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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


martedì 23 Gennaio 2007, 13:57

ToShare

Stasera a Torino si apre ToShare, un festival di cultura digitale presso l’Accademia Albertina di Belle Arti, situata (chi l’avrebbe detto) in via Accademia Albertina al numero sei. Il grosso del festival è concentrato sulle nuove arti digitali e sui nuovi media, ma non poteva mancare una sessione dedicata alla governance di Internet, in cui, a sua volta, non poteva mancare il sottoscritto.

La sessione sarà domani, dalle 10 alle 17, e sarà moderata da Anna Masera della Stampa, con la partecipazione fra gli altri di Magnolfi, Cortiana e Rodotà; il mio intervento è previsto a inizio pomeriggio, alle 14.

Il tema iniziale doveva essere centrato su Torino e sul suo tradizionale ruolo di laboratorio per quanto riguarda i diritti e le forme del lavoro; così, io ho preparato un intervento (di cui è già in linea l’abstract, nella mia nuova sezione dei documenti) centrato su questi temi. Dopodichè, si è deciso di rifocalizzare il tutto sulla governance di Internet, e così aggiungerò una parte anche su quello; son qui che mi preparo la scaletta, visto che il tempo concessomi è piuttosto ampio (quasi mezz’ora).

E’ possibile che sul sito ci sia anche un webcast; non lo so con certezza. Di sicuro, sarà una discussione interessante.

[Update delle 15:50: Adesso il mio intervento è previsto in tarda mattinata.]

[tags]toshare, innovazione, internet governance, torino, libertà digitali[/tags]

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domenica 7 Gennaio 2007, 11:39

Popoli e politici

Ho avuto modo di parlare col ministro Gentiloni (all’epoca non ancora ministro) una sola volta, per un minuto – eravamo entrambi in piedi con un piatto in mano, in coda per un buffet dell’ambasciata italiana a Tunisi, in occasione del World Summit on Information Society del novembre 2005. In quel minuto, mi ha fatto una buona impressione, decisamente più seria di tanti altri politici italiani.

Tuttavia, mi hanno appena rimandato a un interessante post sull’acclamato blog del ministro: questo. E’ datato metà dicembre, e si scaglia apertamente contro l’idea di filtrare la rete e censurare i siti, suggerendo invece la via corretta, quella del controllo e della rimozione tempestiva a posteriori.

Peccato che si tratti dello stesso ministro che, due settimane dopo, ha rilasciato l’ormai tristemente famoso decreto sulla pedopornografia, quello che impone ai provider la creazione automatizzata di filtri non solo per dominio ma anche per indirizzo IP, strombazzandolo poi per ogni giornale e telegiornale a botte di comunicati stampa.

Escludendo che si tratti di un caso di sdoppiamento della personalità, ridurrei l’intera vicenda al vuoto gioco della politica così come ormai è diventata in Italia: quello per cui l’obiettivo del politico, non importa se competente e benintenzionato o meno, è la conquista del consenso, e il resto è irrilevante. E allora, mi sembra tristemente normale che il ministro usi canali diversi per parlare a persone diverse: che al “popolo della rete”, tramite il proprio blog, dica che non ci saranno mai filtri, e al ben più consistente “popolo della televisione”, tramite i telegiornali, dica che ha messo quei filtri che loro volevano. Non c’è nemmeno più da indignarsi; Gentiloni sta semplicemente facendo al meglio il proprio lavoro di politico italiano dell’era berlusconizzata.

Se mai, c’è da capire ancora una volta un concetto che sostengo da tempo, specie quando incontro dei gruppi – succede spesso con hacker e linuxari – che ti dicono che non gli importa niente della massa, che per loro conta solo la propria nicchia libera e gli altri, gli “utonti”, stiano dove sono, nella propria ignoranza. Purtroppo non è così; le battaglie sulle libertà digitali potranno essere vinte solo quando il popolo della televisione sarà diventato almeno un po’ popolo della rete, a forza di educazione e di quella comunicazione che tutti noi facciamo ogni giorno, con i parenti spaventati da internette e gli amici computerofobi.

