Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Ven 5 - 7:22
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione

Archivio per la categoria 'StillLife'


mercoledì 30 Luglio 2008, 09:06

Integrazione

Capisci che hai delle ottime speranze di integrarti passabilmente nella cultura locale – almeno da visitatore – quando, essendo entrato in Giappone da non più di cinque minuti e avendo in quel momento completato con successo la procedura per ritirare contanti dal bancomat, fai istintivamente un inchino alla macchinetta!

[tags]bancomat, procedure, integrazione[/tags]

divider
venerdì 25 Luglio 2008, 19:21

Qui mancano gli standard

Sto partendo per un viaggio di 12 giorni (più due di viaggio): quattro giorni in ognuna di tre diverse città.

L’intervallo di temperature previsto nelle tre città è:

  • Dublino: minima 12 gradi, massima 18 gradi;
  • Sapporo: minima 19 gradi, massima 26 gradi;
  • Tokyo: minima 26 gradi, massima 33 gradi.

E in più devo anche calcolare una escursione sulle pendici del monte Fuji, a oltre duemila metri di altezza. A Dublino farò una riunione d’affari, ma anche una escursione collinare con probabile fango; a Sapporo devo tenere un discorso; a Tokyo farò il turista, ma forse riceverò anche un invito a cena.

Ora… ma come faccio io a far entrare in una sola valigia il guardaroba adatto per tutto ciò? Posso fare qualche compromesso, ma insomma, cari stranieri, mettetevi d’accordo: sarebbe il caso di adottare finalmente una temperatura standard uguale per tutto il mondo.

[tags]viaggi, temperature, valigie[/tags]

divider
venerdì 25 Luglio 2008, 12:48

Perdere le cose

Fervono i preparativi per il mio viaggio pluri-continentale – parto domani mattina presto – e così stamattina, esaurite le ultime incombenze come la chiusura contabile mensile, ho cominciato a smazzare la checklist delle cose da fare prima di partire, che al punto numero uno reca: “passaporto”.

Ossia, tirar fuori il passaporto ed essere sicuri di portarlo con sé; non è bello arrivare fino in Giappone e poi venire rispediti indietro per mancanza del documento.

In realtà, il motivo per cui questa cosa era in cima alla mia lista era che già da qualche giorno si era sviluppata in me una sottile inquietudine. Già, perché le ultime volte che ho aperto il cassetto dei documenti, il passaporto non c’era; non è un caso così strano, perché quando uno arriva a casa dopo un lungo viaggio ha solo voglia di sbattersi sul letto o sul divano, e non certo di risistemare tutto; a partire dal giorno dopo, poi, si viene sopraffatti dal lavoro arretrato. Succede quindi che il passaporto resti per un po’ in altri posti; sulla scrivania, o nelle tasche della giacca, o nel marsupio; fino a quando, vedendolo lì, lo prendo e lo metto a posto.

In questo caso, però, l’ultimo viaggio era stato tre settimane fa ed è un tempo piuttosto lungo; era strano che il passaporto non fosse tornato nel cassetto. Così stamattina ho cominciato a cercarlo; ho perquisito il cassetto, ma niente; ho provato gli altri cassetti, senza risultato; ho smosso le varie pile di carte e documenti che occupano il davanzale della finestra, la superficie del comò, la scrivania, un angolo del divano, ma ancora niente. Ho guardato nelle tasche di tutte le giacche che avevo a Parigi, ma non c’era nulla se non un paio di scontrini e un biglietto del metrò. Ho provato a guardare dentro la valigia, negli altri armadi, sul mobile del tinello, in mezzo ai libri, insomma un po’ dappertutto; ho persino ricontrollato il marsupio, come se avessi potuto lasciarci dentro il passaporto per tre settimane senza mai vederlo.

Poi, non avendo trovato nulla, ho rifatto tutto il giro una seconda volta; ancora niente. Qui ho cominciato ad avere un attacco di panico; a domandarmi se sia possibile in Italia rifare il passaporto in un pomeriggio, a qualsiasi costo (seeh); a immaginarmi scene lacrimose di me che imploro un arcigno doganiere nipponico di lasciarmi entrare nel paese con la carta d’identità.

