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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


domenica 22 Marzo 2020, 09:59

Una rapida analisi dei dati (2)

Per mantenere un po’ di ordine mentale in ciò che sta succedendo, ecco una nuova analisi dei dati matematici.

L’Italia è stata messa in “lockdown”, quello in vigore fino a ieri, tra domenica 8 e mercoledì 11 marzo. Come vi scrissi in un post di allora, qualsiasi misura ha un effetto sui contagi che nella realtà è immediato, ma nei numeri rilevati e comunicati alle sei di sera si vede con un ritardo legato al tempo di incubazione e di crescita dei sintomi fino al momento del tampone, che a Wuhan risultava essere mediamente di 12 giorni. Trattandosi di una media sulla somma di casi singoli, questo vuol dire che i primi effetti dovrebbero vedersi 9-10 giorni dopo, e poi aumentare ed essere pienamente efficaci dopo un paio di settimane.

L’obiettivo del “lockdown” è quello di far scendere il fattore R0 dell’epidemia, cioé il numero medio di persone contagiate da ogni infetto, sotto 1. Infatti, se R0<1 ogni nuovo infetto contagia meno di un’altra persona e quindi il numero dei nuovi casi tende a diminuire, fino ad azzerarsi; se R0>1 invece il numero tende ad aumentare e si ha una crescita di tipo esponenziale, in cui a essere costante non è il numero di nuovi casi, ma la percentuale dei nuovi casi rispetto al valore precedente.

Quindi, l’andamento dei nuovi casi ci dice se siamo riusciti a bloccare la diffusione esponenziale del virus oppure no; nel momento in cui R0 scende sotto 1, i nuovi casi dovrebbero stabilizzarsi in valore assoluto per qualche giorno e poi iniziare a scendere.

L’andamento nazionale è la somma degli andamenti dei vari focolai, ma vista anche la concentrazione dell’epidemia nelle zone chiuse per prima, ci aspettavamo che intorno al 18 marzo la crescita percentuale cominciasse a scendere, e che intorno a oggi il numero di casi iniziasse a stabilizzarsi. Questo era importante perché, come scrissi alla fine del post precedente, “sappiamo che un blocco stile Wuhan (cioé compresi uffici, fabbriche e tutti i negozi non strettamente vitali) funziona. Non sappiamo se funzioni un blocco come l’attuale”.

I dati, nella realtà, hanno fatto qualcosa di piuttosto imprevisto. La crescita percentuale fissa dell’esponenziale dei nuovi casi, che prima delle misure era del 20-25%, ha iniziato a scendere già attorno al 13 marzo, ma dal 16 si è assestata con impressionante regolarità attorno al 14% e non è più scesa. In pratica, da una settimana siamo ancora in fase di crescita esponenziale, soltanto più lenta, con un tempo di raddoppio di 5-6 giorni invece che di 2-3. In compenso, il cambio di trend che ci aspettavamo negli ultimi 3-4 giorni non è minimamente apparso.

Come interpretare questi dati? Ci sono diverse possibilità.

Una è che i nostri tempi di ritardo siano più lunghi del previsto, magari per problemi del nostro sistema di rilevamento dei casi, o perché ci vogliono diversi giorni perché la maggior parte della gente inizi davvero a rispettare le prescrizioni. Questo vorrebbe dire che gli effetti visti una settimana fa sono quelli delle misure prese l’ultima settimana di febbraio, e che vedremo quelli dell’8 marzo tra qualche giorno. Potrebbe dunque darsi che già il “lockdown” delle scorse settimane fosse sufficiente, e serva solo avere pazienza.

L’altra è invece che il “lockdown” applicato fino a ieri sia insufficiente a far scendere R0 sotto 1, e che questo calo sia già l’effetto delle misure dell’8 marzo, e che sia finito così, dimostrandosi largamente insufficiente. In questo secondo caso, vedremo continuare la crescita al 14% ancora per 10-12 giorni; magari un po’ meno, visto che i primi effetti in questa ipotesi si sarebbero visti cinque giorni dopo le prime misure. Poi, scopriremo gli effetti del nuovo lockdown più stretto deciso stanotte.

