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lunedì 12 Novembre 2007, 16:51

Un tragico errore

Così il sempreverde Amato ha definito l’incidente dell’autogrill: un tragico errore.

Eppure, non riesco a immaginare alcuna dinamica dei fatti per cui una cosa del genere possa essere un tragico errore. Una persona con una pistola in mano che prende la mira e spara ad altezza uomo verso una macchina, da un lato all’altro di un’autostrada, non è un tragico errore, ma un tentato omicidio che purtroppo ha avuto successo; e ciò indipendentemente da chi ci sia nell’auto e che cosa abbia fatto.

Perdipiù, piano piano è emersa la verità: che il tifoso ucciso non era un ultras ma un ragazzo di 26 anni che faceva il DJ in una famosa discoteca romana e lavorava in un negozio di abbigliamento, e che la “pericolosa rissa tra violenti ultrà” che i poliziotti erano intervenuti a sedare era in realtà uno scambio di insulti di trenta secondi, e che il poliziotto aveva sparato freddamente a una macchina che non poteva scappare.

E allora, parliamo di quali sono veramente i tragici errori.

Un tragico errore è avere soffiato sul fuoco per mesi, fino a creare un clima di criminalizzazione generalizzata dei tifosi di calcio, che nella mente di un poliziotto esaltato può costituire l’autorizzazione a sparare come in un western.

Un tragico errore è non avere applicato regole serie e fermato i violenti uno per uno, preferendo invece i provvedimenti arbitrari a seconda di come gira, e le diffide sparate nel mucchio compresi i vecchietti, salvo poi ritrovarsi ostaggi della piazza organizzata.

Un tragico errore è non fermare il campionato, dicendo in faccia a tutti, in un momento di animi tesi, che se muore un poliziotto si ferma tutto e se muore un tifoso chi se ne frega, che le televisioni reclamano i gol. E poi stupirsi se i violenti reagiscono mettendo a fuoco le città.

Un tragico errore è avere una classe politica e un corpo di amministratori pubblici e forze dell’ordine che, pur con molte eroiche eccezioni, non è in grado di amministrare nemmeno un condominio; figuriamoci l’ordine pubblico di un Paese cupo e turbato come l’Italia.

In un paese civile, dopo un disastro del genere, si dimetterebbero tutti: l’Osservatorio del Viminale, magari pure il ministro. Ma naturalmente, si preferisce cercare di scaricare il barile di un poliziotto assassino – che avrebbe potuto ammazzare chiunque – sul comodo capro espiatorio dei tifosi violenti, coprendo un atto ingiustificabile e proteggendo il giro di soldi, potere politico, immoralità, faciloneria e incompetenza che ruota attorno al calcio.

Arriveranno altre restrizioni generalizzate, altri slogan criminalizzanti, altre punizioni sparate nel mucchio, che provocheranno solo ulteriore rabbia e ulteriore violenza, spingendo i tifosi normali a simpatizzare con i violenti invece che con le forze dell’ordine. Ma ciò non cancella la vergogna collettiva per quello che tutto il mondo sta vedendo dell’Italia.

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domenica 11 Novembre 2007, 09:21

Ecofobia

Anche a Rio, come a San Paolo, il traffico è formidabile. Già pensavo di essere stato fortunato, perché pur essendo venerdì sera la superstrada dall’aeroporto era sgombra, e il tunnel – quello che collega il retro del centro con la laguna, tagliando fuori Flamengo, Botafogo e Copacabana – era piuttosto scorrevole. Eppure, l’autista poi ha scelto il lato est della laguna, e io mi sono stupito, perché avrei fatto il lato ovest, e ho fatto bene a dolermi perché anche il lato est era bloccato, e di lì sono stati quarantacinque minuti a passo d’uomo.

