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Archivio per la categoria 'SinchËstèile'


venerdì 7 Marzo 2014, 12:13

La mia relazione di metà mandato

Tra un paio di mesi, saranno tre anni da quando ho iniziato a svolgere per voi il lavoro di consigliere comunale. Avendo dunque superato già da un po’ la metà del mio mandato, mi è parso giusto fermarmi un attimo e – come già avevo annunciato durante la recente serata di valutazione semestrale dei consiglieri, di cui vedete sopra il video – fare il punto su tutto il lavoro che ho fatto, in termini qualitativi e quantitativi.

Pensavo che sarebbe stata sufficiente qualche pagina, ma alla fine ne è venuta fuori una relazione di 56 pagine che sono lieto di pubblicare; penso fosse mio dovere farla, per rendicontare l’incarico che mi avete affidato. Vi invito almeno a sfogliarla; sono sicuro che scoprirete tante cose che abbiamo fatto senza nemmeno raccontarle, e che – come è già stato per me – la visione d’insieme vi farà venire in mente osservazioni e suggerimenti su come migliorare il lavoro per il futuro. E poi, se qualcuno vi dice che i consiglieri del M5S non fanno niente, potete senz’altro passargli questo documento.

Ovviamente, sono orgoglioso di aver scoperto di essere stato più o meno il consigliere comunale più attivo di tutto il consiglio, e di avere affrontato una quantità smodata di argomenti, pur con i forti limiti alla possibilità di incidere davvero che hanno i consiglieri di opposizione.

Più di tre anni fa, in una serata del novembre 2010, il gruppo del M5S di Torino – allora eravamo una trentina di persone in tutto – si riunì per decidere il candidato sindaco; io stesso avevo dei dubbi, il gruppo era diviso, e allora ritirai la mia candidatura e lasciai la sala. A fine serata fu tutto il gruppo, con un solo contrario, a chiedermi di rendermi di nuovo disponibile e di accettare il ruolo di candidato sindaco; decisero che io ero la persona che serviva al Movimento per svolgere al meglio quel ruolo. E come potevo dire di no? Accettai, ma aggiunsi due condizioni.

Una delle condizioni era quella di poter continuare a fare un minimo di attività professionale; presto questa idea affondò miseramente, di fronte alla realtà dei fatti e alla dimensione dell’impegno che mi veniva affidato (vedi le prime pagine della relazione); da fine 2011 ho chiuso la mia attività professionale. La seconda condizione era quella per cui io garantivo l’impegno al massimo per due anni, in quanto già allora pensavo di non poter resistere oltre.

Dunque, ho completato da un pezzo gli impegni che mi ero preso col Movimento 5 Stelle; nel frattempo, esso è cambiato radicalmente. Più “siamo in guerra” e più il clima in cui svolgo il mio lavoro diventa difficile, ed è notorio che i miei rapporti con molti consiglieri e attivisti del Movimento torinese – tra differenze politiche, ad esempio sull’immigrazione, e differenze di visione sul funzionamento del Movimento – sono tutt’altro che idilliaci.

I sacrifici del mio ruolo sono pesanti, alcuni intuibili, tra cui l’elevato stress psicofisico, perché giorno e notte, settimana o weekend non c’è quasi mai un attimo di tregua, e sei continuamente al centro di discussioni spesso rabbiose; altri sottili e meno evidenti, come avere continuamente a che fare con persone disperate che non puoi aiutare più di tanto, o come la progressiva perdita di amici che non hai più tempo di vedere, o come i dubbi su cosa sarà di te dopo la fine del mandato.

Allo stesso tempo, sono un privilegiato: perché faccio un lavoro vario e interessante che posso organizzarmi liberamente (e di questi tempi già avere una casa e uno stipendio è una gran cosa), e perché servire la collettività è un privilegio, come lo è potersi occupare dei problemi di tutti, e incontrare tante persone che ti incoraggiano, dandoti energia, quando ti incontrano per strada; e imparare moltissimo su ogni angolo di questa città.

Io, di carattere, sono un cercatore e ho voglia di trovare sempre nuove sfide; accontentarmi, smettere di aspirare a migliorarmi e ad arrivare più in alto, sarebbe come rinunciare a vivere, come togliersi l’aria. Nel Movimento questa aspirazione non è possibile e nemmeno concepita. Diverse volte sono stato invitato a dimettermi dai miei colleghi, e diverse volte ho avuto io la voglia di gettare la spugna; e non sarebbe grave, dato che il Movimento è un progetto collettivo e quel che faccio io, nel bello e nel brutto, può farlo qualcun altro.

Tuttavia, queste sono solo questioni personali, che vi racconto in tutta onestà, perché mi sono ripromesso di non prendere mai in giro chi mi ha votato e dato fiducia. La lotta che stiamo conducendo tutti insieme è ancora viva, è giusta, è importante, e se ogni tanto siamo stanchi, siamo confusi, ci perdiamo, voi dateci forza, e noi troveremo le energie e la strada giusta. Non è questo il giorno della ritirata, e nemmeno della resa.

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venerdì 28 Febbraio 2014, 10:05

Sui biglietti gratis per i ragazzi del Toro

Pochi lo sanno, ma esiste da molti anni una legge che obbliga le società di calcio, in almeno metà delle partite casalinghe, a permettere l’ingresso gratuito dei ragazzi fino a 14 anni accompagnati da un parente adulto pagante, con l’obiettivo di avvicinare i giovanissimi al calcio.

Peccato che il Toro, spesso un po’ latitante rispetto alle esigenze dei tifosi, si fosse dimenticato di applicare questa legge; a ricordarla ci ha pensato una petizione di tifosi organizzata da Toro Supporters Network. La petizione mi è stata segnalata e allora io ho deciso di chiedere all’amministrazione comunale, che è pur sempre il padrone di casa delle partite del Toro, di intervenire per far rispettare la norma, eventualmente usando come arma il contratto di affitto dello stadio Olimpico.

