Sky
Vittorio vb Bertola
Fasendse vëdde an sla Ragnà dal 1995

Sab 20 - 6:57
Cerea, përson-a sconòssua!
Italiano English Piemonteis
chi i son
chi i son
guida al sit
guida al sit
neuve ant ël sit
neuve ant ël sit
licensa
licensa
contatame
contatame
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vej blog
vej blog
përsonal
papé
papé
fotografie
fotografie
video
video
musica
musica
atività
net governance
net governance
consej comunal
consej comunal
software
software
agiut
howto
howto
internet faq
internet faq
usenet e faq
usenet e faq
autre ròbe
ël piemonteis
ël piemonteis
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
vej programa
vej programa
travaj
consulense
consulense
conferense
conferense
treuvo travaj
treuvo travaj
angel dj'afé
angel dj'afé
sit e software
sit e software
menagé
login
login
tò vb
tò vb
registrassion
registrassion

Archivio per il giorno 13 Giugno 2017


martedì 13 Giugno 2017, 13:58

Palestina (2) РRamallah ̬ un posto normale

Non so quanti di voi siano mai stati davvero nei territori occupati o anche solo in Israele: penso pochi. Gli altri, presumo, avranno di Israele la stessa idea che avevo io prima di andarci per la prima volta, sentendone parlare solo tramite i media: e mi immaginavo un luogo militarizzato, pieno di pericoli, in cui c’era da avere paura anche solo a uscire di casa.

Non parliamo poi della Palestina occupata: fermatevi un attimo a immaginarvela, cosa vi appare in testa? Secondo me vi viene in mente un girone infernale, fatto di campi profughi e di case bombardate, popolato da gente poverissima, priva di mezzi di sostentamento, tagliata fuori dal mondo e rinchiusa dagli israeliani in vere e proprie prigioni a cielo aperto, dove militari ebrei col fucile in mano si divertono a passeggiare per le strade insultando gli abitanti e rendendogli la vita impossibile, pronti a sparare alla minima obiezione.

E così, noi siamo saliti su un pullman per un giro organizzato, con una guida palestinese, e per prima cosa siamo andati a Ramallah, la capitale dell’Autorità Palestinese. Abbiamo costeggiato un muro piuttosto inquietante, davvero simile a quello di un carcere, e mi aspettavo quindi lunghi controlli al checkpoint; con mia sorpresa, l’abbiamo invece passato senza nemmeno essere fermati; e improvvisamente lo scenario è cambiato.

Ci siamo infatti trovati su una lunga strada in salita in mezzo alle case, solo che non era un tratturo bombardato, anzi; l’asfalto era stato rifatto da poco, tra le due corsie c’era un’aiuola su cui stavano piantando l’erba, e ai lati c’erano case più che dignitose, negozi, e persino un concessionario Mitsubishi.

Il bus ci ha lasciato nella piazza centrale di Ramallah, che peraltro è al confine con il vicino paese di Albireh: infatti si trattava fino a poco tempo fa di villaggi minori, che sono diventati importanti da quando sono diventati l’avamposto palestinese alla periferia nord di Gerusalemme, ospitando molte funzioni che fino al 1967, quando la parte araba della Palestina era una provincia della Giordania, si trovavano a Gerusalemme est.

Bene, io qui sono sceso e sono rimasto ancora più confuso. Innanzi tutto, non c’era la minima traccia di israeliani, né militari né civili (ai civili è proprio vietato entrare nelle città palestinesi); e nemmeno di carri armati, bandiere con la stella di David, scritte in ebraico e altri segni di occupazione politica o anche solo culturale (tutte le insegne e i cartelli sono in arabo, al massimo con la traduzione in inglese). In compenso, la piazza era dominata da un modernissimo maxischermo che sparava pubblicità di cellulari, mentre il palazzo a fianco era dominato dal meraviglioso Stars & Bucks Café in perfetto stile U-S-A.

Ora, certamente Ramallah non è Montecarlo e i palestinesi non sono miliardari, e le strade comunque sono incasinate, piuttosto sporche per i nostri standard, piene di angoli abbandonati e di immondizia; eppure, nel complesso Ramallah mi è sembrata né più né meno come una città araba qualsiasi, come Tunisi, Cairo o Marrakech, per citarne tre che ho visto di persona; anzi, forse persino un po’ meglio.

Di sicuro, Ramallah non è un campo di concentramento, né un campo profughi, né un posto particolarmente povero o poco dignitoso per vivere; del resto, i palazzi non sarebbero tappezzati di gigantesche pubblicità se le persone del posto (turisti non ce n’è, ci guardavano tutti come alieni) non avessero soldi da spendere in cellulari o in Coca-Cola.

Ma il colpo finale ai miei preconcetti è arrivato quando abbiamo ripreso il pullman, e verso l’uscita della città ho visto questo:

Ecco, tutto mi aspettavo di trovare a Ramallah, meno che un concessionario Mercedes-Benz nuovo di zecca, in un bel palazzo denominato Brazil Tower. Ma probabilmente sono io che sono razzista e vorrei negare ai palestinesi, tra i loro diritti umani continuamente calpestati, quello di comprarsi un Mercedes, un bene di prima necessità di cui la morsa israeliana li vorrebbe crudelmente deprivare.

Seriamente: nessuno nega le ampie restrizioni ai diritti individuali, né i danni all’economia palestinese portati da cinquant’anni di limbo e legge marziale, né l’espansionismo israeliano sulle terre degli arabi; ho visto pure quello e ne parleremo ampiamente. Ma la prima cosa che ho notato, e mi è bastata mezz’ora nei territori occupati, è quanto l’immagine drammatica che ne danno i media occidentali sia lontanissima dalla realtà, e quanto si tratti tutto sommato di un posto quasi normale, discretamente autonomo almeno per l’ordinaria amministrazione, e tutt’altro che alla fame. Se ci pensate, è un segno di speranza: le cose laggiù non sono poi così brutte come vengono dipinte.

divider
 
Creative Commons License
Cost sit a l'è (C) 1995-2024 ëd Vittorio Bertola - Informassion sla privacy e sij cookies
Certidun drit riservà për la licensa Creative Commons Atribussion - Nen comersial - Condivide parej
Attribution Noncommercial Sharealike