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Archivio per la categoria 'LonelyPlanet'


sabato 5 Luglio 2008, 09:02

Strumenti per viaggiare

TripAdvisor è ormai uno strumento indispensabile per pianificare i miei viaggi, e in particolare per trovare un albergo in città sconosciute. Esso dispone di tre grossi vantaggi: il primo è che ti permette di trovare facilmente una lista di alberghi del posto che non siano topaie – e se la distinzione tra il primo e il decimo del ranking può essere opinabile, di solito a prendere un albergo della parte alta della classifica non si sbaglia. Il secondo è che ti permette di leggere le recensioni di viaggiatori che sono stati lì prima di te, che spesso contengono informazioni utili come indicazioni per muoversi, risposte a domande come “ma è pulito? ma è tranquillo?” e persino consigli come “chiedete una camera sul retro perché il davanti è rumoroso”. Il terzo è che, una volta individuato un potenziale albergo, è possibile ricercare in parallelo su vari siti le tariffe migliori, e alle volte questo mi ha permesso di risparmiare il 20-30 per cento per lo stesso pernottamento (una volta trovai il Park Inn di Alexanderplatz, quattro stelle nella torre simbolo di Berlino Est, a 59 euro a notte per camera doppia…).

Da qualche mese lo hanno anche tradotto in italiano, e quindi non ci sono più scuse per non usarlo. In più, ora è possibile anche realizzare la mappa dei luoghi dove si è stati, non solo tramite le proprie recensioni di alberghi (io tendo a farle sempre quando torno) ma anche flaggando i vari luoghi; così mi sono divertito a fare la mia. Sono curioso di vederne altre…

[tags]tripadvisor, viaggi, alberghi, mappa[/tags]

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venerdì 4 Luglio 2008, 08:42

Chinglish

Se vi siete stancati di World of Warcraft, perché non provare i suoi cloni cinesi? Basta leggere la loro presentazione ufficiale per ritrovarsi con dei punti interrogativi che ruotano sopra la testa. E anche un bel po’.

“Zu Online – which refers to lots of classical sutras, has its setting based on the supernature novel—The Life of Swordsman in a area called Zu.

It is an elaborately and well-designed 3D MMORPG with a rich culture of immortals and knight-errants. Its most outstanding feature is putting emphasis on the traditional orient-culture of monkery. The in-game quests will boost the development of storyline. Players will be able to taste flying by riding a sword, consubstantiating gods, forging mystic weapons, creating sects and other else amusing.

Zu Mountain, these two characters do not only represent a range of mountains and streams. By contrast, considerable ghosts, immortals, knight-errants and uncanny fairylands have been tightly fastened to them. Zu Mountain has become the pronoun of the millenarian oriental culture of immortals and monkery.

In a word, Zu Online is a story about the immortals monkery and battles against the evil. It has attracted much attention since its debut. We believe that Zu online will be a focus of the new online games in Q4 2007.”

Non ha ancora battuto il mitico segnale che accoglie gli occidentali all’uscita dell’aeroporto di Pechino, per indicare dove inizia la coda per i taxi:

DSC01204_544.JPG

però ci si avvicina già parecchio.

[tags]cina, inglese, cinese, segnali, traduzioni impossibili da una lingua per concetti a una lingua per parole[/tags]

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sabato 28 Giugno 2008, 23:54

Mangiare a Parigi

Apparentemente, mangiare a Parigi è facilissimo: ovunque, ci sono solo ristoranti e brasserie.

Se però volete fare in fretta, perché siete in giro per visite e volete ridurre il costo e il tempo impiegato, diventa già un po’ più difficile. Nei quartieri d’affari, ci sono spesso dei supermercati con l’angolo “pranzo pronto”: e non parlo solo di tramezzini, ma di preparazioni di ogni genere già vendute con le posate dentro. Ho persino visto il bicchiere di vino monouso, un bicchierino di finto vetro con dentro una decina di centilitri di vino, chiusi da un tappo di alluminio tipo quello dello yogurt…

Dimenticatevi il fast food: a Parigi si usa pochissimo. Ci sono, è vero, parecchi McDonald’s e parecchi Quick, la locale catena concorrente; ma non sembrano granché invitanti. Il pranzo veloce nazionale è invece la baguette ripiena; qualsiasi bar ne ha una pila, e se vi limitate a quelle più semplici avete persino speranza di evitare le salsine e limitarvi al burro (per esempio burro e salame è ottimo). Esistono varie catene di panineria e bar, alcune delle quali, come Pomme de Pain, adottano il modello del fast food: vassoi e menu centrati sul panino, volendo anche caldo (io ne ho mangiato uno con cipolle, pomodori, bacon e raclette ed era decisamente buono).