I brasiliani sono l’unico popolo che possa competere con gli italiani quanto a scioltezza di guida. Ci si sportella, ci si infila, ci si lascia passare con regole non scritte – immissione a traffico fermo, la precedenza non conta: uno da destra e uno da sinistra, uno da destra e uno da sinistra… Poi si scopre che il lungomare è un’unica enorme fila di auto strombazzanti, e perché? Perché alla fine di Ipanema e Leblon il vialone a mare a tre corsie lascia il posto a curva e controcurva in salita, una corsia per senso di marcia a picco sul mare, e l’imbuto crea code infinite.

E’ l’Avenida Niemeyer, ed è spiccicata uguale identica all’Aurelia di Capo Noli, che attornia la montagna a strapiombo e strapiomba sul mare. E anche qui, dopo un po’ di curve, si doppia il capo e c’è la baietta, ed è una baietta bellissima, perché qui non sono liguri, e non l’avranno certo sfigurata, e…

…e proprio in mezzo alla baietta, nel centro esatto dell’arco, spunta un parallelepipedo di cemento grigio alto ventisei piani. Non due, non tre, ma ventisei, con i piedi nell’acqua e la schiena contro la montagna, separata solo dalla strada. Una roba che disturberebbe il senso estetico persino a un babbuino cieco, che fa sembrare ecologicamente corretto persino l’ecomostro del Fuenti, che riabilita intere generazioni di geometri di Pietra Ligure.

E c’è di peggio: quello è il mio albergo.

Naturalmente, dall’interno la vista è magnifica, e la mia stanza al vigesimo segundo andàr ha una prospettiva notevole (anche se è scrostata, sporca e con la vernice data male – ve l’ho detto che per i brasiliani fare le cose bene per intero è impossibile). Ma non mancherò di sentirmi in colpa, anzi sognerò Lisa Simpson che mi fa un cazziatone. Quando ci vuole ci vuole.

[tags]rio, brasile, ipanema, traffico, ecomostro, geometri di pietra ligure, lisa simpson, cazziatone[/tags]

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sabato 10 Novembre 2007, 16:28

Valute speziate

Ecco la versione inglese del modulo di dichiarazione doganale che il Brasile fa compilare a tutti gli stranieri in ingresso. Io ho soltanto aggiunto la freccia.

brazil_dogana.jpg

Spero di non aver messo il portafogli troppo vicino al barattolo del curry.

[tags]brasile, dogana, curry, signspotting[/tags]

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sabato 10 Novembre 2007, 13:28

Impatto su Rio

Arrivare a Rio è sempre impressionante. Ci sono varie cose che ti colpiscono: innanzi tutto il paesaggio meraviglioso, lunare; è come se avessero tirato a caso pietre sabbia legno e acqua in una cassetta, e poi li avessero agitati fino a farli incastrare in modi assurdi, con promontori verticali che spuntano in mezzo a lagune e spiagge infinite.

E poi la povertà, il terreno edificabile ricoperto per ogni dove di casette di mattoni o di lamiera, arrampicate sulle colline a perdita d’occhio. Dall’aeroporto al centro e oltre, verso le zone ricche di Copacabana e Ipanema, hanno costruito venti chilometri di superstrada sopraelevata: sei corsie di cemento a quindici metri d’altezza, direttamente sopra le casupole delle favelas. Era l’unico modo per evitare il brigantaggio, e il circondario è talmente degradato che una sopraelevata sopra il tetto di casa non peggiora sensibilmente le cose.

E poi la disorganizzazione creativa; creativa perché ci vuole ingegno a far funzionare così male le cose. All’aeroporto, per esempio, non hanno come in tutto il mondo un nastro di consegna bagagli che esce dal deposito e vi rientra, con una parte dietro il muro su cui vengono scaricati i bagagli; sarebbe stato troppo efficiente.

Hanno invece un nastro circolare nella sala, che in un punto passa vicino al muro. Lì si apre un passaggio dal quale esce un altro nastro, orizzontale, che si immette sul primo con un angolo di circa trenta gradi. Per permettere l’immissione, l’ultimo pezzettino di questo nastro – la corsia di immissione – è separato e scorre a una velocità pazzesca, per cui le valigie che provengono dal deposito, finendovi sopra, vengono scagliate con una forza tremenda sul nastro della sala, tanto da urtare il bordo dall’altro lato e spesso rischiare di ribaltarsi e cadere oltre; qualcuna s’è aperta e spatasciata.