Finchè non cambieranno i rapporti numerici nella società, le richieste di privacy e di libertà saranno schiacciate da quelle di sicurezza e di censura, visto che in democrazia la maggioranza prevale e che i politici si adeguano semplicemente a questo concetto. Se i principi fondamentali della rete rimarranno idee di una sparuta minoranza, prima o poi essi saranno assimilati alla diversità, alla stranezza, addirittura al terrorismo, e verranno semplicemente repressi.

Forse, oltre alle critiche al ministro, è il caso di spiegare due cose al vostro vicino di casa!

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venerdì 5 Gennaio 2007, 10:22

Pena di morte

Non so quanto integralmente siano state trasmesse dai vari telegiornali italiani; comunque le immagini dell’esecuzione di Saddam Hussein dovrebbero essere viste per intero da tutti, non certo per ribaltare il giudizio su quello che comunque resta un dittatore sanguinario, ma perchè è comunque bene sapere di cosa si parla quando si affronta il tema dell’uccisione di una persona per decisione collettiva.

E poi, questo prova che tutte le finte pruderie dei nostri giornalisti, che ogni tanto non mandano in onda qualcosa “perchè sono immagini troppo forti” (o troppo scomode?), sono rese assolutamente irrilevanti dall’esistenza di YouTube.

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sabato 30 Dicembre 2006, 20:16

23C3 VI

Ho deciso che nel programma dell’ultima giornata del 23C3 non c’era niente di davvero interessante, e così ho dedicato il tempo a visitare la città (argomento su cui avrei molto da raccontare, ma lo farò eventualmente con calma una volta tornato a casa e passato Capodanno). Sono quindi arrivato alla sede del congresso giusto in tempo per l’ultimo seminario, e poi per la cerimonia di chiusura.

Il seminario che ho seguito parlava di discordianesimo e di culture jamming, mostrando esempi eccezionali di sovversione culturale di ogni genere. Probabilmente l’unico artista del genere di cui si è sentito in Italia è Banksy, quello che appende quadri modificati nei musei che regolarmente nessuno trova; eppure c’è veramente qualsiasi tipo di apparente follia con un significato politico o artistico sotterraneo.

Ad esempio, a San Francisco un gruppo di performer ha partecipato alla classica gara di corsa Bay To Breakers – in cui decine di migliaia di persone corrono dall’interno della baia fino all’oceano – però vestendosi da salmone e percorrendo la strada al contrario, dal mare verso l’interno; l’idea ha avuto talmente successo che sia la Nike che la Bacardi l’hanno riutilizzata per degli spot (con successiva discussione se ciò sia bene o male).

Interessante anche il Burning Man, una specie di comune estiva in cui è vietato l’uso di denaro, e in cui cinquantamila persone campeggiano per una settimana nel deserto utilizzando solo il dono e il baratto (a parte naturalmente quando prendono la macchina e vanno al supermercato del paese vicino). Più preoccupante l’esperimento effettuato su un gruppo di bambini, che hanno preferito avere come colazione una pietra invece di una banana, solo perchè sulla pietra c’era un adesivo dell’Uomo Ragno.

Insomma, il culture jamming è un tentativo di svegliare le coscienze evitando l’assuefazione e le ipotesi scontate o inculcate nei nostri cervelli dalla comunicazione commerciale… devo dire che l’idea mi attira.

La cerimonia conclusiva è stata più morigerata; notevole il numero finale di partecipanti, tra abbonamenti e biglietti giornalieri, ossia circa 4200 persone (numero giustamente appropriato). Il wi-fi nelle stanze più affollate non funzionava granchè, ma d’altra parte c’erano circa 1600 portatili collegati alla wireless LAN… Ed è successo che il loro router centrale ha raggiunto un limite di indirizzamento di 4096 macchine sulla stessa rete che non conosceva nemmeno il suo costruttore! Comunque, a parte un ISP che ha chiamato per chiedere di rendere inaccessbile la sua intera rete dall’interno del congresso, nessun problema di hacking degno di nota, e arrivederci al campeggio che il CCC organizzerà nell’estate 2007.