Il problema è che, se siamo nel secondo scenario, al punto attuale dell’epidemia ogni giorno di ritardo nell’introdurre misure più stringenti significa migliaia di morti in più. Applicando il 14% di crescita per dieci giorni a partire da oggi, si ottengono 145.000 nuovi casi e quasi 17.000 nuovi morti. Applicandolo invece a partire da ieri, con un solo giorno di anticipo si sarebbero potuti evitare (o fortemente ridurre) 25.000 casi e quasi 4.000 morti. E tutto questo senza considerare che in realtà l’effetto delle misure sul numero dei morti è ritardato rispetto a quello sui nuovi casi, e infatti i morti stanno tuttora salendo al 18-19%.

Capite dunque perché, nel dubbio, il governo si sia finalmente deciso a introdurre nuove restrizioni. A dire il vero, credo che il governo le abbia introdotte adesso per calcoli politici, perché le stavano già introducendo le Regioni con loro ordinanze e Conte non voleva perdere il ruolo di leader agli occhi degli italiani. Ad ogni modo, hanno un senso: se si vedrà un netto calo già nei prossimi giorni le si potrebbe parzialmente riconsiderare, altrimenti ce le terremo senz’altro per settimane.

Nel frattempo, ecco, se – a parte chi lavora nelle attività essenziali, e ha tutta la mia gratitudine – poteste cortesemente stare a casa quando non è strettamente necessario a sopravvivere, fareste un favore a tutti.

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mercoledì 11 Marzo 2020, 15:08

Una rapida analisi dei dati

Mi rendo conto che capire i dati di una epidemia non è immediato; detto che io non sono una fonte ufficiale di previsioni, tantomeno in una situazione così incerta, viste le domande ribadisco alcune cose.

1. Qualsiasi misura di contenimento del covid-19 ha effetto visibile mediamente 10-12 giorni dopo, che è il tempo medio che passa tra quando uno si infetta e quando ha sintomi così gravi da andare in ospedale a fare il tampone.

2. Questo vuol dire che quasi tutti quelli che si sono infettati dall’inizio di marzo a oggi non sono ancora ufficialmente noti (anche se, incontrandoli, in gran parte mostreranno qualche sintomo ancora lieve) né conteggiati. Però vi possono infettare.

3. Questo vuole anche dire che i dati di questa settimana e dell’inizio della prossima NON misureranno l’efficacia delle misure introdotte questa settimana, se non in minima parte (che cresce col tempo).

4. E’ dunque presumibile che da qui a metà-fine della prossima settimana continueremo a vedere una crescita esponenziale di tutto (tra l’altro, il dato ridotto dell’incremento di casi di ieri non fa testo perché mancava mezza Lombardia, e facilmente ad esso corrisponderà un incremento più alto stasera). Speriamo che la crescita sia un po’ più lenta perché la settimana scorsa più gente è rimasta a casa, ma non so quanto.

5. Al ritmo attuale, tutto raddoppia ogni tre giorni. Questo significa che da qui a metà settimana prossima i numeri giornalieri di nuovi casi e nuovi morti si moltiplicheranno per cinque o giù di lì, a meno di quanto detto al punto precedente. Non è quello che vi deve spaventare: ormai non ci si può fare niente.

6. In Piemonte mi risultano (a oggi a mezzogiorno) 75 ricoverati su 312 posti di terapia intensiva (poi immagino ci siano altri posti occupati da malati di altro). Questo, più il punto precedente, vuol dire che a metà settimana prossima, se il trend non rallenta, gli ospedali saranno ampiamente saturi. In Lombardia credo lo siano già, o quasi.

7. Quindi questa settimana è il momento più rischioso per incontrare persone (perché ci sono in giro molti infetti non ancora sintomatici, esponenzialmente più che nelle settimane passate) e anche quello più rischioso per ammalarsi (perché non ci sarà posto in ospedale se ci doveste finire). State a casa, uscite giusto solo una volta per la spesa.

8. Se le misure prese domenica saranno sufficienti, da metà-fine della prossima settimana succederà come a Wuhan, cioé il numero di nuovi casi rilevati (che, in realtà, è il numero di nuovi infetti di 10-12 giorni prima) si stabilizzerà per qualche giorno e poi inizierà a scendere. Se non succederà, allora sarà un disastro.

9. Tutto questo vi fa capire anche perché, nel dubbio, adottare ancora ulteriori restrizioni senza aspettare di vedere l’effetto delle precedenti potrebbe non essere una cattiva idea. Sappiamo che un blocco stile Wuhan (cioé compresi uffici, fabbriche e tutti i negozi non strettamente vitali) funziona. Non sappiamo se funzioni un blocco come l’attuale, con uffici e fabbriche aperte e la gente che interpreta la legge per farsi una corsetta al parco o andare a comprare il giornale; siamo i primi a sperimentarlo.

