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sabato 24 Gennaio 2009, 16:26

Chi cerca non trova

Qualche giorno fa, mi hanno segnalato che la saga di Uruknet continua.

Per chi non lo conoscesse, Uruknet è un sito di informazione alternativa dall’Iraq occupato, in italiano e in inglese, di orientamento chiaramente contrario all’invasione americana e alla filosofia dei teocon bushiani. Da anni, Uruknet è in lotta con Google, perché, sostengono loro, sia Google News che il motore di ricerca eliminano sistematicamente il sito dai risultati presentati al mondo.

Io non so se la censura lamentata da Uruknet sia vera; è anche possibile che loro si stiano semplicemente scontrando con l’imperscrutabilità e i muri di gomma dei call center, come immagino sia quello che risponde alle richieste di spiegazioni da loro inviate a Mountain View.

Tuttavia, conoscendo gli americani, non rimarrei troppo sorpreso se Google davvero limitasse la visibilità di questo genere di informazioni: in fondo, l’Iraq (o meglio, quella sua parte che dopo anni ancora si rifiuta di farsi occupare o di farsi governare da una amministrazione messa lì da Washington) è un nemico dell’America e ogni americano, anche il più liberal, trova del tutto naturale usare ogni mezzo a propria disposizione contro i nemici dell’America.

Purtroppo, gli allarmi di questo genere si ripetono spesso: pensate all’episodio di censura lamentato da Beppe Grillo, che sulle prime anche a me è parso un caso di incomprensione delle caratteristiche del mezzo; eppure, andando al di là delle scontate prese per il culo da parte di fonti autorevoli come Mantellini e Il Giornale, qualcosa di strano c’era, anche se probabilmente era una incompatibilità culturale tra gli algoritmi di indicizzazione di Google e il fatto che Grillo rediriga i visitatori non chiaramente italiani (tra cui me, maledizione) alla versione inglese del suo sito.

Insomma, il problema è che la visibilità su Google, e in misura minore sugli altri motori di ricerca, è ormai vitale per qualsiasi sito; se essa viene a mancare, il sito rimane effettivamente censurato e quasi completamente invisibile. A questo punto, diventa irrilevante che la cosa dipenda da Google o da qualche particolare tecnico (o errore vero e proprio) del sito indicizzato. Come in tante altre cose, il problema tecnico genera un effetto politico potenzialmente rilevante, tale da non permettere di liquidare l’incidente come una semplice questione tecnica da delegare agli ingegneri.

Io credo, insomma, che si dovrebbe tutti insieme trovare una strada per permettere a Google e agli altri motori di ricerca di fare il proprio mestiere senza lacciuoli, ma anche perché sia possibile a chiunque ottenere una spiegazione trasparente sul come mai certi contenuti non appaiono, in modo da risolvere i problemi anziché gridare subito alla censura; e così intrinsecamente verificare che i motori di ricerca non barino.

[tags]google, motori di ricerca, uruknet, censura, beppe grillo[/tags]

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venerdì 23 Gennaio 2009, 12:27

Cinici e cinesi

Hanno suscitato un certo scalpore, in giro per il mondo, le immagini del processo agli industriali caseari cinesi responsabili dello scandalo del latte alla melammina, conclusosi ieri con due condanne a morte, una terza tramutata in ergastolo, e altre pene esemplari:

(potete anche leggere una selezione delle fonti italiane, di cui naturalmente una parte parla di latte alla melamina e la grande maggioranza di latte alla melanina).

Le immagini che hanno fatto scalpore, però, non sono quelle della condanna, ma di ciò che accadeva fuori: i genitori dei bambini colpiti che protestavano con cartelli davanti al tribunale. In termini cinesi, la loro era una protesta durissima: stavano fermi lì, organizzati in forma quasi regolare, sorreggendo dei cartelli nel modo più ordinato possibile (tenere i cartelli ad altezze diverse e non allineati sarebbe una mancanza di simmetria e di ordine, istintivamente repulsiva per un gruppo di cinesi). Per gli standard cinesi, è un evento: naturalmente è impensabile che questi marcino per le strade (perdipiù non irreggimentati a passo da militari) o gridino slogan ad alta voce, come sono abituati a fare i licenziosi occidentali; ma l’esistenza stessa di una protesta, nonché il fatto che venga ripresa dalle telecamere, è molto significativa.

