Forza pippa
È sera. Dopo ventidue ore di viaggio e due ore e mezza di coda all’immigrazione, arrivo all’albergo di Washington scelto da ICANN, un boutique hotel con ambizioni di lusso a metà tra Foggy Bottom e Georgetown, popolato da gente in impeccabili vestiti blu e cravatta regimental.
Arrivo al check-in completamente rincoglionito. L’addetto prende il passaporto e mi fa: “Italy? Which city?”
“Turin.”
“Ah, Torino!”
Oddio, penso. Fa’ che non succeda, fa’ che non succeda, fa’ che non succeda.
Succede.
“Forza Juve!”
Ma vaffanculo, va’.
“Here, look here!”
Invece di darmi la benedetta chiave e mandarmi a dormire, il tizio interrompe il check-in, prende il suo cellulare, armeggia, e mi fa vedere.
C’è una foto di lui abbracciato con Del Pippa.
“Do you recognize the guy?”
“Yes, of course.”
“Are you sure? Do you know his name?”
Io so che se gli dico “Del Pippa” non capirà , per cui ho pietà di lui e rispondo per bene.
“He is my childhood idol”, continua lui. “I travelled to Los Angeles on purpose to meet him.”
“Mecojoni”, sospiro io. Lui non capisce, però gli viene un sospetto.
“But are you for Juventus or for Torino?”
Sorrido. “Torino, of course. You know, I’m actually from Turin. Juve is more of a national team.”
“Ah! Sorry for you!”
Non fosse che io sono il cliente e lui l’impiegato, probabilmente mi darebbe anche del “loser”.
Ma io sono una persona gentile. Gli dico anzi che ho incontrato anch’io Del Pippa, vent’anni fa. (Adriano lo portò un giorno in ufficio a Vitaminic per fargli fare una compilation.) E poi dai, oggettivamente è un bravo ragazzo e un gran giocatore: fuori dal tifo, massima stima.
Ma per me sono le tre del mattino e voglio solo andare a letto: next time, “forza Juve” tell it to your mother.