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Archivio per la categoria 'WeekBowl’s&Music'


sabato 20 Febbraio 2010, 10:40

Voto Pupo

Non capisco, davvero non capisco, questa cattiveria fedifraga che attraversa il Paese, che freme dalle Alpi alla Sicilia e si coagula in un solo punto, Sanremo, dove l’indegna gazzarra di un pubblico prezzolato e comunista si scatena regolarmente ogni volta contro l’Italia e i suoi simboli.

E’ proprio in un momento di crisi di valori (morali e borsistici) come questo, in balìa dei complotti plutocratici e massonico-giudaici dei banchieri internazionali, che l’Italia deve stringere a sé, al cuore, la propria bandiera; e riscoprire il coraggio, l’umiltà, la tenacia dei suoi avi che la fecero grande.

Italia amore mio è dunque patrimonio di tutti, e non di una parte sola; un patrimonio di tutti su cui nessun traditore della Patria può permettersi di gettar fango. E’ la storia di un umile ragazzo di Ginevra che, come tutti noi, sognava di poter ritornare in Italia durante i cinquant’anni di feroce occupazione sovietica che ne hanno segnato la storia; un ragazzo che sognava di stringere tra le braccia l’intero Paese, ed è vero, lo sognava in francese – “oui, ce soir je suis ici” – perché l’italiano non lo sapeva, ma era solo per colpa degli agenti del KGB che si infilavano di notte nella sua cameretta per distruggergli il dizionario. Eppure, la persecuzione di questo ragazzo continua, e non solo con i sondaggi pilotati dal regime. Pensateci: è da quando gli è stato concesso di entrare in Italia che i media parlano dell’immigrazione come di un grande problema!

Questa canzone è un grande atto d’amore, il termine e il culmine di una serie di capolavori come L’italiano di Toto Cutugno e Italia di Mino Reitano. E non si dica che non c’è valore artistico, dato che è eseguita anche da un grandissimo della musica come Pupo, un cantante che ha trionfato sui palcoscenici dei casinò di tutto il mondo; e dal tenore Canonici, l’ultimo di una serie di artisti classici di altissimo livello – Andrea Bocelli, Giovanni Allevi – che tengono alta la bandiera della musica italiana.

Ieri sera poi, per rinforzare il messaggio, al trio si è unito addirittura il commissario tecnico della nazionale di calcio, la quarta carica dello Stato dietro (nell’ordine) Berlusconi, Dio e il Papa; una persona innatamente simpatica, sempre al di sopra di ogni sospetto, grande difensore della giustizia e del lavoro, che ha violentato il suo religioso rispetto per le regole per denunciare coraggiosamente il complotto contro la Patria e per gridare in faccia alle sinistre il proprio amore per tutti noi. E come ha reagito il pubblico? Altri fischi, vergognosi, scandalosi, anche se sicuramente erano soltanto quattro gatti che una regia prezzolata ha voluto amplificare a dismisura.

Io, stasera, voto l’Italia; io, stasera, voto Pupo. Vedrete che vincerà; e se non vincerà ufficialmente, dato che la televisione in Italia è in mano ai comunisti, avrà vinto nei nostri cuori e nel nome di Dio.

P.S. Ho finito presto e ho tre quarti d’ora liberi, Ema per favore chiamami il papi che mi prenoti le puttane. Oh, non ci avrà mica dietro il fucile vero?

[tags]sanremo, musica, politica, festival, emanuele filiberto, savoia, pupo, lippi, dio, patria, famiglia[/tags]

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domenica 14 Febbraio 2010, 18:10

The one I love

Come i lettori più affezionati ricorderanno, sono stato un affezionato giocatore di Guitar Hero sin dal primo numero della serie; per un paio d’anni ho sviluppato le mie abilità chitarrinistiche in modo maniacale e semiprofessionistico, dopodiché mi è abbastanza passata la voglia.