Pertanto, con questo sistema, bisogna evitare lo scontro violento tra le valigie in immissione e quelle già sul nastro principale; per cui ci hanno messo una pezza mediante un omino che, a mano, ferma e riaccende il nastro di immissione, facendolo partire solo quando il nastro principale è libero. Vista però la potenza del lancio, il movimento è molto impreciso, per cui bisogna che vi sia un notevole spazio libero per poter attivare l’immissione. Nel contempo, però, il nastro principale è assolutamente insufficiente a contenere tutte le valigie di un volo intercontinentale, e perdipiù la maggior parte della gente resta bloccata a lungo al controllo passaporti; in pratica, dopo cinque minuti il nastro principale è pieno, il nastro di immissione è sempre fermo e lo scarico dei bagagli si blocca.

A questo punto, serve una ulteriore pezza: ecco quindi un altro omino che, sul nastro principale, preleva le valigie che hanno già fatto un paio di giri, le toglie, e le butta a caso in mezzo al salone, creando vari mucchi. In più, se nemmeno questo basta, un po’ di valigie vengono scaricate sul nastro adiacente, naturalmente senza alcun tipo di segnalazione o di annuncio.

In sostanza, passerete venti minuti girando tra due nastri e tre o quattro mucchi di valigie, in mezzo a torme di gente disperata come voi, sperando di intercettare il vostro bagaglio prima che se lo freghi qualcuno.

Per fortuna che alla fine c’è un aiuto insperato: mentre prendo la valigia arriva un SMS da Roma per avvisarmi che l’Ambasciata ha mandato una automobile per portarmi all’albergo, tutta per me. Uèila, qui non ci facciamo mancare niente! Peccato che l’auto dell’ambasciata fosse dal meccanico, per cui sono arrivati con la Gol(f) della cugina dell’amico di qualcuno, o qualcosa del genere… ad ogni modo, applausi per la capacità di arrangiarsi: gli americani mica ci sarebbero riusciti.

[tags]rio, brasile, aeroporto, consegna bagagli, idiozia applicata alla tecnologia[/tags]

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venerdì 9 Novembre 2007, 09:30

Lisbona

Non ero così sicuro di aver fatto bene a scegliere il pernottamento a Lisbona invece che a Roma (un pernottamento ci andava comunque, perché il volo TAP per Rio – il più scontato che esista, visto che pagano i contribuenti – è troppo presto al mattino). Oltretutto, i miei amici di Lisbona sono via ed ero quindi da solo.

Invece, sono stato ampiamente ripagato della scelta. Lisbona mi ha regalato una giornata eccezionale, con una ventina di gradi, un po’ di brezza di mare, e un sole caldo in mezzo a qualche nuvola striata. Tra tutto, sono arrivato in Praça do Comercio che erano già le cinque, e iniziava a tramontare. Ed è stato un bellissimo tramonto, con gli uccelli sull’estuario del Tago e il sole a scendere sul Ponte 25 aprile e sulla statua del Cristo.

Ma il momento veramente unico è stato dopo essermi arrampicato sopra Alfama, fino al belvedere di Santa Lucia e poi alla statua di san Vincenzo; lì il sole era proprio agli sgoccioli, e il panorama sulle case fitte del borgo vecchio, arrampicate su per la collina, con dietro il fiume che è già un mare, era veramente unico; così come unica è stata la discesa per i vicoli tortuosi, attraverso strade deserte e già buie, interrotte improvvisamente da qualche scalinata, da qualche piazzetta, da una vecchietta seduta in mezzo alla strada davanti all’uscio di casa, da qualche albero ostinato, da una chiesa bianca e barocca dove pochi parrocchiani assistono alla messa; giù fino a sbucare d’improvviso nella piazza del museo del Fado, che dentro non ha nulla di veramente interessante se non la nostalgia terribile di questa musica meravigliosa.