Anche qui ho trovato poi una roba tutta francese, ossia il fast food della pasta: catene come Mezzo di Pasta, Nooi e Viagio (ce n’è un paio nelle vie attorno a Les Halles). In pratica, scegli una pasta, scegli un sugo, e per qualcosa come cinque o sei euro ti danno la bibita e un contenitore di carta, a tronco di piramide rovesciata, riempito della tua pasta fatta sul momento. I sughi sono adattati ai gusti francesi, quindi non hanno mai meno di cinque ingredienti mescolati con delle spezie, però il risultato è notevole, e la pasta è più che passabile, spesso buona.

Un’altra buona alternativa, che abbiamo usato ieri sera, è il Flunch di Les Halles, un self service / mensa dove mangi con meno di dieci euro. Non solo il cibo era migliore del Flunch italiano provato all’Ipercoop, ma il Flunch francese ha “legumes a volontè”: in pratica, dopo aver comprato un piatto, puoi rifornirti all’infinito di contorni, che comprendono non solo verdure varie, puré e patate fritte, ma anche riso in bianco e pasta al sugo. E lì, insomma, ci ho dato.

Esistono anche, a uso dei turisti, catene di livello un po’ più elevato, come Hippopotamus (hamburger di carne vera) e Leon de Bruxelles (moules et frites, anche se le recensioni dicono che il costo è relativamente alto e il livello è bassino). Se no, ci sono milioni di brasserie.

Siccome però oggi era l’ultima sera e volevo un vero ristorante, ho recuperato questo sito e ho provato a cercare un locale che sembrasse buono nella zona del Marais, che è un po’ l’equivalente parigino del nostro quadrilatero. Siamo così finiti al ristorante-vineria Le Rouge Gorge, sulla rue Saint-Paul; per gli standard parigini è un posto alla mano ed informale, il che significa che è elegantissimo ma del genere “finto sciupato”, con tavoli di legno da vecchia osteria però lucidi e tiratissimi, e un sacco di vecchi oggetti e bottiglie usate alle pareti, e un padrone gentile che si mette in jeans per fingere di essere tra amici.

Per 35 euro a testa – che per Parigi è una cifra medio-bassa, equivalente per i livelli torinesi a un 20-25 euro – abbiamo preso ognuno un antipasto, una portata principale e mezzo dolce; era tutto decisamente buono, e anche la quantità era generosa, almeno per le abitudini di qui (in termini di porzioni italiane la si sarebbe giudicata appena sufficiente). Io ho mangiato uno sformatino di paté solido di sardine che era davvero ottimo, per niente burroso, e un carrè di agnello al forno altrettanto buono; il dolce poi era un fondente al cioccolato con panna e salsa di lamponi, eccellente. In più, io ho aggiunto un’altra dozzina di euro per due bicchieri di vino, un bianco e un rosso; erano tutti e due eccezionali, insomma ne valeva la pena.

La sensazione quindi è che, potendo spendere, a Parigi ci sia spazio per esperienze culinarie di ottimo livello, almeno se si evitano i posti troppo turistici. Secondo me vale la pena di fare come noi, cioè sopravvivere con supermercati e fast food per i pasti normali, ma poi concedersi un buon ristorante almeno per una sera.

[tags]viaggi, parigi, cibo, ristoranti, fast food[/tags]

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venerdì 27 Giugno 2008, 23:17

Pro e contro

A Parigi ci sono tante cose che non vanno proprio bene.

