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Archivio per la categoria 'StillLife'


mercoledì 1 Ottobre 2008, 12:50

Uè, figa

Da ieri, lo confesso, sono un po’ milanese anch’io. E’ che Elena ha preso casa a Milano, e dopo infinite vicissitudini ieri sera l’abbiamo inaugurata; gli impegni lavorativi sono i suoi, ma è probabile che ci capiti anch’io, una sera o due ogni paio di settimane.

Noi torinesi amiamo sbeffeggiare Milano: già il nome della città sembra scelto apposta per permettere grevissimi giochi di parole sul mio buco del culo, tipo GiraMilano, PulisciMilano, LeccaMilano eccetera. Il massimo divertimento per noi è la praticità ingegnosa dei milanesi: dove altro troveresti un tizio la cui casa dà sulla ferrovia che appende sul balcone uno striscione tutto bello stampato a laser con scritto “EUROSTAR… PER FAVORE FERMATE PRIMA DEL PONTE”? In compenso, alle fermate dell’ATM le deviazioni sono scritte a pennarello, con grafia da quinta elementare; noi almeno c’abbiamo la stampante, e spero che Chiamparino valorizzi questo fondamentale asset nella prossima svendita all’ATM (pardon, “fusione alla pari”) del nostro GTT.

E poi, i bus di Milano hanno una cosa geniale. Invece di aprire le porte a ogni fermata, ci sono sia fuori che dentro dei pulsanti in modo che ognuno possa aprirsele da sé, solo se serve: sai che risparmio! E’ però indicativo il fatto che abbiano messo i pulsanti di apertura sia dentro che fuori anche sulle porte da cui si dovrebbe solo salire o solo scendere: così, se devi infrangere la regola, puoi farlo con maggior comodità. Fai solo attenzione, perché appena scendi sul marciapiede potresti essere investito dai ciclisti che vi circolano, dalle auto che vi stanno parcheggiando o dagli scooter che, percorrendo normalmente le corsie preferenziali, deviano un attimo sulla zona pedonale per sorpassare i bus in fermata.

Comunque, stringi stringi, si avverte subito che Milano è un altro mondo: sorprendentemente, qui non regna quel senso di decadenza, miseria e prossima apocalisse che permea Torino ormai da decenni. Pare quasi che qui le persone pensino di avere un futuro, e per noi è una sensazione davvero sconvolgente.

Come prima serata in questo mondo alieno, facciamo l’unione dei locali da noi già conosciuti e poi l’intersezione con la zona centro: se si esce, almeno andiamo a far lo struscio. Un dritto e morbido cinquantaquattro pieno di puzza di cingalese sporco (a scanso d’equivoci ribadisco cingalese sporco e non sporco cingalese) ci porta così fino in via Larga alla pizzeria Flash, locale intitolato non si sa se alla velocità del servizio (effettivamente notevole), al personaggio dei fumetti o al leggendario quiz con Mike Bongiorno. Le pizze base costano 7-8 euro invece dei 5-6 di Torino, idem la pasta, ma alla fine ce la caviamo con 27 euro senza scontrino fiscale. Io avevo la media chiara e quindi mi esalto.

Prendiamo piazza Duomo dal lato dove pisciano i barboni, e anch’io mi adeguo: desidero unirmi a questo eccitante clima di prossima ricchezza e di grandi possibilità, e proclamo quindi la mia intenzione di salire su tutti i pinoli della piazza per gridare “Libertà! (prooot) Libertà!”. Dando libertà sia al mio corpo che al mio cervello, intendo compiere un’opera d’arte estetico-provocatoria degna di un finanziamento dell’assessore Alfieri. Elena, invece, non afferra cosa io intenda per “pinoli”, nonostante gliene indichi alcuni che si rivelano però essere vacui, cavi e inutili cestini della spazzatura. Aggiungo esempi da tavola di nomenclatura, “i pinoli delle statue”, “i pinoli della seggiovia”, ma niente. Alla fine, anche in piazza Duomo l’estetica dannunzian-scorreggiona, simbolo dell’Italia da bere, esce sconfitta, nonostante sui bus campeggino perentori proclami di una “FESTA DELLA LIBERTA’ – BERLUSCONI – FINI” (presumo si parli di libertà condizionata).