Tuttavia, quando a Londra ho visto Guitar Hero IV (World Tour) – uscito ormai da un anno e mezzo – in offerta per otto sterline, mi son detto “perché no?”, soprattutto per due delle canzoni che contiene: Hotel California degli Eagles e The one I love dei REM. E così oggi – domenica pomeriggio, mezza giornata di riposo, rimasto solo in casa – l’ho aperto, l’ho messo dentro la PS3 e, esauriti i primi convenevoli, mi sono ritrovato a suonare a livello esperto questi due pezzi con grande godimento.

Se la prima canzone non ha bisogno di presentazioni, la seconda ha per me una storia tutta particolare. Intanto, è una delle canzoni più belle degli anni ’80, accompagnata da un video altrettanto bello.

E’ una canzone d’amore triste, un capolavoro di falso cinismo; l’intero testo è composto da una semplicissima lettera d’amore a una amata che è stata “lasciata indietro” e che viene ricordata come “un semplice gingillo per occupare il mio tempo” (il termine “prop” vuol dire “supporto” ma anche, in gergo cinematografico, uno dei finti elementi di cartone delle scenografie o un elemento di scena). L’ultima strofa cambia leggermente e dice all’amata perduta che adesso “un altro gingillo ha occupato il mio tempo”.

L’intera canzone è una specie di filastrocca che sottolinea la superficialità dei pensieri nel testo, eppure la musica triste dice tutto il contrario; e la situazione esplode letteralmente nel ritornello, dove Michael Stipe riesce solo a gridare “fire” e a farsi dilaniare dall’angoscia. La seconda volta, il grido finisce in un assolo perfetto – uno di quelli dove non puoi togliere o aggiungere neanche una nota – anche perché è, giustamente, rovesciato: invece di raggiungere il climax alla fine come tutti gli assoli, parte forte e poi si spegne senza speranza; la prima metà è in maggiore ed è suonata più forte mentre la seconda ritorna inevitabilmente nella sonorità minore di partenza.

Gli americani, che non capiscono, la suonano ai matrimoni (del resto gli americani sono convinti che Born in the U.S.A. di Springsteen sia una canzone patriottica; dev’essere che non sanno leggere). Io ci resto affezionato anche per via di uno strano episodio; ormai quattro anni fa, stavo passeggiando da solo e meditabondo per le vie di Te Anau, uno dei tanti posti meravigliosi della Nuova Zelanda. Percorrevo la strada sulla riva del lago, su cui si specchiavano gli alberi dalle foglie ormai gialle e rosse (era l’inizio di aprile, dunque autunno). D’improvviso a un incrocio, da una casa verso l’interno, qualcuno apre le finestre e sento uscire distintamente le note di The One I Love. Mi sono girato e ho fatto la foto, non alla casa ma a quella strada che partiva dal lago e all’immagine che la musica mi aveva spinto a vedere:

teanau.jpg

E’ forse strano che tutto questo discorso sia venuto fuori da sé il giorno di San Valentino. Ormai ho raggiunto un’età e una situazione in cui sono in pace con i sentimenti, ma la sensibilità è un bene che va conservato con cura.

[tags]musica, videogiochi, playstation, guitar hero, hotel california, the one I love, rem, nuova zelanda, te anau, san valentino, amore, sentimenti[/tags]

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domenica 10 Gennaio 2010, 10:58

Classiche banane

Se vi chiedessero oggi qual è la più importante canzone pop degli anni ’60, quella che più vi è rimasta in testa, probabilmente pensereste a uno dei tanti successi dei Beatles; magari potreste arrivare ai Beach Boys o spingervi persino a pezzi di gruppi relativamente minori, come I’m a Believer o I’m Into Something Good (fateli riascoltare a qualcuno, chiedete chi li cantava e la maggior parte risponderà “ma non sono dei Beatles?”).