E’ probabile che questa protesta sia stata permessa perché bisogna mostrare agli occidentali che la Cina prende lo scandalo del latte sul serio, e fa di tutto perché non si ripeta mai più. Comunque, resta un evento; un indizio che la Cina, piano piano, si sta occidentalizzando o che perlomeno sente la pressione del mondo in tal senso.

A questo proposito, siete liberi di scegliere se preferite un paese dove uno che coscientemente inquina il latte in polvere invalidando e uccidendo decine di bambini viene messo a morte, o un paese dove uno del genere sarebbe condannato a massimo una decina di anni di carcere, scontati di un terzo per il patteggiamento, poi beneficerebbe di una buonuscita, di un indultino e di ulteriori sconti per buona condotta, e dopo pochi anni sarebbe fuori; un paese dove, anche se a forza di fiato sul collo, le telecamere riprendono una protesta, o un paese dove (visto ieri sera zappando al TG1) nominano come gestore supremo dei musei nazionali l’ex grande capo di McDonald’s Italia, dopodiché gli danno tre minuti nel momento di massimo ascolto sul principale telegiornale pubblico per dire quanto sarà bella la managerialità applicata ai beni culturali, senza contraddittorio e con un giornalista che invece di fare domande chiosa tra l’una e l’altra, ad esempio così: “Ricordiamo ai nostri telespettatori che in Spagna il museo Guggenheim è la prima industria della città” (si è dimenticato di dire quale città, ma ai fini dell’indottrinamento è irrilevante).

Io, personalmente, preferirei una via di mezzo; ma il confronto è sufficiente per trovare il trattamento che i media italiani riservano alla Cina magari anche giustificato, ma soprattutto cinico.

[tags]cina, italia, informazione, latte, musei, mcdonald’s, resca, tg1[/tags]

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mercoledì 21 Gennaio 2009, 18:32

George W, chi era costui?

Lo so che non ho parlato di Obama; però rimedio linkandovi la lettera a un amico americano che Jean-Jacques Subrenat ha appena pubblicato sul suo blog. Jean-Jacques è stato un mio collega di Board di ICANN, nonché ex ambasciatore della République in Finlandia e in Estonia, e la lettera merita anche solo per l’incipit: “Dear friend, as your country settles into the change from the Cheney to the Obama administration…”

[tags]diplomazia, stati uniti, obama, bush, cheney, subrenat[/tags]

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mercoledì 21 Gennaio 2009, 14:27

Tecnologia avanzata

Pochi minuti fa al TG1 (giuro che non lo guardo mai, è successo per caso) hanno intervistato, a margine di un convegno sul mitico digitale terrestre, il sottosegretario alle Comunicazioni Romani, il quale ha dichiarato che il digitale terrestre è importantissimo non solo perché permetterà finalmente agli italiani di “accedere all’alta definizione” (tette e culi ad altissima risoluzione!), ma perché “grazie alle funzionalità interattive, fornirà finalmente alle pubbliche amministrazioni la possibilità di offrire servizi tecnologicamente molto più avanzati ai cittadini”.

E io avrei voluto aggrapparmi al televisore per chiedergli: capisco che il digitale terrestre vi sia avanzato, ma signor sottosegretario, lei ha mai sentito parlare del World Wide Web?

[tags]italia, politica, comunicazioni, romani, televisione, digitale terrestre, web, pubblica amministrazione[/tags]

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martedì 20 Gennaio 2009, 16:21

Un martedì no grat

Ieri avevo ricevuto un invito per il presidio contro il grattacielo di Banca Intesa, che si sarebbe tenuto oggi in pausa pranzo nei giardinetti lì accanto; e oggi a pranzo, essendo in giro in bici, sono andato a vedere.

Sono arrivato lì circa all’una e un quarto; c’erano una dozzina di persone, nessuno che conoscessi di persona. C’era però Paolo Hutter – ex Lotta Continua, ex o forse ancora Verdi, ex assessore all’Ambiente – incatenato a un albero; nonché un altro paio di persone che conoscevo di vista dai tempi del Poli, ricercatori o docenti.