Come vedete nel video, è stato un successo: a partire dalla partita di domenica prossima, Toro-Sampdoria, verranno messi a disposizione i biglietti gratuiti per gli under 14. Peccato che, come sempre, il Toro di Cairo ci metta del suo per non accontentare i tifosi: e così, adesso si è scoperto che i biglietti saranno solo 100, solo in curva Primavera e solo per chi compra online, mentre la legge non pone limiti né di numero né di settore.

Purtroppo siamo in Italia e le leggi sono spesso considerate carta straccia; se da una parte sono comunque contento di un bel passo avanti, dall’altra mi chiedo perché non si riescano mai a fare le cose per bene; per il Toro questa misura può voler dire rinunciare a qualche euro oggi, ma può anche essere importante per garantirsi il pubblico di domani. Basterebbe voler ragionare per il lungo periodo…

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mercoledì 19 Febbraio 2014, 19:07

CIE, chiudiamo la demagogia

Il mio voto negativo alla mozione di SEL e PD sui CIE ha fatto molto discutere, e dunque ci torno sopra, anche se la mia posizione era precisa e già discussa in rete tre settimane fa; ma evidentemente ancora non è chiara.

Potete vedere nel video quello che ho veramente detto in aula. In breve, io condivido l’idea di chiudere i CIE, sia perché disumani che perché inefficienti, ma credo che i flussi migratori vadano regolati e dunque che ci sia bisogno di garantire che chi non è in regola vada espulso: è inutile darsi delle regole per entrare in Italia se poi non le si fa rispettare. Ho detto che avrei votato favorevolmente se i proponenti della mozione avessero accolto questa precisazione, che ho presentato come emendamento, ma loro hanno rifiutato e dunque ho votato contro, come avrei votato contro a una mozione altrettanto ideologica presentata dal centrodestra.

La mozione di ieri, peraltro, non decideva nulla, semplicemente perché non è il Comune a decidere se chiudere o meno i CIE. Vedrete che tra sei mesi il CIE di corso Brunelleschi sarà ancora lì (la prefettura ha pubblicato da poco la gara d’appalto per la gestione per il prossimo triennio…); se non lo sarà, sarà perché il governo ha deciso di fare qualche manovra ad effetto, salvo poi rifare una cosa simile con un altro nome da qualche altra parte.

Difatti, non esiste alcun Paese che sia privo di un modo per allontanare forzatamente chi non è in regola, e se questo modo non ci fosse il risultato sarebbe uno solo, ovvero le frontiere aperte per tutti; giacché non esiste un immigrato che se ne vada semplicemente perché riceve un foglio che gli dice di andarsene. E io credo che le frontiere aperte per tutti, tanto più in un momento di crisi, portino solo guerra tra poveri, sfruttamento e ulteriore razzismo.

E’ decisamente scorretto, come ha fatto Repubblica in questo articolo, scrivere che il M5S si schiera contro la chiusura dei CIE e basta, senza riportare che io – come vedete nel video – ho detto chiaramente di volerne la chiusura. Il Fatto Quotidiano spiega meglio, almeno nell’occhiello, che io sono favorevole alla chiusura ma contrario a una mozione che non presenta prospettive per gestire l’immigrazione, se non quella di rinunciare a porre qualsiasi regola all’immigrazione. Repubblica fa disinformazione contro il M5S, ma questa non è nemmeno una notizia.

Questa mozione è pura demagogia, come lo è praticamente tutto quello che i partiti, di destra e di sinistra, hanno detto e fatto in vent’anni sull’immigrazione, portandoci alla situazione che vediamo, e che danneggia in primo luogo gli immigrati regolari. Lo prova l’unico confronto che ho potuto avere con i proponenti, in particolare col capogruppo Curto di SEL, tra ieri e stamattina sulla sua bacheca Facebook (difatti non hanno nemmeno voluto discutere la mozione in commissione, portandola direttamente al voto in aula).

Alla fine, gli ho chiesto quali sono i Paesi che per loro sono il modello di politiche sull’immigrazione, quelli che puntano sugli immigrati per la crescita economica aprendogli le porte. La risposta è stata “i paesi sudamericani” e “la Francia e il centro Europa”, seguita da altri che dicevano “gli Stati Uniti”, “l’Inghilterra”, “la Spagna”.

Peccato che questi siano tutti Paesi in cui se ti azzardi a entrare senza visto vieni buttato fuori senza tanti complimenti; in Francia e in Spagna vige la stessa direttiva europea che la mozione definiva “una violazione inqualificabile dei diritti umani” e ci sono i CIE, anche più grossi dei nostri, mentre in Germania c’è direttamente la prigione; e negli Stati Uniti basta il sospetto che tu voglia lavorare illegalmente per farti finire in prigione e poi su un volo di ritorno. Non so quali siano i Paesi sudamericani che sogna Curto, ma pure lì devi avere un visto che dipende da chi sei e da cosa vuoi fare, e se non ce l’hai e ti beccano ti allontanano a forza.

Insomma, alla fine questa società fantastica in cui tutti i poveri del mondo entrano senza limiti e prosperano senza confini nella soddisfazione generale – una società per cui tutti potremmo fare la firma – non esiste se non nella loro testa, e come strumento di campagna elettorale demagogica. E io, mi spiace, non sono disposto ad unirmi al coro della demagogia sull’immigrazione, né in una direzione né nell’altra; e sarebbe davvero ora che così facessimo tutti.

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martedì 4 Febbraio 2014, 17:44

Lo Stato siamo tutti

Da tempo racconto con preoccupazione il clima di tensione e di rabbia che cresce nel Paese. La scorsa settimana, tuttavia, è avvenuto un salto di qualità in questo clima; lo percepisco ogni giorno per strada e su Internet.

