Segnali di resa
Come sapete, non ho mai simpatizzato per la politica dell’accoglienza a prescindere e delle frontiere spalancate, ma nemmeno per il razzismo o per l’idea di una società “pura” e monoculturale. Tra i due estremi, ho sempre pensato che comunque ci fosse più illuminazione e futuro in chi vuole accogliere, rispetto a chi vuole rifiutare. Eppure, più passa il tempo e più mi preoccupo dei segnali che vedo: i segnali di una resa progressiva della società europea a chi, venendo da culture diverse dalla nostra, vorrebbe cancellarne i principi di laicità e modernità .
A differenza del razzismo, generalmente sguaiato e immediatamente visibile, i segnali di resa sono seminascosti; ne parlano solo i media di “centrodestra”, e siccome spesso li esagerano in maniera indegna, con titoli acchiappaclick da vomito, viene facile ignorarli del tutto. Ma sotto il titolo c’è comunque un fatto reale, il comportamento di una parte di società – ben inserita e sovrarappresentata ai vertici delle nostre istituzioni – che non capisce che all’aggressione antica, atavica, di un millenario istinto di sopraffazione tipico di tutte le religioni monoteiste (oggi in Europa il problema è l’integralismo islamico, ma il cristianesimo lo è stato mille volte) bisogna rispondere con la forza e con la fermezza, non con la dolcezza e con la tolleranza. E invece, si scopre che i terroristi islamici arrivano facilmente fino nei posti più delicati della struttura statale, quelli vitali per combatterli, perché nessuno ha il coraggio di buttar fuori un poliziotto al primo segno di radicalizzazione, perché “oddio poi è razzismo”.
Il razzismo c’è, è un problema che è necessario risolvere per costruire una società pacifica nel futuro, ma è troppo semplice dire che l’unico problema culturale fondante della società di oggi sia il razzismo. Anche solo dai simboli, persino quelli più banali come la nazionale di calcio (il più sacro simbolo laico nazionale a livello popolare) improvvisamente presentata come una fila di modelli mulatti vestiti di verde, o dalle reazioni scomposte all’idea che un commissariato europeo abbia nel suo nome la difesa dello stile di vita europeo, si capisce che davvero abbiamo un altro grosso imprescindibile problema che ci può ipotecare il futuro: quello di non sapere più chi siamo, quali siano i nostri simboli e i nostri valori, e cosa ci distingua dal resto del mondo, specialmente da quel resto del mondo, gran parte di esso, che passa la vita ad ammazzare ed ammazzarsi l’un l’altro.