P.S.: Tutto quello che avete letto è una stima logica in base ai dati disponibili, ma che potrebbe essere anche molto sbagliata in meglio o in peggio.

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sabato 12 Ottobre 2019, 12:21

Segnali di resa

Come sapete, non ho mai simpatizzato per la politica dell’accoglienza a prescindere e delle frontiere spalancate, ma nemmeno per il razzismo o per l’idea di una società “pura” e monoculturale. Tra i due estremi, ho sempre pensato che comunque ci fosse più illuminazione e futuro in chi vuole accogliere, rispetto a chi vuole rifiutare. Eppure, più passa il tempo e più mi preoccupo dei segnali che vedo: i segnali di una resa progressiva della società europea a chi, venendo da culture diverse dalla nostra, vorrebbe cancellarne i principi di laicità e modernità.

A differenza del razzismo, generalmente sguaiato e immediatamente visibile, i segnali di resa sono seminascosti; ne parlano solo i media di “centrodestra”, e siccome spesso li esagerano in maniera indegna, con titoli acchiappaclick da vomito, viene facile ignorarli del tutto. Ma sotto il titolo c’è comunque un fatto reale, il comportamento di una parte di società – ben inserita e sovrarappresentata ai vertici delle nostre istituzioni – che non capisce che all’aggressione antica, atavica, di un millenario istinto di sopraffazione tipico di tutte le religioni monoteiste (oggi in Europa il problema è l’integralismo islamico, ma il cristianesimo lo è stato mille volte) bisogna rispondere con la forza e con la fermezza, non con la dolcezza e con la tolleranza. E invece, si scopre che i terroristi islamici arrivano facilmente fino nei posti più delicati della struttura statale, quelli vitali per combatterli, perché nessuno ha il coraggio di buttar fuori un poliziotto al primo segno di radicalizzazione, perché “oddio poi è razzismo”.

Il razzismo c’è, è un problema che è necessario risolvere per costruire una società pacifica nel futuro, ma è troppo semplice dire che l’unico problema culturale fondante della società di oggi sia il razzismo. Anche solo dai simboli, persino quelli più banali come la nazionale di calcio (il più sacro simbolo laico nazionale a livello popolare) improvvisamente presentata come una fila di modelli mulatti vestiti di verde, o dalle reazioni scomposte all’idea che un commissariato europeo abbia nel suo nome la difesa dello stile di vita europeo, si capisce che davvero abbiamo un altro grosso imprescindibile problema che ci può ipotecare il futuro: quello di non sapere più chi siamo, quali siano i nostri simboli e i nostri valori, e cosa ci distingua dal resto del mondo, specialmente da quel resto del mondo, gran parte di esso, che passa la vita ad ammazzare ed ammazzarsi l’un l’altro.

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martedì 4 Giugno 2019, 13:31

La sinistra baciapile

Ci fu un tempo, tra gli anni ’60 e ’70, in cui la sinistra italiana prese forza rispondendo a una richiesta di progresso sociale. Una parte dei temi erano economici: i diritti sul lavoro, la redistribuzione delle ricchezza tra le classi sociali, le opportunità di educazione e crescita per tutti. Una parte, però, erano sociali; l’Italia era allora una società chiusa e fortemente cattolica, e questo si rifletteva in termini oppressivi sulle donne, sugli omosessuali, sui diversi di ogni genere, a partire dai divieti sul divorzio e sull’aborto.

In quell’epoca fu soprattutto la sinistra ad abbracciare questa battaglia, concentrandola su un principio fondamentale: la laicità dello Stato. Non era un principio nuovo, perché la battaglia per l’affrancamento dalla religione di Stato inizia nell’Ottocento, dopo l’era napoleonica, con la carboneria e con i grandi liberali alla Cavour. Nell’Italia repubblicana, però, l’area laica e liberale è sempre stata molto ridotta; e fu quindi la sinistra a essere determinante.

Fino a vent’anni fa, dunque, ricondurre la religione a un affare privato, garantendo piena libertà di culto a tutti purché nessuno pretendesse di usare lo Stato per imporre il proprio credo agli altri, era una bandiera delle forze di sinistra; e questo ha indubbiamente portato un grande progresso sociale, che si è tradotto in una vita migliore, più indipendente e più libera per tutti. In quell’epoca, un politico di sinistra, pur accettandole, non avrebbe mai esaltato la classica processione della statua della Madonna per le strade, o una pubblica piazza piena di persone in preghiera; perché la religione deve rimanere un affare privato, confinata nelle case e nei luoghi di culto.