Alla fine, comunque, ho avuto l’illuminazione: ho notato in un angolo della scrivania la borsa della macchina fotografica; l’ho aperta e il passaporto era lì, infilato nella fessura che sta tra lo scomparto della macchina e il retro della borsa. Solo allora mi sono ricordato che a Parigi non avevo portato il marsupio ma la giacca, ma al ritorno, visto il caldo che faceva, avevo messo la giacca in valigia e avevo usato la borsa della macchina fotografica come marsupio (è una mossa che faccio spesso all’estero, per ridurre il numero di borse con cui giro). Poi, arrivato a casa, avevo buttato la borsa in un angolo e non l’avevo mai più toccata fino ad oggi.

Adesso il passaporto è pronto nel marsupio, e posso proseguire. Certo però che, se fossi più ordinato, eviterei di rovinare il mio sistema cardiocircolatorio.

[tags]perdere le cose[/tags]

divider
martedì 22 Luglio 2008, 15:11

Tiscali!

Ero qui tranquillo che smazzavo la mia posta guardando la fuga di Cunego al Tour, quando nel mio Thunderbird è apparsa una mail da Tiscali, il mio fornitore di ADSL. Curioso, l’ho aperta: mi comunicavano che la mia richiesta di modifica dei dati personali – cambiando il numero di conto in banca e l’indirizzo, che loro avevano originariamente caricato in modo errato – era stata accolta e processata, e si scusavano perché “la mancata modifica dei dati di pagamento è dovuta al processo di migrazione dei sistemi, verso una nuova piattaforma di gestione.”.

Io mi ricordavo di avere inviato questa richiesta tramite il loro sito Web “130 fai da te”, ricevendo in cambio un sacco di errori; ma era molto tempo fa, in una delle prime fasi di tutte le mie peripezie con Tiscali (risolte con il pagamento di una fattura via carta di credito per telefono, dopo il primo post sul blog; per la seconda dovrebbe partire il RID, ma a questo punto non sono più sicuro di niente). Ma era proprio molto tempo fa, parecchie puntate prima di quella.

Così ho controllato, anzi, nella mail stessa c’era scritto quando avevo inviato la richiesta di assistenza a cui loro stavano ora per la prima volta rispondendo: esattamente lunedì 11 febbraio 2008 alle ore 11:33:26.

Beh, come tempo di risposta a una richiesta di assistenza online, cinque mesi e mezzo non è male: ammiro comunque la perseveranza!

[tags]tiscali, assistenza, customer care, piani di migrazione ben studiati, le meraviglie delle corporation moderne[/tags]

divider
domenica 20 Luglio 2008, 10:10

Stai a Napoli e poi muori

No, nonostante il titolo non voglio parlare del crollo del palazzo nei Quartieri Spagnoli avvenuto qualche giorno fa. E’ che sono rimasto stupito da un fatto che ho osservato negli ultimi due o tre mesi: apparentemente, a Roma sono comparse legioni di napoletani (almeno, a me paiono tali dall’accento) che cercano di arrangiarsi per vivere. Prima non c’erano; d’improvviso, mi è capitato di incontrarne tre in due fuggevoli visite.

Uno era pure divertente, anzi gli darei l’oscar dell’arrangiamento in almeno due sensi diversi: difatti, si era messo nel lungo corridoio sotterraneo che collega Roma Ostiense alla metro Piramide – uno dei maggiori esempi italiani di pessima pianificazione trasportistica – e cantava, accompagnandosi con una base registrata, Can’t Help Falling In Love di Elvis Presley (che poi, come già dissi tempo fa, è una romanza settecentesca di Jean-Paul Martini). Ma il punto è che non la cantava mica: faceva il playback. La voce era quella di Elvis, e usciva dalla scatola; lui faceva soltanto le facce, abbrancato ad un microfono che non portava a niente.

Gli altri erano più normali; alla Stazione Termini, tu sei seduto sul treno in attesa di partire – una volta per Fiumicino, un’altra per Torino Porta Nuova – e sale un ragazzo che cerca di venderti qualcosa.

Quello di due mesi fa era simpatico, e siccome io ho sorriso e ho detto “No grazie” guardandolo negli occhi si è subito creata simpatia; così mi ha attaccato un bottone pluriparte – a un certo punto ha comunicato “vado a cercare un altro pol… cliente ma poi torno da te” – che è durato fino a Parco Leonardo. Cercava di vendermi un pacchetto di calzini e altra paccottiglia cinese, utilizzando qualsiasi mezzo, comprese le foto della (presunta) figlia piccola, mostrate peraltro su un Nokia rosso fiammante nuovo di pacca. Una volta mi sarei alterato, ma ora, avendo visto Marrakech e Pechino, riconosco il pattern comportamentale: è semplicemente un gioco, il gioco della vendita. Tu devi restare sulle tue (specie se non hai intenzione di comprare; non è bello promettere e non mantenere) e sapere che ciò che sta facendo lui è una sceneggiata ben studiata; e godere dello spettacolo apprezzandone la professionalità.