Per sentirci più a casa andiamo da Grom, non senza esserci chiesti perché ci siano sedi del Credit Suisse a mazzi e che razza di banca sia la Banca Cesare Ponte. Qui almeno non c’è coda, però il gelato è lo stesso di Torino, ma costa mezzo euro in più; e inoltre, sommo insulto, hanno finito lo zabaione. Cioè, parliamone: chi diavolo può chiedere lo zabaione in piena Milano, se non un piemontese in trasferta? Ditemi pure che non l’avete mai avuto perché qui nessuno lo apprezza, no? E poi che razza di gelateria artigianale siete, se quando finite un gusto dovete aspettare che ve lo riportino?

Per finire, torniamo giù per la galleria, al centro della quale – e insistono che sia un ottagono, pur se il centro è un punto, per cui non ha forma né dimensioni – c’è un’adunata di pessima musica sotto la sconcertante insegna “Franco Nisi incontra i Modà”, presentata come se fosse ovvio di chi si parla. Sul palco, almeno a un primo sguardo, c’è un tamarro da antologia che canta canzoni da napoli, accompagnato da alcuni giovanotti firmatissimi. Ma non potevano incontrarsi da qualche altra parte? In piazza Duomo, in compenso, c’è una balera romena. Ora, non ho nulla contro la Romania, ma ha veramente rotto le scatole, visto che c’era una balera romena pure domenica in piazza Castello a Torino, con l’aggravante che invece di liscio romeno eseguivano una cover della musichina dell’Ultimo dei Mohicani. Ma non si può avere almeno ogni tanto un po’ di musica nostrana, di qualsiasi genere purché prodotta a meno di duecento chilometri dal Po?

Chiudiamo con un avvistamento: sempre in piazza Duomo, c’è una Feltrinelli dentro un autogrill, oppure un autogrill dentro una Feltrinelli, non è chiaro. La Feltrinelli è al piano cantina e puzza di fogna; Elena guarda i libri e a me verrebbe voglia di rendermi utile, che so, mettendomi lì davanti alla pila di copie del nuovo libro postumo della Fallaci ad aggiungere col pennarello sulle copertine tutte le i che mancano. Però la libreria è enorme, mica come la stiva pigiata che abbiamo noi in piazza Castello a Torino; e poi vuoi mettere la voglia di cultura che ti viene dopo una rustichella? Ma è tutta Milano ad essere cheappissima: in galleria di fronte al Savini c’è McDonald’s e in piazza Duomo campeggia una gigantesca pubblicità non di Prada o di Bvlgari, ma di un cappotto a trenta euro. Fa strano che non si scandalizzino.

In un dedalo di strade marmoree il cinquantaquattro ci riporta sul dritto, e poi a casa, quasi al fondo di viale Argonne. Questo è il posto più interessante, una serie di viuzze che sembrano congelate negli anni ’60, dove c’è tuttora un verduriere (un verduriere! e non ricostruito in un museo, ma vero e in piena azione!) e un Caffè Jesi ad un angolo da cui non passerà mai nessuno, coi tavolini di formica, l’insegna di lettere al neon e gli arredi rigorosamente fermi ai tempi delle figurine di Facchetti. E’ strano, perchè a Torino non è praticamente rimasto nulla di tutto questo; sulle vecche viuzze di periferia incombono i palazzoni di cartone di Franco Costruzioni, al posto delle fabbriche c’è una colata di cemento olimpica dietro l’altra (tutte già quasi in disuso) e verdurieri e latterie sono stati sterminati dalla politica di una Città Mercato (Fiat) qui, uno Sma (Fiat) là, un Auchan (joint venture Fiat-francesi) lì dietro e così via. Pensa, mi sa che adesso siamo noi la città senz’anima.

