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Archivio per la categoria 'SinchËstèile'


sabato 5 Dicembre 2015, 11:46

Sul Tirreno il M5S cambia pelle

Non so se mi sia ancora permesso commentare quanto accade a Livorno – la sospensione dei consiglieri M5S che sulla questione dei rifiuti si sono dissociati da Nogarin e hanno votato difformemente dalle indicazioni del Movimento – senza che ciò venga visto come un attacco al M5S, ma ci provo lo stesso, perché la situazione tra i consiglieri di Livorno mette in luce uno degli elementi chiave del cambiamento di pelle del Movimento di cui parlavo anche ieri.

Rassicuro comunque coloro che vedono le analisi politiche come un danno a prescindere: questo genere di dibattito interessa agli attivisti e a una piccola quantità di elettori attenti alle forme della politica, ma non sono certo i principi di funzionamento interno dei partiti che decidono il loro risultato elettorale. Se è vero che originariamente il M5S si è presentato come il “movimento dell’onestà e della partecipazione”, ora si è riposizionato come il “partito dell’unica seria alternativa a Renzi”, e come tale si proporrà, secondo me con esito positivo, come successore di Renzi quando gli italiani che lui avrà deluso cercheranno qualcos’altro, anche solo per cambiare.

Questo mutamento, calato anche nella filosofia organizzativa, permette una maggiore efficienza nell’azione politica e nella comunicazione, e riduce le contraddizioni che gli avversari usano per attaccare e il tempo speso nelle discussioni interne, che agli inizi erano fin troppo articolate (come disse una volta Grillo sarcasticamente, “votavamo per decidere se votare”). Esso, secondo me, ha aiutato anche la crescita di consenso dell’ultimo anno, invece di ostacolarla; ed è funzionale a una visione, anche di moltissimi elettori, in cui “l’imperativo è vincere”, una visione che li porta a percepire questo passaggio positivamente, come una prova di maturità e di forza.

Comunque, nel progetto originario, e tuttora nel non-Statuto, è scritto che l’organismo decisionale sovrano del Movimento 5 Stelle, l’unico che può dare direttive vincolanti agli eletti, è “la totalità degli utenti della rete”, ovvero l’assemblea permanente online dei cittadini.

Oggi però dentro il Movimento ci si aspetta che gli eletti si adeguino alle decisioni non della rete, ma delle riunioni chiuse di partito, che siano tra gli eletti o tra gli attivisti (autodefinitisi tali, perché non esiste una regola ufficiale che stabilisce chi tra gli iscritti al portale sia anche attivista, e ogni gruppo si autoseleziona). Addirittura, se leggete la lettera di sospensione inviata ai consiglieri dallo staff nazionale del M5S e riportata nell’articolo, questo viene indicato come uno dei “principi fondamentali di comportamento degli eletti del MoVimento 5 Stelle”, nonché come uno degli “obblighi assunti all’atto di accettazione della candidatura” (anche se mi sfugge dove e come essi siano stati assunti, ma magari a Livorno hanno firmato un documento specifico).

Lo stesso Nogarin, venuto a Torino qualche settimana fa, espose in sostanza la seguente teoria: “ci dobbiamo riunire tra noi a porte chiuse e magari scannarci, ma poi si vota e si decide una linea a maggioranza, e tutti devono sostenere quella in pubblico e si devono adeguare per conservare l’unità”. Teoria che agli attivisti solitamente piace molto e che sembra loro una grande novità rispetto agli ordini dall’alto della “casta dei partiti”, ma che non è altro che il centralismo democratico di scuola PCI, codificato da Lenin in persona.

Il problema è che una assemblea a porte chiuse di quadri o militanti di partito, oltre ad essere facilmente indirizzabile dai leader del partito stesso e a mancare di quella trasparenza totale che una volta era il marchio di fabbrica del M5S, non rappresenta sempre l’interesse dei cittadini; più facilmente, in caso di contrasto tra i due, rappresenta l’interesse del partito. Per cui, questo metodo, se non si vuole essere un partito ma una struttura di “portavoce dei cittadini”, può andare bene per le decisioni organizzative interne, ma non per le scelte politiche.

Sarebbero altri gli strumenti necessari per ridare veramente il potere ai cittadini, a partire dal recall, ovvero la possibilità per i cittadini di far dimettere un eletto prima del termine del mandato. Ma fin che non c’è, io trovo ragionevole che l’unica cosa vincolante per gli eletti del M5S sia la votazione sul portale, oltre a quanto pattuito nel programma elettorale, e non la decisione di una riunione di partito. E quindi, trovo giusto che i consiglieri che non sono convinti di una posizione, in mancanza di una direttiva della rete, possano distaccarsene e seguire la propria opinione anche votando diversamente dal gruppo, senza per questo essere cacciati dal M5S; e questo è il principio secondo cui io mi sono comportato in questi anni, a costo anche di una crescente impopolarità verso i miei stessi attivisti.

Certamente i consiglieri dissenzienti si assumono poi la responsabilità politica delle loro scelte, per cui, se agiscono male, la rete non li ricandiderà (in un certo senso è quel che è successo a me, solo che nel mio caso, invece di decidere la rete, ha deciso la riunione di partito). Certamente bisogna anche appurarne le motivazioni, perché è diverso dissociarsi in piena coscienza da dissociarsi per propri scopi personali; comunque eventuali motivazioni poco nobili vanno chiarite e provate, e non possono essere date per scontate a priori, con quell’abitudine ormai diffusa nel M5S per cui chi non è d’accordo viene assalito in massa al grido di “chi ti paga?”.

Del resto, la lettera dello staff parla di “danno di immagine”, ma se il Movimento fosse veramente orizzontale la responsabilità di una spaccatura e del relativo danno sarebbe di entrambe le parti, e non solo di una delle due; in questo modo si sottintende che delle due parti ce n’è una che comanda (quella in linea con la direzione nazionale, ovvero quella che nei partiti si chiama la “maggioranza interna”) e una che deve soltanto adeguarsi e sempre obbedire (quella non in linea con la direzione nazionale, ovvero la “minoranza interna”).

Ma la retorica del leader o del partito che dà ordini agli amministratori pubblici “in nome del popolo”, sostituendosi al popolo stesso con la scusa della difficoltà di consultarlo o della sua incapacità di governarsi da solo, non mi piace per niente. Non è nemmeno una grande novità; di tutte le dittature novecentesche, non ce n’è una che non sostenesse di comandare “in nome del popolo”; e “in nome del popolo” governano tutte le istituzioni della democrazia rappresentativa che tanto abbiamo criticato. La democrazia vera, però, è un’altra cosa.

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giovedì 3 Dicembre 2015, 15:40

Un mese a guardare le stelle

Premetto che questo post non ha un valore politico, tantomeno a nome del Movimento 5 Stelle, e non vuole nemmeno essere polemico; la politica sarà il mio lavoro ancora per qualche mese, ma il mio blog tornerà progressivamente ad essere, come è stato sin dal 2003, un semplice diario personale e la mia finestra sul mondo; e mi spiaceva lasciarlo ancora incustodito.