A un certo punto gli ho offerto un euro in cambio di niente, come premio di prestazione, e lui ha risposto alla grande: ha finto di offendersi mortalmente e iniziato un lungo pippone sulla dignità che mi stava strappando un applauso, ribadendo che lui non avrebbe mai potuto accettare l’elemosina, perchè lui voleva solo lavorare e vendermi i suoi calzini. Ovviamente, venti minuti dopo ha preso l’euro – ma solo dopo che io sono stato al gioco a mia volta e ho insistito che non era una elemosina ma semplicemente un caffè, e solo dopo avermi chiesto se per caso potevo offrirgli anche ‘o cornetto – e se n’è andato. Purtroppo questo ragazzo parlava un dialetto strettissimo, che facevo molta molta fatica a capire; ma è stata una grande esperienza.

Quello di ieri era meno bravo e meno disposto a spendere tempo, anche perché il treno andava lontano e non poteva rischiare di restarci sopra; ha semplicemente blaterato che l’oggetto che voleva vendere c’aveva scritto “canalecinquo” sulla confezione, quindi era sicuramente di ottima fattura; è bastato un no per farlo andare via.

Stavo per concludere che probabilmente la crisi si fa sentire, e che da Napoli hanno individuato Roma come una possibile fonte di denaro. Purtroppo, è anche possibile – vista la sistematicità – che si tratti di un racket, e che questa gente sia organizzata e caporalata dalla camorra. E’ comunque una forma di degrado, ma d’altra parte si deve pure tirare a campare.

[tags]roma, napoli, venditori ambulanti[/tags]

divider
giovedì 17 Luglio 2008, 09:36

Un parere spassionato su iPhone e simili

Non si dovrebbe mai parlare di cellulari con un grande blogger come Fabbrone e un grande non-blogger come Simone C.: non appena ho scritto questo, il mio venerato Nokia 6620 del Natale 2002 è morto sul colpo (o meglio, è morta la sua colonna sonora, e tutte le suonerie sono diventate mute, impedendomi di accorgermi delle chiamate).

La buona notizia però è che questo mi ha permesso finalmente di farmi una opinione di prima mano sui cellulari dell’evo moderno; non sull’iPhone di cui tutti parlano, ma su un suo concorrente piuttosto simile. Infatti, in azienda avevamo un residuo di smart phone di fascia alta dello scorso anno, comprati per un progetto a termine e poi rimasti lì; e così, nella necessità, ho rimediato al volo un HTC P3600.

Stando al duo di two non-blogs di cui sopra, si tratta di un telefono fichissimo: ha uno schermo enorme, due fotocamere da due megapixel, il bluetooth, il wi-fi, l’UMTS, sopra ci gira Windows e può farti anche la pasta in PDF. Così mi sono messo di buzzo buono e ho provato ad adottarlo come cellulare.

La batteria era a terra, e ci ho messo venti minuti per trovare il buco dove infilare la presa del caricatore, o meglio per scoprire che si infila nel buco dell’USB, anche se sull’oggetto, vicino al buco, non c’è alcun simbolo che indichi “corrente” ma solo quello che indica “segnale”; e il buon Beccari, mitico professore al Politecnico, m’insegnò che dove va il segnale non va la corrente, pena il crollo del cielo sulla testa.

In compenso, ci ho messo un’ora (ma veramente!) per riuscire ad aprirlo e metterci la SIM; alla fine, ho chiesto a un collega il quale mi ha descritto via chat una specie di manovra di Heimlich, tipo “metti il palmo di una mano sullo schermo e l’altro palmo sul retro, poi schiaccia con forza e spingi in due direzioni contrapposte”. E dire che avevo cercato il manuale; nella confezione c’era sì un volumetto di 80 pagine, ma erano le condizioni di licenza di Windows e annessi; il manuale, quello che serve a qualcosa, non te lo danno, ed esiste solo online; lo cerchi, lo trovi, lo scarichi, lo apri, e dopo scartabellamento ti dicono che le istruzioni per aprire il retro sono in un altro manuale, quello di “avvio rapido”; trovi pure quello, e finalmente arrivi alla fatidica istruzione, che dice testualmente: “1. Aprire il coperchio.” Ah, grazie!!!