[tags]torino, milano, atm, gtt, grom, feltrinelli, supermercati[/tags]

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venerdì 26 Settembre 2008, 14:53

Prezzi cinesi

Stamattina ero in ufficio da Glomera, e per pranzo mi hanno portato al ristorante pizzeria cinese Millefiori di via Stradella; un posto normale, ben tenuto, con le pareti dipinte da poco e i tavoli (generalmente deserti) in ordine. Bene, il pizzaiolo cinese in cinque minuti ci ha sfornato quattro pizze al tegamino, di dimensione normale, ottime, condite nei modi più vari, che ci siamo portati via; prezzo totale, 11,30 euro con tanto di scontrino.

Sarà sicuramente vero che, pur con gli scontrini, si tratta di imprese a conduzione familiare che risparmieranno (o evaderanno?) contributi e balzelli vari; la stessa cosa, peraltro, si può dire delle tonnellate di club e circoli Arci gestiti da italiani e spuntati come funghi in questi anni, che però hanno quasi sempre prezzi da ristorante quattro stelle.

Insomma, sul come facciano i cinesi-italiani a mantenere prezzi tanto ridicoli si intrecciano sempre molte teorie; generalmente si va a parare sul fatto che, in un modo o nell’altro, sono malvagi evasori che rubano il lavoro agli italiani-italiani e dovrebbero essere visitati tutti i giorni dalla Finanza, come mi ha detto l’altra settimana il mio parrucchiere mentre, per i venti euro chiesti per tagliarmi i capelli, mi faceva una ricevuta non fiscale su un pezzo di carta da formaggio.

Qualcuno ha delle idee migliori?

[tags]economia, italia, cina, pizza, evasione fiscale[/tags]

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domenica 7 Settembre 2008, 11:56

L’autoscontro

Per capire un po’ la magia dell’Africa – perché c’è, ed è forte – è stato molto utile andare in autoscontro.

Vi ho già raccontato infatti della cena al ristorante disorganizzato; il ristorante sta nella feira, ossia uno spiazzo sterrato che contiene le cadeirinhas voadores (“seggioline che volano”), la giostra e l’autoscontro. Attorno, ci sono una dozzina di ristoranti costituiti da una cucina in muratura e da una tettoia di paglia, tendone o cemento sotto la quale ci sono dei tavolini di formica, come nei paesi dell’Italia meridionale; si contraddistinguono per i vari tipi di cucina – il francese, il libanese, il cinese – ma tanto fanno tutti lo stesso cibo locale, cioè carne o pesce alla griglia con verdure, riso e xima (polenta bianca). Alla feira si entra pagando un biglietto d’ingresso, o forse no, nel senso che alle volte all’ingresso c’è qualcuno in divisa che ti chiede dei soldi, altre volte no.

Dopo aver cenato, abbiamo visto lì l’autoscontro, con tre o quattro macchine piene di bambinette nere e borghesi che si davano delle mazzate mica male. Con diffidenza, ci siamo presi tre auto; e invece è stato liberatorio, e ci siamo divertiti un sacco, facendo anche amicizia con le bambinette, specie una seienne vestita di rosa che arrivava a malapena ai pedali ma aveva lo sguardo assassino e puntava regolarmente al frontale.

E’ stato dopo essere scesi di lì che improvvisamente il posto è apparso trasfigurato: non una misera baraccopoli, sporca e fatiscente, con tre piatti di cucina in croce; ma un luogo dove la gente si trova per divertirsi insieme. Ovviamente sono ritornati fuori i ricordi d’infanzia, le estati in spiaggia o i giochi con la terra in campagna; ma soprattutto abbiamo ricatturato per un attimo la differenza fra lo spiazzo tra le capanne (o l’aia di una cascina) e lo stare in casa davanti al televisore. Sarà che eravamo talmente poco abituati, che ci ha sorpreso.

[tags]viaggi, mozambico, maputo, africa[/tags]

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martedì 2 Settembre 2008, 11:17

L’ascensore

Siamo ospitati in un appartamento di italiani, al quattordicesimo piano del palazzo dei trentatre piani, il simbolo della città: un cubo di cemento in ottimo stato – che, per qui, vuol dire che è cadente ma non pericolante – su cui troneggia trionfante una grande pubblicità luminosa di Mcel.