Questo, però, è velocemente cambiato negli ultimi vent’anni; e ora siamo ai politici di sinistra che postano citazioni di papa Francesco ogni tre per due, e si esaltano di fronte alle foto della fine del Ramadan, cerimonia religiosa che diventa talmente pubblica da occupare un intero parco e da bloccare il traffico in tutta Torino nord. E sono proprio quelli della sinistra più radicale – e, a Torino, della sinistra del M5S – ad esaltarsi di più; ne sono testimoni le deliranti dichiarazioni dell’assessore Giusta su quanto sia bello e giusto festeggiare la Repubblica in moschea.

Alla fine, questo è un altro effetto del sostegno acritico all’immigrazione senza limiti, per cui l’idea di porre un qualsiasi limite alla pratica pubblica dell’Islam – che è cosa ben diversa dal discriminare gli immigrati – viene equiparata al razzismo; e siccome limitare l’invadenza dell’Islam sarebbe razzismo, ma non si può privilegiare una religione sulle altre, non si può nemmeno limitare l’invadenza della Chiesa Cattolica.

E però, questa demolizione del principo di laicità proprio da parte di chi l’ha sempre sostenuto non è senza conseguenze. E’ un altro tassello della trasformazione della sinistra in una forza conservatrice e reazionaria, non solo sul piano economico, ma anche sul piano sociale; perché la conseguenza dell’accettare la religione nella sfera pubblica è il continuo arretramento sulla libertà e sui diritti di chi religioso non è, un film già visto peraltro negli ultimi decenni in tutto il mondo islamico, da Iran e Afghanistan al Nord Africa, e in tutto l’Est Europa cattolico, a partire dalla Polonia; è l’imposizione culturale, prima ancora che legale, di vestiti sempre più lunghi, di aborti sempre più difficili, di mogli e di figlie sempre più oppresse.

Se la sinistra fa la destra, il risultato è che le elezioni vanno alla destra vera; e se oggi abbiamo Salvini che bacia il crocefisso e prende una marea di voti, è anche per questi vent’anni di progressivo divorzio tra la sinistra e la laicità. Sotto la doppia pressione degli imam e dei vescovi, la società italiana avrebbe davvero bisogno di difendere il principio costituzionale della separazione tra Chiesa e Stato; peccato che non si veda alcuna forza politica intenzionata ad abbracciarlo.

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lunedì 27 Maggio 2019, 08:52

Commento a un cataclisma elettorale

Alla fine è stato un cataclisma ancora più grande del previsto. Sinceramente pensavo che le polemiche delle ultime settimane avrebbero un po’ fermato la Lega e rilanciato il M5S, e invece è successo l’opposto: per la Lega (34%) è un trionfo, per il M5S è un disastro storico (dal 33 al 17 per cento in un anno). In un partito normale, Di Maio andrebbe a casa con ignominia e ci sarebbe un nuovo capo politico, ma questo non succederà e ci troveremo in una situazione preoccupante: Di Maio disposto a concedere qualunque cosa a Salvini pur di non tornare a elezioni e rimanere al governo. Nel frattempo, nessuna autocritica, nemmeno le dimissioni di un Toninelli qualsiasi (grazie per le risate ma sei il numero 2 dei responsabili dopo Gigi).

Resta la tristezza di un progetto potenzialmente epocale che non solo è finito in merda per aver cacciato quasi tutta la gente valida pur di garantire soldi e potere a Giggino & friends, ma che ha sdoganato la Lega, presentandola da solo come l’alleato credibile nella lotta al sistema e la prima scelta per tutti i delusi.

Di fatto, il centrodestra è al 50% ed è, per la prima volta, dominato da formazioni di destra vera; come anche in Francia e in Gran Bretagna, ma molto più che lì, l’Italia è in mano a un nazionalpopulismo apparentemente da operetta ma molto pericoloso. Anche Mussolini, all’inizio, sembrava un cretino che non sarebbe durato. La Lega di oggi non è il fascismo, perché la storia non si ripete mai esattamente uguale, ma è una nuova manifestazione della cazzaraggine italiana che potrebbe anche finire altrettanto male, visto l’entusiasmo che scatena tra i reparti di polizia.