In molti, a quanto pare, hanno perso la calma e si sono avviati a una specie di guerra civile a parole. Persone che conosco da anni, ex colleghi, amici, improvvisamente mi tolgono il saluto e cominciano a postare a ripetizione su Facebook link che denunciano il pericolo posto dal M5S alla democrazia, come se il M5S fosse la radice di tutti i loro problemi. Una signora con cui discutevo di tutt’altro argomento a un certo punto mi fa “e allora pensi che solo perché sono una donna sono una pom… come dite voi?”; un amico di vecchia data che non sentivo da un po’, invece di salutarmi e chiedermi come stavo, mi ha approcciato con “Vergognati, voi grillini fascisti siete la rovina dell’Italia!”. Tale è l’effetto della propaganda di massa, al punto da trasformare la tua persona anche agli occhi di chi ti dovrebbe conoscere bene.

Tutto questo, naturalmente, accade anche in senso opposto; Facebook è pieno di miei contatti che promettono battaglia senza quartiere a chiunque sostenga i partiti, e non abbiamo mai avuto tante richieste di partecipazione al Movimento 5 Stelle come in questi ultimi giorni. Molti hanno apprezzato la nostra lotta senza compromessi, senza farci annacquare dal sistema e allettare dalle poltrone, e questo è ottimo. Tuttavia, è come se fosse in corso una specie di arruolamento, una divisione profonda dell’Italia in eserciti contrapposti, una scelta obbligata, o da una parte o dall’altra; e questo mette paura.

Per questo ci sono alcune cose che vorrei dire. La prima è che si può, anzi si deve, fare opposizione dura e inflessibile, anche manifestando in modo clamoroso come nei giorni scorsi, senza per questo insultare gli altri. La maleducazione, il sessismo, la violenza verbale squalificano chi li usa; se gli altri lo fanno, lasciamoglielo fare; saranno loro a doversene vergognare. Capisco benissimo che assistere in prima persona allo schifo e alla farraginosità della politica nazionale faccia perdere la pazienza, e umanamente succede (è successo anche a me) di sbottare o perdere la calma o rispondere pubblicamente in modo inopportuno, ma questo va evitato il più possibile perché permette agli altri di attaccarci strumentalmente, sfruttando i media al loro servizio.

La seconda è che io voglio cacciare i politici incapaci e corrotti che ci hanno governato; li voglio processare per i reati che possono avere commesso e, se giudicati colpevoli, punire come previsto dalla legge; gli voglio chiedere indietro i soldi che hanno sprecato o rubato. Non voglio mescolarmi a loro, ma non li voglio insultare, non li voglio picchiare, non li voglio uccidere; non mi piacciono gli eserciti e non voglio nessuna guerra né reale né metaforica.

La terza è che lo Stato non è un campo di battaglia che il proprio esercito deve conquistare annientando quello degli altri. Quello succedeva nell’epoca tribale o in quella feudale, non in democrazia. Lo Stato democratico siamo tutti, siamo i nove milioni che sostengono il M5S come i nove milioni che sostengono il PD, come quelli che hanno votato altri partiti e come la fetta maggiore, i tredici milioni di elettori che non hanno votato per nessuno. Lo Stato ideale abbraccia tutti i cittadini e considera con uguale attenzione le esigenze di ciascuno di loro, cercando di mediarle.

La stessa parola “Parlamento” nasce da un verbo preciso: parlare. Sorial e Boldrini, Dambruoso e Lupo, Moretti e De Rosa non sono pagati da tutti noi per andare lì a litigare, e nemmeno per portare avanti una battaglia tra di loro per chi ha più ragione; sono scelti e pagati per discutere e per prendere tutti insieme la scelta migliore nell’interesse complessivo degli italiani. Se chi governa attualmente agisce in maniera scorretta e per interessi privati, se non è disponibile ad accogliere le proposte che facciamo nell’interesse comune, noi dobbiamo continuare a denunciarlo e smascherarlo; ma dobbiamo sempre tenere presente che siamo lì per risolvere i problemi facendo il bene di tutti, rispettando anche i cittadini che la pensano diversamente da noi, e se mai cercando di convincerli con le idee e con i fatti.

Questo, in una democrazia, è il principio della politica; perché per affrontare i problemi solo con la rabbia, pur comprensibile e giustificata, non servirebbe un Parlamento.

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domenica 26 Gennaio 2014, 13:29

Sulla mozione per la chiusura dei CIE

In questo inizio di 2014, l’amministrazione di Fassino ha deciso di attaccare con rinnovato vigore i veri problemi della città. Bene, direte voi, allora di cosa si parla? Lavoro? Casa? Inquinamento? Traffico?

Beh, non proprio: dopo l’invito alla legalizzazione della marijuana e l’equiparazione delle coppie di fatto nell’accesso alle tombe di famiglia – provvedimenti che noi abbiamo pure condiviso, ma che forse non erano proprio la priorità numero uno – questa settimana l’urgenza individuata da PD e SEL è la chiusura dei CIE.

E’, secondo loro, talmente urgente che giovedì hanno scritto una mozione, venerdì l’hanno dichiarata (a colpi di maggioranza) di urgenza totale e imprescindibile e così domani la metteranno in votazione in consiglio comunale. E dunque, io e Chiara saremo chiamati domani a prendere una decisione su come votare, e per questo io dedico la mia domenica mattina a spiegarvi il problema affinché possiate esprimere una opinione.

Per prima cosa, comunque, vi rimando al post di novembre sulla mia visita al CIE, per farvi un’idea direttamente di cos’è e come funziona questa struttura.

A riguardo del testo della mozione, le mie prime considerazioni sono queste: gran parte delle premesse (direi il primo, secondo e quarto blocco) sono condivisibili, e riguardano il fatto che i CIE sostanzialmente non funzionino rispetto allo scopo per cui sono stati istituiti. Da una parte, infatti, rappresentano un ambiente degradato e degradante per persone che comunque non hanno commesso alcun reato, e che però, stando lì, diventano per forza di cose più furiose e antisociali di prima; dall’altra, non riescono ad espellere che metà circa delle persone che vi vengono inviate, per cui le altre alla fine escono e restano tranquillamente in Italia; tutto questo a fronte di costi esorbitanti, continui problemi di ordine pubblico e disturbo anche a chi ci abita attorno (a cui, quindici anni fa, era stato promesso che il CIE sarebbe stato lì soltanto per qualche anno). E dunque, la richiesta di chiudere il CIE di corso Brunelleschi, e in generale di abbandonare l’intero meccanismo dei CIE sostituendolo con qualcos’altro di più efficace, è secondo me condivisibile.