Perlomeno, durante l’ora di ispezione ho scoperto un fenomeno strano; anche se questo oggetto è un mattone, è grosso e pesante il doppio del mio vecchio Nokia e sembra di portarsi dietro un panetto di piombo, ha degli angolini progettati da un coreano con le manine da puffo. Da uno di questi angolini, infilando l’angolo di un’unghia, esce fuori un cottonfioc di metallo, che ho guardato con stupore; poi mi hanno spiegato che esso serve a battere sullo schermo per selezionare le opzioni.

E così, l’ho caricato, l’ho acceso, e mi sono trovato a battere sullo schermo come Woody Woodpecker, quindici volte di fila per settare l’orologio a ore tre, e poi quarantasette per i minuti. Comodo!

Essendo che il cellulare era stato già usato, per prima cosa ho cercato di cancellare la rubrica; non si può. Puoi fare milioni di fantasmagoriche operazioni usando Windows, ma svuotare la rubrica no; ho dovuto fare un reset hardware e reimpostare tutto da capo. E poi, la mia prima telefonata.

E’ lì che ho realizzato un aspetto che mi era sfuggito, ma che è piuttosto basilare: questo coso non ha i tasti coi numeri.

Cioè, signori, lo passano per un cellulare fichissimo, ma non c’è modo di comporre un numero di telefono. A meno naturalmente di: bootare Windows, estrarre il pennino, battere qua e là alla maniera di Woody, far venir fuori un tastierone numerico sullo schermo, e ribattere sui numeri di telefono. Oppure battere qua e là per far venir fuori la rubrica… e poi, visto che non ci sono i tasti coi numeri, non puoi arrivare alla lettera che ti serve semplicemente premendo un tasto; di nuovo, devi battacchiare qua e là.

Ora, un cellulare serve a fare tre cose: telefonare, scambiare SMS e svegliarmi al mattino quando devo prendere l’aereo. Queste tre cose, in codesto oggetto, richiedono dieci volte lo sforzo del mio Nokia di dieci anni fa. Per esempio, immaginate di stare arrivando sotto casa della vostra metà e di volerle fare uno squillo per invitarla a scendere: non mi sembra una esigenza strana, anzi lo fa metà della popolazione terracquea tutte le sere. Con il cellulare precedente, potevo schiacciare tre tasti tre per arrivare a selezionare il numero; al momento buono, bastava schiacciare il pulsante verde. Si poteva fare senza problemi nei venti secondi di attesa all’ultimo rosso, o persino guidando. Si poteva addirittura semplificare facendo in modo che bastasse tenere schiacciato un solo tasto numerico per far partire la chiamata.

Con questo nuovo oggetto, io, mentre guido, dovrei estrarre un cottonfioc di metallo, fare Woody Woodpecker per trenta secondi in mezzo a una interfaccia con decine di icone e voci di menu di 3×3 millimetri l’una – il tutto in equilibrio precario e mentre tengo il volante coi denti – e poi tenere premuto il cottonfioc per un secondo contro lo schermo, mi raccomando senza lasciarlo mai. E badate bene di non preselezionare il numero quando uscite di casa, perchè entro un minuto, per risparmiare la sua batteria che dura più o meno un quarto d’ora, l’oggetto si spegne da solo!

Non ho peraltro dubbi che con qualche centinaio di dollari di costi di licenza io possa sviluppare una meravigliosa applicazione custom per Windows Mobile, che mi permetterà di fare la stessa cosa che fa un Nokia da 30 euro, cioè squillare la mia fidanzata in un secondo senza slogarmi il becco a forza di picchiare…

E dire che mi avevano avvertito: tutti gli altri colleghi che avevano già provato questo coso, passati i primi tre minuti di orgasmo tecnofiliaco, erano tornati di corsa ai loro vecchi cellulari. Ma dopo questa esperienza non ho dubbi: se uno vuole usare un PC, guardare le mail, navigare su Internet, si porta il portatile, magari comprandosene uno leggero e non un padellone da 19″; quanto al telefono, mi cercherò quanto prima un Nokia da 30 euro che faccia le cose che deve fare un cellulare, invece di costringermi a litigare con una interfaccia grafica pure per mandare un SMS alla mamma.