Il palazzo è tra i migliori della città: è in pieno centro, vicino ai ristoranti e al supermercato, ed è decisamente signorile, come si capisce dalle tre o quattro guardie armate che stazionano in permanenza nell’atrio di ciascuna delle tre scale del palazzo, ma anche dalle persone che incontri all’interno: tutte nere, ricche e ben vestite, i giovani in tiro o abbigliati da sport, i bambini con la divisa scolastica e le cartelle coi personaggi dei cartoni animati.

Nella nostra scala, quella centrale, ci sono due appartamenti per piano, ognuno a sua volta dotato di un mini-appartamento per la serva, con cameretta, bagno e ingresso separato. L’appartamento principale ha una cucina, un salone, tre camere e tre bagni: direi sui 150 metri quadri. I bagni sono scrostati, ma c’è l’acqua calda, anche se alle volte ne viene soltanto un filo. Il maggior inconveniente è che, essendo vicini al mare, a questa altezza c’è sempre forte vento: e siccome i serramenti sono tutt’altro che efficienti, c’è costantemente un mezzo tornado che scorre per la casa.

Ovviamente, al quattordicesimo piano (ma anche al trentatreesimo) non si può certo arrivare a piedi: quindi in ogni scala c’è l’ascensore. Anzi, ce ne sarebbero due, ma nella nostra il secondo è fuori uso da secoli ed è sbarrato alla bell’e meglio, con le porte arrugginite; ne rimane uno solo, un bell’ascensore Otis con le pareti di metallo e lo specchio, molto simile a quello della mia precedente casa di Torino (a parte la sporcizia).

Il problema è che la similitudine si spinge un po’ troppo avanti: infatti, il funzionamento di questo ascensore è spesso interrotto. Almeno metà delle volte in cui arrivi a casa c’è nell’atrio un bel cartello che comunica che l’ascensore non funziona. In pratica, si rompe a sprazzi: mezz’ora è rotto, poi funziona per un paio d’ore, poi per un po’ è ancora rotto, poi riparte e così via.

Nessuno degli italiani che abitano qui da molti mesi è ancora riuscito esattamente a capire come faccia un ascensore a rompersi e venire riparato tutti i giorni diverse volte al giorno: voglio dire, se si rompe un pezzo lo si cambia o lo si aggiusta, e poi non si rompe più; non può mica rompersi un pezzo diverso ogni due ore. Oltretutto gli ascensori delle altre scale funzionano perfettamente; e anche il nostro, quando funziona, non dà problemi nè particolari segni di squilibrio, se si esclude un vago ondeggiamento e una grossa bolla di presumibile ruggine nel pavimento metallico, sotto il tappeto di plastica, che si piega ogni volta che la calpesti.

Le nostre certezze tecnico-organizzative occidentali sono andate però un po’ in crisi quando uno di noi ha incontrato i tecnici, che ormai stazionano in permanenza nel palazzo, e ha chiesto spiegazioni sull’incapacità di risolvere i guasti: uno di loro ha risposto mettendosi a piangere. Nulla di strano, perché pare che qui mettersi a piangere sia la risposta a qualsiasi situazione in cui si è commesso un errore. Qui però c’è qualcosa di più serio.

Nella casa, infatti, si sa perfettamente la causa del problema, e – a mezza bocca – alla fine la spiegazione arriva anche agli inquilini bianchi: l’ascensore della scala di mezzo si rompe continuamente perché all’ottavo piano ci sono i fantasmi, tra cui quello di un guardiano che un giorno, in un passato imprecisato, aprì le porte ad un piano pensando di liberare delle persone chiuse dentro, e invece non trovò la cabina e cadde nella tromba dell’ascensore, morendo. Per poter usare l’ascensore, quindi, pare necessario attendere il momento in cui i fantasmi sono tranquilli e danno il loro beneplacito.