Le elezioni, comunque, si mettono bene per il M5S; gli ultimi sondaggi danno la coalizione PD+Moderati attorno al 40 per cento, il che vuol dire che al ballottaggio, dove tutti gli altri più o meno convintamente convergeranno su di lei, Appendino parte con venti punti di vantaggio; ne perderà una parte per astensionismo e altro, ma con venti punti hai voglia… Sono in tanti, giornalisti e osservatori, a dirci “avete già vinto, basta che non facciate stupidaggini”.

Per quanto mi riguarda, invece, sono state settimane di isolamento. Da quella domenica in cui Appendino si presentò e io feci il mio annuncio, non ho più sentito nessuno dei dirigenti del M5S; né Bono, né i parlamentari, né Casaleggio. Diciamo anzi che, dal candidato sindaco e dal suo entourage in su, nessuno mi ha neanche vagamente invitato a ripensarci o espresso qualche rammarico, o anche solo un grazie per il lavoro fatto; non mi aspettavo peraltro nulla di diverso, perché in politica, quando se ne va una persona conosciuta, i suoi colleghi di partito vedono essenzialmente lo spazio che si libera per loro. Piuttosto, lo staff della campagna mi ha chiesto di nominare nuovi editor sulla pagina Facebook e di consegnare i dati e il software del sito, e hanno cambiato le password del banking online (l’ho scoperto da una mail automatica della banca, anche se poi, a domanda diretta, la nuova password mi è stata data).

Mi è stato però chiesto di metterci la faccia, assistendo Appendino in alcuni eventi elettorali su temi che ho seguito io, e qualche gruppo di lavoro ha insistito chiedendomi di continuare a partecipare. Agli incontri pubblici ho detto di no, perché mettere la mia faccia su una futura amministrazione di cui non farò parte mi sembra pubblicità ingannevole, ma ho ricominciato, dopo un paio di settimane di pausa, ad andare a una riunione interna, anche se alla fine era solo un incontro di formazione in cui alcuni esperti spiegavano a Chiara le questioni trasportistiche aperte, nel caso in cui qualcuno gliele chiedesse; e visto che erano cose che sapevo a memoria e che c’erano già gli altri a spiegarle, mi sono sentito inutile e dopo un’oretta sono andato via. Andrò comunque ogni tanto alle riunioni in futuro, da attivista, ma preferisco concentrarmi sul mio mandato di consigliere, fin che resterò in carica.

Invece, tra i miei contatti e i simpatizzanti del Movimento, tanta gente mi ha invitato a tenere duro; c’è chi mi prega di fare marcia indietro e di rimettermi in scia, chi vuole che resti nel M5S però a fare opposizione alla direzione che ha preso, chi vorrebbe che andassi avanti con le mie idee in un altro partito o addirittura che fondassi il mio. Ora, a me la politica piace molto, è un onore e una gratificazione, le ho dedicato otto anni della mia vita e potete immaginare come mi sento, tagliato fuori a un metro dal traguardo da un progetto politico di cui sono uno dei fondatori, in cui ho creduto sin dall’inizio e a cui ho contribuito credo ben più di tanta gente che ora si accinge a governare la città e l’Italia. Provare ad amministrare Torino mi piacerebbe, ma non dipende più da me: non si può fare politica nelle istituzioni senza il sostegno di un partito, e non si può fare politica tanto per starci dentro, indipendentemente dai contenuti.

Avrei infatti diverse critiche da fare su queste prime settimane di campagna elettorale del M5S a Torino; sul libro-manifesto, sul posizionamento politico, sullo stile di comunicazione, sul metodo di formazione della lista. Anche in giro per l’Italia vedo diverse cose che non mi convincono molto, dalla querelle di Bologna alla battaglia dei rifiuti di Livorno. Ma a quanto pare sono l’unico a non essere d’accordo, e, come avevo promesso, non voglio fare il vecchio ingombrante e brontolone; quindi, mi taccio, confermo la mia decisione e me ne sto per i fatti miei, limitandomi a qualche commento sulla mia bacheca.

Perché la politica, oggi, è questo. Non è discussione sul bene comune e mediazione tra interessi diversi; è guerra di propaganda, per cui tu devi scegliere una fazione e dire che ha sempre ragione, devi diffondere a macchinetta il materiale pensato da un professionista del marketing, devi allinearti al manovratore, a sua volta allineato a un manovratore più forte, e non contraddirlo mai. Tutto questo non è nel mio modo di essere, e non era questa la politica che volevo costruire.

So che in questo modo, alla faccia delle accuse di “poltronismo” che ho ricevuto in abbondanza da dentro il M5S, perderò delle occasioni personali; del resto, se dal 2006 il sottotitolo del mio blog è “come rovinarsi una brillante carriera in Italia” un motivo c’è. Ma se talvolta mi sento stupido o preoccupato per il futuro, alla fine credo che essere fedeli a se stessi sia l’unico modo di vivere con dignità.

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martedì 10 Novembre 2015, 11:46

Perché non mi ricandido

Domenica è stata una giornata importante; vi è stato l’annuncio della candidatura di Appendino a sindaco per il M5S, e il mio annuncio di lasciare la politica attiva a fine mandato. Ho cercato di fare il mio annuncio in maniera trasparente all’inizio della campagna, limitando al minimo la polemica e accompagnandolo a frasi positive; eppure, un gruppo di attivisti è apparso in massa sul mio profilo per accusarmi pubblicamente di essere un bugiardo e di non aver riportato correttamente le ragioni e le modalità della scelta, il che poi ha provocato le telefonate dei giornalisti per chiedere “scusi ma lei è un bugiardo?” e le conseguenti polemiche anche sulla stampa, che potevano tranquillamente essere evitate se mi avessero risposto semplicemente “grazie e arrivederci”.

Comunque, visto che non sono un bugiardo e visto che ho ricevuto molte domande sul perché e per come delle mie scelte, ho scritto questo post per spiegare tutto per bene a chi fosse interessato, sperando che sia l’ultimo e che si possa poi voltare pagina.

Premetto che credo di essere stato un buon consigliere comunale; tutto è sempre migliorabile, specie col senno di poi, ma in questi anni ho presentato centinaia di atti, ho affrontato in modo costruttivo i piccoli e grandi problemi di tanti cittadini e comitati, e sono il consigliere comunale più presente di tutta la Sala Rossa, sia dall’inizio del mandato che nell’anno 2015 (vedi i dati sulle presenze qui sotto e anche la mia relazione di metà mandato).

C’è tuttavia una parte del Movimento 5 Stelle di Torino che non condivide questo giudizio; non starebbe a me dirlo e chi vuole potrà spiegarlo meglio, ma le critiche che mi vengono fatte sono tipicamente queste:
1. essere poco aggressivo nei miei interventi, urlare troppo poco in aula, lavorare troppo sull’attività istituzionale e troppo poco a trovare e montare scandali per attaccare Fassino;
2. essere troppo poco allineato al partito, raccontare in rete troppo delle nostre discussioni interne, criticare troppo spesso in pubblico i parlamentari e le scelte del Movimento;
3. essere troppo poco “progressista”, aver preso posizioni troppo “conservatrici” su temi come la chiusura dei CIE, la concessione della residenza ai profughi, le occupazioni e così via.