Per esempio, la pulizia: rispetto a Parigi, Torino è una città svizzera. Qui ci sono mucchi di monnezza in ogni angolo, i cestini strabordano, i prati delle aiuole sono coperti di rimasugli anche in pieno centro, e in molte costruzioni è impossibile distinguere la polvere dalla vernice. Ho effettuato qualche misurazione, e il livello di sporcizia risulta essere attorno a 0,67-0,68 Nap (il Nap è l’unità di misura internazionale della sporcizia urbana; la scala va da 0 a 1 Nap = il livello di sporcizia di Napoli). Onestamente non me lo sarei mai aspettato.

Oppure, il traffico: noi ci lamentiamo dei nostri guidatori, ma anche qui le strisce è come se non esistessero, o ti butti oppure puoi aspettare a bordo strada delle ore e le auto continueranno tranquillamente a passare; in qualche caso ci sono persino auto che sfrecciano anche se tu hai il verde al semaforo pedonale.

Anche la metro è elegante ma poco funzionale; molto francese, un po’ come dicevamo giorni fa di CDG. A Londra, la metro è totalmente razionale: c’è una linea circolare che racchiude il centro, e poi ci sono linee che lo attraversano formando delle rette. Qui è tutto l’opposto: sembra che abbiano tracciato la rete buttando a caso un piatto di spaghetti sulla mappa di Parigi, e poi cercando di annodarli il più possibile, in modo che per andare da A a B il percorso sia almeno del 50% più lungo rispetto alla linea retta e comunque preveda almeno quattro curve a gomito in cui verrai scaraventato contro le pareti del vagone.

In più, le interconnessioni sono demenziali: sembra che, costruendo la rete, non si siano minimamente preoccupati di chi deve scendere da una linea e prenderne un’altra alla stessa fermata. In media, una coincidenza richiede almeno tre minuti buoni di cammino sotterraneo; quasi sempre vi sono scale a tradimento (le scale mobili sono una rarità assoluta e comunque per la metà sono fuori servizio), o meglio una curva, quattro gradini che ti costringono a prendere in braccio valigie e passeggini, venti metri di piano, altri quattro gradini, poi una curva e una scalinata nel verso opposto, e poi un varco di venti centimetri per uscire, che se hai una valigia devi buttarla in avanti e poi passare tu prima che i tornelli metallici si richiudano. In alcuni casi, la “stessa fermata” sta geograficamente ad almeno mezzo chilometro di distanza…

C’è però una cosa ottima: vicino al mio nuovo albergo, che sta in banlieue, c’è un supermercato automatizzato. In pratica, c’è una vetrina con qualche decina di prodotti; tu selezioni il numero, infili le monete, e un velocissimo ripiano robotizzato si sposta in verticale e in orizzontale fino a raggiungere il tuo oggetto, caricandolo poi come su un vassoio e portandotelo fuori senza minimamente scuoterlo. Abbiamo persino il filmatino da caricare su Youtube!

[tags]parigi, pulizia, traffico, metro, supermercato[/tags]

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giovedì 26 Giugno 2008, 09:15

Squifectsuoles

Ieri sera l’organizzazione locale ci ha offerto un ricevimento nel magnifico salone d’onore dell’Hotel de Ville, in pieno centro (non c’erano i trasporti dal convegno, ma ti offrivano pure il biglietto della metro). Il salone è ovviamente bellissimo, ricchissimo, ricoperto di stucchi e di affreschi che raffigurano ciascuno una diversa parte della Francia: la Piccardia, il Lionese, la Gascogna, l’Algeria… I maleducati americani hanno cominciato a rumoreggiare quando ancora il sindaco di Parigi e gli altri dignitari stavano tenendo i loro discorsi: è dovuto intervenire il padrone di casa a cazziarli brutalmente.

Poi ha cominciato ad arrivare il cibo; ed ecco, qui s’è rivelata tutta l’anima francese, nel senso che il cibo offerto era sicuramente ottimo e abbondante, ma di quello stile che a me proprio non piace: infiniti vassoi di microscopiche tartine basate su un pezzettino di pane messo sotto una goccia di cremina bianca in cui è infilata una rosellina di carota sopra la quale sta un pezzettino di carne su cui è spalmata un’oncia di formaggio fresco. Anche ammesso che ti piacciano tutti gli ingredienti, sgomiti un’ora per arrivare al vassoio e poi devi assaporare la portata con un microscopio; il sapore risulta pertanto comunque indefinibile… In più, il servizio dev’essere perfetto; il che vuol dire che anche se si è formata una coda di decine di persone affamate, se mancano le roselline di carota il servizio si ferma, e non ricomincia finché tutto non è raffinatamente al suo posto; questo almeno fino a che la gente non rompe gli argini e non comincia a rubare i piatti a metà preparazione.