[tags]iphone, smart phone, cellulari, nokia, htc[/tags]

divider
domenica 13 Luglio 2008, 13:09

A bocca chiusa

Non so che cosa ne pensiate voi, ma io vorrei spendere due parole per la dipartita di un grande personaggio: Gianfranco Funari. E le vorrei spendere proprio sapendo che molti storceranno il naso, perché Funari è sempre stato considerato un arruffapopolo, un banfone, un pecoraio, un burino volgare e arricchito che si vestiva da lord inglese e girava con la Bentley, ma basava le proprie fortune, ben prima di Maria De Filippi, sulle massaie e sui tamarri che si insultavano in tivvù a colpi di luoghi comuni.

A me, invece, Funari è sempre piaciuto, proprio perché era così; perché in un Paese dove tutti sono ossessionati dal sembrare intellettuali, dal pubblicare libri che nessuno legge, dal rilasciare interviste colte che fanno addormentare e dal farsi chiamare Maestro anche se si è solo un onesto Pino Mango come tanti, lui preferiva essere popolare; usare le parole che usiamo tutti, comprese le parolacce, e non avere paura di dire le cose come stanno; e nel frattempo baccagliarsi qualsiasi femmina passasse in zona. E basare tutto su un’esperienza di vita vera, una vita che lo aveva portato a fare il croupier e il pugile e tante altre cose, prima di entrare in televisione.

Funari fu il primo epurato dell’era berlusconiana; prima ancora che scoppiasse Mani Pulite, parlò male di Craxi e fu cacciato da Retequattro; si inventò una cosa mai vista, cioè una syndication dal basso, registrandosi lui il suo programma e mandando le cassette a 75 piccole televisioni locali per farle trasmettere. Tornò e fu cacciato varie altre volte, tanto è vero che dal 1996 al 2007 non apparve più né sulla Rai né su Mediaset, se non qualche volta come ospite; si inventò il suo angolino, di nuovo sulle reti private, e lì rimase, facendo parlare chi pareva a lui, che fosse un antisistema come Travaglio o un democristiano come Rotondi. Non per queste epurazioni si mise a fare la vittima, o a pietire un posto da eurodeputato come Santoro; le prese, semplicemente, come la conseguenza necessaria della sua sincerità, che non intendeva abbandonare. Tirò quindi dritto per la sua strada, anzi andò pure a trovare Craxi ad Hammamet, per dargli del ladro a quattr’occhi e però capire qualcosa di quell’uomo, esattamente come voleva capire qualcosa delle casalinghe a cui dava la parola in televisione.

Questa è l’impressione che rimane: quella di una persona vera che amava la vita, che apprezzava la sua fortuna ma non per questo si considerava superiore agli altri, tanto è vero che adorava la sua Bentley, ma la usava per scorrazzare sul lungomare di Loano, mica quello di Porto Cervo.

Come per tutte le persone vere, prima o poi la fine arriva ed è dura; perché chi ama la vita trova sempre nuove cose da fare, e non vorrebbe andarsene. Eppure, anche se Funari se la tirava troppo poco per poter finire sui libri di storia, credo che saremo in molti a ricordarci di lui ancora per un bel po’.

[tags]funari[/tags]

divider
giovedì 3 Luglio 2008, 09:49

L’economia che non gira

Oggi ho controllato il conto in banca e ho avuto una sorpresa inattesa: ben due clienti hanno già provveduto a pagarmi, dopo un solo mese, le fatture emesse a fine maggio. E io che mi ero abituato a pensare che fosse normale venire pagati dopo quattro, cinque, sei mesi, come fanno i miei due clienti principali (di uno dei quali sono pure socio)!

E’ vero che questo è un andazzo generalizzato e tutto italiano: provate a dire a una azienda tedesca o francese che vi devono consegnare il lavoro adesso, ma che li pagherete dopo tre mesi che poi in realtà diventeranno quattro o cinque, e solo dopo che loro avranno sollecitato due o tre volte, pietito, criticato, minacciato di ritorsioni e tentato di staccare il servizio; penseranno che siete pazzo. Addirittura una nota marca italiana di automobili di lusso ha due procedure di pagamento separate, una per i fornitori italiani e l’altra per quelli stranieri… tanto se non ti pagano cosa vuoi fare, aprire una causa che durerà dieci anni e ti costerà più del tuo credito? Il risultato ovviamente è che ad andare in crisi non sono quelli che lavorano male, ma quelli meno filibustieri o meno ammanicati con il cliente, insomma meno in grado di farsi pagare: uno dei tanti elementi che rendono morente la nostra economia.