Il PD festeggia, indubbiamente è andato bene (23%), ma fino a un certo punto; non ha fatto né detto assolutamente nulla se non mettersi lì, e così ha preso i voti col naso turato di chi voleva fermare Salvini, proprio come vent’anni fa prendeva quelli di chi voleva fermare Berlusconi. Il problema è che in questo modo sterilizza l’opposizione alla Lega invece di rilanciarla, perché è difficile che solo per naso turato possa andare tanto più in alto di così, e per governare serve il 30-35%.

Il premio masochismo però va, come sempre, all’area di centrosinistra e di sinistra alternativa al PD: tre liste da 2-3% l’una sono un suicidio politico. Anche solo mettendone insieme due avrebbero fatto il quorum. Così stanno tutti a casa; speriamo che imparino per il futuro, perché serve disperatamente qualcosa di nuovo e di forte vicino al PD.

Nota di colore: un saluto agli amici del Partito Pirata che hanno preso lo 0,23%, un terzo dei voti del Partito Animalista. Era chiaro che finiva così, almeno loro si saranno divertiti; nulla di male, ma sarebbe bello prima o poi che anche su quel tema ci fosse qualcosa di più serio.

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venerdì 24 Maggio 2019, 14:29

Dichiarazione di voto svogliato

Domenica si vota, e alla fine ho deciso di fare il solito post di dichiarazione di voto, anche se mai come questa volta ho pochissima voglia di andare a votare.

Le cose sono più semplici per le elezioni europee. Io penso che tutto nell’Unione Europea possa essere discusso, persino l’euro, ma non la nostra appartenenza all’Unione e il progetto di unificazione europea nel lungo periodo. Per questo vale la pena di votare per un partito europeista, e le scelte non sono molte.

Se devo guardare ai programmi e all’appartenenza istintiva, la scelta va senz’altro al Partito Pirata, nel quale peraltro sono candidati diversi amici. Sarebbe però un voto di pura rappresentanza, dato che è più facile che la Juve vinca la Champions piuttosto che vedere il Partito Pirata al 4% nelle condizioni attuali; e spero che loro si dedichino una buona volta a costruire un partito vero, anziché sparire come ogni volta fino alle successive elezioni europee.

Se uno quindi vuole un voto che pesi, l’unica scelta è +Europa/Italia in Comune, che però mi ha un po’ deluso non candidando Marco Cappato (che anzi ha lasciato il partito dopo un congresso che ha lasciato tutti perplessi), e nemmeno (da noi) Federico Pizzarotti; la mia preferenza andrebbe allora a un radicale puro come Igor Boni. Tra queste due possibilità deciderò all’ultimo.

Le elezioni regionali sono invece un disastro: i candidati presidente sono tutti deludenti. Il mio omonimo pentastellato è il peggio che il M5S potesse esprimere, uno che vive di politica da quasi dieci anni senza aver mai fatto niente di notevole se non stare in scia a Bono e Castelli. Chiamparino è Chiamparino, ha raggiunto i limiti di età da un pezzo. Cirio lo conosco poco, ma sembra un altro quadro di partito. La tentazione quindi è di fare come Fantozzi, entrare in cabina e tirare lo sciacquone.

Se no, l’alternativa è votare una persona che stimo, turandosi il naso su lista e presidente. Ci sono diverse persone che apprezzo dalla mia esperienza in consiglio comunale e che potrei raccomandare, partendo dall’ing. Piera Levi-Montalcini nei Moderati (o, se siete molto cattolici, Silvio Magliano) per arrivare a Marco Grimaldi in sinistra libera uguale o come si chiama adesso (l’ho chiesto già una volta e non l’ho ancora capito). C’è Silvio Viale in +Europa, che avrei votato sicuramente se non avessero aggiunto “Sì Tav” sul simbolo; e c’è Roberto Carbonero, già leghista non salviniano, nell’UDC (anche se l’UDC per me sarebbe davvero troppo). E il M5S? Beh, non lo voterò, ma se lo votassi darei la preferenza a Paolo Vinci, per amicizia e perché è uno di quelli che c’è da tempi non sospetti, che ha fatto i gazebo al gelo con me (“fatto” nel senso che lui li procurava e aggiustava pure) e che di sicuro non sgomita per essere eletto.

Insomma, per la prima volta farò parte del grande gruppo dei delusi che sceglierà all’ultimo; ma spero che il ragionamento possa comunque esservi utile.

P.S. Se vi serve, a questo indirizzo trovate tutti i candidati alle regionali a Torino e provincia, una informazione quasi impossibile da reperire.