Ma non temete: una delle grandi leggi dell’Africa è che a tutto si trova sempre una soluzione. In questo caso, si può entrare nella scala di fianco, prendere l’ascensore fino al nono piano – i piani dal primo all’ottavo non sono raggiungibili, si parte dal nono in poi; penso che per i piani bassi si entri da un’altra parte e siano dedicati a uffici o appartamenti più popolari – poi uscire sulle scale, scendere di un piano, e attraversare il lungo corridoio che all’ottavo piano mette in comunicazione tra loro le tre scale, e ospita gli uffici dell’amministrazione. A quel punto si può uscire sulla scala centrale, un antro buio e sporco, salire a piedi di sei piani, poi aprire con la chiave il cancello di ferro antifurto che separa le scale dal pianerottolo e dall’ascensore, e di lì entrare in casa. E’ anche più bello, perché lungo il percorso si fa amicizia, ci si aiuta a portare le borse, si sorride alle bambinette che trascinano su la cartella tornando da scuola, e così via.

Ah, siccome tempo fa nell’ascensore dell’altra scala si ruppe la lampadina del pulsante del nono piano e nessuno ha voglia di trovarne una per cambiarla, hanno spostato i fili e quando premete il nove lampeggia un attimo la luce del sedicesimo piano; non disperate, poi si ferma correttamente al nono.

[tags]viaggi, mozambico, maputo, ascensore, otis, fantasmi[/tags]

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venerdì 29 Agosto 2008, 11:20

Integrazione (2)

(segue da qui)

Capisci che hai delle ottime speranze di integrarti passabilmente nella cultura locale – almeno da visitatore – quando, essendo entrato in Mozambico da tre ore e mezza – il minimo tempo che ci vuole per uscire dall’aeroporto, trovare le persone che sono venute a prenderti e percorrere in auto i cinque chilometri che separano l’aeroporto dal centro di Maputo, se si seguono gli usi e costumi del posto – arrivi nel condominio di trentatre piani dove risiede la tua ospite, il più elegante e famoso di tutta la città, entri nell’atrio con le valigie, e per accedere al lussuoso ascensore Otis devi aggirare la carcassa di una mucca, distesa lì sul pavimento, sanguinante e squartata, su un telo da campeggio davanti al banco del portiere; e il tuo commento è: “Si vede che è una casa elegante: se fosse stata una casa meno bella, sul telo ci sarebbe stato solo un quarto della mucca!”

[tags]africa, mozambico, viaggi[/tags]

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martedì 26 Agosto 2008, 15:00

No ma prego, eh!

È sempre bello essere sul piede di partenza per un lungo volo aereo verso l’Africa, e beccarsi nel giro di pochi giorni il disastro di Madrid, quello di Bishkek, l’ATR Air Dolomiti che ho preso un sacco di volte che si incendia al decollo da Franz-Josef-Strauss, e un jumbo Ryanair che perde pressione e fa di corsa un atterraggio d’emergenza a Limoges

Comunque è quel che si chiama un grappolo statistico: se non fosse appena successo un evento grave, quelli meno gravi probabilmente non sarebbero apparsi sui giornali. Invece, questa settimana fa notizia persino una bottiglia di salsa ai funghi scambiata per acido da terroristi…

[tags]aerei, statistica[/tags]

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lunedì 25 Agosto 2008, 14:13

Assicurazioni di viaggio

Dopo due mesi di preparazioni vaccinatorie, dopodomani parto per il Mozambico (l’avevo scritto, vero?) e tra le ultime cose da fare c’è il procurarsi una assicurazione di viaggio. Io ho girato mezzo mondo senza mai farne una, però l’Africa è l’Africa, i pericoli sanitari sono più della media e in fondo si vive più tranquilli essendo assicurati e avendo coperto l’eventuale trattamento più rimpatrio.

Naturalmente, nonostante gli ottimi rapporti con il mio assicuratore, non mi è nemmeno passato per il cervello di chiedere ad una assicurazione italiana: comunque, chi invece l’ha fatto – perché siamo piemontesi e vorrai mica non assicurarti con l’assicurazione di famiglia – ha avuto un prezzo di circa 230 euro, per 16 giorni di viaggio, con 30.000 euro di massimale sul rimpatrio. Io ho provato online con Europ Assistance e il preventivo è risultato di circa 100 euro, cioè meno della metà.