Vorrei aggiungere, per finire, alcune considerazioni sull’eccellente livello di questa conferenza – anche se gli habitué si sono ovviamente lamentati che quest’anno non era come l’altr’anno, e che l’altr’anno sì che c’erano dei seminari tecnicissimi con i controfiocchi mentre quest’anno c’erano solo banalità, e così via. Tuttavia, questa è una conferenza hacker organizzata in modo professionale, non solo per il numero di persone – credo anche retribuite in buona parte – che ci lavorano, ma per l’approccio generale, con tanto di atti stampati, radiomicrofoni di ultima generazione, maxischermi con maxiproiettore, relatori da tutto il mondo e biglietto d’ingresso a 80 euro.

Non è detto che questo sia necessariamente meglio delle nostre conferenze italiane, la maggior parte delle quali hanno una scala molto minore, e sono organizzate in modo totalmente amatoriale. Tuttavia, mi ha fatto piacere arrivare in una conferenza dove la prima cosa che hanno detto a tutti è “niente fumo di nessun genere dentro l’edificio, niente sacchi a pelo, niente ubriachi molesti”: ti dà l’impressione che l’obiettivo principale della conferenza sia la discussione di informazioni tecniche poco conosciute e di argomenti sociali e politici scottanti, e non una grande festa di alcool e canne tutti insieme, con annessa okkupazione e piscio di cane. Massimo rispetto sia per le okkupazioni che per i cani, ma io credo che una conferenza di hacker debba essere altra cosa; è vero che esistono già anche in Italia conferenze che adottano questo approccio, però sarebbe bello arrivare infine a costruire un evento italiano del rilievo e della sostanza di questo 23C3.

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sabato 30 Dicembre 2006, 17:49

23C3 V

Ieri sera ho assistito a un grandissimo discorso di Larry Lessig, il fondatore dei Creative Commons. Più che un professore, sembra un attore o anzi un politico; il suo discorso è perfetto, studiato, sincronizzato con le slide, divertente, interessante, pieno di battute e di metafore da ricordare.

Qui, sembrava più che altro interessato a ricucire le differenze con i duri e puri del free software, che accusano Creative Commons di fare compromessi introducendo la clausola “non commerciale” tra le sue possibili licenze, il che è una contraddizione rispetto alla libertà totale offerta dalla licenza GPL della Free Software Foundation; Lessig ha giustamente spiegato che il principio del copyleft serve ad evitare il “free riding” – le persone che usano il lavoro altrui senza contribuire nulla – e che per musica e testo, a differenza che per il software, il free riding sarebbe possibile se non ci fosse una clausola contro l’uso commerciale non autorizzato del materiale.

La strategia che Lessig suggerisce per la vittoria del principio della condivisione libera del contenuto è quella di costruire una base di contenuto alternativo a quello delle major discografiche, magari non altrettanto buona, ma accessibile a condizioni molto migliori e quindi più facilmente utilizzata; il principio di Vitaminic insomma. Lessig ritiene che la battaglia non possa essere vinta nè craccando le tecnologie come si è fatto in questi anni, nè politicamente vista la forza delle lobby, nè tramite battaglie legali, visto che tutte le battaglie politiche e legali saranno perdute finchè il grande pubblico resterà convinto che l’obiettivo di tutti i fricchettoni dello sharing è soltanto quello di rubare gratis la musica altrui.

Avevo già ascoltato Lessig a Milano, due anni fa, nella conferenza organizzata da Fiorello Cortiana; ma lo spettacolo che lui ha messo in piedi qui è così avvincente che bisognerebbe mandarlo in TV, o farne uno spettacolo teatrale. In generale, avremmo bisogno di più discussione di massa su questi temi, anche in Italia.