Lisbona è unica tra le città di mare europee; ha quel che di magico che Genova o Barcellona hanno quasi interamente perso da decenni, in mezzo alle ristrutturazioni e alle trasformazioni dei loro centri storici alternativamente in bassifondi o in zone turistiche alla moda. Lisbona sa di antico, di storie ed avventure immutate da secoli. A Lisbona nel centro storico abitano ancora vecchi e bambini, e trovi ancora il verduriere o il bar infilati in un buco a pianterreno dove non entrerebbe nemmeno un televisore al plasma, figurarsi il regolamentare locale trendy da metterci attorno. Vedi ancora i panni stesi tra le case e le torme di ragazzini che giocano a pallone, in pendenza, su una scalinata o sul sagrato della chiesa.

Lisbona è un miracolo triste, sospesa in una luce abbacinante riflessa dalla pietra bianca e dalle mille piastrelle azzurre e verdi che foderano le case, in uno stile che esiste solo qui. E’ triste perché è il confine del mondo sull’oceano, e mentre in Irlanda più vai a ovest e più la terra si scioglie pian piano nella nebbia, in laghi che diventano mare, in montagne che diventano scogli, a Lisbona la terra finisce in modo netto, e per andare oltre ci vuole coraggio, e c’è un pedaggio da pagare; è di questo che parla il fado, di passione e lontananza immanenti su un intero popolo. Forse tutto questo è ancora più evidente in un giorno di mare d’inverno d’estate come quello di ieri.

Non riuscirò a descrivere la sensazione, nè basteranno le foto (che peraltro metterei su, se avessi un attimo; potrei anche revitalizzare il fotoblog), e quindi vi lascio e vado a finirmi i miei pastel de nata; il dolce tipico del posto, visto che a Lisbona c’è un ristorante ogni cento metri, e una pasticceria ogni cinquanta. Si tratta di un cestello di millefoglie riempito di una specie di crema pasticcera, possibilmente calda; io non ho resistito e ho comprato la confezione da sei, per mangiarla in albergo. C’erano solo cento metri tra la pasticceria e la stazione della metro del Rossìo, ma a metà strada avevo già ceduto, e aperto il pacchetto. Ne ho mangiati quattro di fila e per tutta la sera, come un bimbo, sono stato piegato dall’inevitabile mal di pancia; ma ne valeva la pena.

[tags]lisbona, alfama, fado, pastel de nata[/tags]

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giovedì 8 Novembre 2007, 11:34

Trovato il petrolio a Carisio

Stamattina, sul pullman che mi portava a Malpensa, ho potuto constatare di persona un avvenimento eccezionale: hanno scoperto il petrolio a Carisio!

Proprio nel mezzo della carreggiata sud della A4, in coincidenza del nuovo svincolo per Carisio, hanno difatti praticato una lunga serie di fori quadrati di circa due metri di lato, disposti a scacchiera in mezzo all’asfalto; il loro scopo non è immediatamente chiaro, ma evidentemente non possono essere altro che scavi per la trivellazione del petrolio. Infatti hanno dovuto chiudere al traffico l’intera carreggiata per un paio di chilometri, in un tratto in cui essa era già stata rifatta dopo i lavori di ampliamento ed aperta al traffico; certo, lavoro buttato, ma per il petrolio ne vale la pena.

A meno che, invece, i fori non servano assolutamente a nulla, e siano solo un’altra trovata per prolungare all’infinito i decennali lavori sul tratto Torino-Novara. Voi certo saprete che la Torino-Milano fu acquistata tempo fa dalla SATAP (Torino-Piacenza) del gruppo Gavio, il cui amico Martinat (AN) fu sotto Berlusconi viceministro alle Infrastrutture; egli venne perfino intercettato in conversazioni sconvenienti a proposito di tentativi di favorire Gavio nell’appalto olimpico della circonvallazione di Avigliana.