La accendiamo? No, perché grazie a un mio collega spesso discretamente sfigato – quello di questo episodio, a cui quest’estate la macchina è stata semidistrutta mentre era parcheggiata sotto casa perché ci è crollato sopra il camino del palazzo – ho scoperto World Nomads, un sito australiano che vende assicurazioni di viaggio online in tre click. Coprono anche gli sport estremi, hanno un massimale di 250.000 euro, includono cure, rimpatrio per ragioni mediche con doppio viaggio di accompagnatori, rimpatrio per incidente a un congiunto, cure dentistiche d’emergenza, persino il furto o perdita del bagaglio e degli oggetti elettronici anche se con massimali ridotti (800 euro, 400 per oggetto, a prezzo svalutato in base all’uso); il tutto dovunque tu sia fuori dall’Italia, dal momento in cui varchi il confine al momento in cui lo riattraversi al ritorno. Anche se il sito è australiano, la garanzia è offerta da una assicurazione danese e quindi ci sono tutte le protezioni legali intra-Europa. Il costo è di circa 40 euro, che includono due euro di donazione a Oxfam per costruire una scuola elementare in Cambogia; in realtà sarebbero stati 28 se avessi rinunciato a due giorni, visto che va a settimane. Si fa tutto online con attivazione immediata, comprese le segnalazioni, ma ovviamente per emergenza si può anche telefonare o mandare una mail a un call center a Copenaghen, attivo 24 ore su 24.

Spero di non dover mai fare la prova e capire se a queste differenze di prezzo corrisponda una differenza di prestazioni, anche se, sulla carta, l’assicurazione più economica è anche quella che copre di più. Certo che, ancora una volta, emergono le grandi verità della rete globale: uno, qualsiasi sia il servizio di cui hai bisogno l’Italia non è competitiva, e due, chi si sbatte a cercare e confrontare le possibilità in rete finisce per guadagnarci sensibilmente.

[tags]viaggi, assicurazione, mozambico[/tags]

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giovedì 21 Agosto 2008, 09:55

Soffia l’allegria!

“Soffia l’allegria!” è lo slogan delle manifestazioni culturali estive con cui Saint-Vincent, ex meta del turismo intellettual-danaroso ora in crisi d’identità, cerca di mantenere vivo il proprio appeal. Certo però che se il suddetto slogan viene riportato in fondo al manifesto che annuncia un evento come questo, l’effetto non può che essere piuttosto comico…

crepet_544.jpg

P.S. E’ domani sera: secondo voi, è il caso che vada a sentire?

[tags]saint vincent, cultura, crepet, allegria[/tags]

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martedì 19 Agosto 2008, 11:32

Cervinia

Ieri sono stato per la prima volta a Cervinia, un posto di cui tutti dicono sempre un gran bene: del resto, se c’ha la casa Mike Bongiorno

In effetti una cosa eccellente a Cervinia c’è: era buona la pizza al taglio che abbiamo mangiato per pranzo, sulla via principale, accanto all’ufficio postale. Si sa che il vero segreto per fare buoni il pane e la pizza non è la farina, ma l’acqua; per questo motivo, in montagna è difficile mangiare pizza cattiva. Comunque, abbiamo apprezzato.

Il resto, invece, lascia perplessi. Il posto, in termini naturali, è bellissimo: una ampia conca soleggiata circondata da montagne altissime, con in mezzo il Cervino, da cui scendono ruscelli e cascatelle in mezzo ai prati, mentre verso la valle incominciano le foreste. Peccato che ci abbiano trasferito in mezzo un pezzo di città di raro squallore, che si avvicina molto alle vette di bruttezza di Bardonecchia.