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giovedì 28 Dicembre 2006, 13:45

23C3 II

La serata di ieri è stata interessante; il talk del signore di Microsoft ha presentato il nuovo sistema per l’identificazione personale, integrato nel nuovo Windows Vista, chiamato CardSpace. Si tratta di un sistema sorprendentemente sensato, in cui le specifiche (promesse come pubbliche e libere da royalty) permettono l’interazione tra un applicativo di gestione dell’identità – di cui una implementazione è appunto inclusa in Vista -, un server che richiede l’identificazione, e un fornitore di identità. L’utente definisce sul proprio computer un certo numero di “card”, ognuna delle quali corrisponde a una delle proprie identità in rete; esse possono essere certificate da un determinato fornitore di identità, oppure auto-generate, come avviene normalmente per la maggior parte degli username e password che utilizzate. Il sito, mediante un certo insieme di tag HTML, può richiedere l’invio di una card, certificata da una terza parte o meno, e a quel punto l’utente decide quale inviare e controlla quali sono le informazioni che vengono effettivamente fornite. E’ necessario fidarsi del fornitore di identità, visto che l’utente non può controllare l’effettivo contenuto del token cifrato che viene generato dal fornitore, passato all’utente e da questo inviato al sito per autenticarsi, se non mediante una versione in chiaro che è comunicata separatamente dal fornitore di identità all’utente.

Ho poi saltato il talk di un paio di conoscenti per assistere alla Vendetta dei nerd femmina, una orrida conferenza femminista tenuta da una giornalista americana che deve avere grossi problemi con la propria identità. Naturalmente, l’intera conferenza era una lamentela su quanto le donne siano discriminate nella società e nell’informatica in particolare, con una accurata selezione di dati statistici fuori contesto e di singoli paper scritti apposta per “provare” la tesi. L’unico interlocutore dalla platea che si è permesso di contestare la validità assoluta di affermazioni categoriche come “nessuna donna preferirebbe mai passare la notte con dei marmocchi invece che a scrivere codice” o “quando un uomo e una donna collaborano sul lavoro non c’è mai dietro l’attrazione sessuale, al massimo si finisce a letto ogni tanto come capita tra colleghi uomini” si è beccato pure i buu dalla claque (femminile).

Stamattina, invece, era il momento del seminario di Joi su World of Warcraft: ovviamente una presentazione spettacolare, con tanto di video-promo della sua gilda (doppiamente denominata We Know / We No per alleanza e orda) e tentato recruiting sul posto. Le note erano interessanti, spiegando l’importanza della collaborazione – ci siamo anche visti due minuti di filmato sull’abbattimento di Onyxia, con tanto di spiegone su come ogni pezzo di armatura per fire resistance del tank abbia richiesto centinaia di ore di gioco a mezza gilda – e includendo racconti su come lui tenga Teamspeak acceso tutto il giorno sulle casse del salotto, in modo da sentire come sottofondo cosa sta facendo la gilda in quel momento anche se lui non sta giocando.

Ovviamente, alla fine del peana, ho abbrancato il microfono per togliermi i miei noti sassolini dalle scarpe, e ho segnalato che, con tutti i caveat del caso, esiste anche l’altra faccia della medaglia, con i miei aneddoti di gente che accorcia il viaggio di nozze per non restare indietro nel gioco e di liti in real life per questioni di gilda. Devo aver dato la stura a un malessere diffuso, perchè dietro di me si è formata una lunga coda al microfono, con racconti di ragazzi che lasciano l’università per giocare a WoW tutto il giorno, o di distinti professionisti sorpresi a giocare regolarmente sul posto di lavoro, licenziati in tronco e che ora giocano a WoW vivendo del sussidio di disoccupazione. Ovviamente è giusta l’osservazione che se una persona ha un comportamento ossessivo o problemi nella vita reale lo strumento su cui li sfoga è poco rilevante, così come quella che è meglio intossicarsi di un gioco collettivo che di alcool o eroina; alla fine però si parlava apertamente di incentivare (alcuni dicevano obbligare) la Blizzard a creare centri di disintossicazione dal gioco, e si parlava apertamente di buona parte dei giocatori di WoW come di drogati… Del resto il governo cinese ha già imposto modifiche al programma in modo che oltre un certo numero di ore al giorno si smetta progressivamente di fare punti!