Quello che invece nella mozione io non condivido è l’approccio ideologico evidente nel blocco “ritenuto che” e nelle due richieste finali al sindaco e alle istituzioni nazionali. Tra le affermazioni e le richieste che si fanno in queste parti ci sono:

  • che è ingiusto detenere gli immigrati clandestini in attesa di espulsione, senza lasciarli andare in giro liberamente, e che questa è una “inqualificabile violazione dei diritti umani”;
  • che già che ci siamo, oltre a chiudere i CIE, dovremmo rivedere le leggi per dare anche la cittadinanza e il diritto di voto (agli immigrati clandestini?!?);
  • che la detenzione degli immigrati clandestini deve essere decisa solo da un giudice e non da un giudice di pace o da un provvedimento amministrativo.

Peccato che la detenzione degli immigrati clandestini fino a 18 mesi, su provvedimento anche amministrativo, sia semplicemente quanto previsto dalla direttiva europea sui rimpatri, che prevede che a fronte di uno straniero che non ha diritto di rimanere in Europa gli si dia (art. 7) un periodo da sette a trenta giorni per andarsene volontariamente, con la possibilità di imporre l’obbligo di residenza o eliminare questo periodo in caso di rischio di sparizione, finito il quale (art. 8) “gli Stati membri prenderanno tutte le misure necessarie per far rispettare la decisione di rimpatrio”; a questo scopo è prevista, con tutta una serie di salvaguardie, la possibilità di detenere lo straniero se non vi siano altre misure efficaci (art. 15), prevedendo un massimo di sei mesi che può essere esteso a diciotto se l’individuo o il suo Paese non collaborano al rimpatrio (difatti uno dei principali motivi per cui non si riescono a rimpatriare gli ospiti dei CIE è che diversi Paesi fanno di tutto per non riprenderseli).

Come mostra questa mappa, tutti i Paesi europei hanno centri di detenzione per gli immigrati clandestini, sia nella fase di prima accoglienza e identificazione che nella fase di partenza per il rimpatrio; Germania, Danimarca, Svizzera e Irlanda li tengono direttamente in carcere. A questo punto, o il Parlamento Europeo e tutti gli altri Paesi europei sono degli inqualificabili violatori dei diritti umani, o c’è qualcosa che non va nel ragionamento della mozione.

Tra l’altro noi pensiamo sempre a chi sbarca dai barconi, ma la grande maggioranza dei clandestini ormai sono persone precedentemente regolari che hanno perso il lavoro e non ne hanno ritrovato uno nel tempo concesso, e che quindi sono prive di mezzi di sussistenza e, non avendo alle spalle una rete sociale, hanno spesso poche alternative al finire a rubare o anche peggio.

La questione di fondo, quindi, è molto semplice. Se uno crede che l’immigrazione, anche essendo una risorsa importante e positiva per un Paese, vada regolata, definendo un numero massimo di stranieri che è possibile accogliere in base alle necessità e alle disponibilità socioeconomiche della nazione e stabilendo dei criteri di ammissibilità, allora inevitabilmente esisteranno i clandestini, ovvero persone che provano lo stesso a entrare o rimanere nel Paese anche quando non rientrano nei vincoli posti; e in un Paese serio, che fa leggi non per dar fiato alla bocca e fare un titolo sul giornale ma per regolare la convivenza di tutti, una persona che non è autorizzata a stare lì deve venire espulsa; e poiché per forza di cose chi tenta di entrare non ha intenzione di farsi espellere, è quasi sempre necessario farlo con la forza.

Si può benissimo discutere su quali sono le condizioni per espellere qualcuno, e ad esempio essere più accoglienti con gli stranieri regolari che perdono il lavoro; si può, anzi si deve garantire un trattamento migliore e più umano per le persone soggette alla procedura di espulsione, che non può essere trascinata per mesi e mesi. Ma non si può prescindere da un sistema di trattenimento e accompagnamento forzato alla frontiera di chi va espulso, e dunque non si può fare a meno di qualcosa che funzioni come un CIE.

Se invece non si vogliono i CIE, e anzi si cerca di aggiungere ostacoli e cavilli alle procedure di espulsione, di fatto si sta dicendo che non si vuole espellere mai nessuno, e che si vuole una immigrazione incontrollata e senza limiti. Ma una immigrazione di questo tipo serve solo a qualcuno: a chi detiene il potere economico, a cui fanno comodo grandi masse di immigrati tenuti ai margini della società e disposti a lavorare a condizioni inaccettabili per gli italiani, creando una guerra tra poveri che permette di distruggere tutti i diritti sociali conquistati in cent’anni di lotte, e che offre facili capri espiatori della crisi economica alla gente comune, evitando che essa se la prenda con chi veramente la sfrutta.

Spiace che a portare avanti questa trappola siano i partiti cosiddetti di sinistra, ma delle due l’una: o non hanno capito niente del mondo globalizzato, o sono venduti al potere.

Per questo motivo, secondo me la mozione così come presentata non può essere votata; sono incerto se proporre la riscrittura delle parti che non condivido, operazione che tuttavia difficilmente incontrerà il favore dei proponenti, a maggior ragione vista l’ostinazione con cui hanno voluto votarla di corsa senza discuterla con calma. Ad ogni modo, siamo qui per ascoltare e dunque leggerò con piacere i commenti di tutti.

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martedì 14 Gennaio 2014, 10:22

Sul voto di ieri: unità è unanimità?

