi in allarme perché i fornitori di servizi, e solo perché obbligati, vi concedono di recedere dal contratto senza penali solo quando modificano unilateralmente le condizioni di contratto in maniera sfavorevole per voi: quindi “puoi recedere dal contratto” = “fregatura in arrivo”.

In questo caso, se ci pensate un attimo, il danno per l’utente medio è evidente: se veramente fate in un giorno 60 minuti di telefonate dall’estero va bene, ma se, come l’utente medio, all’estero disabilitate i dati, usate il telefono pochissimo e magari rispondete velocemente e dopo venti secondi mettete giù, non spenderete mai 3 euro. E infatti, la settimana prima ero stato in Francia e queste erano le mie tariffe: per ricevere telefonate pagavo 6 cent al minuto, per mandare un SMS 7 cent (notate che in Italia, trattandosi di una SIM secondaria su cui non ho alcun piano attivo, pago un SMS 20 centesimi: questo per dirvi quanto ci marciano gli operatori). Io non ho minuti inclusi, ma se li avete potete semplicemente usarli e pagare ancora meno, solo 1,4 cent al minuto in ricezione o 2,4 cent per SMS (qui trovate le tariffe sul sito Vodafone).

Quindi, per rispondere velocemente e poi metter giù avrei pagato qualche centesimo in tutto; ma con Smart Passport attiva, al primo secondo ricevuto o al primo SMS mandato scatta l’offerta e pago 3 euro. E questo ogni giorno, per cui se sto via una settimana e ogni giorno ricevo una chiamata per trenta secondi, alla fine avrò speso 21 euro invece che 40 centesimi. Lo scrivono anche loro, in un angolino del loro sito (oltretutto, altra chicca, il “giorno” è calcolato sempre sull’ora italiana, per cui se sei in California tu credi di avere l’offerta attiva per tutto il giorno là, ma in realtà a metà giornata scatta la mezzanotte italiana e la paghi due volte).

vodasmartpassport-3

Il danno per le mie tasche e il vantaggio per quelle di Vodafone – casualmente, proprio all’inizio della stagione estiva, quella in cui si viaggia di più all’estero – sono evidenti, per cui mi son detto: guarda sti maledetti, devo disattivare subito l’offerta. Ma subito (il 29 aprile) non si poteva, perché non era ancora attiva; e li ringrazio per il preavviso, ma un preavviso di un mese e mezzo onestamente sembra fatto apposta perché il cliente si dimentichi della cosa e non disattivi l’offerta quando viene il momento. Per cui, mi sono segnato sul calendario di Google “12 giugno: disattivare Smart Passport”.

Il 12 giugno controllo: l’offerta non è attiva. Ricontrollo nei giorni seguenti: niente. Vuoi vedere che sono rinsaviti, e/o che finalmente qualcuno gli ha fatto il mazzo, e sono ritornati sui loro passi?

E invece no: la settimana scorsa riparto per Slovenia e Austria. In Slovenia non guardo nemmeno gli SMS di avviso – chi viaggia spesso non li guarda più da anni – ma entrando in Austria per caso li apro e leggo: “Benvenuto in Austria, la tua offerta è Smart Passport”. Maledizione!

Così, giunto in albergo, mi attacco al wi-fi e apro l’app My Vodafone; controllo le mie offerte ed eccola lì:

vodasmartpassport-4

Attivata (da loro) il 28 giugno! Cioè, oltre ad attivarmi unilateralmente un “servizio” a pagamento che non voglio e che non ho mai richiesto, mi hanno mentito sulla data di attivazione, rimandandola di un paio di settimane, facendomi credere che non sarebbe stata più attivata e impedendomi così di disattivarla a priori…

Per fortuna nei giorni precedenti non avevo utilizzato quel numero, altrimenti avrei già avuto addebiti non voluti per parecchi euro. Comunque, perlomeno disattiviamola, no? Premo su “gestisci” e mi dice che si può disattivare solo dal sito. Apro il browser, vado sul sito Vodafone per smartphone, e… posso comprare tutto quel che voglio, ma non c’è alcuna voce di menu per gestire le offerte attive e disattivarle. Mi tocca aprire il PC, loggarmi sul sito da lì, andare sulla gestione offerte e… il servizio non è attualmente disponibile! Però, come dicono nello screenshot più sopra, potrei disattivarla chiamando dall’estero il +393482002070… e se lo chiamo che succede? Ovviamente scatta l’offerta: l’unica offerta attivata senza il tuo consenso che devi comprare almeno una volta per poterla disattivare.

Morale? Alla fine il sito si è riavuto e l’ho disattivata da lì, ma è evidente che questo comportamento – è il secondo per Vodafone, dopo la vicenda analoga di Vodafone Exclusive – meriterebbe di cambiare operatore, se non fosse che tanto, più o meno, tutti si comportano così; tra l’altro, non ho idea di quante siano le utenze su cui negli scorsi giorni è stata attivata Smart Passport “a tradimento”.

Alla fine, in un oligopolio come quello delle telecomunicazioni, il mercato da solo non è assolutamente in grado di tutelare i consumatori: dovrebbero farlo i nostri ministri nazionali e commissari europei che insistono continuamente con i benefici del mercato globale e dell’Europa. Ma in Italia questi comportamenti vanno avanti da anni, da parte di qualsiasi grande operatore di qualsiasi servizio, senza che nessuno intervenga. E allora perché stupirsi se poi la gente al mercato e all’Europa non crede più?

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