Lettera agli amici antirazzisti (4)
(continua da ieri)
4. Conclusioni
Ci sono ancora una manciata di punti che vorrei brevemente affrontare, prima di lasciarvi andare.
Il primo è rassicurarvi sul fatto che anch’io penso che l’immigrazione non sia soltanto un problema di repressione e ordine pubblico; e che sia altrettanto importante costruire un cammino di integrazione e anche di cittadinanza per le persone che arrivano qui dall’estero legalmente, nell’ambito di una programmazione di flussi migratori, con la sola intenzione di costruirsi onestamente un futuro migliore; e anche per i loro figli. Queste persone devono venire tutelate dallo sfruttamento e dal razzismo (quello vero), e diventare una componente positiva del popolo italiano del futuro; e sono anche le prime vittime della xenofobia alimentata dall’incapacità di distinguere tra loro e chi invece immigra senza integrarsi o peggio delinquendo.
Il secondo è relativo ai rifugiati, che sono un caso particolare, innanzi tutto dal punto di vista del diritto internazionale. Io sono ben d’accordo nell’accogliere “fuori quota” e nel tutelare i rifugiati veri, che però, da dati ufficiali, sono meno del 20% di quelli che bussano alle nostre porte. Divento però meno disponibile quando voi utilizzate l’oggettiva difficoltà di distinguere tra rifugiati e immigrati economici per sostenere che dovremmo accogliere alle stesse condizioni anche questi ultimi. Questo, permettetemi, è un trucco per far passare l’idea delle frontiere aperte di cui abbiamo già discusso; e, dal mio punto di vista, è non solo intellettualmente scorretto ma concretamente pericoloso per la sostenibilità di tutto il fenomeno.
Il sistema della convenzione di Ginevra, pensato per l’accoglienza di un numero ridotto e ben definito di popolazioni private delle proprie case dagli sconvolgimenti geopolitici seguiti alla seconda guerra mondiale, non è stato certo concepito per gestire una migrazione di massa dai Paesi meno sviluppati a quelli più ricchi, resa possibile dalla globalizzazione e dal progresso tecnologico ed economico di tutto il pianeta, e inimmaginabile quando la convenzione è stata scritta.
Se è vero che in una situazione del genere la distinzione tra rifugiati e immigrati economici si assottiglia e tende a sparire, secondo me l’unica conclusione logica è allora gettare nel cestino la convenzione di Ginevra e studiare un nuovo sistema di gestione planetaria dei flussi migratori, che magari, lo dico per voi, potrebbe persino essere l’anticamera di quella libera circolazione globale delle persone che voi tanto sognate, nel momento in cui essa, a fronte dell’assottigliarsi progressivo delle differenze globali, dovesse diventare sostenibile.
L’ultimo punto, più spinoso, è relativo alla vostra crescente voglia di risolvere il problema del razzismo dilagante semplicemente vietandolo: chiedendo a Facebook di cancellare post e account e invocando la galera per la prima sparata contro la Boldrini o l’africano di turno.
Io non credo che sia un metodo destinato a funzionare, perché in un clima di complottismo diffuso, in cui anche le persone più umili e ignoranti hanno a disposizione mezzi di comunicazione molto potenti per spargere qualsiasi idea, la repressione dall’alto genera soltanto maggiore convinzione e maggiore propaganda orizzontale dal basso. Ma soprattutto, sono preoccupato di come esso possa allargarsi diventando una forma di fascismo anch’esso, di censura progressista che obbliga al silenzio idee politiche diverse e pienamente legittime.
Nello specifico, un conto è il razzismo – considerare altri esseri umani come intrinsecamente inferiori – e un conto è, semplicemente, desiderare un modello di società diverso, più omogeneo e più vincolato ai valori delle società occidentali, che non sono affatto reazionari, ma sono anzi proprio quelli ottenuti con le conquiste del dopoguerra in termini di libertà personali. Io posso benissimo ritenere gli stranieri uguali o persino migliori di me, ma allo stesso tempo desiderare di vivere in una società con meno immigrazione e con meno culture diverse dalla mia, o trovarmi a maggior agio nella mia cultura di origine e per questo non voler scendere a compromessi con i punti di vista, spesso retrivi, di altre culture; e in questo non c’è niente di razzista e niente di illegittimo.
Posso, senza essere razzista, dire che i ragazzini sudamericani che si mettono all’una di notte con le radio a tutto volume sotto casa mia, o che il ragazzone di colore che mi insegue al supermercato con insistenza per farsi dare l’euro del carrello, non mi piacciono e non dovrebbero essere lì, senza che mi venga chiesto di dimostrare preventivamente che non ci sono italiani che si comportano allo stesso modo, senza che mi venga vietato di essere infastidito da questi comportamenti imponendomi di subirli in silenzio “per tolleranza”, senza che mi si tirino fuori statistiche per dimostrare che in realtà gli immigrati da noi sono pochi e in altri Paesi ce n’è percentualmente di più (anche qui, uno solo che si comporta male è già uno di troppo), e senza sentirmi dare del razzista e vedermi ostracizzare pubblicamente se dico una semplice ovvietà , ossia che preferisco una società in cui queste situazioni non ci sono.
Se voi volete che tutti i “razzisti” italiani, invece di diventare progressivamente razzisti senza virgolette, vengano incontro alle vostre visioni del mondo, anche voi dovete incominciare a riconoscere che i problemi di vivibilità e di sicurezza creati dall’immigrazione non sono bugie dei titolisti di Libero ma sono fatti reali, e che non vanno minimizzati e negati ma affrontati con decisione; non sono né un tabù, né una fisima, né una invenzione razzista.
In questo modo, si potrà ricostruire un dialogo e infine ritrovare una società coesa, comprendente anche una buona percentuale di immigrati. Altrimenti, davvero la prospettiva è di una mezza guerra civile, magari nemmeno mezza; ed è una prospettiva da cui abbiamo tutti soltanto da perdere.