Io ritengo queste critiche immotivate e in buona parte anche non coerenti con quello che voleva essere il Movimento 5 Stelle almeno alle origini, con il “nè di destra nè di sinistra” e con le promesse di trasparenza e partecipazione; e penso che un giudizio sul mio mandato dovrebbe essere espresso dai cittadini e non solo dal partito.

Eppure, per questa situazione, negli ultimi due anni ho portato avanti il mio mandato abbastanza da separato in casa, con periodi più o meno tesi ma certamente senza grande serenità e con ripercussioni anche sulla vita personale. Più volte sono state chieste le mie dimissioni anche da parte di altri eletti, ho subito un tentativo di cacciarmi dalla carica di capogruppo e sostituirmi con Appendino (finito nel nulla quando chiesi di renderlo pubblico e di votare sul portale), un processo politico a livello provinciale con successivo provvedimento disciplinare, persino una mezza aggressione in piazza da parte di un attivista un po’ agitato.

Nonostante questo, io non ho mai voluto abbandonare il M5S e dimettermi, perché credo che l’unità sia un requisito fondamentale per scalzare il sistema, e che per essa sia necessario accettare anche le penalizzazioni personali; non ho nemmeno mai reso pubbliche molte delle cose che ho subito.

Siamo così giunti alla nuova campagna elettorale e in particolare alla scadenza fissata per proporsi come candidato sindaco, il 4 novembre; in una situazione peraltro un po’ strana, visto che la candidatura di Appendino a sindaco era già stata ufficializzata a livello nazionale in un articolo del Fatto Quotidiano del 28 ottobre. Come capogruppo uscente e ex candidato sindaco sarei comunque stato il candidato più ovvio, come è stato per Bono in Regione, ma mi sono reso conto da solo e da molto tempo che la mia candidatura avrebbe spaccato il movimento, portando a una votazione da cui, qualunque fosse stato l’esito, il movimento sarebbe uscito diviso.

Per questo motivo, io ho deciso di fare un passo indietro, di non presentarmi alle selezioni interne e di sostenere Appendino come candidato sindaco, non solo per le sue capacità e il suo appeal mediatico, ma perché riscuote il massimo gradimento interno anche a livello regionale e nazionale. L’ho detto anche pubblicamente già dalla scorsa estate, quando i giornalisti hanno cominciato a chiedermelo, pur non rinunciando a criticare una evidente deriva a sinistra che non condivido.

Ho deciso anche di non ricandidarmi a consigliere comunale, anche se penso che sarei rieletto senza problemi, per diversi motivi: sia perché dopo cinque anni non ho voglia e motivazioni per rifare la stessa cosa per altri cinque, sia per non incollarmi alla poltrona e lasciare ad altri la possibilità di fare la stessa esperienza (comunque bellissima) che ho fatto io, sia perché non me lo posso permettere dal punto di vista lavorativo; per fare seriamente il consigliere comunale ho lasciato il mio lavoro, accettando di guadagnare la metà di prima e di rimanere con cinque anni di buco per la pensione; questi sacrifici non sono sostenibili per altri cinque anni, e inoltre, se già sarà difficile rientrare nel mondo del lavoro adesso a 41 anni, non oso immaginare come sarebbe a 46.

Mi rendo però conto di essere comunque, per il nostro elettorato e per tutti i cittadini e i gruppi che hanno lavorato con me in questi anni, una figura di riferimento importante per la credibilità del Movimento 5 Stelle. La difficoltà della nostra proposta per le elezioni comunali sarà convincere i torinesi di essere davvero in grado di amministrare bene una città di un milione di abitanti con un sacco di problemi, e mi sembra più difficile farlo senza avere a bordo le uniche due persone che hanno idea di prima mano di come funziona il Comune di Torino, ossia io e Appendino.

Per questo motivo, nell’annunciare in riunione la mia rinuncia alla candidatura a sindaco, ho fatto un’altra proposta. Credo che sarebbe stata la cosa migliore per il Movimento, per dimostrare unità e rassicurare tutte le anime del nostro elettorato, presentare da subito oltre al candidato sindaco Appendino anche Bertola come futuro vicesindaco, mettendo da parte tutti gli screzi del passato, dimostrando unità e lavorando insieme in squadra per conquistare Torino. Per me sarebbe stata una opportunità stimolante per mettere a frutto le mie capacità e l’esperienza di questi cinque anni, e motivarmi a fare un secondo mandato in politica prima di tornare alla vita normale.

Credevo che si trattasse di una proposta ovvia, ragionevole e fatta nell’interesse del Movimento e mi aspettavo che potesse avere il consenso di tutti. Purtroppo, la proposta è stata invece respinta; dopo una lunga e tesa discussione in cui è stato detto un po’ di tutto, tra persone che mi hanno difeso a spada tratta, altre che volevano apertamente scaricarmi e mi hanno accusato di “poltronismo”, e molte che comunque mi stimano ma volevano evitare lo scontro, l’assemblea ha deciso a grande maggioranza di non decidere e di rimandare la questione a dopo le elezioni.

La stessa Appendino non ha speso alcuna parola a sostegno della mia proposta, anzi ha spiegato di avere altre idee in merito alle nomine di vicesindaco e assessori, da fare comunque dopo il voto; e molti dei suoi sostenitori hanno ribadito che tali nomine saranno comunque di sua esclusiva pertinenza e basate sulla sua fiducia personale. Per cui, magari dopo le elezioni io potrei essere nominato vicesindaco o assessore o consigliere d’amministrazione o chissà che altro, ma il mio problema non è mai stato quello di avere garantita una nomina, quanto piuttosto quello di capire che tipo di progetto politico si volesse presentare e se il Movimento, dopo anni di critiche nei miei confronti, avesse ancora sufficiente fiducia in me, una fiducia di cui il peso di una eventuale nomina è il simbolo e non lo scopo.

Essendo stata bocciata l’idea di un progetto politico di squadra, in cui fossero rappresentate sia l’anima di sinistra che quella populista del Movimento, per presentare invece un progetto tutto centrato sulla persona del candidato sindaco e disegnato per guardare da una parte sola, e avendo ricevuto in assemblea attacchi personali pesanti proprio da persone molto vicine ad Appendino senza essere stato difeso, e nessun atto concreto di stima ma un “lavora e dopo le elezioni valuteremo il tuo curriculum”, non posso che prendere atto di una situazione insostenibile e fare l’ultimo favore che posso al Movimento, ovvero chiamarmi fuori da subito lasciando Appendino libera di farsi la sua campagna elettorale senza che le chiedano ogni cinque minuti cosa farà Vittorio Bertola, e senza che la mia nota antipatia per le occupazioni e l’immigrazione incontrollata pregiudichi il suo dialogo con certi ambienti della città.

Declino anche, pur ringraziando, la proposta fattami da diversi attivisti in questi giorni, cioè quella di candidarmi a consigliere anche se non lo voglio fare, per poi dimettermi subito dopo il voto per fare qualcos’altro se vinciamo o per lasciare la politica se perdiamo: mi sembra una presa in giro verso gli elettori.