C’è fermento perché stamattina, senza preavviso, il cantiere è stato espanso: è stata posta una serie di grate in mezzo ai giardinetti, e le ruspe hanno cominciato a spostare più in là i jersey di cemento su cui è posata la recinzione metallica. Tra i jersey e le grate sono rimasti chiusi una presa d’aria del parcheggio sotterraneo e soprattutto un albero. Non si capisce se l’operazione sia autorizzata o no, né quale sarebbe il destino dell’albero, per cui Hutter si è incatenato in attesa di spiegazioni da parte del dirigente del cantiere.

La cosa più importante per me, però, è quello che apprendo dal ricercatore di Architettura: infatti, vedendo l’area recintata rasa al suolo per cominciare lo scavo, avrete sicuramente pensato che il grattacielo sia ormai cosa fatta e pronta all’ultimazione. In realtà pare non essere così, perché del grattacielo non esiste ancora nemmeno il progetto definitivo – e quindi nemmeno le relative valutazioni!

Sembra che il Comune abbia concesso in fretta e furia un permesso provvisorio per cominciare a fare qualcosa, tipo un po’ di pulizia e un po’ di scavo, proprio per battere sul tempo le opposizioni al grattacielo prima che si organizzino; tanto è vero che è stata richiesta una fidejussione perché, se il progetto non dovesse venire infine approvato, ci siano i soldi per riempire il buco che stanno facendo.

Il motivo è prettamente politico: l’operazione grattacielo, infatti, è stata concepita per due motivi. Da parte del Comune, c’è l’esigenza di incassare decine di milioni di euro in oneri di urbanizzazione, per salvare le proprie casse sull’orlo della bancarotta; da parte di Banca Intesa, c’era l’interesse di assicurarsi una gigantesca speculazione immobiliare, che avrebbe portato la banca a possedere una enorme cubatura in un punto strategico, proprio sopra la nuova stazione, quindi con valore notevole. Certo, oggi ti dicono che ci metteranno gli uffici della banca e che questo porterà occupazione a Torino (come se nel frattempo non avessero dato un calcio nel sedere a tutti i maggiori dirigenti ex Sanpaolo, e come se le banche non fossero tutte piene di dipendenti che, nell’era della finanza automatizzata e dell’online banking, non servono più a niente…); in realtà, nel medio-lungo termine, è facile prevedere che gli uffici possano venire rivenduti o addirittura trasformati in alloggi di lusso.

Lasciamo perdere l’insensatezza urbanistica di attirare ulteriore traffico in quel punto e quella ambientale di deturpare il paesaggio di una città che punta sul turismo e che si è finora salvata dalle americanate; ma, in tempi di crisi e di mercato immobiliare a rischio crollo, che una banca spenda 400 milioni di euro per costruire un grattacielo pare insostenibile anche economicamente. Paradossalmente, ciò che non ha potuto impedire la contrarietà della cittadinanza potrebbe essere impedito dal mercato.

Nel frattempo, però, si è scatenata la gara per raggiungere il presidio: arrivano primi i dighi, uno dopo l’altro, seconda Torino Cronaca, gli altri quotidiani non sono pervenuti dato che per loro il problema non esiste. Per una dozzina di persone ci sono cinque agenti della Digos, che cercano di mimetizzarsi, ma senza speranza: da una parte ci sono persone di una certa età e un po’ di giovanotti smilzi, dall’altra cinque tizi belli grossi con accento del profondo Meridione…

Partono book fotografici in abbondanza: noi fotografiamo il cantiere, gli operai fotografano noi, i giornalisti fotografano gli operai che fotografano noi, la Digos fotografa i giornalisti che fotografano gli operai che fotografano noi che fotografiamo il cantiere. Nell’era dell’abbondanza mediatica, sappiate che Torino Cronaca ora ha una foto di me abbracciato a Paolo Hutter, ma non ho da temere perché c’era l’albero in mezzo – e poi non mi sono presentato, né gli ho lasciato il numero. Quanto ai dighi, sai chemmefrega: io ormai sono schedato per almeno cinque diversi tipi di sedizione…

Verso le due arriva infine il capocantiere, un tizio alto alto dall’accento fortemente veneto, accompagnato da qualche operaio e da un negrone di due metri della sua security. Parte una civile chiacchierata, loro spiegano che le grate sono provvisorie e servono solo per il lavoro di spostamento della recinzione, il quale è stato regolarmente autorizzato dal Comune con tanto di pagamento della tassa di occupazione del suolo pubblico; e che l’albero non sarà toccato in alcun modo. Tanto basta: Hutter si scatena e ce ne andiamo tutti a casa.