Eppure se ve l’avessero chiesto un venticinque anni fa, almeno se al tempo eravate bambini, probabilmente avreste indicato questa:

Da noi si propagò con un certo ritardo, dato che The Banana Splits Show andò in onda negli Stati Uniti dal 1968 al 1970, ma ebbe la sua epoca d’oro in italiano solo con l’avvento delle televisioni commerciali, tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80… dove e quando è difficile sapere, ma ogni tanto lo si ritrova in qualche palinsesto storico. Eppure, questa canzone ti si appiccica in testa: non sentirete mai cinquantamila persone in uno stadio esultare cantando il ritornello di Help o di Hey Jude, ma quello di The Tra La La Song lo cantano sempre tutti.

Quello era il picco finale di un’epoca in cui anche la musica era ricca e spensierata; questa, in particolare, era disegnata per esserlo – il cosiddetto bubblegum pop. Il successo del cartone animato dei Beatles (1965-1967) fece pensare ai produttori americani che una trasmissione televisiva sulle avventure di una band fosse la via per il successo; e così dopo i “fab four” vennero i “prefab four”, i già citati Monkees. Solo che persino i Monkees, dopo un paio d’anni passati in buona parte a fare playback su tracce registrate da altri, reclamarono un po’ di libertà artistica e cacciarono il loro produttore-padrone, e come si rifece lui? Inventò The Archies: il primo gruppo completamente cartone animato. Così si poteva proseguire con le hit costruite a tavolino, ma non ci sarebbero stati più problemi con le pretese degli artisti.

Nemmeno Hanna & Barbera avevano ancora osato smaterializzare completamente gli artisti: e infatti loro si erano limitati ai quattro animali-pupazzo, che si divertivano tra sketch, acrobazie e giri nei parchi dei divertimenti, con corredo di improbabili effetti sonori. Ma non persero tempo: l’anno dopo fecero debuttare Scooby Doo (dove l’elemento “gruppo musicale”, originariamente previsto, fu eliminato in extremis) e fusero i due concetti, musica e mistero, in Josie e le Pussycat – osando addirittura una protagonista nera, anche se nel dubbio non le facevano suonare altro che i tamburelli.

Sempre lo stesso anno, dopo il successo dei Banana Splits, Hanna & Barbera lanciarono i Gatti di Chattanoogacome tali noti in Italia anche se il titolo originale era Cattanooga Cats, con un gioco di parole che all’epoca nessun bambino italiano avrebbe mai capito (oggi forse…). Si tratta di un capolavoro di animazione lisergica – basta guardare la sigla – che includeva sotto-serie improbabili come Mototopo e autogatto e Al lupo al lupo (più precisamente: “Al luuUUUUUUUUUUUpo. Al luuuUUUUUUUUUUpo.”); anch’esso furoreggiava sulle nostre TV private negli anni ’80.

E non era mica finita qui – del resto l’originalità non è mai stata il forte di Hanna & Barbera. Lo schema “Scooby Doo + Monkees” fu riciclato all’infinito, anche in cose che in Italia non credo di aver mai visto (Butch Cassidy & Sundance Kids, The Amazing Chan & Chan Clan), e via così fino a Jabber lo squalo batterista che viveva sotto il mare – un altro dei perversi effetti collaterali del film di Spielberg. Il peggio del periodo comunque fu il gruppo musicale di Lancillotto 008, una roba che se fosse girata oggi provocherebbe giustamente una furia di animalisti alle porte.

Comunque, niente di tutto questo riuscì mai più ad avvicinarsi alla vetta dei Banana Splits. Perché erano gli anni ’70, un periodo dove la spensieratezza mancava, e ci volle tutto l’edonismo degli anni ’80 per ridarci finalmente una sana dose di Jem e le Hologram!

Ma tanto lo so che non mi state ascoltando, in testa vi è rimasto solo “tra la la, la la la la…” o al massimo “jabbadah, jabbadah, say jabbadah”.