In fin dei conti, io sono un cittadino in servizio civile temporaneo che ha creduto nel progetto originario di Grillo, quello (per chi se lo ricorda ancora) del “dipendente dei cittadini a tempo determinato”; non ho mai pensato di fare politica per tutta la vita. Mi appresto pertanto a ritornare un semplice attivista; finirò gli ultimi mesi di mandato e continuerò a contribuire al buon andamento di questa campagna, pur difendendo la mia visione delle cose e non condividendo l’impostazione politica di fondo. Nel frattempo, comincio a ragionare sulle mie opportunità lavorative a partire dalla prossima primavera (si accettano proposte).

In conclusione, vorrei ringraziare quegli attivisti che in assemblea, pur di fronte a un ambiente in parte ostile che comprendeva anche consiglieri regionali e parlamentari, non hanno avuto paura di dichiarare il loro sostegno per la mia proposta.

E poi, vorrei ringraziare di cuore ancora una volta tutti i cittadini che mi hanno seguito, sostenuto e incoraggiato in questa avventura politica. Senza di voi, avrei probabilmente già lasciato molto tempo fa. Molte delle emozioni che mi avete fatto vivere resteranno indelebilmente nella mia memoria e nel mio cuore, e spero di avere ancora l’opportunità di servire il bene comune, i cittadini e l’Italia, in altre forme e in altri modi nel futuro.

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giovedì 15 Ottobre 2015, 13:59

Per un governo a cinque stelle

Sabato e domenica anch’io sarò a Imola per la seconda edizione di Italia 5 Stelle. Avremo uno spazio nello stand del Piemonte e sarà una buona occasione per incontrare vecchi e nuovi amici; e anche per discutere di un tema importante come quello del Movimento 5 Stelle al governo.

L’anno scorso avevo osservato (scatenando un mezzo polverone mediatico, e francamente non si capisce perché il minimo commento debba sempre essere preso per un attacco) che gli spazi di discussione dal basso erano ridotti, con tutta l’attenzione concentrata sul palco; sembra che mi abbiano ascoltato, perché quest’anno sono stati introdotti un paio di spazi agorà che dovrebbero ospitare dibattiti su vari temi, anche se il programma ufficiale ancora non c’è. Cercherò di partecipare dove ho qualcosa da contribuire, ma è evidente, secondo me, che le questioni che attendono il Movimento 5 Stelle, per passare definitivamente da forza di sola opposizione a forza principale di governo del Paese, sono altre e solo in piccola parte sono legati a temi specifici.

Il M5S, negli ultimi due anni, ha iniziato un radicale cambiamento di pelle. Spesso il cambiamento è in meglio; abbiamo ormai parecchi sindaci anche di città di media dimensione, che stanno accumulando una esperienza amministrativa importante per tutti; abbiamo dismesso in gran parte il velleitarismo e la caccia allo scontrino, facendo emergere capacità e credibilità, con diverse persone di valore nazionale. In peggio, ci sono le spinte derivanti da tutti i difetti degli italiani; nella base, ci sono troppi attivisti interessati soprattutto al selfie con Di Battista e al tifo acritico per il Movimento; tra gli eletti, ci sono anche quelli che si sono fatti i propri interessi, quelli che si sono fatti ridere dietro per ignoranza e complottismo, e quelli che si sono montati un po’ troppo la testa, comportandosi sul territorio come se ci fosse una gerarchia con loro a capo.

Restano, dunque, dei problemi irrisolti. Il primo è quello della selezione di una classe dirigente capace, che possa convincere la grande quantità di italiani che non sono convinti di nessun partito o che disprezzano la politica tout court; è il loro voto a decidere le elezioni. Finora, capaci, incapaci e così-così sono emersi più o meno per caso; non esiste un metodo consolidato per scoprire talenti e competenze tra gli attivisti e aiutarli ad emergere nella normale competizione per l’elezione o nelle selezioni, ancora completamente prive di regole, per le posizioni di staff; e non esiste un metodo consolidato per valutare il lavoro degli eletti, e magari per creare un processo in cui le persone, ora che ne abbiamo il modo, facciano una prima esperienza nelle istituzioni a livello locale e soltanto dopo, una volta provati, possano accedere a quello nazionale.

In mancanza di un metodo chiaro e condiviso, ogni deriva è possibile; anche la scorciatoia del “candidiamo Di Battista sindaco di Roma”, che io non condivido, riflette l’esigenza di organizzare i percorsi personali dei nostri attivisti ed eletti per massimizzare le probabilità di avere le persone giuste al posto giusto nel momento giusto. Se non lo si fa in maniera intelligente, difendendo principi sacrosanti come quello di fare politica per un tempo limitato e non come professione a vita, o quello di avere eletti che siano portavoce dei cittadini e della rete e non quadri di una gerarchia o leader da applaudire, il rischio è che prima o poi prevalgano le naturali ambizioni di molti e si arrivi a un liberi tutti, con la competizione scomposta e non meritocratica che già vediamo nei partiti; o che si perdano elezioni per mancanza di candidati adatti.

Il secondo problema irrisolto è quello del posizionamento politico, e direi pure sociale. Se vuole governare, il Movimento deve continuare a penetrare nel cuore della società, nelle varie professioni, nelle reti; siamo partiti dal voto dei giovani, degli outsider e delle fasce più deboli, ma dobbiamo arrivare anche alla testa delle categorie più illuminate, a quelle che per cinquant’anni si sono organizzate per sostenere questo o quel partito e che ora ne sono deluse.

Inoltre, il Movimento deve contenere e allontanare gli estremisti di tutti i tipi; i fascisti e i centri sociali, i razzisti e i buonisti ad oltranza, i maschilisti e le femministe, i leoni da tastiera e i forcaioli di ogni genere. Sui temi più ideologici e delicati bisogna praticare e difendere la concretezza, ricordando che il datore di lavoro del Movimento è l’elettore italiano in tutte le sue sfaccettature, e che la politica esiste per risolvere i problemi della gente e non per educarla o farle la morale.

Per arrivare davvero a governare, battere i pugni sul tavolo e gridare allo scandalo non basta; la nostra onestà è ormai comprovata, e a parte qualche troll nessuno la mette in dubbio; i toni esasperati non ci aiutano più. I dubbi nell’affidarci il governo, quelli che hanno portato diciotto mesi fa a un plebiscito per Renzi quando sembrava che potessimo vincere, sono legati alla paura che oltre all’onestà, sotto le grida, non ci sia niente. E’ il momento della costruttività, della pacatezza, dell’italiano corretto, del curriculum credibile e dei fatti. Di Maio piace perché è tutto questo; e, se davvero vogliamo governare, la sfida è trovare altre decine e centinaia di Di Maio per fargli fare il ministro, il sindaco o l’amministratore in posizioni di responsabilità.

Ecco, questo è il contributo di pensiero che volevo dare in vista della festa di Imola, e spero proprio che, sul posto e in rete, ci sia il modo di parlarne tutti insieme.