I dighi confabulano per capire se qualcuno deve essere denunciato e per cosa (forse c’è un reato per Hutter nell’aver aggirato la grata, che peraltro era aperta da un lato; comunque nessuno è mai entrato nel cantiere); concludono che in assenza di querele non si può far niente, e un digo basso e grosso si scusa per aver preso a male parole il cane di un manifestante. Gli operai ritornano ad operare. Anche oggi, una dozzina di persone hanno rivendicato il diritto ad avere un’opinione dissenziente. Non sarà abbastanza, ma è meglio che niente.

[tags]torino, grattacielo, banca intesa, sanpaolo, comune, hutter, digos[/tags]

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lunedì 19 Gennaio 2009, 16:21

Inceneritori e pallottole

Oggi vi ripropongo il video che è stato mostrato durante lo spettacolo di Grillo, per discutere di inceneritore e riciclaggio. Naturalmente tutti voi sapete che l’inceneritore, come la Tav, è una infrastruttura la cui necessità è dubbia, il cui costo per le casse pubbliche è elevatissimo, il cui impatto ambientale è devastante, ma che ha un grande lato positivo: far guadagnare un mucchio di miliardi alla municipalizzata ripiena di politici che la deve costruire, e ai suoi fornitori. Peccato che nessuno ne sappia mai niente, a parte il solito articolo trionfalistico che esce ogni tanto sui giornali di regime; comunque, se vorrete conoscere tutta la storia, sarò ben lieto di raccontarvela.

Nel frattempo, ecco il video:

Naturalmente, due giorni dopo lo spettacolo di Grillo, è arrivata una lettera minatoria con pallottola al sindaco di Settimo, uno dei politici del PD citati nel video, visto che cerca in tutti i modi di far costruire un inceneritore sul proprio territorio; il giornale del PD, Repubblica, ne ha subito approfittato per montare la campagna pro-inceneritore e anti-ambientalisti. E’ perfettamente possibile che la lettera sia partita da qualche grillino o settimese esagitato, ma, ricordando quel che dice regolarmente Cossiga sulle tattiche dello Stato italiano, è anche perfettamente possibile che non sia così.

[tags]ecologia, inceneritore, torino, grillo, riciclaggio, rifiuti, pd, politica, informazione[/tags]

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domenica 18 Gennaio 2009, 11:29

Vergogna e diritti

Oggi è giorno di partita e, sui forum granata, è scoppiato il “caso vergogna”.

Il caso è nato quando in settimana i gruppi della curva Primavera, dopo la deludente prestazione di sabato scorso a Genova, hanno chiesto il permesso di esporre il seguente chilometrico striscione: “Quarti d’ora, maniche rimboccate, pugni chiusi, sedie alzate al cielo, la nostra gloria… voi la nostra vergogna!”.

Personalmente vado controcorrente e aggiungo che non condivido lo striscione: non c’è nulla di vergognoso nel perdere, anche male. La vergogna, questa sì, può esservi quando questi ragazzotti plurimiliardari fanno i capricci, saltano gli allenamenti, fanno la fronda all’allenatore, finiscono vittima delle proprie bravate, scommettono sulle proprie partite, smettono di giocare per essere venduti a una squadra che gli aggrada di più (e queste cose nel calcio sono comunissime). La vergogna, più ancora, è istruire la propria squadra a fare continue sceneggiate in campo per perdere tempo, è pagare i giocatori quindici milioni di euro l’anno, è finire in serie B per illecito sportivo (e per fortuna queste cose al Toro non si sono ancora viste).

Nel caso si perda perché si è semplicemente scarsi, non vedo vergogna; né si può pretendere che una squadra come il Toro di questi anni non infili in una stagione parecchie brutte sconfitte, o indignarsi per esse. Al contrario, forse iniettare un po’ di fiducia nell’ambiente potrebbe rivelarsi più utile.

La vergogna maggiore, però, è il motivo per cui quello striscione non si farà. Le attuali regole prevedono che tutte le bandiere e tutti gli striscioni non minuscoli debbano essere sottoposti con una settimana d’anticipo a una doppia approvazione: quella della Questura della città dove si svolge la partita, e quella della società ospitante.

