Perché non mi candido alle gigginarie
Scrivo questo post per ringraziare tutti quelli che, con la massima serietà , mi hanno incoraggiato in questi giorni a partecipare alle “gigginarie”, le votazioni per nominare ufficialmente come futuro premier del Movimento 5 Stelle il “candidato naturale” Luigi Di Maio, l’unico italiano che ha già una pensione prima ancora di aver finito gli studi.
Sono tanti, tra cui persone di grande valore, molti di quelli che hanno fondato il M5S in varie parti d’Italia, per poi diventare, come me, dei fuoriusciti o dei critici pensanti; e mi ha fatto piacere che abbiano pensato a me, uno dei pochi critici tecnicamente in regola per candidarsi, come possibile rappresentante della delusione collettiva. Ho tuttavia deciso che non fosse il caso di presentare la mia candidatura, e vi spiego perché.
Intanto, io sono una persona seria, per cui, paradossalmente, avrei potuto accettare più facilmente se le gigginarie fossero state una cosa seria. Cioé, non l’avrei fatto comunque per scelta personale, perché la passione per la politica resta ma prima vengono il mio lavoro e la mia famiglia, che ho sacrificato per troppi anni; per motivi politici, perché comunque non ho alcuna intenzione di rimettere la mia faccia al servizio di ciò che il M5S è diventato oggi, nemmeno come oppositore interno; e perché non so che competenze abbia io per fare il presidente del consiglio (però, se lo può fare Di Maio lo può fare chiunque).
Tuttavia, candidarsi con la possibilità concreta di rovesciare la deriva del Movimento 5 Stelle verso un partito qualunque, di riportarlo ai principi originari, di cacciare i mediocri che ne hanno preso il controllo e gli esagitati che ne sono i pretoriani in rete, o perlomeno di avviare un dibattito serio con la base, di provocare un sussulto di coscienza negli ex cittadini attivi ora diventati militanti, avrebbe avuto un senso.
Ma questa possibilità non c’è, e questo è evidente – oltre che dai precedenti, vedi il caso di Genova – da come è stata concepita tutta l’operazione: con l’annuncio il venerdì pomeriggio per il lunedì mattina, senza alcun preavviso, senza alcuna indicazione di cosa sarebbe successo dopo, senza comunque il tempo per alcun tipo di approfondita discussione collettiva, visto che già si era detto che sabato prossimo sarebbe stato tutto finito.
Se anche io o qualsiasi altro candidato davvero alternativo ci fossimo messi in gioco, anche solo per provocazione, avrebbero trovato una scusa per escluderci; o peggio ci avrebbero fatto correre in una gara truccata, in cui prima ci avrebbero rovesciato addosso una tonnellata di fango, descrivendoci come rosicatori in cerca di visibilità o di un contentino, e poi ci avrebbero sottoposti al gioco di una piattaforma priva di trasparenza, frequentata ormai quasi solo da squadristi da social e truppe in carriera; e infine, dopo averci concesso dieci voti in tutto, ci avrebbero usati per legittimare la nomina di Di Maio, già decisa dall’alto da un pezzo.
Con questa gente ho, abbiamo già perso troppo tempo: non vale la pena nemmeno di partecipare al voto. Si facciano la loro strada da soli, chiusi in un circoletto di mediocrità , di ambizioni sproporzionate alle capacità , di complottismi, di propaganda e di rabbia popolare montata ad arte, con cui nessuna persona dotata di un minimo di raziocinio e di credibilità vuole più avere a che fare (l’avete letta la lista dei “grandi artisti” di Rimini?). Forse troveranno all’ultimo altri candidati semisconosciuti per fingere una democrazia di cartone, ma la votazione per acclamazione di un candidato unico, il perfetto contrario della partecipazione popolare attiva, sarebbe un ottimo simbolo per smascherare il loro inganno.
Magari, nel triste panorama politico dell’Italia odierna, Di Maio e soci andranno anche al governo, regalandoci inferni lastricati di buone intenzioni, diktat ideologici da stato libero di Bananas, e disastri su scala nazionale. Ma non avranno la soddisfazione di poter dire che, ancora una volta, sono riusciti a sfruttare le energie e le intelligenze dei cittadini e degli attivisti di un tempo per legittimare la propria personale scalata al potere.