P.S. Avrete notato, dal filmato, chi era il regista della prima serie dei Banana Split…

[tags]televisione, musica, bubblegum, cartoni animati, anni ’60, anni ’70, hanna & barbera, banana split, beatles, monkees, archies, josie, cattanooga cats, mototopo, autogatto, al lupo al lupo, jabber, lancillotto 008, jem[/tags]

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sabato 2 Gennaio 2010, 15:13

Marmaglia Carey

Già Mariah Carey di suo faceva venire il latte alle ginocchia, ma reinterpretata da Noemi Letizia assume tutto un altro spessore:

L’inglese gliel’ha insegnato Berlusconi (la lezione numero uno, come diceva Spinoza, è “the penis on the table”).

[tags]mariah carey, noemi letizia, berlusconi, inglese, incapacità, cazzoni natalizie[/tags]

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giovedì 31 Dicembre 2009, 15:55

Immagini di buon augurio

Quest’anno niente effettacci: il post dell’ultimo dell’anno appare tranquillamente nel pomeriggio, così chi vuole se lo guarda prima, chi si annoia durante il cenone se lo guarda a metà, e chi è troppo preso nei preparativi se lo guarda domani mattina.

Il mio consiglio, comunque, è di guardare il video che ho scelto come auguri per il 2010 in un momento tranquillo, con tutta la calma e l’attenzione che merita. E’ uno dei video più famosi di quest’anno (oltre 13 milioni di visualizzazioni solo su Youtube) dunque è possibile che l’abbiate già visto, ma merita lo stesso una nuova visione. E’ un video che unisce bellezza, capacità, coraggio, creatività e speranza in un modo che probabilmente non avreste mai immaginato possibile, ridisegnando i confini della città e del mondo; e l’augurio è che tutti noi, nel 2010, possiamo trovare la stessa ispirazione, la stessa inventiva e la stessa voglia di osare per migliorare ciò che ci circonda.

Auguri!

P.S. Comunque non ho saputo resistere all’idea di lasciarvi un secondo video, per sciogliere la tensione del primo. Il signore che suona la chitarra si chiama Steve Morse e ha attualmente 55 anni, quello che canta si chiama Ian Gillan e ne ha 64. Sono tuttora in giro per concerti – sono passati dall’Italia un paio di settimane fa – e continuano ad offrire performance come questa, che risale a pochi anni fa. Anche qui, le parti di chitarra verso la fine del brano sono un esempio di creatività, capacità e bellezza di livello assoluto.

[tags]video, auguri, creatività, bellezza, bici, macaskill, deep purple, steve morse[/tags]

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domenica 13 Dicembre 2009, 16:02

Ottimista

Non so perché, ma è da ieri notte che non riesco a togliermi dalla testa questa vecchia canzone dei Radiohead intitolata Optimistic (qui in un video indipendente):

Come tutte le canzoni dei Radiohead di questo decennio, è piuttosto ermetica: potete scegliere voi se si tratta di un commovente invito ad essere ottimisti anche in tempi difficili, oppure di una critica sarcastica dell’ottimismo propagato dai media in un momento storico dove non ci sono molte ragioni per averne.

Ma siccome il testo cita La fattoria degli animali e Orwell è uno dei principali ispiratori della band, mi sembra il caso di aggiungere anche il video di 2+2=5, la storia della società moderna raccontata a fumetti: se non l’avete mai visto, vi fornirà una spiegazione piuttosto chiara.

P.S. Il punto fondamentale di queste canzoni ̬ che lo strumento che emette i suoni acuti, vibrati e misteriosi durante il primo brano ̬ un onde Martenot Рsostanzialmente un theremin con la tastiera. Non dimenticatelo.

[tags]musica, radiohead, video, optimistic, 2+2=5, orwell, la fattoria degli animali, strumenti musicali elettronici, theremin, onde martenot, tecnologia[/tags]

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giovedì 10 Dicembre 2009, 10:53

Il teatro degli orrori

La seconda notizia di oggi è direttamente consequenziale alla prima ed è che stasera a Hiroshima Mon Amour suona Il teatro degli orrori, la versione veneta dei Rage Against The Machine. Il singolo del nuovo disco, A sangue freddo, è dedicato all’Africa e a Ken Saro-Wiwa, poeta e attivista nigeriano impiccato dalla “giustizia” del governo del suo paese, si dice per conto della Shell e dei suoi interessi petroliferi nell’area.