Per fortuna dopo un po’ è iniziata la partita, e i tedeschi si sono tolti di mezzo; così io mi sono dedicato a del pesce crudo in olio d’oliva che era davvero buonissimo. Peraltro, dopo anni di buffet, ho imparato tutti i trucchi; il trucco del vecchio amico in coda; il trucco del contromano distratto; il trucco delle mani in levare; il trucco della coppia chiacchierona; il trucco del retrotavolo; e così via. Ma c’erano pur sempre centinaia di persone, e dopo un po’ mi sono stufato e ho ripreso la metro per tornare in albergo.

Posso così segnalarvi che la stazione metro 4 di Monparnaso-Benvenuta è formata da un reticolo di corridoi assurdo: per uscire dal lato della stazione dei treni, si fa un percorso di lunghezza comparabile al famigerato tunnel camaleontico dell’aeroporto di Francoforte, con parecchi saliscendi senza ombra di scale mobili, e con un tappeto rotolante rotto. Non è, insomma, una metro per pigraccioni.

[tags]parigi, ricevimento, hotel de ville, buffet, metro[/tags]

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mercoledì 25 Giugno 2008, 08:53

Reminiscenze ancora, di Parigi

Succede ogni tanto nella vita: una serata inattesa che ricorderai a lungo, per la strana combinazione di fattori. In questo caso, è successo che dovessi una serata fuori a Izumi; pensavamo di andare insieme al party del punto Bretagna (.bzh per la precisione), ma poi avremmo incontrato i nostri colleghi dell’At Large e il cibo mi sarebbe andato di traverso.

Per questo lui ha estratto la sua guida giapponese Рcome ogni giapponese, in qualsiasi parte del mondo ha una guida del posto in giapponese, che gli dice cosa ̬ sano fare per un giapponese Рe ha scodellato il ristorante giapponese Yen, a San Germano ai Prati, che poi ̬ within walking distance da dove siamo noi, a Monparnaso.

La passeggiata d’andata è stata molto professionale, un circondare il grosso birillone della torre nera che sovrasta la stazione, e poi una lunga discesa per negozi sulla via di Renne. Arrivati davanti alla chiesa di san Germano, abbiamo subito individuato il nostro posto, in una via laterale; temevamo non ci fosse posto, e invece era deserto. Peccato che ci fosse un piccolo problema: nell’intero quartiere mancava la luce!

Ci siamo così assisi lo stesso, dopo una lunga discussione relativa ai dettagli della conferenza di ICANN e alla mia incombente visita in Giappone. Non c’erano però chance di avere del cibo, e così, mediante una contrattazione trilingue – lui in giapponese, io in francese, e tra noi in inglese – ci siamo accontentati di una bottiglia di bianco.

Dopo un’ora di chiacchiericcio, eravamo già quasi parenti; complice il bianco secco secco e molto buono. Stavamo, è vero, chiedendoci che fare, giacché di elettrico non v’era nulla, e di conseguenza non c’era cibo in vista. Dopo oltre un’ora, alle otto e un quarto, il boato: l’intero quartiere in piedi ad applaudire l’azienda elettrica, che improvvisamente ristora l’energia in tutte le locande.

La cena è stata ottima, provando un po’ di tutto: melanzane fritte e insalsate, pezzetti di pollo in esplosione di pastella, ben tre pezzi in due di pesce arrostito in maniera egregia, e poi il piatto principale, la soba: che sarebbero spaghetti freddi da intinger nella soia, naturalmente dopo averla riempita di wasabi e di un’altra erbetta il cui nome già mi sfugge, ma che era molto buona. E non dimenticate che dopo averlo finito dovete farvi portare l’acqua della pasta, e mescolarla al fondo della soia: e trincare tutto ciò che ne deriva. Altro che ramen, che – come mi disse Izumi – è roba depravata da cinesi.

