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giovedì 8 Dicembre 2022, 13:57

Nippominchia e Giappone reale

Parliamo di Giappone? Condivido questa foto per farvi un piccolo discorso.

La foto viene dal post su Facebook di uno dei tanti italiani che vivono in Giappone o lavorano col Giappone da anni, e che quasi sempre si incazzano per il modo in cui da noi si parla di quella realtà. Perché? Perché l’Italia è piena di “nippominchia”, ossia di persone che conoscono il Giappone solo per aver letto i manga e guardato gli anime, o perché vanno a mangiare il sushi tutte le settimane (dai cinesi), senza esserci mai stati; tra queste ci sono anche molti giornalisti, e quindi è tale anche la descrizione che ne esce generalmente sui media. Si tratta di persone che adorano il Giappone acriticamente, che lo vedono come una terra promessa dove tutto è pulito, sicuro, efficiente e beneducato, dove le persone si vogliono bene e collaborano tutte insieme e dove si vive in pace e in armonia con la natura secondo tradizioni spirituali millenarie.

La realtà, naturalmente, non è proprio così. Vivere in Giappone da giapponesi è, per i nostri standard di dolce vita, terrificante. Già da ragazzo, la scuola ti impegna dal mattino al tardo pomeriggio, e la sera fai i compiti; quando lavori, facilmente finisci a essere un ingranaggio di un’azienda medio-grande e a uscire dall’ufficio a sera inoltrata, non di rado anche nel fine settimana. La cultura collettivista non ha soltanto vantaggi; l’individualità, la creatività non trovano posto, perché conformarsi è la norma e “il chiodo che sporge va preso a martellate”.

Esprimere e realizzare se stessi è difficile, e non parliamo di sentimenti: il Giappone è uno dei Paesi in cui l’età del primo bacio o del primo rapporto è più alta, spesso ben oltre la maggiore età; e i tassi di suicidio sono oltre il triplo dell’Italia. In più, viverci da italiani è anche peggio; nel momento in cui non sei più turista ma residente, ci si aspetta che tu ti conformi esattamente a tutte le loro usanze, linguistiche, burocratiche e comportamentali; altrimenti sarai sempre trattato come un diverso, se non proprio con razzismo.

Per questo, la sola parola “manga” è sufficiente a fare incazzare quasi tutti gli italiani in Giappone. Non solo: fa incazzare anche molti giapponesi che si sentono stereotipati, e a cui dà fastidio, girando all’estero, essere visti come gli abitanti di una terra popolata esclusivamente da onde energetiche, samurai, spiriti e arti marziali, esattamente come a noi dà fastidio sentirci dire “sole pasta pizza mafia”; e che sanno che il mondo fantastico dei manga ha un lato oscuro e inquietante, quello di essere la valvola mentale di sfogo per una realtà spesso pesante e insopportabile.

Sempre per questo, anche le immagini condivise ossessivamente sui social dello spogliatoio pulito della nazionale giapponese hanno indispettito molti; come Antonio, l’autore del post, che risponde con la foto di uno dei tanti impiegati che escono tardi dall’ufficio, vanno a ubriacarsi coi colleghi (una delle poche forme di socialità previste) e poi svengono e passano la notte distesi sul pavimento della metropolitana.

Si tratta di stereotipi, nell’uno e nell’altro senso; come tutti i luoghi comuni, hanno la realtà dentro ma non dobbiamo restarne prigionieri. Il Giappone è assolutamente un posto da visitare, e ha una cultura che oggi è senz’altro più interessante e più in linea coi tempi di quella anglosassone. Bisogna soltanto evitare di confondere la realtà con la fantasia; bisogna distinguere sempre tra il Giappone magico e fantastico proposto dalla sua industria mediatica e tecnologica e il Giappone reale, che è, come è la vita, molto più complesso e pieno di chiaroscuri.

Una volta capito quello, godiamoci pure i manga, e i video musicali cantati da ologrammi, e il sushi anche a colazione se volete; ma con consapevolezza.

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