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domenica 20 Settembre 2015, 10:44

Quello che fa paura

Il razzismo mi fa paura, l’ignoranza mi fa paura, la rabbia latente mi fa paura. Ma la cosa che mi fa più paura degli italiani è la facilità con cui si fanno manipolare dai mezzi di comunicazione per trovare subito qualcuno a cui accollare una colpa.

Gli piazzano sotto il naso la foto del Colosseo chiuso, gli scrivono tre titoli indignati sugli statali fannulloni, e alé: sdegno generale! licenziamoli tutti, oppure obblighiamoli a lavorare col fucile puntato, ai lavori forzati trascinando la palla di ferro alla caviglia! Ma magari c’era un motivo valido per quella protesta, magari la responsabilità è invece di chi pur preavvisato a norma di legge e ben pagato per farlo non ha saputo gestire la situazione, o risolvere prima il problema.

Gli fanno vedere una stronza che fa lo sgambetto al profugo, aggiungono due editorali sdegnati di qualche trombone a cottimo, tirano fuori un paragone storico appositamente selezionato (tipo: ma sessant’anni fa erano loro i profughi!), e alé: ungheresi nazisti! non fanno niente per i profughi, li scaricano tutti a noi, egoisti, cacciamoli dall’Europa! Peccato (ma questa informazione nessuno la riporta) che l’Ungheria nel secondo trimestre 2015 ha accolto e ospitato, in proporzione alla popolazione, tredici volte più profughi dell’Italia; davvero gli possiamo fare la morale?

Di storie così ce n’è un continuo (un’altra: quella del tassista che odia i disabili, che poi è venuta fuori essere in buona parte un equivoco legato al rifiuto dei buoni taxi comunali e non del cliente disabile). Sono tutte notizie che partono da un fondo di verità, ma che lo raccontano ingigantendo le cose a vantaggio di una parte sola, ed evitando accuratamente di riportare le ragioni dell’altra – se non, magari, due giorni dopo in un articoletto che nessuno leggerà. E la gente va dietro all’ondata di sdegno del momento, invece di cercare di capire le cose davvero, da tutti i punti di vista, e valutare se veramente l’interpretazione così netta offerta dai media è giustificata (magari sì, magari no), e provare a immaginare soluzioni costruttive ai problemi, che possano tener conto delle esigenze di tutti.

Che poi sarebbe anche il compito della politica, invece di passare il tempo a cavalcare lo sdegno e montare scandali su qualsiasi cosa per buttare fango addosso agli avversari; e questa è una responsabilità che dobbiamo prenderci tutti noi che la facciamo, specialmente chi, come il Movimento 5 Stelle, vuole dimostrare di saper affrontare e risolvere i problemi per poter governare.

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mercoledì 2 Settembre 2015, 16:30

Il razzismo delle porte aperte

Come ricorderete, nel mese di luglio ho dedicato al tema dei profughi quattro post pieni di dati e informazioni utili, cercando di promuovere una discussione su come si potesse oggettivamente affrontare un problema così complesso e difficile. Ecco, effettivamente la discussione poi è partita, ma non certo nel modo in cui avrei voluto; alcune riflessioni su come gestire solo uno degli aspetti della questione – quello relativo alle persone che non hanno diritto all’asilo politico – sono state pubblicate sul blog di Grillo, suscitando un bel vespaio, ma soprattutto dando l’impressione che tutta la mia capacità di riflessione sul tema finisse lì; e provocando inoltre accuse di “razzismo” e “leghismo” verso Grillo e verso di me.

Ora, io non sono razzista e ci tengo a non essere confuso con chi veramente lo è, per cui, contrariamente alle mie intenzioni iniziali e nonostante ci siano diversi altri temi altrettanto importanti da affrontare, mi vedo costretto a usare questi giorni di fine estate per mettere nero su bianco alcune ulteriori riflessioni sull’argomento, precisando che si tratta di valutazioni personali all’interno di una discussione in cui il Movimento 5 Stelle è meno diviso di quanto sembri – io, per esempio, condivido i sette punti espressi già da mesi dai parlamentari – ma che inevitabilmente sta impegnando un po’ tutti.

Le quattro proposte riportate dal blog di Grillo, peraltro, sono semplicemente logiche se si parte dal principio di voler gestire il fenomeno. A meno che non si voglia accogliere chiunque si presenti alle porte dell’Italia indipendentemente da provenienza e motivazioni, tra gli aspiranti immigrati ci saranno sempre alcune persone che hanno diritto all’accoglienza (a partire dai veri rifugiati e profughi di guerra, che però sono solo, dai nuovi dati del primo semestre 2015 rilasciati ufficialmente dal Ministero dell’Interno, circa un quarto del totale) e altre che non ne hanno diritto; per cui c’è bisogno di accogliere meglio chi rimane in Italia, velocizzando la trattazione delle domande di asilo e favorendo l’integrazione, ma anche di rimandare indietro chi non può rimanere.

Questo è ciò che fanno tutti gli Stati del mondo, compresi gli stessi stati africani: su Wikipedia potete leggere della decennale lotta del Ghana contro l’ingresso di clandestini nigeriani e maliani. Se mai, si può e si deve discutere di chi ammettere e chi respingere; ma non si può mettere in dubbio l’esistenza stessa di un sistema di rimpatri forzosi.

Lo dice anche la Lega? Ben venga, ma c’è una differenza fondamentale: la Lega passa tutto il tempo ad insultare i clandestini, ad agitare spettri di invasioni e di delinquenza generalizzata (esistono gli immigrati che delinquono e vanno gestiti, ma sono una piccola parte); spesso coprendo, lì sì, del vero e proprio razzismo.

Io invece non ho nulla contro chi cerca di venire in Italia per trovare un lavoro, non mi ritengo superiore né sotto attacco, non ho nessun problema a convivere con persone straniere (se leggete il mio profilo scoprirete diverse esperienze internazionali di alto livello, Nazioni Unite comprese); solo, penso che fare una selezione all’ingresso sia necessario per noi e per loro, e prossimamente vorrei spiegarvi il perché.

Ma prima, permettetemi di rimandare al mittente le accuse di razzismo e anzi di far notare che, così come nelle posizioni restrittive c’è spesso del razzismo, anche in quelle favorevoli all’accoglienza ce n’è spesso altrettanto: non un razzismo aperto e buzzurro, ma un sottile razzismo paternalista.

Ci viene difatti detto che l’unica via per essere solidali e non razzisti è aprire le porte senza condizioni e accogliere chiunque dall’Africa (e, in misura minore, dal subcontinente indiano) voglia trasferirsi qui per motivi economici, senza nemmeno capire chi è e cosa vuol fare. Questa conclusione può essere raggiunta solo basandosi su alcune ipotesi implicite ma evidenti:

1) La peggior condizione di vita in Europa, anche schiavo raccoglitore di pomodori o disoccupato senzatetto che vive di espedienti, è comunque meglio di qualsiasi condizione di partenza in Africa.
2) La miglior soluzione ai problemi dell’Africa è trasferire il maggior numero possibile di suoi abitanti in Europa.
3) Se gli africani sono sottosviluppati, è tutta colpa degli europei e dei secoli di saccheggi e sfruttamenti che continuano anche oggi.
4) Visto che la colpa del sottosviluppo africano è degli europei, tocca agli europei garantire agli africani la sopravvivenza.