La votazione online di ieri ha rappresentato un altro momento importante nel cammino del Movimento 5 Stelle sulla strada della democrazia partecipativa, offrendo ai cittadini una possibilità impensabile nei partiti; vale però la pena di fare qualche riflessione non tanto sul tema (su cui già scrissi al Fatto Quotidiano che la pensavo così) ma sul metodo.

Sul tema, mi limito a osservare che questa non era comunque una votazione per scegliere se essere favorevoli o meno all’immigrazione, dato che c’è indubbiamente chi ha votato per abrogare il reato perché vuole favorire l’afflusso di immigrati, ma c’è anche chi ha votato per abrogare il reato per rendere più semplici ed efficaci le procedure di espulsione. La posizione del Movimento sull’immigrazione è dunque ancora aperta.

Sul metodo, si pone innanzi tutto un problema sulla rappresentatività di queste votazioni, con solo 24.000 partecipanti rispetto ai nove milioni di voti presi (tralascio il discorso su scarsa informazione preventiva e brevi tempi di votazione che è ovvio). Dai commenti sul blog di Grillo fino a messaggi ricevuti personalmente, ci sono diversi nostri elettori che contestano la validità di votazioni così ristrette; la nostra risposta è, ovviamente, che è sufficiente che si iscrivano anche loro per poter avere voce in capitolo.

Il problema, però, è che mentre nella nostra testa gli iscritti alla piattaforma sono “i cittadini”, per molti cittadini che simpatizzano per noi quelli sono “i tesserati”: ci sono commenti che dicono proprio così, “avete fatto votare solo i tesserati”. Paradossalmente, mentre per noi il meccanismo di ieri è un modo per rimetterci ai cittadini, per molti nostri elettori (ovviamente quelli contrari alla decisione presa) è un modo per ignorare il loro voto e prendere la strada voluta da un “apparato di partito”, tradendo le promesse fatte in campagna elettorale e sul blog, dove Grillo comunque aveva espresso una visione diversa.

Noi abbiamo sempre dato per scontato che l’obiettivo fosse avere 60 milioni di italiani attivi, e peggio per chi non partecipa. Adesso, scopriamo l’esistenza di nostri elettori che non hanno alcuna intenzione di divenire cittadini attivi iscrivendosi alla piattaforma, ma che, in quanto elettori, pretendono che si rispetti la loro idea, espressa al momento della croce sulla scheda, senza chiedergli continuamente di partecipare a una votazione online per ribadirla; una risposta andrà data, pena la perdita della loro fiducia.

L’altro problema è relativo all’uso che va fatto del risultato. Ci sono argomenti su cui una sola scelta è possibile, per cui se si vota sulla scelta di un candidato Presidente della Repubblica, o su quale gruppo parlamentare sostenere al Parlamento Europeo, la scelta più votata vince e le altre si abbandonano; ma esistono argomenti, come quello di ieri, su cui l’unanimità del gruppo parlamentare è tutt’altro che obbligatoria.

La votazione dal basso dovrebbe servire ad evitare che i portavoce portino avanti le proprie idee personali anziché quelle dei cittadini. Tuttavia, una volta accertato che i cittadini sono significativamente divisi, perché obbligare anche eventuali portavoce che fossero d’accordo con la minoranza dei cittadini a cambiare la propria opinione? In questo modo si ottiene l’effetto opposto a quello inteso, perché si elimina una delle due voci e si crea una grossa quantità di nostri elettori privi di portavoce.

Se, come ieri, il 60% sostiene una posizione maggioritaria e il 40% una minoritaria, sarebbe sufficiente che il gruppo parlamentare, confrontandosi prima, garantisse che almeno il 60% dei portavoce votasse per la posizione maggioritaria, lasciando però a un certo numero di portavoce la possibilità di esprimere anche la posizione minoritaria e rappresentando così ancora meglio tutto l’insieme dei cittadini, e non solo il 60%.

Esistono tutta una serie di questioni con forti componenti di valori personali su cui ciclicamente la politica italiana ama dividersi: si va dalla depenalizzazione delle droghe leggere all’uso del crocifisso nelle scuole, passando per i matrimoni omosessuali e per l’eutanasia. Su questioni così etiche io troverei giusto che in Parlamento il Movimento non andasse per maggioranze, ma esprimesse posizioni difformi e variegate, non in base alle idee personali dei portavoce, ma più o meno proporzionalmente alle diverse idee presenti tra i nostri elettori.

Accade spesso, tra gli attivisti e gli eletti del Movimento, di veder confondere l’unità con l’unanimità. Ma un Movimento unito non è un piccolo gruppo di persone che la pensano tutte alla stessa maniera, ma un grande gruppo che sa accettare e anzi valorizzare la diversità interna di opinione, risultando così attraente per un numero maggiore di cittadini.

Un Movimento che, perse di vista le questioni veramente fondamentali (casa, lavoro e sopravvivenza delle persone), cominciasse a portare avanti a colpi di maggioranze online un programma di sinistra radicale sull’immigrazione e su altre questioni controverse, marginalizzando le opinioni difformi, non sarebbe un Movimento unito; al contrario, sarebbe un Movimento che perderebbe progressivamente sempre più pezzi e sempre più voti, e alla fine anche il mio.

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mercoledì 8 Gennaio 2014, 12:38

L’Italia e l’Europa

Qualche giorno fa, Beppe Grillo ha rilanciato il manifesto del Movimento 5 Stelle verso le elezioni europee, già presentato un mese fa a Genova. Si tratta di sette grandi linee che non coprono tutto il dettaglio delle competenze dell’Unione Europea, ma che vogliono evidenziare alcune priorità: il referendum sull’euro, la lotta all’austerità imposta dalla finanza globale, l’investimento sull’innovazione e sull’autosufficienza alimentare nazionale.