In pratica, qualsiasi richiesta che contenga una qualsiasi espressione di opinione, anche se priva di insulti e di riferimenti violenti, viene regolarmente respinta. In questo caso, poi, la bocciatura non è stata imposta dalla Questura, ma (pare) dallo stesso Torino FC, per impedire la contestazione. Come dicevo, penso anch’io che esporre quello striscione sarebbe stato un errore; ma che senso ha che i contestati possano vetare la contestazione dei tifosi?

Lo stadio di calcio ormai è un luogo speciale, dove tutti i diritti civili sono sospesi a prescindere. Il principio base dello Stato di diritto – che ognuno è innocente fino a prova contraria – viene ribaltato solo per i tifosi, che per entrare devono identificarsi, farsi perquisire in ogni modo e dimostrare di non avere cattive intenzioni. Alle volte non basta: già vi parlai del Sampdoria-Torino del febbraio 2001 (ben prima della morte di Raciti) in cui, in risposta alle intemperanze di un gruppetto, tutti gli oltre mille tifosi furono trattenuti dentro lo stadio fino all’una di notte, identificati, fotografati, e successivamente almeno cinquecento di loro, scelti non si sa come, vennero diffidati, compresi donne e anziani che sicuramente non c’entravano niente. Alcuni di questi, solo per aver assistito a una partita senza fare niente di male, ebbero problemi sul lavoro, furono rifiutati come volontari per le Olimpiadi, furono fermati e rifermati e trattenuti per controlli in ogni occasione successiva.

C’è chi sostiene che, per la Questura di Genova, quel Sampdoria-Torino fu una prova tecnica per il G8, che si sarebbe tenuto di lì a pochi mesi. Infatti, gli ultras sono una minoranza che contiene numerosi violenti e che aggrega in certe città (Napoli in primis) tutta la feccia delle periferie, ma che è stata criminalizzata a tal punto da essere perfetta per le prove di repressione e di regime; repressione che viene poi applicata tale e quale a tante altre forme di dissenso, alle tante manifestazioni di piazza sgradite al potere (dai No Tav agli studenti in piazza Navona pochi mesi fa). Ed è inquietante la totale somiglianza tra la morte di Carlo Giuliani e quella di Gabriele Sandri; l’agente Spaccarotella che uccise Sandri, stando alle testimonianze dei presenti e in particolare di una turista giapponese, si fermò, prese la mira e sparò ad altezza nuca attraverso l’autostrada; e se Giuliani era nel mezzo di un tafferuglio, quando Sandri fu colpito stava andando via, e tutto si era calmato. Quanto in questi casi c’è di iniziativa personale, e quanto c’è di forze dell’ordine sovreccitate e gasate per cultura o per scelta dei propri superiori?

Frequentare gli stadi, specie in trasferta, fa bene: ti apre un mondo, ti aiuta a capire che non è tutto bianco o tutto nero, che sia tra gli ultras che tra i poliziotti ci sono brave persone e persone meno brave, gente tranquilla e gente violenta, alcuni comprensivi e altri prepotenti, alcuni altruisti e altri egoisti; e che l’antipatia che molti portano per le forze dell’ordine non si basa su rifiuti ideologici o sulla propensione a delinquere, ma su episodi di discriminazione o di violenza subiti senza motivo, per aver incontrato il poliziotto sbagliato.

Del resto, sarebbe possibile eliminare la violenza nel calcio con qualche azione mirata alle poche persone che ancora la praticano, proprio come si potrebbe fare molto contro la criminalità legata all’immigrazione con interventi mirati e pene severe; ma è più conveniente non farlo, per alimentare nell’italiano medio un clima di paura, che poi giustifica ulteriori manganelli e ulteriori criminalizzazioni, finalizzate alla conservazione del potere, e che in futuro potrebbero venire dirette anche contro di noi. Tutte le volte che ci viene istintivo auspicare cariche e repressioni, è bene che questo pensiero ci venga in mente.

[tags]censura, diritti civili, calcio, ultras, immigrazione, violenza, polizia, repressione[/tags]

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venerdì 16 Gennaio 2009, 15:48

Il viaggiatore razionale

Ieri ho preso il treno da Milano a Torino – peraltro partito già con venti minuti di ritardo – e ho avuto occasione di fare esercizi di logica.