Ora sto assistendo distrattamente a un discorso malato secondo cui il clock skew (disallineamento progressivo dell’orologio interno) di un PC – tipico della specifica macchina – può non solo essere misurato dall’esterno mediante invio di opportuni messaggi ICMP, il che permette di tracciare quanti host diversi ci sono dietro un firewall, o di capire se due host virtuali stanno sulla stessa macchina; ma, variando con la temperatura, rende possibile capire se la CPU del PC sta lavorando a massimo carico oppure no. Tutto questo viene collegato alla possibilità di attaccare la rete Tor, anche se mi son perso come; o di inviare messaggi nascosti modulando la temperatura del PC e quindi il suo clock skew… insomma, interessante ma un po’ troppo elucubratorio. Direi che tra poco usciremo, andremo a pranzo e poi faremo una passeggiata a vedere il residuo del Muro, anche se ovviamente mezz’ora fa ha iniziato a nevicare.

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mercoledì 27 Dicembre 2006, 22:05

23C3 I

Stasera sono ancora in una delle sale della conferenza, visto che il programma prevede seminari fino all’una di notte (partendo dalle 11:30 del mattino: si dà per scontato che ci sia vita notturna, direi). Eppure, rispetto alle conferenze di hacker italiane, il clima è decisamente diverso; è tutto molto organizzato, con tanto di microfoni e presentazioni, e, nonostante la fauna sia prevalentemente composta da nerd, non si vedono nè ubriachi nè fumati.

I seminari sono davvero interessanti, e valevano il viaggio. Io ho seguito principalmente quelli sulla privacy e la data retention, di cui uno era tenuto da Ralf Bendrath, uno dei miei colleghi dei forum delle Nazioni Unite; si occupava del problema dei meccanismi di identificazione centralizzata degli utenti su Internet, e dei relativi rischi per la privacy, e alla fine ho pure raccolto l’applauso con un intervento dalla platea.

Poi ce ne sono stati alcuni più tipicamente hacker: ad esempio, sono ora l’orgoglioso possessore di uno Sputnik, una tag RFID attiva (che quindi io posso spegnere a piacimento) che permette all’organizzazione di tracciarmi e mostrare i miei movimenti su una mappa 3D, ma anche che fa parte di un progetto completamente libero per cui io potrei provare a scrivere del software.

Inoltre, c’è stato un interessante seminario in cui è stato raccontato per filo e per segno come clonare un bancomat delle Poste Svizzere; pare che questi geni non solo abbiano ancora il sistema adottato nel 1983 – e che, in Francia, fu craccato già nel 1989 – ma persino che, nonostante avvertiti già nel 2003, non abbiano mai provveduto a cambiare il sistema… un sistema che peraltro è molto semplice, essendo stato concepito per funzionare offline, senza alcuna verifica su server centrali (nel 1983 la rete ubiqua era di là da venire).

In pratica, il chip sulla card è costituito di due parti, una ROM e una scrivibile. La ROM contiene gli stessi dati (tra cui il numero di conto) scritti sia in chiaro che cifrati con una chiave privata appartenente alla banca, senza alcun meccanismo di crittografia sulla carta stessa (quello che hanno, per dire, le smart card di Sky); la verifica è solo sul fatto che la decodifica della parte cifrata corrisponda con quella in chiaro; basta quindi clonarle pari pari da un bancomat qualsiasi per ottenere una carta valida. E il PIN? Tristemente, il PIN viene utilizzato solo per autorizzare la scrittura sulla parte scrivibile della memoria di un log delle transazioni; basta modificare il firmware della card in modo che accetti la scrittura con qualsiasi PIN per ottenere un bancomat valido. In più, anche se non si dispone di un bancomat da clonare, la chiave privata usata dalla banca è una RSA a 320 bit, che al giorno d’oggi si può craccare a forza bruta in 24 ore con qualsiasi PC… dopodichè, vi basta un numero di conto valido per creare da zero un bancomat ad esso corrispondente.