Ci siamo anche baccagliati un francese e un belga al tavolo a fianco, e insomma la serata è scorsa via memorabile, soprattutto per la sua improbabilità: quand’altro vi capita un tete a tete con un giapponese in un ristorante privo di elettricità, ma con una seconda bottiglia di bianco fruttato e inimitabile? Non capita, e quindi cosa importa dei dettagli, tipo il conto da centotré euro a testa, questi – ahimé – che già ho pagato io. Si vive una volta sola, e una volta sola nella vita si congiungono gli astri e ti regalano quella combinazione in particolare: non è forse meglio gioirne, e lasciar stare le questioni terrene di denaro?

Segue anche il ritorno pedestre da San Germano ai Prati, completamente e totalmente ubriachi, evitando le macchine sfreccianti per grazia divina, o perché illuminati dal buon bacio degli dèi. Ci scappa persino il taiwanese che ci offre il caffé, ma rifiutiamo: e che diavolo, mica ci ubriacammo per niente. C’è indubbiamente fraternità nell’alcool, o meglio nella velocità del rendersi ebbri, tra il sottoscritto e i giapponesi; anche se quello che a fine cena versava il vino nell’acqua e l’acqua sul tavolo era lui, badate bene! Ma a ben vedere sotto quell’acqua c’era un bicchiere immaginario: quello della fratellanza inusitata.

Saluti, mentre emetto un dolce e sublime odor di soia! Viva le serate a caso, preordinate.

[tags]italia, francia, giappone, ristorante, soba, parigi, san germano ai prati, fratellanza, casi della vita, serate da ricordare, ubriachezza immodesta, cioè veramente ho pagato un conto da centotré euro e sto qui solo lievemente turbato?[/tags]

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lunedì 23 Giugno 2008, 11:30

L’astérix

La Francia è un paese civile, dove durante le partite dell’Europeo passa uno spot TV con due bei maschioni che si sbaciucchiano e si montano in ogni posizione (con inquadrature ovviamente non esplicite ma molto chiare) mettendo bene in evidenza la busta del preservativo, quindi alla fine agitano contenti un foglio e si abbracciano, e si chiude sullo slogan “Prima di smettere col preservativo fate il test dell’HIV”.

Però hanno la mania dell’asterisco.

Per esempio, passa lo spot del DVD di Io sono leggenda, con la scritta: “Comprate il blockbuster dell’anno!”. Però vicino a “blockbuster” c’è un asterisco, e sotto compare la scritta: “* Blockbuster = Film à succès”. Oppure presentano il “dream team” di commentatori degli Europei (ok, c’è dentro Didier Deshampoo, quindi il nome fa un po’ ridere) e anche lì spunta l’asterisco, e sotto compare la scrittina “* Dream team = Equipe de reve”. Persino all’aeroporto, dove ci sono le pubblicità internazionali delle grandi multinazionali, tutti i loro slogan globali in inglese sono asteriscati e ritradotti letteralmente.

Farebbe ridere, se noi nel frattempo, tra parole straniere e giornalisti che non sanno la grammatica, non avessimo completamente rinunciato a preservare la nostra lingua nazionale…

[tags]francia, italia, lingua[/tags]

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domenica 22 Giugno 2008, 14:41

Le rante

Cari 2-0 amici 2-0 francesi,

passi che mi accogliete all’aeroporto Carlo De Goglio con il trionfo della vostra francesità, ossia un posto bellissimo, mozzafiato, elegantissimo, che però ha il piccolo particolare di non funzionare: a parte il fatto che uno dei sei padiglioni è crollato prima ancora che divenisse usato, i bagagli ci mettono ore ad arrivare e poi sono tutti mescolati con quelli di altri voli, gli spazi sono sovraffollati, le indicazioni sono confusionarie e per arrivare a prendere il treno per Parigi bisogna compiere una mezza maratona;

passi che alla stazione del treno non c’è scritto dove vanno i treni, ma ci sono solo sigle di quattro lettere come KROL e PEPE e un sacco di pallini che dovrebbero dirmi in quale combinazione di stazioni dai nomi assurdi ferma quel particolare treno, e insomma, anche se vi ringrazio per aver finalmente messo un treno ogni tanto che non ferma in tutte quelle stazioni inutili tipo Villapinta, Olnago Sottobosco e Biancomesnile, sappiate che non si capisce niente, tanto che avete dovuto scrivere sulla piattaforma “Tutti treni vanno a Parigi”, che però, vi comunico, in italiano è sbagliato;