Le prime due asserzioni sono legate a una immagine distorta e mortificante dell’Africa, quella di un continente dove esistono solo bambini denutriti, capanne di fango e epidemie mortali, e per cui non ci può essere redenzione: l’Africa come inferno perpetuo da cui fuggire. In realtà, esiste anche un’altra Africa, fatta di città sempre più moderne e di grattacieli, e di tassi di sviluppo tra i più alti del pianeta, come il +7% della Nigeria o il +8,3% del Mozambico, contro il -0,2% dell’Italia. Ovviamente si parte da situazioni di ricchezza media molto più bassa (il reddito pro capite della Nigeria è un sesto del nostro e quello del Mozambico è un trentesimo), con tassi di povertà tra il 35 e il 70 per cento (l’Italia, comunque, è al 30%…); eppure, lo sviluppo dell’Africa non è soltanto possibile, ma è reale e sta già avvenendo.


Una vista del centro di Lagos, da Wikipedia.

In quest’ottica, allora, bisogna capire che cosa è davvero utile all’Africa: per esempio, servono i programmi di scambio per trasferire conoscenza, aiutando gli africani a studiare qui per poi tornare e creare sviluppo al loro Paese; e programmi di aiuto e di investimento diretto, che pure già esistono (solo tramite l’OECD nel 2014 sono transitati verso l’Africa 28 miliardi di dollari di aiuti bilaterali, ma si può fare molto di più).

Al contrario, prendere il maggior numero possibile di maschi dell’Africa sub-sahariana per portarli a fare gli schiavi qui, a svolgere lavori sottopagati o in nero sperando di risparmiare qualcosa da mandare alla famiglia, non solo non serve all’Africa, ma la impoverisce; la priva delle forze fisiche e intellettuali per sostenere il proprio sviluppo. E’, se ci fate caso, una nuova forma di colonialismo, in cui oltre alle materie prime si fa razzia anche di lavoratori; e non è poi così diversa dall’antica tratta degli schiavi, né per dinamiche di sfruttamento dei viaggi e delle persone una volta giunte da noi, né per mortalità negli spostamenti.

Del resto, gli stessi migranti vengono in Europa attirati dalla pressione combinata dei media e dei trafficanti di esseri umani, che promettono ricchezza facile e immediata. Diversi di loro, una volta giunti in Europa, dicono apertamente che è tutto molto diverso da come se l’erano immaginato, che restano per non subire la vergogna del ritorno a mani vuote, ma che se avessero saputo non sarebbero partiti (qui un articolo di esempio).

Le seconde due ipotesi sono altrettanto intrise di paternalismo bianco e di senso di colpa (un classico delle culture cattoliche) verso l’africano, trattato come un bambino scemo che non sarà mai in grado di difendersi o di decidere per se stesso, mentre l’italiano deve scusarsi anche solo di esistere. A parte che non ho scelto io di nascere italiano e dunque non capisco perché dovrei scusarmi o vergognarmi di esserlo, lo sviluppo dell’Africa e la redistribuzione a tutti gli abitanti della relativa ricchezza sono frenati proprio dal fatto che i popoli africani non hanno il pieno controllo delle proprie democrazie, in parte per l’interferenza continua delle nazioni europee, e in parte perché si scelgono (anche quando possono votare) governi corrotti e formati per dinamiche tribali, in cui una piccola elite vive in villoni di lusso alle spalle dei loro fratelli (non che gli italiani, peraltro, siano tanto più bravi a scegliersi governanti onesti).

Ora, l’interferenza delle nazioni europee si elimina smettendo di interferire, e non interferendo al punto da promuovere l’emigrazione di massa della popolazione; e il processo di maturazione democratica, come ci insegnano i fallimenti dei tentativi di “esportare la democrazia”, può avvenire solo in maniera endogena.

Io credo quindi che il modo corretto di relazionarsi con gli Stati africani sia da pari a pari, mettendosi a disposizione per aiutare ad eliminare la povertà sul loro territorio: il “piano Merkel” di cui parlava anche il blog di Grillo. Eppure, noi al momento abbiamo un premier che considera il presidente kenyano un tale incapace da presentarsi in visita ufficiale a casa sua, dentro il palazzo presidenziale, con un enorme e ben visibile giubbotto antiproiettile, come se in Africa si rischiasse la vita a ogni passo, persino nei momenti di massima solennità. E poi i razzisti saremmo noi del Movimento…

In conclusione, l’immigrazione è un fenomeno epocale, che già in passato ha segnato la Storia e che nessuno si illude di poter fermare solo con una legge o con un muro, ma che non si può nemmeno rinunciare a gestire, negli aspetti positivi come in quelli negativi. E’ un fenomeno che scuote le nostre società dalle fondamenta, perché ci costringe a pensare a che mondo vogliamo costruire, e a come renderlo prospero e pacifico. Proprio queste, quelle di alto livello e di lungo periodo, sono le vere questioni di cui dobbiamo dibattere urgentemente; e questo dovremo fare nel prossimo futuro.

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sabato 28 Febbraio 2015, 13:35

Un commento sulla Costituente di Firenze

Oggi a Firenze si tiene un incontro intitolato Verso la costituente a cui partecipano molti degli esponenti e dei gruppi cacciati o fuoriusciti dal M5S negli ultimi mesi, con l’obiettivo di costituire qualcosa che possa rappresentare il “dopo M5S” per tutti quelli che ne sono usciti.

Alcuni giorni fa mi hanno invitato a partecipare o a mandare un videomessaggio, ma ho detto di no senza esitazioni, primo perché sono tuttora dentro il M5S che rappresento in una carica elettiva e che continuo a cercare di riportare su una strada più convincente, e secondo perché capisco chi si trova privo di una casa politica e volendo continuare l’attivismo deve costruirsene una nuova, ma tra i partecipanti ci sono anche persone ex M5S che hanno tradito ogni impegno etico preso in precedenza, e nessun nuovo progetto è credibile se accoglie tra gli applausi questo genere di persone.

I problemi del M5S sono sotto gli occhi di tutti e io li denuncio apertamente da tempo, ma questo non vuol dire che si debba buttare via quanto di buono il M5S ha fatto, che è molto. Non ha senso costruire una forza politica di opposizione ma in opposizione anche al M5S, vorrebbe dire solo frantumare il fronte anti-sistema a vantaggio dei partiti di governo.

Ha senso, invece, capire come andare “oltre il M5S”, oltre i limiti che ha dimostrato, costruendo qualcosa di più grande che tenga insieme il M5S – i “grillini” ancora convinti e la cospicua fetta di Italia che tuttora rappresentano – con l’altrettanto cospicuo mondo delle persone che non rivoterebbero il M5S o che non l’hanno mai voluto votare, ma che potrebbero votare un progetto serio di alternativa all’attuale classe dirigente che offrisse al proprio interno scelte aggiuntive rispetto al grillismo ortodosso, con la garanzia di poterlo tenere a bada nei suoi eccessi.