Trasversalmente a queste priorità, tuttavia, resta da affrontare il discorso di fondo: quello del rapporto tra l’Italia e l’Europa. In questi vent’anni, difatti, i partiti italiani hanno abusato di questo rapporto; hanno contemporaneamente indicato l’appartenenza all’Unione Europea e all’euro come un dogma indiscutibile e scaricato sull’Europa la colpa di qualsiasi sacrificio venisse imposto agli italiani.

E’ chiaro che il risultato a medio termine di una propaganda di questo genere non può che essere la nascita di un forte sentimento antieuropeo, sempre più diffuso tra i cittadini, secondo il semplice ragionamento “se i sacrifici sono imposti dall’Europa, usciamo dall’Europa e non ci saranno più sacrifici”. E così, le elezioni europee rischiano di diventare uno scontro aperto tra chi dice che l’Unione Europea va bene così e chi vorrebbe distruggerla e basta.

Eppure, bisognerebbe ricordarsi che il processo di integrazione europea è nato per motivi più profondi di quelli economici. L’Europa unita nasce dalle rovine della seconda guerra mondiale, dai campi di concentramento e dalla distruzione di gran parte dell’intero continente, ridotto a giardinetto di due grandi potenze sostanzialmente estranee, potenze che erano a loro volta diventate tali grazie a un lungo processo di integrazione di stati o di popoli diversi. I singoli Paesi europei, se non si uniscono, rischiano di continuare a uccidersi in guerre fratricide o comunque a diventare sempre più marginali rispetto a Stati Uniti, Russia, e oggi Cina, e domani India e magari anche Brasile; nazioni che in gran parte avrebbero da guadagnare dall’esplosione dell’Unione Europea e dalla fine dell’euro.

La questione, quindi, è come unire i paesi europei in modo che nessuno, e nello specifico l’Italia, ne abbia a soffrire. Un conto, difatti, è un’Europa in cui l’unione fa la forza, e un conto è un’Europa in cui alcuni si arricchiscono e altri fanno la fame, e che invece di generare più ricchezza per tutti si limita a trasferire la ricchezza di un pezzo di continente verso un altro pezzo.

Noi italiani, innanzi tutto, dobbiamo assumerci la responsabilità dei nostri errori e delle nostre manchevolezze. Non è colpa dell’Europa se noi siamo uno dei Paesi più disonesti, corrotti, privi di meritocrazia, disorganizzati, ignoranti e manipolati dai media: è colpa nostra e della classe dirigente a cui abbiamo affidato questo Paese. Questa arretratezza è un elemento fondamentale del nostro impoverimento e non possiamo darne la colpa all’euro o ai tedeschi.

Allo stesso tempo, però, il modo in cui è gestita l’Europa, senza grande democrazia e senza mettere al primo posto il benessere dei cittadini, non è accettabile; serve un’Europa in cui i Paesi non siano in competizione tra loro, ma in collaborazione, e per questo serve un nuovo patto di convivenza in cui i Paesi in questo momento più forti sostengano i cittadini (non le banche) dei Paesi più deboli in cambio di riforme che, a differenza di quelle imposte in Grecia, affrontino alla radice i problemi culturali, sociali e civici del Paese per mettere le basi dello sviluppo futuro, invece di limitarsi al rientro dal debito a costo di un massacro sociale non solo metaforico.

Se però la disponibilità a questo patto non ci dovesse essere, se a conti fatti a noi dovesse convenire lo sgancio dalla moneta comune, possibilmente non da soli ma con un blocco di Paesi mediterranei tali da dare solidità a una nuova unione e una nuova valuta, non c’è alcun motivo per non farlo.

L’Italia è, difatti, uno dei Paesi meno capaci a difendere i propri interessi nazionali. In tutto il mondo ogni nazione regola i flussi di ingresso e uscita di capitali, merci, alimenti, energia e anche persone secondo l’interesse del proprio Paese; questo scontro di interessi si verifica anche nella definizione degli accordi europei che regolano la nostra vita. A forza di spedire a Bruxelles i trombati di ogni colore, gente che magari non sa nemmeno dire due parole in inglese quando incontra i colleghi e che vive l’Europa come un ripiego o come una pensione dorata, l’Italia si è spesso fatta fregare. Aggiungiamoci il fatto che da noi difendere gli interessi nazionali sembra spesso una vergogna, una roba da pezzenti o da fascisti: non possiamo stupirci se poi in sede europea abbiamo la peggio.

Per questo il Movimento 5 Stelle può offrire una prospettiva veramente nuova nel rapporto tra Italia ed Europa, come i partiti non hanno mai fatto; a patto che abbia chiaro quale Europa vuole costruire. E voi, che ne pensate?

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venerdì 25 Ottobre 2013, 14:22

Approvato il bici plan

Era il febbraio 2011 quando il consiglio comunale, ancora sotto Chiamparino, decise di allegare al piano della mobilità urbana un documento di pianificazione del trasporto in bicicletta, denominato “bici plan”. Sono trascorsi quasi tre anni, e da quando siamo entrati non abbiamo mai mancato di raccontarvene e di spingere perché fosse realizzato. A luglio ne arrivò una prima bozza, e noi abbiamo dato vita a un’ampia consultazione con i cittadini e i gruppi di circoscrizione; il nostro gruppo di lavoro sui trasporti produsse una approfondita analisi con molte proposte migliorative.

Grazie allo sforzo, il bici plan non solo è stato approvato, ma contiene anche molte delle nostre proposte; per una volta, l’amministrazione ha mostrato un atteggiamento disponibile e costruttivo, e questo ci ha permesso di presentare miglioramenti utili e costruttivi e di votare infine a favore del piano. Abbiamo così presentato tredici emendamenti, concentrati essenzialmente su tre argomenti: la definizione di criteri costruttivi (già oggetto di una nostra mozione di due anni fa) per le future piste ciclabili, che spesso sono perfette sulla carta ma in realtà sono piene di ostacoli al punto da risultare inutilizzabili, sprecando i soldi pubblici; la partecipazione dei cittadini alla definizione dei progetti, tramite il passaggio preventivo dei progetti nelle commissioni consiliari delle circoscrizioni, aperte al pubblico, per evitare di realizzare infrastrutture che creano più problemi di quanti ne risolvono; e la garanzia dei finanziamenti necessari alla realizzazione del piano.

