Così muore un populista
Vedo molta confusione nelle analisi politiche sul modo in cui è finita la presidenza Trump. In particolare c’è gente che dice: visto, noi abbiamo sempre detto che i politici populisti puntano al colpo di stato, e che non dovrebbe nemmeno essergli permesso di esistere.
In realtà , quello di ieri non è stato affatto un tentativo di colpo di stato. Lo era forse nella testa di quelli che hanno provato a entrare in Parlamento, magari dello stesso Trump e di altri ingenui stupidotti americani. Ma anche se entri in massa nel Parlamento e lo conquisti, poi che fai? Non è così che si fa un colpo di stato nel ventunesimo secolo. Lo si fa con i media, con l’apparato statale e/o con l’esercito, e nessuno dei tre, ieri, era al seguito dei trumpiani. Anzi, i media – specialmente i social – non vedevano l’ora di poterlo finalmente censurare per bene.
In fondo, la parabola di Trump conferma l’assunto di base per cui i populisti al potere devono adeguarsi al sistema. Se non lo fanno, finiscono per isolarsi e ridicolizzarsi da soli; se sono pazzi, come forse è adesso Trump, possono rischiare di fare grossi danni, ma non di distruggere il sistema. Del resto, non appena si è capito che il cavallo era definitivamente perdente, persino i suoi fedelissimi, Pence in testa, hanno immediatamente iniziato il riposizionamento verso lidi più sicuri; e quei pochi che ancora circondano Trump, come quelli che ancora circondano Berlusconi, son lì solo per ereditare i suoi residui voti.
Quindi, insomma, tranquillizzatevi; ieri, alla fine, non è successo niente di che. L’episodio sarà certo ingigantito all’infinito nei racconti e nei commenti, essenzialmente per suggerire alla gente di non rompere troppo le scatole, una cosa che al potere piace sempre ricordare. Ma poi, ragazzi, la ricreazione è finita.