passi che per salire sui treni bisogna dotarsi di biglietto che (manco fossimo nell’Ottocento) va obliterato, però l’obliteratrice non è sui binari, ma a un altro piano, ed è indicata soltanto in francese, e io devo capire che “compostare” per voi significa fare un buchino su un lato;

passi che i treni che trasportano le persone dall’aeroporto in città non hanno lo spazio per le valigie, ma solo una ringhierina in alto dove ci sta forse il beauty case della nonna, non certo una valigia da volo internazionale, e così le carrozze sono piene di bagagli buttati ovunque;

passi che siccome siete monotoni mi chiedete di scendere dal treno che arriva dall’aeroporto Carlo De Goglio, e prendere la metro in direzione piazza Carlo De Goglio;

passi che la coincidenza richiede circa dieci minuti di scale sotterranee in su e in giù, senza l’ombra di una scala mobile (memo: mai più interscambio a Denfert-Rochereau);

passi che all’ingresso della metro più che i tornelli ci sono delle vergini di Norimberga, in cui passare con una valigia e una borsa richiede un contorsionismo degno di un corso di mimo;

passi che i vagoni della metro sono pieni di locali fermi davanti alle porte che se vedono un turista con le valigie si mettono il più in mezzo che possono;

passi che alla reception di un albergo a cinque stelle da 300 euro a notte (che ovviamente non pago io) ci mettete una signorina che a sentire una domanda in inglese ti guarda dall’alto in basso come un puzzone e comunque non la capisce;

ma che poi, giunto in camera, accenda la televisione e vi debba sentire per un intero gran premio parlare di tali Massà e Raikkonèn

(P.S. Comunque Parigi è un gran bel posto!)

[tags]la france[/tags]

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sabato 14 Giugno 2008, 14:30

Tema: Alessandria

L’altra sera io e un gruppo di amici ci siamo ritrovati ad Alessandria. Eravamo lì per un motivo troppo nerd per essere spiegato, ma ciò che conta è che erano quasi le otto e volevamo trovare un bel posto per mangiare; Osterie d’Italia alla mano, abbiamo mirato al ristorante Cappelverde, via San Pio V.

Il problema è che nessuno di noi aveva un navigatore; quello di Simone era finto, nel senso che sul cellulare compariva soltanto l’ingrandimento di uno screenshot di Google Maps relativo al posto dove eravamo andati prima. Cosa fanno allora quattro amici per trovare via San Pio V ad Alessandria?

Per prima cosa abbiamo consultato l’atlante del Touring, che ha una cartina della città, ma sfortunatamente non riporta tale via. Allora il sottoscritto ha pensato di individuare una centrale operativa fissa – un amico, un parente, chiunque fosse davanti a un computer – a cui telefonare per chiedere di collegarsi a Google, cercare l’indirizzo e dare indicazioni. Certo, c’era anche la possibilità di fermarsi e chiedere, come ha sottolineato l’unica donna del gruppo, ma noi siamo uomini e non dobbiamo chiedere mai. E così anche la centrale operativa è stata rimandata: ci siamo dati la sfida di percorrere sistematicamente in auto tutto il centro di Alessandria fino ad incocciare per caso nella via in questione.

Dopo venti minuti di giro, abbiamo realizzato che Alessandria ha una peculiarità: non solo tutte le vie sono intitolate per qualche misterioso motivo a città venete o emiliane, ma sono anche vie strette e piene di auto abbandonate a caso. Siamo così sbucati di nuovo sulla circonvallazione, e dato che la fame premeva stava per scattare lo scaricamento di barile con conseguente rissa, quando io ho esclamato: “là!”. Effettivamente, c’era un cartello con scritto “via San Pio V”, e con la fame che avevo l’ho visto senza fallo da un centinaio di metri.