Abbiamo inoltre portato in aula un’altra nostra mozione che richiede una ulteriore specifica pianificazione per quanto riguarda i parcheggi per le biciclette, studiando i tipi di infrastrutture già presenti nel Nord Europa, come i parcheggi chiusi e custoditi, ma anche l’interscambio con i mezzi pubblici e il contrasto ai furti; e anche la mozione è stata approvata.

Il bici plan non è perfetto; in particolare, su ciascuno dei percorsi previsti nel piano (qui trovate una bozza quasi finale del documento, senza le ultime modifiche approvate in aula) ci sarebbe molto da dire, e prima di realizzarli si faranno ulteriori analisi e aggiustamenti. Il vero rischio, comunque, è duplice; da una parte che, nonostante le indicazioni dettagliate che abbiamo messo nel piano, si continuino a realizzare piste inutili perchè tortuose, lente, scomode, piene di pericoli e lontane dai percorsi dei principali spostamenti; dall’altra, che alla fine si realizzi poco o nulla perché, nonostante l’impegno di stanziare ogni anno almeno due milioni di euro dai proventi delle multe, di fatto i soldi vengano dirottati su altro.

Eppure, esso costituisce comunque un passo avanti: ora non resta che vedere se l’amministrazione si metterà al lavoro per realizzarlo davvero.

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giovedì 10 Ottobre 2013, 19:30

Sull’immigrazione e sull’unità del M5S

Sapete tutti come la penso sull’immigrazione: che una limitazione dei flussi è necessaria, che chi entra regolarmente va tutelato ma chi entra irregolarmente o delinque va espulso senza ritardi e senza pietismi. Sono favorevole all’abolizione del reato di clandestinità, perché – questioni di principio a parte – non serve a niente, lo sostiene persino la polizia; i clandestini non vanno incarcerati, vanno espulsi. Ma non è questa la vera questione di oggi.

La questione è se due parlamentari del Movimento 5 Stelle possano svegliarsi un bel mattino, guardarsi allo specchio, dire “cosa facciamo oggi? aboliamo il reato di clandestinità, dai”, e senza discuterne con nessuno, o al massimo con una manciata di colleghi, presentare la proposta e cercare di farla approvare. E la risposta, ovviamente, è no.

A maggior ragione è no perché la materia è delicata e nel Movimento ci sono posizioni molto diverse. Il Movimento si è unito su altre priorità; deve occuparsi di lotta alla casta e ai privilegi, della crisi economica, della gente – italiana e straniera – che non arriva a fine mese (e in questo senso davvero non capisco cosa pensa di ottenere chi, in questa situazione, vorrebbe ancora aprire le frontiere e accogliere senza limiti altra gente che muore di fame). Quelle sono le cose che ci uniscono; le altre ci dividono, e vengono abilmente usate dai partiti per disinnescare il pericolo che il Movimento rappresenta per il sistema.

E proprio perché nel Movimento ci sono posizioni molto diverse sull’immigrazione, un portavoce – e sottolineo portavoce – non può sposarne una a spada tratta (qualsiasi essa sia) e fregarsene di tutti quelli che l’hanno votato ma che la pensano in maniera opposta.

Sottolineo anche che essere portavoce è questione di mentalità e di approccio, non di piattaforme. Non ci vuole una piattaforma per sapere che il tema dell’immigrazione spacca il Movimento, e quindi che non si possono prendere posizioni in materia con leggerezza, specie se sono posizioni forti. Se uno non lo capisce, vuol dire che non è proprio capace di fare politica.

Si poteva comunque benissimo portare il Movimento 5 Stelle, Grillo compreso, a sostenere l’abolizione del reato di clandestinità. Bastava parlarne prima, spiegare con calma anche ai nostri elettori più arrabbiati che abolire il reato non vuol dire aprire le frontiere, raccogliere le opinioni in rete (basta un post su un blog), discutere, preparare il terreno. E’ la base del fare politica su questioni controverse: ma a Roma non l’hanno saputo fare.

Eppure, ancora stasera sento dei parlamentari – sia sui giornali che di persona – che si infuriano per il richiamo all’ordine di Grillo e Casaleggio (che, poveretti, hanno solo cercato di evitare l’esplosione del Movimento), che reclamano il diritto di decidere loro, a maggioranza, in assemblea. Ma cari parlamentari, non ce ne frega niente di cosa pensa la vostra assemblea, non siete lì per portare avanti le vostre convinzioni personali, siete lì essenzialmente perché alla gente piaceva quello che Grillo gridava nelle piazze, che non era certo “più immigrazione!” e “siamo più a sinistra di SEL!” (e non era nemmeno “fuori gli stranieri!” e “siamo la nuova Lega!”).

Lasciate perdere le questioni che ci dividono, e se non siete sicuri chiedete alla rete, lanciate un referendum, lasciate decidere i cittadini, cercando però di proporre un compromesso che tenga insieme tutto il Movimento, non una vostra posizione personale da far passare col 51% contro un 49% che un minuto dopo se ne va scazzato. Concentratevi sul rovesciare il sistema, sul denunciare i privilegi, sul difendere chi non ha il lavoro, chi è massacrato dalla crisi e dalle tasse. Solo così dimostrerete di saper fare politica, e di essere all’altezza del difficile compito per cui vi siete candidati.

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giovedì 3 Ottobre 2013, 17:10

Il Movimento del sorriso

Da ieri, tra le tante cose che vengono “tirate” dai media contro il Movimento 5 Stelle, c’è anche un non-caso: quello delle inesistenti minacce che il senatore Castaldi avrebbe urlato in aula contro la fuoriuscita senatrice De Pin. Già ieri su Facebook avevo scritto che bastava guardare la fonte del racconto, ovvero un tweet del senatore Esposito, per capirne l’attendibilità (vedi una ricostruzione della vicenda); in realtà non ci sono state minacce, smentite dalla stessa De Pin, ma un richiamo gridato alla coerenza, per cui peraltro Castaldi si è anche onorevolmente scusato.