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domenica 5 Maggio 2019, 11:14

Pagare le tasse è quasi bellissimo

Tra ieri mattina e stamattina mi sono dedicato alla mia dichiarazione dei redditi online. Bontà loro, il software diventa disponibile dal mese di maggio; anche se la versione online ha tuttora diversi errorini, ad esempio nel testo di accompagnamento di varie caselle e sezioni. Il modo migliore per accertarsene è confrontare col PDF del modello cartaceo, che invece è corretto; sicuramente si tratta di programmatori pigri/affrettati che facendo la nuova versione a partire da quella dell’anno scorso si sono persi alcuni aggiornamenti dei testi, in parte anche ovvi (se sto presentando la dichiarazione consuntiva dei redditi 2018, l’acconto sull’addizionale comunale sarà ben per l’anno 2019 anche se c’è scritto 2018).

Nonostante questo, e nonostante per qualche motivo i moduli online generino un carico di CPU da supercomputer ogni volta che li apri, il meccanismo ormai è piuttosto funzionale, e con lo SPID ci sono sempre più opzioni utili; per esempio ho scoperto quest’anno il portale della tessera sanitaria, che ti permette di vedere in dettaglio tutte le spese sanitarie già inserite nel precompilato, che io verifico una per una con le ricevute che ho in mano e con il foglio contabile in cui le registro durante l’anno.

Insomma: ci son voluti vent’anni (qualcuno ricorda le orride applicazioni Java per Windows di inizio secolo?), ma adesso su questa procedura sembriamo quasi un Paese civile. Quasi, perché comunque farsi la dichiarazione dei redditi in proprio è sempre istruttivo: scopri la marea di bizantinismi e piccoli regali che costano più di quello che valgono, come intere sezioni del modulo riservate solo a chi ha affittato casa ai terremotati ma solo per il terremoto del 2009, o il codice speciale per indicare che le case a Venezia possono pagare un po’ meno di tasse sull’affitto rispetto a tutto il resto d’Italia. Magari, razionalizzandoli un po’ si abbasserebbero le tasse per tutti…

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sabato 9 Febbraio 2019, 14:12

Fattura elettronica all’italiana

Non ho partita IVA e non uso le fatture elettroniche, ma l’altro giorno ho rinnovato dei domini su OVH. Dopo un po’ mi è arrivata una mail che avevo immediatamente considerato spam: una PEC inviata a un indirizzo non PEC, da un mittente sconosciuto, con oggetto “POSTA CERTIFICATA: Invio File 288612651”. Invece è una fattura elettronica: ditemi voi come dovrei capirlo.

La mail arriva da SOGEI (garanzia assoluta), e contiene cinque allegati in formati illeggibili, prevalentemente XML. Il testo della mail è:

“Invio file IT06157670966_09Lgm.xml, con identificativo 288612651.In allegato il file contenente la fattura ed il file contenente i metadati.
La mail e’ inviata dal Sistema di Interscambio per la fatturazione elettronica (L. 244/2007).
Se il file allegato presenta estensione .xml.p7m vuol dire che e’ stato firmato digitalmente con firma Cades; per aprirlo e’ necessario installare sul proprio computer un apposito software.
Tali software sono facilmente reperibili sul web sia a pagamento che gratuitamente (licenza open source). Il file xml ottenuto dopo aver ‘decifrato’ la firma puo’ essere agevolmente visualizzato
in formato PDF utilizzando la funzionalità ‘Visualizza PDF Fattura’ dell’area ‘Fatturazione elettronica’ del sito Fatture e Corrispettivi.
Per qualsiasi necessita’ di chiarimenti non rispondere a questa mail, ma utilizzare i tradizionali canali di assistenza presenti sul sito www.fatturapa.gov.it.”

Essenzialmente, l’unica cosa che si capisce è che non gli devo rompere i coglioni chiedendogli un aiuto per mail, ma posso solo mandare un messaggio dal sito che nessuno leggerà. Il resto è incomprensibile persino per un programmatore Web, a meno che non sia specializzato in fatture elettroniche all’italiana. Del resto, nemmeno le lettere accentate sono codificate correttamente.

Dopodiché, se vado sul sito “www.fatturapa.gov.it” non c’è nessuna funzionalità (anzi, funzionalitÃ) “Visualizza PDF Fattura”. Quella sta su “ivaservizi.agenziaentrate.gov.it”, che però non è menzionato da nessuna parte. Però su questo sito, dopo aver fatto il login con SPID, l’interno è vuoto e mi dice “Utenza di lavoro senza autorizzazioni”.