Questo richiede un grosso sforzo di tutti, sia di chi è ancora dentro il M5S (a partire dai capi politici, Casaleggio e Di Maio) che di chi ne è uscito o non ne ha mai fatto parte, ma è l’unica strada che può condurre alla vittoria; né il M5S in splendido isolamento, né i ventilati nuovi partiti di fuoriusciti, di ex sinistri al decimo tentativo o di intellettuali in poltrona, possono riuscirci da soli.

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venerdì 23 Gennaio 2015, 17:04

L’ipocrisia della politica pulita

Dal Partito Democratico ci arriva la proposta di far aderire la Città, tramite un voto del consiglio comunale, alla Carta di Avviso Pubblico – Codice etico per la buona politica.

Si tratta di un documento realizzato da una associazione di enti locali presieduta dal sindaco di Grugliasco, che contiene una lunga e dettagliata serie di impegni per il pubblico amministratore in termini di trasparenza, conflitti di interessi, nomine, pulizia della fedina penale eccetera; con la clausola che la carta sarebbe vincolante solo per i consiglieri che votano a favore, mentre chi non vuole prendersi l’impegno può uscire dall’aula o astenersi.

Io non ho problemi a sottoscrivere su due piedi l’intero documento, che mi sembra pieno di buoni precetti che il Movimento 5 Stelle in gran parte già attua da anni, ma l’idea di approvarlo in consiglio comunale mi sembra estremamente ipocrita, visto che solo nella maggioranza, tra PD e Moderati, ci sono:

  • un consigliere rinviato a giudizio (se ben ricordo per truffa) nell’ambito delle inchieste sui rimborsi allegri dei consiglieri regionali, e che quindi ai sensi dell’articolo 21 del documento dovrebbe dimettersi immediatamente;
  • un consigliere che ha patteggiato una condanna per finanziamento illecito ai partiti, e che quindi pure lui, per lo stesso articolo, dovrebbe dimettersi immediatamente;
  • un consigliere che cumula le due cariche di consigliere comunale e consigliere regionale, in violazione dell’articolo 6 del documento.

E questi sono solo i primi che mi sono venuti in mente, senza nemmeno considerare le minoranze.

Allora non capisco: se i consiglieri della maggioranza credono in questo documento, dovrebbero innanzi tutto chiedere ai propri colleghi che lo violano di dimettersi, come è obbligatorio fare in base all’articolo 22 per chiunque sottoscriva la Carta, e al proprio partito di adottare queste norme impedendone la ricandidatura.

Se no, quella del PD mi sembra una iniziativa estremamente ipocrita, tanto per fare bella figura sbandierando dei principi che vengono violati il giorno stesso dal loro stesso partito e dai loro stessi compagni, oltre che, sul piano umano, una cattiveria di una parte della maggioranza contro i propri stessi colleghi, i quali dovrebbero scegliere tra votare (ancora più ipocritamente) un documento che non rispettano, oppure essere additati pubblicamente come “politici sporchi”.

Poche cose mi fanno arrabbiare come l’ipocrisia della politica italiana; io credo quindi che i partiti dovrebbero farsi un esame di coscienza e decidere una volta per tutte da che parte stare. Se credono nella “pulizia della politica” così come emersa dal dibattito pubblico degli ultimi anni, allora invece di far finta di adottare questo genere di principi li applichino davvero al proprio interno, senza ritardi, senza sconti e senza tante cerimonie. Altrimenti, perlomeno abbiano la decenza di stare zitti.

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venerdì 16 Gennaio 2015, 13:39

Il social housing e l’assistenza ai poveri

Il tema dell’accesso a una casa, necessità primaria per sopravvivere, è a Torino sempre più attuale, a fronte delle migliaia di sfratti ogni anno. Noi ce ne siamo occupati continuamente in questi anni, presentando in aula proposte concrete, che escano dagli schemi ideologici e possano dare delle soluzioni immediate; purtroppo non ci hanno dato molto ascolto.

A fronte della scarsità di risorse delle casse pubbliche, negli ultimi anni si sta affermando una nuova soluzione per l’assistenza immediata a chi perde la casa: quella del social housing. Esistono molte diverse interpretazioni di questo termine, ma generalmente si tratta di iniziative in cui un ente benefico privato contribuisce a mettere in piedi un edificio in cui sia possibile offrire spazi a prezzo convenzionato a chi non riesce più a pagare l’affitto, sia per breve che per medio termine, ma in cui abitino anche altre persone (spesso studenti o lavoratori fuori sede) che pagano il prezzo pieno.

In questo modo, le rette di chi può pagare il prezzo più alto sovvenzionano in parte anche le spese delle famiglie bisognose, e inoltre si crea un ambiente sociale misto in cui i diversi ospiti possono aiutarsi a vicenda, e questo può aiutare anche le famiglie bisognose a trovare vie d’uscita dalla condizione di bisogno; gli spazi comuni vengono condivisi, utilizzati per servizi (dal medico alla mensa alla sala studio) e spesso messi a disposizione anche del quartiere circostante.

Non di rado, comunque, è anche il Comune a finanziare e sfruttare queste iniziative, stipulando convenzioni con cui paga il costo di una parte delle camere e dei miniappartamenti che vengono poi destinate alle famiglie senza casa, tipicamente come “soluzione ponte” nel periodo tra lo sfratto e l’ottenimento di una casa popolare dall’ATC, ma anche per altre emergenze in cui in passato il Comune sistemava le persone in albergo, una soluzione generalmente più costosa e meno dignitosa; per esempio, gli sfollati di strada della Verna sono finiti in blocco nel social housing di via Ribordone.

A Torino le esperienze sono ormai parecchie. C’è Buena Vista, all’interno di una delle palazzine dell’ex MOI, realizzato da un raggruppamento di molte note associazioni e cooperative sociali torinesi; e c’è Luoghi Comuni, realizzato dalla Compagnia di San Paolo in piena Porta Palazzo. C’è DORHO, intitolato a don Orione e promosso dalla Caritas Diocesana in una struttura già esistente di corso Principe Oddone, e c’è Sharing, realizzato in un ex immobile delle Poste di via Ribordone poi passato alla Cassa Depositi e Prestiti e ristrutturato grazie a 14 milioni di euro della Fondazione CRT, e che nei prossimi anni raddoppierà con un progetto simile ristrutturando a tale scopo la Cascina Fossata.

Il Comune, di suo, non avrebbe mai avuto le decine di milioni di euro necessarie per mettere in piedi queste strutture; e anche se il modello in cui dal welfare pubblico si ritorna alla beneficenza privata sa di ritorno all’Ottocento, anche se indubbiamente queste iniziative sopravvivono anche grazie a buoni rapporti con la politica e/o i poteri forti della Città, bisogna comunque dire “meno male che ci sono”.

D’altra parte, qualcosa è cambiato anche nel rapporto tra le istituzioni e quella fetta di città che non ha niente e vive di assistenza. Fino a due o tre anni fa, per esempio, le case venivano anche date gratis; adesso, anche per chi ufficialmente ha reddito e patrimonio zero, l’ATC richiede un affitto minimo di 40 euro al mese.