Musica violenta? Beh, un altro dei pezzi forti del nuovo disco si intitola Il terzo mondo, ovviamente parla dell’Italia e si conclude con questo avviso: “Via di corsa! che il ghetto fa paura / e non ti biasimo / avrei paura anch’io al posto tuo / prima o poi ci incontreremo / dovrai starmi distante almeno qualche metro / ne ho abbastanza dei cretini che camminano / senza i soliti guardiaspalle / io ti faccio una faccia così / e ti mando a calci nel sedere / dritto in ospedale / non al pronto soccorso, in rianimazione! / E che sia chiaro / che te lo meriti!”.

Dev’essere che noi non ci siamo ancora abituati al ritorno imminente del conflitto sociale, ma in un’epoca di Laure Pausini e Tiziani Ferro queste parole in musica – “pagherete tutto e pagherete caro” – fanno ancora impressione.

[tags]musica, il teatro degli orrori, hiroshima mon amour, africa, violenza, conflitto[/tags]

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giovedì 10 Dicembre 2009, 10:36

Mettete via le vostre cassettine di Bob Marley

Già, perché la voce che circolava da settimane pare ormai del tutto confermata: dopo sedici anni di onorato servizio, il Rototom Sunsplash Festival di Osoppo non si farà più in Italia, ma emigrerà in Spagna. E anche a noi che non ascoltiamo quel genere di musica, la perdita del maggior festival reggae d’Europa – una settimana di musica campeggio e fratellanza che richiamava quasi 200.000 giovani da tutto il continente, in una zona d’Italia precedentemente sconosciuta al turismo di massa, con una ricaduta di oltre due milioni di euro l’anno – brucia soprattutto per il motivo per cui è avvenuta.

Già, perché non si tratta di una questione di soldi e nemmeno di vicini rumorosi o ripicche di paese; semplicemente, la magistratura ha indagato il promoter per favoreggiamento all’uso di droga, in quanto “si sa” che chi ascolta reggae fuma marijuana, dunque organizzare un festival reggae è un po’ come spacciare.

Non scherzo, perché la linea accusatoria è davvero questa: negli ultimi dieci anni su quasi due milioni di partecipanti ne sono stati arrestati 340 perché in possesso di droga, potrà mica essere un caso no? E’ evidentemente tutto un piano per corrompere i giovani virgulti, o almeno così pensa la procura di Tolmezzo (UD). E dato che la legge Fini-Giovanardi del 2006 dice che “Chiunque adibisce o consente che sia adibito un locale pubblico o un circolo privato di qualsiasi specie a luogo di convegno di persone che ivi si danno all’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope e’ punito, per questo solo fatto, con la reclusione…” eccetera eccetera, la magistratura carnica si è prontamente mossa per assicurare alla giustizia uno dei veri criminali che trascinano l’Italia in una spirale di morte e degrado.

Ora è evidente che questo procuratore di Tolmezzo viene originariamente da poco più in là e precisamente dalla squadra segugi antinarcotico di Caorle (VE) che già quindici anni fa balzò agli onori delle cronache; ma la notizia che la musica reggae è in realtà soltanto una copertura per lo spaccio è rimbalzata persino sul principale giornale giamaicano, il Jamaica Gleaner. E così, siamo riusciti a farci ridere dietro pure laggiù; sfortunatamente loro non sono una dittatura, dunque Berlusconi non andrà a visitarli per fare pace, né a baccagliare le locali donzelle, anche perché sono grosse il doppio di lui. Nel frattempo, ricordate di nascondere per bene le vostre vecchie cassette di Bob Marley, anzi per sicurezza fate così: usatele per registrarci sopra Radio Maria.