Secondo voi come faccio ad avere un maledetto PDF di una maledetta fattura da venti euro?

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lunedì 1 Ottobre 2018, 14:15

Alcune domande sul reddito di gigginanza

Ci sono alcune cose che non ho capito del reddito di gigginanza, ossia la versione Di Maio del reddito di cittadinanza – e parlo di “versione Di Maio” perché il reddito di cittadinanza sarebbe una cosa seria, una misura che da anni viene discussa e sperimentata in mezzo mondo per provare ad affrontare in modo nuovo gli effetti della globalizzazione e della digitalizzazione dell’economia; ma qui non si capisce più cosa sia davvero.

All’inizio, infatti, anche nelle proposte del M5S il reddito doveva essere dato a tutti, potenzialmente a 60 milioni di italiani in quanto cittadini, come sostegno a tempo indeterminato “perché esisti”, e come forma di redistribuzione della ricchezza generata dall’automazione e dalla delocalizzazione, che tendono naturalmente ad eliminare i posti di lavoro meno qualificati e a concentrare la ricchezza nelle mani di pochi.

Era una visione nobile che guardava lontano, però si è capito che nel breve termine il progetto non stava proprio aritmeticamente in piedi, e allora, sin dalla scorsa legislatura e poi nel programma elettorale, Di Maio ha trasformato il reddito di cittadinanza in un sussidio di disoccupazione per 6,5 milioni di persone sotto un altro nome: te lo do ma solo fin che non trovi un nuovo lavoro, e solo se non rifiuti più di tre offerte di lavoro.

Poi però si è giustamente fatto notare che se ci sono 6,5 milioni di disoccupati non si capisce dove possano saltar fuori 6,5*3 = 19,5 milioni di offerte di lavoro; se ci fossero, i 6,5 milioni non sarebbero disoccupati. Allora, per rispondere all’accusa piuttosto sensata di voler mantenere i fancazzisti a vita (o, in alternativa, di sparare ogni giorno a cazzo la prima cosa che gli veniva in mente), Di Maio ha cambiato di nuovo versione, e il reddito di cittadinanza è diventato un lavoro socialmente utile: te lo do, ma solo in cambio di 8 ore a settimana di lavoro nel tuo Comune.

Ora, a parte il fatto che i lavori socialmente utili esistono da decenni e non hanno mai “abolito la povertà”, il problema è che 6,5 milioni di persone sono oltre un decimo degli italiani; a Torino, proporzionalmente, le persone da far lavorare nel Comune sarebbero 90.000, forse di più. Ma l’intero Comune di Torino ha 10.000 dipendenti: come farebbe a gestire 90.000 persone, generalmente poco qualificate, che lavorano un solo giorno a settimana, con un ricambio continuo che impedisce qualsiasi tipo di formazione o di pianificazione del lavoro? Ogni dipendente comunale avrebbe ogni giorno due persone diverse che lo guardano da dietro le spalle in attesa di fare qualcosa, e dovrebbe smettere di fare il suo lavoro per istruirli, salvo poi averne due diversi il giorno dopo? Oppure queste persone dovrebbero auto-organizzarsi e fare da soli qualcosa, pulire le strade, tagliare l’erba… ma in tal caso, chi gli dà i mezzi, chi gli spiega cosa devono fare, chi controlla il lavoro che fanno? Dove trovano i Comuni i fondi e il tempo per gestire questa massa di persone?

E se poi anche si riuscisse a organizzare questo tipo di lavori, anche per un numero molto minore di persone, cosa sarà dei lavoratori di tutte le imprese e cooperative che attualmente forniscono servizi ai Comuni in subappalto? Verranno lasciati a casa perché il loro lavoro sarà già coperto dai “precari istituzionali” del reddito di cittadinanza? E poi si darà il reddito di cittadinanza anche a loro?

Ma allora, facendo un debito pubblico aggiuntivo da decine di miliardi di euro per sostenere il lavoro, non era meglio limitare il sussidio a un più modesto sostegno temporaneo per chi perde il lavoro, e poi investire nella creazione di posti di lavoro veri, dignitosi, inquadrati regolarmente, non dico nel privato tramite incentivi alle aziende (eresia!), ma almeno in quei settori in cui il pubblico impiego è davvero sottodimensionato? Sarebbero stati di meno, ma sarebbero stati reali, utili, stabili, e persino, se ci si fosse impegnati in tal senso, meritocratici.