Il richiamo a De Pin ci sta tutto. Sicuramente un parlamentare, una volta eletto, ha il diritto legale di fare ciò che vuole senza essere minacciato o vincolato. Dal punto di vista politico, però, se ti candidi in una formazione che predica il vincolo di mandato e che pone in cima alle posizioni quella di non fare alleanze, non puoi solo sei mesi dopo dire che non riconosci il vincolo di mandato e che vuoi fare alleanze o addirittura entrare al governo: vuol dire che hai preso in giro tutti. Il fatto di mettersi a piangere, poi, per quanto umanamente comprensibile, indica solo la propria inadeguatezza alla situazione e alle responsabilità che ci si è presi.

Tuttavia, credo che sia davvero opportuna una riflessione sul clima interno che si è sviluppato in questi mesi attorno al Movimento 5 Stelle; perché c’è una parte del mondo che ruota attorno a noi – degli elettori, degli attivisti e talvolta anche degli eletti – che dimostra un crescente tasso di aggressività e di intolleranza, che rischia di cancellare quanto (molto) di buono il Movimento sta facendo, di spaventare molte delle persone che ci hanno votato e di aprire le porte a una contemporanea marginalizzazione e radicalizzazione del Movimento, che significherebbe la sua sconfitta e magari il passaggio dei più esagitati a forme meno democratiche di lotta; un film già visto negli anni ’70.

Pur con tutto il disprezzo e la disapprovazione che provo per De Pin e simili, non è assolutamente accettabile che loro siano soggette ad aggressioni verbali come queste (peraltro anche orridamente sessiste). Le si può denunciare semplicemente contestando loro l’incoerenza, in maniera civile, accettando però il fatto che ogni cittadino, in un Paese libero, può manifestare le proprie opinioni e agire di conseguenza, persino quando tali opinioni derivino dal mero interesse personale.

Vi è, in una parte del Movimento (e sottolineo una parte, nonostante i tentativi da fuori di far sembrare che sia il tutto), una crescente incapacità di accettare qualsiasi dissenso, anzi, qualsiasi discussione; una parte di Movimento imbevuta di un sacro fuoco per cui “io so cos’è giusto” e chi mette in dubbio qualcosa ha già tradito; oppure, per cui le critiche equivalgono necessariamente a un tentativo di indebolire il Movimento o comunque danno fastidio a prescindere, persino se oneste e motivate.

Persino a me è successo, per qualsiasi momento di scontento personale o per analisi credo garbate e costruttive come queste, di venire accusato di carrierismo e di esibizionismo, di sentir dire che “parla così perché vuole andare in un partito”, di sentirmi chiedere dimissioni, passi indietro, ritorni allo “spirito originario”, e “se non ti piace vattene”. Per aver espresso su Facebook la mia delusione (personale e soggettiva) per come era andata una iniziativa del Movimento cittadino, invece di poterne parlare tranquillamente, mi sono trovato cinque o sei nostri attivisti in sequenza a riempirmi di insulti e di “vergogna!”, fin che non ho cancellato l’intera discussione.

Del resto, anche il linguaggio del Movimento si fa aggressivo; dal blog di Grillo all’ultimo gruppo locale, è un fiorire di “distrugge i partiti”, di “intervento durissimo”, di metafore con guerre e soldati. A me questi toni non piacciono, non li condivido: si può essere fermi e incorruttibili senza per questo distruggere nessuno, anzi parlando a chi non la pensa come te tranquillamente e con buona educazione. Eppure i “toni duri” vengono usati perché funzionano, perché raccolgono applausi, perché a chiederli siete voi (la parte più rumorosa di voi, che non è detto sia la più numerosa), nonostante ci portino a metterci sullo stesso becero livello dei partiti, nonostante dalla violenza, anche verbale, non possa affatto nascere un mondo migliore.

Di fronte a De Pin e soci, più che mettersi a insultarli, bisognerebbe riflettere su come migliorare, su come evitare in futuro di candidare persone non all’altezza (tra l’altro politicamente pure un po’ scarse, visto che si vedevano già come preziosi salvatori del governo e ora contano meno di un usciere). Bisognerebbe riflettere sulla mancanza di meritocrazia nel Movimento, vissuta da molti nell’ambiente non come un problema ma addirittura come una grande conquista, quella che permette all’italiano medio, dopo aver sognato di andare in televisione, di sognare di andare in Parlamento, indipendentemente dalle proprie effettive capacità.

Bisognerebbe chiedersi davvero chi metteremo a governare l’Italia se il sistema si dissolverà, come faremo a essere pronti, come faremo a convincere gli italiani che siamo pronti, come proporremo persone credibili per competenza e serietà, persone che urlino poco ma che, ognuna nel proprio settore, sappiano quello che fanno e possano costruire qualcosa di buono per tutti. Quelle che già ci sono nei nostri gruppi parlamentari sono lì abbastanza per caso, scelte in quarantott’ore tra un numero limitato di attivisti mai messi alla prova; quelle che sarebbero forse disponibili ad aiutarci, tra il meglio delle intelligenze italiane, sono spaventate proprio da quanto sopra.

Eppure, io non so nemmeno dove portare una discussione del genere, con chi farla, come concluderla; ormai si fa sempre più comunicazione, ma sempre meno partecipazione e assemblea; io non ho altro modo che parlarne in rete, ma non mollo. Vorrei che il Movimento 5 Stelle fosse ricordato come la forza politica che ha sollevato l’Italia con le idee e con un sorriso, mettendo il Paese in mano a persone nuove, capaci e scelte per merito; e non come quella che passava il tempo a gridare dietro agli altri.

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