Bene, dopo queste notizie preoccupanti – e dopo una lauta cena a base di bistecche – vi lascio, per assistere al seminario del responsabile Microsoft per le policy sull’identificazione digitale. Se dal programma vedete talk interessanti per i prossimi giorni, segnalateli pure…

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mercoledì 20 Dicembre 2006, 07:30

E-Ultras

La settimana scorsa, nella tifoseria del Toro, si è verificato un episodio che ha fatto scalpore: due ultras si sono recati nel negozio sociale in piazza Castello e, a suon di minacce e ceffoni, si sono fatti consegnare del materiale e se lo sono portato via. Rapina? E’ così per i giornali, ma non per gli ultras stessi, che, parlando di malintesi, hanno cominciato a diffidare più o meno gentilmente chiunque osasse porre la cosa in altro modo; in pratica, sul forum di Toronews i moderatori hanno dovuto cominciare a chiudere buona parte dei thread dove si parlasse dell’episodio, preoccupati di possibili ritorsioni fisiche su loro stessi in caso contrario.

Ora, direte voi, tutto normale: trattandosi di un ambiente dove, diciamo così, la cultura in generale e il rispetto della differenza in particolare non la fanno da padroni, è normale che vi sia una specie di reazione “da branco” tesa non ad affrontare il problema in sè, ma a difendere a forza chi fa parte del gruppo e a minacciare chi non ne fa parte.

Poi succede di leggere su Punto Informatico di oggi un reportage sulle attuali polemiche interne alla comunità Debian (la distribuzione Linux per “duri e puri”): un gruppo di persone ha messo in piedi una raccolta di fondi per stipendiare i due principali gestori del rilascio della distribuzione, e tutti gli altri contributori si son detti: saremo mica i figli della serva? E così, da buona tradizione progressista, hanno iniziato uno sciopero bianco per ottenere uno stipendio anche loro, o perlomeno ottenere che non lo diano agli altri.

La cosa più interessante, comunque, è la reazione a tale articolo: aprendo il forum dei commenti, già alle sette di mattina si trovavano circa duecento post, la maggior parte dei quali pro Debian più o meno con gli stessi slogan che si sentono allo stadio. Insomma, al solito il problema non è la sostanza della discussione, ma il fatto che qualcuno si permetta di menzionare il problema, il che secondo i debianisti, anche se non si stanno a guardare i post fatti solo di slogan, è meritevole di una negazione del problema (“Gobba? Quale gobba?”) seguita da velate minacce.

Che la comunità Debian (o meglio, molti suoi esponenti, senza generalizzare) approcci il mondo esterno con la stessa apertura, la stessa onestà intellettuale e lo stesso rispetto per la diversità che caratterizzano gli ultras dello stadio fa un po’ impressione, ma non è una sorpresa per chi ci ha avuto a che fare. Del resto, giusto ieri ho assistito a una discussione in cui uno dei maggiori esponenti della comunità Linux romana ha accusato un signore, che si era solo permesso di fare qualche obiezione alla proposta di legge Folena sull’open source, di essere un agente segreto delle “major che ammazzano la gente”, al soldo del capitalismo e di sporchi interessi personali.

Certo però che è triste notare come esistano pattern di comportamento umano per cui pensare con la propria testa risulta sempre difficile, ed è più facile nascondersi dietro un marchietto o un colore di qualsiasi genere, per poi aggredire chiunque non vi si riconosca; e ancor più triste che li adottino quelli che, come i sostenitori del software libero, spesso si richiamano a valori morali di alto livello. Purtroppo, di norma sono solo parole.