[tags]reggae, musica, spaccio, droga, marijuana, giamaica, festival, rototom, italia, giovanardi, fini, claudio bisio ci aveva visto lungo[/tags]

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sabato 5 Dicembre 2009, 11:04

No Berlusconi, no cellulari, no Torino

Questa mattina sto bestemmiando: infatti due giorni fa è morto il mio cellulare, un HTC P3600 non scelto da me ma dalla mia ex azienda, la quale oggettivamente mi voleva tantissimo male tanto che mi ha messo in mano una roba del genere. Con i bachi e gli errori di progetto di quell’oggetto potrei riempire un libro e prima o poi forse lo farò, ma nel frattempo sto passando la mattinata a migrare su un vecchio cellulare di emergenza, anche se l’unico backup della mia rubrica, sito sulla carta di memoria dell’HTC, può essere letto solo con un vecchio lettorino USB cinese che il Macbook non vede. Ciò mi ha spinto a riaccendere il vecchio Windows XP, constatando ancora una volta quanto sia terribile usare Windows: anche non avendo virus e simili, all’avvio si aprono almeno cinque o sei finestre di programmi che cercano di venderti qualcosa o di attirare la tua attenzione per farsi aggiornare o utilizzare. Tra aggiornamenti Flash, aggiornamenti antivirus, aggiornamenti Windows, televisioni digitali e simili, sembra più una televendita che un computer.

Io ho bisogno della rubrica perché tra poco si esce e si va a organizzare il No Berlusconi Day Torino, che poi consisterà in un paio di gazebo in piazza Castello nei quali dalle 14 si esibiranno artisti e saranno mostrati i video di Tony Troja, su un maxischermo costituito dal televisore di casa dell’organizer di Qui Torino Libera; poi dalle 17 sarà proiettata su un telo la diretta della manifestazione romana. Nel frattempo, alle 16:20 dovrebbe partire da Porta Nuova il treno con Berlusconi sopra, per inaugurare la linea alta velocità, per cui sin dall’ora di pranzo la stazione sarà presidiata da No Tav e pendolari – anche se all’interno dei pendolari c’è già stata una spaccatura con quelli che si sono subito arresi in cambio di quindici minuti di celebrità e un incontro-contentino con Moretti.

Venire in piazza oggi è una testimonianza, non aspettatevi altro che molta gente che passa e solidarizza. Comunque, pensate che se non venite potreste darla vinta all’altra Italia: quella che magari non vota nemmeno Berlusconi ma sguazza nel berlusconismo con piacere. Come ad esempio questi quattro ragazzi chiamati Mon-key’s (ma chiamatevi Pippo, dai) che il TGR presenta al mondo dicendo che “il loro video spopola su Youtube” (a oggi ha circa ventimila visualizzazioni; uno dei miei video di Livorno-Toro ne ha oltre quarantamila…). Il loro video è… è… tamarro, ecco. Ma tamarro parecchio; anche se il genere musicale è diverso, il video è concettualmente una versione sfigata dei Club Dogo senza la grafica elaborata, con vestiti firmati un po’ meno firmati e con fighe un po’ meno fighe, ma con più zoom sul culo. E solo un trust di cervelli poteva partorire lo slogan “a Torino si salta sulla Mole”, se non altro perché la Mole è molto appuntita e la cosa potrebbe finire davvero male.

Non vorrei essere troppo severo parlando di persone che non conosco, ma ecco, a me questo video ha dato molto fastidio: io sono ancora abituato all’idea romantica di una città austera e intellettuale, e probabilmente questo prova che essa non esiste più.