Cominciamo dalla fine: arriviamo a Porta Susa e c’è la folla assiepata in attesa che il treno fermi e si possa scendere (tra l’altro, a Porta Susa la gente si affretta perché le scale verso il sottopasso si intasano subito in un gigantesco grumo di gente, e se scendi per ultimo aspetti dieci minuti prima di poter uscire). Davanti alla porta ci sono due anziani; mentre il treno sta ancora finendo di fermarsi la signora preme il pulsante della porta. Ovviamente non succede niente. Due secondi dopo, non di più, il treno è fermo e il pulsante si accende. La signora sta lì e non fa niente. Tutti gli altri idem. La porta non si apre e alcuni cominciano a bestemmiare contro le porte sempre rotte. Lascio passare una decina di secondi poi, da dietro, grido alla signora che deve schiacciare di nuovo: schiaccia e usciamo, ma lei ribadisce ad alta voce che “la porta è rotta, io avevo già schiacciato”.

Voi potete prendervela con la signora, dato che la logica dell’ingegnere prevede che l’umano si accorga che il pulsante non è ancora acceso, e aspetti a premerlo; peccato che tale pratica sia tutto meno che uno standard, visto che tra tram e treni ci sono pulsanti che si accendono solo quando sono attivi, pulsanti che all’attivazione cambiano colore, pulsanti che sono sempre accesi e pulsanti che non si accendono mai, nonché porte la cui apertura è prenotabile e porte la cui apertura non è prenotabile. Insomma, lamentarsi sul fatto che i viaggiatori non conoscano gli standard mi sembra ingeneroso, visto che l’industria del ferro non è stata in grado di adottarne uno.

Piuttosto, è così difficile programmare questo pulsante in modo che se viene schiacciato nei dieci-quindici secondi precedenti allo sblocco delle porte la porta si apra automaticamente al momento dello sblocco? Non so se sia gestito via hardware o via software, ma è una di quelle modifiche da cinque minuti di lavoro che eviterebbe furie e ritardi.

L’ultima cosa riguarda me: sono arrivato in stazione, nella nuova Milano Centrale appena restaurata dove l’architetto imbecille è riuscito a triplicare la lunghezza del percorso metropolitana -> biglietteria -> treno (complimenti davvero). Ero in giro da un po’ e dovevo far pipì, così salendo dalla biglietteria ai binari vedo l’indicazione delle toilette: vado lì e scopro che far pipì a Milano Centrale costa un euro. Non 10, 20 e nemmeno 50 centesimi: un euro! Allora, essendo una persona razionale, cosa faccio?

La soluzione razionale, elaborati gli incentivi e le necessità prospettatemi, è la seguente: proseguo, arrivo al treno, salgo, me ne frego della lucetta che dice “fuori servizio”, prendo un bel respiro perché dentro il WC c’era una pozza di liquido colore del té che non era té e non veniva scaricato da ore, e faccio pipì gratis nel treno, in stazione. Non scarico, perché tanto non scarica: era tutto rotto e intasato (comunque i Vivalto hanno gli scarichi a circuito chiuso, non sui binari). Ma ammetto che se anche avesse scaricato sui binari l’avrei fatto ugualmente.

D’altra parte, a fronte degli incentivi economici introdotti nel sistema-stazione da Trenitalia, la mia non è forse la scelta più razionale?

[tags]ferrovie, trenitalia, logica, standard, interfacce, pipì[/tags]

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giovedì 15 Gennaio 2009, 19:09

Bus a Milano

Stamattina ero a Milano e avevo un appuntamento alle 10:30 in piazza Duse: da viale Argonne ci si arriva dritti in dieci minuti con il bus 54, che stando all’orario ATM passa ogni sette minuti.

Così verso le dieci e un quarto, già un po’ in ritardo, sono arrivato alla fermata: e il pannello luminoso – una sciccheria, che a Torino c’è solo su poche fermate – annunciava che il 54 sarebbe passato in tre minuti. Poi in due. Poi il numero è sparito, il che vuol dire che il pullman sta per arrivare. Peccato che non si sia visto niente.