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martedì 19 Dicembre 2006, 23:42

Vladimir Arthur

Nella vita, tutto si tiene. E così da parecchio tempo mi capita sporadicamente, quando sono in auto, di attaccare Radio Flash il martedì sera (prima, se non erro, era il mercoledì) e di ascoltare la mitica trasmissione Nel segno del Graal.

Come potete immaginare dal nome, è una trasmissione che si occupa di miti e leggende di ogni genere, partendo dai Celti per arrivare agli UFO attraverso i nativi americani, con escursioni spiritual-religiose nei miti della terra, nell’alchimia e nell’animalismo. In pratica, un contenitore di vaccate: nessuna leggenda metropolitana è troppo insensata, nessuna puttanata è troppo incredibile per non venire snocciolata con convinzione ai microfoni della trasmissione.

Per esempio stasera, nei cinque minuti che ho ascoltato, dopo un pippone animalista a favore del vegetarianesimo ci si è concentrati su un presunto complotto tecnologico di non meglio precisati “militari”, che avrebbero sviluppato la tecnologia per far respirare l’uomo nell’acqua, e l’avrebbero anche sperimentata sospendendo per mesi sott’acqua una gabbia di conigli protetti dall’apposita membrana (e qui, giù pippone parentetico contro il maltrattamento subito da questi poveri animali); ma poi, di queste tecnologie fantastiche di cui tutti parlavano dieci o quindici anni fa non s’è più saputo nulla perchè c’è sempre più censura. E però, bisogna ringraziare questi “militari” perchè stanno costruendo in segreto il mondo del futuro su Marte, realizzando una colonia dove non ci saranno conflitti, perchè loro avranno nel frattempo eliminato tutte le religioni, primo tra tutti il cattolicesimo, religione triste che celebra la violenza nella morte del proprio Dio (e giù altro pippone animalista parentetico sulla strage di agnelli per Natale, che poi sarebbe per Pasqua ma ‘ste feste sono un po’ tutte uguali).

Insomma, a parte l’ottima musica celtica (che a me piace molto), questa trasmissione sembra un po’ una puntata di Zelig, però involontaria; non si capisce bene perchè una radio di sinistra dura come Flash la ospiti, se non forse per l’anticlericalismo spinto.

Tuttavia, non vi ho ancora spiegato perchè tutto si tiene: ebbene, la trasmissione è realizzata da Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro, promotori della associazione Grotta di Merlino, con apposito negozio sotto i portici di piazza Statuto (ma anche attività in mezzo mondo e vari progetti collaterali, tra cui un portale per i viaggi nel tempo…); due dei più famosi kook della storia della rete.

Chi è vecchio di Internet (.mau. in particolare) ricorderà infatti il primo grande flame della storia della Usenet italiana; stiamo parlando degli anni tra il 1993 e il 1995, quando it.* nemmeno esisteva e l’unico newsgroup italiano era soc.culture.italian. Fu proprio su quel gruppo che loro cominciarono a postare ogni genere di puttanat… pardon, verità segreta, provocando la reazione dei partecipanti e quindi le controaccuse di censura paramilitar-governativ-poterifortica, in un rissone talmente storico che la gente lo ricorda ancora dieci anni dopo.

Ammirando quindi la pervicacia con cui ammorbano ogni possibile strumento di telecomunicazione, trovo rassicurante che ciò che dieci anni fa era stato respinto a gran voce da Internet ora vada a finire sulla branca torinese di Radio Popolare: vuol dire che la sinistra bertinottiana è disperatamente alla ricerca di nuovi miti da affiancare a quello di Vladimir Ulianov, e che Re Artù è appena stato assoldato alla bisogna.

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venerdì 15 Dicembre 2006, 08:26

Nuovi concetti

Una perla di innovazione dal Giappone. Non l’ho trovata io, me l’hanno segnalata!

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