Trovata la via, abbiamo parcheggiato e siamo arrivati a piedi al ristorante: peccato fosse in ferie. Abbiamo così deciso di allargare la ricerca, e percorrere il centro fino a trovare un locale di nostro gradimento. Ecco, non è che non l’abbiamo trovato: semplicemente, in centro ad Alessandria non esistono locali. Non esistono nemmeno abitanti, direi: è un’unica sequenza di basse cascine e condomini, trasformati in una conurbazione che alle otto di sera di un mercoledì di giugno risulta deserta. L’unica cosa aperta erano i negozi cinesi; per il resto, nulla di nulla, nemmeno nelle piazze più centrali: sembrava la città fantasma di Chernobyl.

Alla fine, comunque, è andata bene: Fabbrone c’era già stato ed ha individuato l’unico ristorante aperto nel raggio di chilometri, il ristorante giapponese Zen, che si è pure rivelato ottimo, niente affatto caro e pieno di belle ragazze. La serata così è finita in gloria, però siamo rimasti con l’inquietante dubbio di cosa facciano i mandrogni la sera: c’è chi suggerisce che rimangano chiusi in casa con le belle ragazze, e se è così, siamo contenti per loro.

[tags]alessandria, cibo, fame, san pio v, ristoranti giapponesi, deserto[/tags]

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domenica 4 Maggio 2008, 18:31

In giro per colline

Ieri, in una gita fuori porta, abbiamo infilato entrambi i posti del nord-astigiano dove non è bello essere andati. Prima siamo andati a pranzo a Passerano, frazione capoluogo del comune di Passerano Marmorito, diventato improvvisamente famoso negli anni ’80 grazie a Faletti: secondo me gli avranno fatto un monumento in piazza, anche perché non sono sicuro che abbiano capito che li stava prendendo in giro. Poi, ci siamo inerpicati su per stradine e per colli e siamo praticamente finiti a Aramengo.

L’astigiano nordoccidentale, al confine con la provincia di Torino, è un territorio poco conosciuto; ha poco a che vedere con le capitali del vino del Monferrato meridionale, come Nizza e Canelli. E’ invece un insieme di colline che sono quasi montagne, coperte di foreste; si arriva oltre i seicento metri di altitudine, e ci si ritrova via via in stradine sempre più strette, tortuose e pendenti; per tutti questi motivi, le vigne ormai sono state in buona parte sradicate, e il prodotto principale della zona è diventato la carcassa di motociclista al sangue (io, in un solo quarto d’ora, ne ho mancati di poco tre o quattro, tutti belli in piega a centoventi all’ora dal mio lato della strada, dietro una curva cieca su una strada larga sì e no tre metri). In compenso, i panorami e il senso di tranquillità e remotezza sono meravigliosi: nel silenzio appena appena rotto da qualche centinaio di motopuzzettari, si vede tutto il territorio dipanarsi in verde fino alla lontana Superga.

C’è in questa zona un posto speciale quanto abbastanza poco conosciuto, l’Abbazia di Vezzolano. L’hanno rimessa a posto da poco, e secondo me ha persino perso un po’ di fascino, tutta così pulitina e con la vegetazione rasata. E’ però una costruzione bellissima, che sopravvive da quasi dieci secoli in una valletta angusta e riparata, in mezzo al verde ma con una bella vista sulle colline più basse.

E’ ancora più interessante se – oltre a una mostra di romanico dell’Astigiano, con tutti i bassorilievi che raffigurano animali che ballano e persone che fanno sesso – ci trovi qualche pannello che ti spiega i principi di matematica medioevale con cui è stata costruita: scopri così che la chiesa è orientata lungo l’asse locale dei lunistizi, in modo che ogni 18,61 anni, quando la luna raggiunge il punto più alto di sempre sull’orizzonte, la sua luce penetri esattamente in asse; mentre la base della chiesa forma il lato di un decagono con centro sotto l’altare, e la finestra dell’abside, davanti all’altare, ha proporzioni legate alla sequenza 2, 3, 5, 10.

Insomma, non è che hanno preso il primo spiazzo e ci han messo su due mattoni, tutt’altro; c’è nella Chiesa del Medioevo un patrimonio di spiritualità magico-pagana, basate sui ritmi vitali della natura, che il cattolicesimo potente e repressivo dei secoli del colonialismo ha poi accuratamente eliminato, e che invece sarebbe molto interessante ristudiare.

[tags]monferrato, passerano, vezzolano, asti, chiesa, medioevo, matematica[/tags]

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