A quel punto, il pannello luminoso ha indicato di nuovo: “54 in 8 min”. Poi in cinque. Poi in quattro. Poi in due. Poi di nuovo niente. E poi di nuovo otto minuti. E poi, quando indicava che ne mancavano cinque, il 54 è arrivato: alle 10:32. E che cavolo, noi non avremo i pannelli, ma almeno non li usano per prenderci per i fondelli!

In compenso, a pranzo mi hanno portato in un locale che poteva esistere solo a Milano: un posto denominato Panino giusto che in pratica è arredato come un ristorante elegante pieno di camerieri in tiro, ma fa panini e piatti da pranzo al bar. Il panino era ottimo, il prezzo era esagerato (ma non pagavo io); l’esperienza di mangiare un panino per pranzo come se fossi al Cambio però è stata piuttosto surreale.

[tags]milano, atm, pranzo[/tags]

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mercoledì 14 Gennaio 2009, 14:14

Delirio

Ieri sera sono andato a vedere Delirio, lo spettacolo di Beppe Grillo, e non posso quindi che offrirvene prontamente una recensione.

Nonostante la neve, il Mazdapalace era pieno in ogni ordine di posti, completamente esaurito: infatti noi, che avevamo preso i biglietti abbastanza tardi, eravamo relegati quasi in cima e praticamente contro le pareti laterali. Nonostante questo, lo spettacolo è godibile lo stesso: Grillo gira per la parte bassa della platea, viene comunque ripreso anche dai maxischermi, e non si perde nulla.

Mentre aspettavo fuori per consegnare i biglietti ai ritardatari del gruppo, si è formata una codona epica che ha assorbito e travolto i banchetti più vari: infatti chiunque abbia una causa più o meno meritevole si presenta davanti agli spettacoli di Grillo in caccia del suo pubblico. Ieri c’erano persino quelli di Sinistra Critica“ecologista comunista femminista”, come recita il loro motto – che raccoglievano firme per aumentare i salari per legge: credo che fosse possibile soltanto grazie all’abbondante ghiaccio che permetteva loro di essere lì pur continuando a rimanere congelati negli anni ’70.

Lo spettacolo, comunque, è stato molto divertente: la cosa più importante da dire è che merita assolutamente di essere visto come spettacolo teatrale comico, al di là di quel che potete pensare di Grillo. Temevo infatti di trovarmi di fronte a un comizio a pagamento, e invece l’esperienza è stata decisamente migliore di quanto temessi.

Certo, c’è stato qualche momento un po’ pesantuccio, come qualche minuto dedicato a difendersi dalle accuse di essere ricco o di insultare il Presidente Napolitano, o a raccontare – in modo peraltro molto divertente – la scena del giudice Carnevale che lo accoglie in Cassazione per comunicare l’esito della verifica delle firme del referendum (che Grillo, sarcasticamente, spiega così: “quando le ho contate le firme erano 1.650.000, loro ne hanno trovate 1.250.000, evidentemente mi saranno caduti degli scatoloni sull’autostrada”). Per il resto, però, lo spettacolo – pur essendo centrato sulla critica alla politica e all’economia – è assolutamente la cosa più divertente a cui abbia assistito negli ultimi anni.

Grillo, in particolare, ha una capacità assolutamente eccezionale: quella di fermarsi nel bel mezzo del testo preparato, anche a metà di una frase, e di improvvisare gag assurde con il pubblico, che viene strapazzato in ogni modo. Trova una pozza d’acqua per terra mentre cammina? Interrompe la frase e comincia a chiedersi che razza di pubblico ha, che piscia per terra. Sbatte una porta in cima all’impianto? Si ferma e dice “Ecco, c’è qualcuno che a sentire queste cose si è appena suicidato”. Saranno anche improvvisazioni preparate, visto che in trent’anni di carriera le avrà già viste tutte, però sono sempre perfette nei tempi e fanno ridere.