Non è solo questione dell’effetto che fanno dei palazzi di tre, cinque, dieci piani nel bel mezzo di un prato d’alta montagna; è che i palazzi in questione sono per buona parte vecchi e cadenti. Uno non si immaginerebbe che in una località chic ed esclusiva – se non altro perché la quantità di appartamenti disponibile è ampia ma comunque non infinita – ci siano vecchi palazzoni anni ’50 con le ringhiere arrugginite e il cemento che si sbriciola; abbiamo persino visto un paio di case chiaramente in abbandono, con i vetri rotti e l’interno pieno di scritte. Per non parlare della partenza della funivia: un edificio bombardato, con il piano superiore diroccato e un’ala di cui resta soltanto un muro, e dall’interno sporco, che sembra mai più ripulito dalla seconda guerra mondiale; all’ingresso c’è persino un cartellone vintage, primi anni ’60, che segnala l’apertura o chiusura delle varie funivie con delle lucette semaforiche recuperate direttamente da un garage sotterraneo di Milano Lambrate.

Lo scempio sarebbe comunque tollerabile se fosse limitato all’interno della conca; e invece no. Basta girarsi verso est, la parte delle piste, per vedere palazzoni di ogni genere spuntare orrendamente tra i boschi e in mezzo ai pendii; a seconda della zona, si può ammirare il peggio dell’architettura anni ’50, il peggio dell’architettura anni ’60, il peggio dell’architettura anni ’70 e il peggio dell’architettura anni ’80. Come se non bastasse, il Cervino è incorniciato dalle gru: difatti – nonostante in Val d’Aosta sia vietato costruire nuovi edifici sopra una certa quota d’altezza – devono aver trovato qualche scappatoia, o qualche gancio politico, e così stanno ancora costruendo condomini sempre più in alto sulla montagna, naturalmente tutti con un ufficio vendite il cui numero di telefono inizia per 02 o al massimo 03.

Abbiamo capito l’aria che tirava quando, durante la nostra passeggiata sul lato ovest della conca (quello meno deturpato), abbiamo incrociato un tizio che nel tipico dialetto locale ci ha chiesto: “Uè, figa, ma questa è già Cervinia? Ma dov’è la strada che va a duemilaeotto?”. Praticamente, voleva arrivare con la sua macchinetta dritto dritto sulla cima del Cervino o quasi, e non si convinceva che in montagna, oltre una certa quota, si debba andare a piedi.

Alla fine, la natura è talmente magnifica che la passeggiata è stata bellissima lo stesso. Certo è che, a Cervinia, l’uomo si è messo di grande impegno a devastare la montagna.

[tags]cervinia, val d’aosta, pizza, turismo, deturpazioni, milanesi[/tags]

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giovedì 14 Agosto 2008, 12:48

TIM e la matematica

Evidentemente TIM ha una concezione molto particolare della matematica.

Infatti, per potermi collegare con il PC dalla montagna usando il cellulare come modem, come ogni anno ho attivato l’offerta che per 20 euro ti dà 500 MB di traffico entro 30 giorni (sì, lo so che Wind ha una offerta simile che costa molto meno, ma in montagna da me prende malissimo TIM, figuriamoci Wind). Sul sito è scritto che per attivare l’offerta è necessario disporre di almeno 23 euro di credito; io ne avevo 3; uscendo di casa, ho ricaricato online per 20 euro; poi, giunto in montagna, ho acceso il telefono e ho mandato l’SMS per attivare l’offerta.

E mi è arrivato l’SMS che dice “Attenzione! Non possiamo attivare l’offerta – devi disporre di almeno 23 euro di credito.”, subito dopo l’SMS che diceva “Attenzione! Abbiamo effettuato la tua ricarica, il tuo credito è ora di 23 euro.”. (TIM ti spamma di messaggi per qualsiasi motivo, addirittura ti manda ogni volta un SMS per avvertire che qualcuno si è loggato col tuo utente sul 119 online…)

Così ho dovuto attendere un giorno, andare in paese, comprare dal tabaccaio una ricarica da cinque euro, usarla, e solo allora ho potuto attivare la mia offerta per collegarmi. Chissà, forse qualche quadro Telecom potrebbe insegnare al resto dell’azienda l’uso dell’operatore “maggiore o uguale”

[tags]tim, cellulari, credito, matematica[/tags]

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