Il Comune, per queste soluzioni temporanee, richiede lo stesso canone che chiederebbe l’ATC. Gli assistiti versano così al Comune circa 18.000 euro l’anno a fronte di una spesa di circa 400.000, ma quello che conta è il messaggio; nessuno può più vivere completamente di assistenza, sedersi lì e pensare che tutto gli sia dovuto.

In questi anni, infatti, ho imparato che l’assistenza ai poveri va fatta con la testa. E’ molto facile, difatti, farsi trascinare dall’emozione e dalla pietà per persone che perdono la casa o il lavoro, ma non sempre dare a tutti ciò che chiedono è la soluzione giusta. Per ogni persona povera che occupa una casa ATC o vi si barrica dentro per non esserne cacciata avendo perso i requisiti, ce n’è una ancora più povera che aspetta in silenzio il suo turno per avere la casa a cui ha diritto; e a fronte di un inquilino che non può più permettersi di pagare l’affitto e cerca di bloccare lo sfratto con la forza, può esserci non un cattivo proprietario speculatore immobiliare coi miliardi in banca, ma un comune cittadino della ex classe media che ha investito in una seconda casa da affittare i risparmi di una vita e che se non riceve regolarmente l’affitto non sa come pagare le spese e i mille euro di IMU che gli chiede il Comune.

Gli stessi dirigenti comunali ci raccontavano che ogni giorno arriva qualcuno negli uffici a battere i pugni sul tavolo, convinto che gridando più forte o facendo una sceneggiata potrà scavalcare le graduatorie o ottenere ciò a cui non ha diritto, e che non di rado sono costretti a chiamare la forza pubblica per difendersi. Aggiungo io che questi sono i risultati di decenni di assistenzialismo a fondo perduto e di collusioni con la politica, in quanto spesso l’assistenza è stata concessa essenzialmente per “intercessione” del politico di turno in cambio di voti, al di là delle effettive necessità; e quindi, molti si sono abituati a chiedere con insistenza per avere (ci provano anche con noi).

Per questo, anche se cacciare da una casa popolare qualcuno che non ha 40 euro al mese può sembrare a prima vista una cattiveria, alla fine promuovere la responsabilità e l’iniziativa di chi è in difficoltà, mettendolo piuttosto in ambienti sociali che gli diano l’opportunità di crescere e di tirarsene fuori, è più opportuno che scaricare tutto all’infinito sulle casse pubbliche, magari in quartieri-ghetto senza prospettive. Almeno, questa è la mia opinione e mi piacerebbe sentire la vostra.

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mercoledì 24 Dicembre 2014, 12:10

Ciao, sono B. il capo politico

Ciao, sono Silvio Berlusconi, il capo politico del nostro movimento orizzontale senza leader.

So che ultimamente molti attivisti ed elettori sono delusi dalla mancanza di coinvolgimento della base, dalla confusione dovuta alle non-regole del movimento, dalle continue espulsioni e abbandoni e da alcune decisioni autoritarie, per cui ho deciso d’autorità di sostituire il vecchio “non Statuto” con un nuovo “regolamento”, con una mossa che sicuramente farà contenti tutti (se qualcuno scrive il contrario è un giornalaio venduto al regime), ma intanto io la annuncio alle sei di sera dell’antivigilia di Natale, per garantire maggiore partecipazione e informazione.

Il principale cambiamento è questo: mentre prima per cacciare un parlamentare dovevo ottenere prima l’approvazione dell’assemblea dei parlamentari e poi quella della rete, adesso potrò cacciarlo di mia volontà senza preavviso, e l’espulsione avrà effetto immediato dal momento in cui lo decido io. Se però il parlamentare non si rassegnasse a essere cacciato, potrà andare sul mio sito Web e usare il modulo “Contattaci”, che notoriamente non legge mai nessuno, per inviare una formale protesta.

In tal caso, la sua situazione sarà riesaminata da un “comitato di appello” di tre persone, di cui una nominata dal comitato direttivo del nostro movimento orizzontale senza leader, di cui fino a ieri ignoravate l’esistenza e che comunque è stato creato solo per via delle vergognose leggi imposte contro di noi da quei comunisti che ci governano; comunque, i membri del comitato direttivo, da me decisi, sono: Silvio Berlusconi, Marina Berlusconi, Niccolò Ghedini.

Gli altri due membri del “comitato di appello” saranno votati da voi, sì da voi, i cittadini di cui noi siamo solo umili e insignificanti portavoce. Per favorire la partecipazione, il voto si terrà la vigilia di Natale, dalle 10 alle 19, come preavvisato la sera prima. Però non potete scegliere proprio chiunque, eh! I nomi tra cui potete scegliere sono: Sandro Bondi, Renato Brunetta, Daniele Capezzone, Gianni Letta, Elio Vito. Scegliete chi volete, è una grande prova di democrazia in rete!

Ah, dimenticavo: se i nomi usciti dalla votazione di cui sopra non vi piacciono, potete girare per l’Italia cercando casa per casa uno per uno gli iscritti alla piattaforma, il cui elenco è ignoto e certo non ve lo do, per raccogliere centinaia di firme che potete inviare alla mia casella postale, per fare una votazione in cui potete sostituire uno dei tre, basta che lo votino almeno un quinto degli iscritti; certo, nelle ultime votazioni l’intero totale dei votanti è stato più o meno pari a un quinto degli iscritti, quindi è sostanzialmente impossibile farcela; ma anche se ce la faceste, comunque gli altri due membri sono quelli indicati da me, quindi avrò sempre la maggioranza.

Comunque, se il comitato di appello concorderà sul fatto che quel parlamentare che mi sta sui coglioni è uno stronzo da cacciare subito, non ci sarà più nessun voto in rete: basta che io e i miei fedelissimi del comitato d’appello siamo d’accordo e possiamo cacciare chiunque su due piedi.

Se queste regole non vi piacciono, tuttavia, potete modificarle: basta girare l’Italia casa per casa ecc. ecc., e poi ottenere il voto favorevole di due terzi degli iscritti; certo, non vi è mai stata nessuna votazione online in cui anche solo il numero dei votanti fosse pari a due terzi degli iscritti, ma è un dettaglio insignificante. Del resto, noi siamo per la democrazia partecipativa e i referendum senza quorum, perché il quorum è uno strumento usato dai politici bastardi per togliere potere agli onesti cittadini! E’ per questo che per modificare le nostre regole serve un quorum altissimo.

Avete chiesto delle regole? Tié, beccatevi queste. Ora però non perdiamo altro tempo! C’è da salvare un Paese, e di fronte a questo le questioni di democrazia sono quisquilie e chi le pone è un traditore che ostacola la nostra corsa verso il potere. Sostituiremo il vecchio regime autoritario e corrotto con un nuovo regime autoritario, ma per la corruzione non preoccupatevi: se abbiamo imparato ad essere autoritari e intolleranti come i partiti, nulla ci impedisce più di imparare anche il resto.

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