Lo spettacolo dura due ore e mezza, e ha davvero pochi momenti di stanca, quasi sempre dovuti agli ospiti, che difatti Grillo cerca di limitare in ogni modo. Fa vedere il video di Rivoli che già vi mostrai io, ma lo sfuma per non allungare troppo il brodo. Presenta i ragazzi del Meetup (il 13, quello storico di Torino), ma quando una di questi si lancia in un discorso senza capo né coda sulla propria condizione di insegnante (e vabbe’, mica tutti hanno la presenza scenica) la argina appena possibile. Sfodera comunque ospiti interessanti: non il prevedibile Travaglio, che viene appena salutato insieme a Caselli, ma un architetto che racconta come con pochi accorgimenti sarebbe possibile costruire case che consumano un decimo dell’energia delle nostre; e Luca Mercalli che spiega come la presunta notizia dei ghiacci che non si sarebbero più sciogliendo e sarebbero tornati ai livelli di oltre trenta anni fa sia una bufala completa, dovuta al fatto che a fine anni ’70 hanno cambiato il sistema di misurazione introducendo una discontinuità nei dati (Grillo lo saluta ringraziandolo ma invitandolo a cambiare trasmissione e a mandare affanculo Fabio Fazio da parte sua).

Dal punto di vista politico, dunque, lo spettacolo non dice quasi nulla: Grillo presenta di sfuggita il simbolo delle sue liste civiche, ma l’intero progetto è ancora abbastanza allo stato di farsa, senza chiarezza, senza alcun piano d’azione e insomma senza alcuna sostanza, e non è chiaro se decollerà mai. In compenso, lo spettacolo dice molto dal punto di vista dell’informazione, intesa come il proporre dati e messaggi che altrove non trovate (dopodiché, ognuno decide cosa farne).

C’è la Biowashball, sulla quale Grillo – che pure fa un vero lavaggio durante lo spettacolo, chiamando le signore del pubblico a controllare il risultato – conclude dicendo “boh, io la uso e per me funziona, se voi non ci credete andate affanculo”. C’è il giochino matematico per far capire quanto gli interessi composti su venti o trent’anni portino i debiti della gente a cifre astronomiche. Ci sono le questioni locali, non solo quelle scontate come la Tav e il grattacielo di Banca Intesa (“le banche ormai sono numeri, sono un algoritmo, cosa ci devono mettere in un grattacielo? è solo speculazione edilizia”), ma la storiella sulla nevicata, con la scenetta di Chiamparino e Moratti che si rimpallano il sale da una città all’altra, e la conclusione che “Chiamparino ha stanziato sei milioni di euro per sciogliere la neve, e l’unica cosa che si è sciolta sono i sei milioni di euro”. C’è il racconto tristemente preciso della storia dei mutui subprime, con le banche americane che cagano lo stronzo prestando i soldi a chi non potrà mai restituirli, i fondi internazionali che nascondono lo stronzo in una bella torta decorata con lo zucchero a velo, le banche italiane che ne tagliano una fetta e la vendono a te che dici “mah, puzza un po’ di merda ma vabbe’”. C’è la storia dei distributori di latte crudo, che costano meno e tagliano fuori sia le Parmalat (private o municipali che siano) che le Tetrapak del pianeta: da quando hanno cominciato a diffondersi anche da noi, i nostri giornali scientifici e non hanno cominciato a riempirsi di allarmi e storie su bambini infettati dal latte crudo.

Ecco, questo è un esempio illuminante: si parla improvvisamente male del latte crudo perché prima non era più diffuso e non c’erano casi di infezione, oppure si parla improvvisamente male del latte crudo per difendere gli interessi economici che ruotano attorno al latte industriale? Su queste cose il pubblico si frattura: o credi alla verità ufficiale – quella dei telegiornali, dei quotidiani, dei baroni accademici, dei politici – o credi alla verità alternativa, quella che circola sotterraneamente grazie alla rete, ai blog grandi e piccoli, ai filoni di pensiero scientifici e politici innovativi che da noi non vengono nemmeno pubblicati (Grillo mostra anche interviste a Rifkin e a Lester Brown).

Alla fine, molti di coloro che denigrano Grillo – spesso senza mai averlo sentito parlare per più di venti secondi – sembrano farlo per quella implicita ma grande paura che ti prende quando ti viene richiesto di considerare l’idea che molto di ciò che hai sempre pensato e conosciuto potrebbe non essere vero o perlomeno potrebbe non essere la soluzione ottimale ai problemi del mondo: è la paura della pillola rossa. E tra pillola rossa e pillola blu non c’è dialogo, non c’è intersezione: o scegli una, o scegli l’altra.

Tuttavia, anche se non siete ancora pronti per la pillola rossa, lo spettacolo è divertente lo stesso; a meno che non andiate là già prevenuti.

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