[tags]cellulari, computer, windows, berlusconi, no berlusconi day, torino, video, mon-key’s, musica, tamarri, no tav, treni, ferrovie, manifestazioni[/tags]

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domenica 18 Ottobre 2009, 19:05

Potere tamarro

Quando avevo vent’anni e andavo ai miei primi raduni internettari – quelli di appassionati dei cartoni animati – veniva anche un tizio di Arezzo, il quale una volta stese l’amico che mi accompagnava (che non era del giro, e che si preoccupava del ritorno serale post-cena da Lucca a Torino) dicendo “puoi venire dietro ammè, ma occhio che c’ho la macchina truccata, dopo tre minuti vedi solo i miei gas di scarico”.

La tamarraggine che impera in Italia non poteva dunque che sposarsi bene con il genere tamarro per definizione: l’hip hop. E badate bene che, sebbene io sia abbastanza vecchio da appartenere ancora all’ultima generazione cresciuta col rock, non ho nulla da dire a chi fa musica di quel genere: internazionalmente l’hip hop è una forma d’arte più che degna di nota, che racchiude certamente in sé più creatività e “cose da dire” delle stanche e infinite riproposizioni del rock anni ’80 o ’70 che circolano periodicamente (e in proposito ricordo l’immortale episodio di Mike Patton, talento infinito, che a metà intervista sente che sul palco i Wolfmother attaccano Woman e dà fuori di testa). E infatti, il meglio della musica italiana dell’ultimo decennio è quasi certamente Caparezza.

Dunque l’hip hop per me va benissimo; è certa imitazione all’italiana che, purtroppo… ecco, ieri su Radio Flash mi hanno passato a tradimento una lunga intervista più singolo con tali Club Dogo, e da allora credo che il mio concetto di “tamarro” abbia raggiunto nuovi livelli. Per spiegarmi, intanto allego il video:

e poi elenco le caratteristiche portanti di questo gruppo:
1) tenere rigorosamente le mutande fuori dai pantaloni;
2) scrivere un testo senza alcun filo logico e con errori di ortografia da quinta elementare (tipo “io sò”);
3) metterci sopra immagini tamarre e pure qualche frase in inglese altrettanto zoppicante;
4) fare i fighi parlando a caso di roba firmata di qualsiasi genere (e comunque ribadisco che l’“husqvarna” è un tosaerba);
5) vantarsi di dominare le donne e di entrare “a scrocco nel prive'” (rigorosamente, come appare nel video, scritto con vocale più apostrofo);
6) pensare che sia fico avere un titolo del disco scritto in cirillico, e però il cirillico per loro è ribaltare le lettere orizzontalmente e aggiungere delle umlaut (le famose umlaut del russo);
e così via.

Come per i presidenti del Consiglio, anche per ciò che riguarda i riferimenti culturali ognuno ha il diritto di scegliersi i propri e di sostenerli con orgoglio; del resto Wikipedia ha sdoganato il concetto che qualsiasi ignorante ben determinato può autonomamente assegnare a qualsiasi cosa gli stia a cuore un valore culturale assoluto (vedasi appunto la voce “crew”, il cui testo farebbe fatica ad essere passabile come tema di terza media). Ma non è un male, dato che è proprio grazie a Wikipedia che Grande Capo Estiqaatsi segnala che “Il gruppo collabora con artisti del calibro di Solo Zippo, Chief, Dj Enzo, Dj Skizo e Dj Zak”: Estiqaatsi
pensa che sono tutti artisti estremamente importanti per la storia della musica italiana.

Infatti, la cosa che io trovo deprimente non è solo il fatto che venga presentata come dominante una cultura di bullismo, gang, italiano zoppicante e obiettivi di vita circoscritti tra televisione e discoteca e foraggiati coi soldi; ma anche il fatto che ciò venga messo in atto in maniera calcolata, per puri fini commerciali, sapendo che coi ragazzini la provocazione paga alla cassa. Dunque, meglio chiuderla qui; sperando prima o poi di vivere in un Paese dove si smetta di pensare che qualsiasi cosa può essere cultura, e dove gli “artisti” si preoccupino di invitare i propri fan a studiare e farsi furbi.

[tags]musica, tamarri, hip hop, club dogo, estiqaatsi, cultura[/tags]

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