In più, in un sistema economico in cui sempre più persone lavorano con partita IVA, questo sistema mina le basi della sopravvivenza: come fareste voi se il vostro datore di lavoro vi pagasse lo stipendio con tre mesi di ritardo e comunque solo quando gli salta di farlo?

Solo che ora non riesco più a capire se sono stato fortunato adesso, o sfortunato prima; se sono particolarmente bravi quelli che pagano a un mese, o particolarmente malevoli quelli che pagano solo dopo tre raccomandate e un paio di stagioni.

[tags]economia, fatture[/tags]

divider
lunedì 30 Giugno 2008, 17:05

Panorama in città

Dev’essere venuta l’estate, visto che è la prima volta quest’anno che dopo pranzo, a fronte di una giornata caldissima e persa in piccola contabilità di fine anno e altre faccende, cado con la faccia sul letto a metà pomeriggio e non mi sveglio se non dopo un’ora.

Sicuramente i miei orari lavorativi tenderanno a spostarsi verso la sera; nel frattempo, oggi ho fatto le mie commissioni in bici all’ora di pranzo. Mi è un po’ spiaciuto lasciare Parigi, perché è stata una bella settimana, ma ho fatto pranzo in un angolo di Torino bellissimo, che nemmeno i torinesi conoscono.

Si tratta del nuovo parco archeologico delle Porte Palatine; in pratica, subito dopo la porta romana c’è un piccolo cancello dal quale ci si inerpica su per una salita, sopra quella che sembra una collinetta ma in realtà è un ricovero artificiale costruito per ospitare i carretti di Porta Palazzo (ah, come siamo ingegnosi noi torinesi). In cima alla salita, ci si gira verso il centro e lo spettacolo è eccezionale: un grande prato verde corre fino alla porta e al residuo di mura romane, dietro il quale, come in un paesaggio di secoli fa, si vedono spuntare il Duomo, il Palazzo Reale, le case seicentesche di via della Basilica, e sulla destra invece le case di ringhiera sette-ottocentesche che circondano il mercato. Persino il palazzo comunale di piazza San Giovanni e la Torre Littoria – tra l’altro c’è su una grande bandiera italiana, e finalmente direi, visto che all’estero ci sono bandiere nazionali su qualsiasi torre o pennone e da noi mai nulla – hanno un loro senso in questa vista; tutto sembra, meno che di essere in mezzo a una città moderna. E anche la vista verso il fuori non è poi male, anche se oggi c’era una grande colonna di fumo nero che veniva da qualche edificio in fiamme (pensavo fosse finalmente bruciata l’autostazione di via Fiochetto, quello sì un pezzo di Bronx, e invece era qualcosa più in là, zona corso Regio Parco).

Tra l’altro ci sono delle panche di legno e delle sedie pesantissime, a libero servizio sotto gli alberelli finché qualcuno non se le fregherà. Vale la pena di andarci ogni tanto.

[tags]torino, porte palatine, caldo[/tags]

divider
domenica 29 Giugno 2008, 15:14

Domenica

Al centro Pompidou c’è il wi-fi gratuito, e dunque eccomi qui collegato. Ho passato la mattinata a camminare per il Bois de Boulogne, che si è rivelato molto più trafficato del previsto; sarà anche che al fondo del parco si sta svolgendo il torneo di tennis intitolato a Rolando Garosci (se non sono aviatori o militari, in Francia non gli intitolano nulla); così, verso le due sono tornato indietro, attraversando una zona di case di iperlusso per sbucare sull’Avenue Mozart e prendere la metro.

Ho mangiato al KFC di Les Halles; ogni tanto ci vuole, anche se credo che la cosa che mi attrae di più dei fast food sia la vita che ci scorre dentro. Non credo però che riuscirò più a digerire; anche per questo mi sono afflosciato su una panca, nel bel mezzo di una esposizione dedicata alle notevoli illustrazioni di Jean Gourmelin.

Stasera torno indietro: ho soltanto più un paio d’ore, e penso che le trascorrerò girando senza meta per il centro città (avevo pensato di restare qui a scrivere un po’, ma sono troppo stimolato per raccogliermi in meditazione). Non vedrò la partita, ma direi che non è una gran perdita. Da domani, si torna a lavorare.

[tags]parigi[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike