Italia è
Ieri a Filadelfia, nella pausa pranzo della conferenza, ho cercato di visitare il piccolo museo dedicato a Mario Lanza, tenore americano di South Philly figlio di italiani, che ebbe un successo pazzesco nel cinema americano e italiano degli anni ’50 e poi morì giovane a Roma prima di poter intraprendere una vera carriera lirica. E’ gestito da volontari e aperto solo il sabato dalle 13 alle 16; e io alle 13 ero lì, ma non si è presentato nessuno.
Dopo un quarto d’ora di attesa, finalmente arriva qualcuno: è un signore anziano con una camicia scura. “Did anyone show up yet?”, mi chiede, e io rispondo di no; mi spiega che il tizio deve arrivare fin da New York City. Così ci fermiamo un po’, e mi chiede se sono del quartiere; ovviamente no. “Where are you from?”, mi chiede, e io rispondo “Italy”.
Lì, improvvisamente tutto cambia, a partire dalla lingua. “Di chei partei di Itaulia?”, mi chiede lui. “Torino”, dico io. “Ah!”, dice lui, “Mio padrei di Asti”. Poi ci pensa un attimo, e aggiunge: “Non propriou di Asti, di paesino vicino, si chiama Toncou, you know?” Così gli spiego che abbiamo casa a dieci chilometri da lì. Lui mi spiega che è il nuovo parroco della chiesa di fronte, da una settimana, e che era venuto per prendere contatto: pare che Mario Lanza cantasse regolarmente l’Ave Maria nella sua chiesa.
Alla fine ci salutiamo; lui deve tornare in chiesa e io devo tornare alla conferenza. Non ho visto il museo, ma ho capito una cosa; che l’Italia è davvero qualcosa di molto più grande di ciò che pensiamo noi italiani.