O il problema era che così non si potevano gridare tanti slogan dal balcone, non si potevano sollecitare i voti di così tante persone, non si potevano dare soldi a pioggia a mezza Italia, anche a chi li aspetta come beneficio clientelare in cambio di nessuna fatica?

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mercoledì 20 Giugno 2018, 12:12

Italia spaghetti pizza mandolino (2), ovvero se non ci fosse l’ACI bisognerebbe evitare di inventarlo

Volete sapere come finisce la storia che vi ho raccontato lunedì? Ecco qui.

Ieri mattina alle otto meno un quarto, con una giornata di lavoro da fare e un aereo da prendere alle sette di sera, mi sono presentato agli uffici di Equitalia in centro a Torino. C’erano già quattro persone, tutte in panico: un grosso cartello sulla porta avvertiva che il servizio quella mattina sarebbe stato ridotto o forse nemmeno aperto, causa “assemblea sindacale”. Tu hai cinque giorni per pagare, ma loro possono farne saltare uno perché sì, tanto tu non hai niente da fare, che ti costa tornare domani?

Per fortuna alle otto e un quarto hanno comunque aperto un discreto numero di sportelli, e dopo aver difeso coi gomiti la posizione acquisita nei confronti di un appena arrivato e ridente sessantenne lampadato con l’aria da manager, che in quanto tale voleva passare prima di tutti perché lui ha da fare non come noi sfaticati, spiego all’inserviente cosa devo fare e lui mi dà tre numerini per tre code diverse: una per ripagare per la seconda volta la mia cartella per 569 euro, una per chiedere il rimborso del pagamento precedente di 519 euro, e una per chiedere il documento per la rimozione del fermo amministrativo.

Ovviamente i primi due mi hanno chiamato insieme, ma devo dire che sono stati gentili, permettendomi di rimpallare da uno sportello all’altro e fare le due cose in parallelo, e quello del pagamento mi ha addirittura fatto lui anche il documento per il fermo.

Qui, però, si è ripresentato Kafka: la signora del rimborso mi ha chiesto se invece non volessi usare il pagamento non andato a buon fine in compensazione per il ripagamento della cartella. In pratica, dunque, tu non puoi pagare un debito INPS con un credito IRPEF, ma una volta che loro il credito IRPEF se lo sono comunque preso e tenuto mettendoti intanto il fermo a tua insaputa, esso diventa un credito Equitalia e quello è compensabile con il debito INPS: diabolico!

Peccato che scegliendo questa strada avrei dovuto aspettare un tempo imprecisato perché la compensazione fosse effettuata, rimanendo nel frattempo col fermo sulla macchina. Quindi l’unica soluzione per sbloccare subito l’auto era ripagare la cartella separatamente e chiedere il rimborso del primo pagamento. Ovviamente la cartella continua a maturare interessi (circa il 10% in due anni e mezzo) e va pagata subito, mentre il rimborso avverrà “mah, non si sa, se tra un paio d’anni non l’ha ancora ricevuto si faccia sentire”: mi sono messo un appunto su Google Calendar nel giugno 2020.

Ma il punto più assurdo deve ancora venire: pago, mi danno la quietanza e il nulla osta all’annullamento del fermo, con quello vado all’ACI in via Giolitti per far togliere il fermo al PRA e… non si può: manca un documento. Quale? Ma il certificato di proprietà dell’auto, quello che prova che io ne sono il proprietario e che mi è stato dato dodici anni fa quando l’ho comprata.

Ecco, dunque fateci caso: il PRA, che è il registro pubblico istituito per tenere traccia di chi è il proprietario di ogni auto, pretende da me la prova bollata cartacea che io sia il proprietario dell’auto, pena il rifiuto della pratica. Ma allora cosa esiste a fare?

Per fortuna io sono organizzato, per cui sono ritornato fino a casa, ho scartabellato in vari raccoglitori e alla fine ho trovato il certificato, l’ho portato in un’altra sede ACI accanto all’ufficio, e per 60 euro da oggi la mia auto è di nuovo autorizzata a circolare.

Ovviamente devo ancora pagare entro venerdì altri 540 euro di multa, perché il ricorso si può fare ma quando mai lo vincerai, e poi forse lo Stato mi lascerà in pace… almeno per un po’, a meno che nel frattempo io non sia definitivamente emigrato altrove.

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