La SATAP è anche protagonista dell’altra annosa vicenda della Asti-Cuneo, in cui prima ebbe la concessione, poi prese dei soldi per rinunciare, e poi, nonostante le interrogazioni parlamentari, ricevette da Berlusconi e Martinat altri soldi per riprendersela, venendo poi recentemente indagata per avere secondo l’accusa fatto i lavori da schifo per risparmiare sui costi (vedi una interrogazione della Lega che invita la Regione a non rompere tanto le scatole sulla questione).

Ora, prendete questa notizia con le pinze, perché potrebbe anche non essere vera; ma gira voce che, come tutte le concessionarie autostradali, la SATAP debba allo Stato una lauta percentuale dei sostanziosi utili ricavati dai pedaggi astronomici praticati sulle proprie autostrade. Se però tutto ciò che si ricava viene speso in importantissimi lavori (purtroppo dai costi spropositati) per spostare la terra da là a qua e poi da qua a là, non c’è alcun utile e quindi non c’è alcuna percentuale; se poi i lavori vengono affidati ad altre ditte dello stesso gruppo o comunque dello stesso circolo industriale, i soldi che escono di lì rientrano da là, però senza più dover nulla allo Stato. E intanto la gente si ammazza contro le barriere di cemento dei cantieri.

P.S. Comunque il pullman della Sadem, senza aver incontrato altri cantieri o particolari ingorghi, è arrivato al terminal 1 di Malpensa con venti minuti di ritardo; se dovete utilizzarlo, tenete conto che 20-30 minuti di ritardo sono la norma, o perderete l’aereo.

P.S.2 Ho capito che sono in Lombardia perché i soli tre quotidiani disponibili nella lounge sono il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore, e Il Giornale.

P.S.3 Comunque, tornando all’argomento principale del post – se tra un po’ mi trovano in un fosso, sapete perché.

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mercoledì 7 Novembre 2007, 09:25

Cinema Sky

È da un po’ di tempo che sto pensando di disdire l’abbonamento al pacchetto cinema di Sky, perché non c’è mai nulla di interessante da vedere.

Ieri, però, Murdoch si è superato, e mi ha mandato in prima serata questo leggendario film di Steven Seagal, intitolato Shadow Man. Racconta l’originale storia di un agente della CIA a cui viene rapita la figlia da un gruppo di cattivoni – due anni prima di Die Hard 4!

Ovviamente l’ho guardato con un occhio solo, mentre lavoravo, ma è stato sufficiente: immaginate la scena di una supergnocca che si spoglia nella penombra di una camera da letto, e viene prontamente abbracciata da uno Steven Seagal sessantenne, con la faccia piena di rughe e ingrassato di quaranta chili. Credo che lui non riesca nemmeno a baciarla, da quanta panza si frappone davanti a lui: difatti lo inquadrano solo da dietro.

In più, per abbassare il già basso budget dare un tocco di esotico, il grosso del film si svolge a Bucarest, dove però ci sono solo americani e russi (al tempo delle riprese i romeni erano già tutti emigrati in Italia). Naturalmente, sulla base del principio che per gli americani i romeni non sono esseri umani e la tortura sugli stranieri è legale, Seagal provvede a smazzulare tutti i cattivi del film con violenza brutale, sparandogli, mitragliandoli, infilandogli le dita negli occhi e pure nel naso; sempre a patto che il copione preveda che i cattivi aspettino quel tanto che serve al protagonista per smuovere la propria panza.

Insomma – mentre Sky raddoppia mandando subito dopo Predator 2 – io sono giunto a una conclusione: giunti a una certa età, gli attori di film d’azione dovrebbero essere costretti ad andare in pensione. Lo farei per il loro bene. Però intanto disdico l’abbonamento.

[tags]seagal, sky, cinema[/tags]

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martedì 6 Novembre 2007, 16:29

Tributo (3)

Tra i grandi piaceri dell’avventura in ICANN c’è stato quello di conoscere di persona Joi Ito. Per chi non lo conosce, Joi è un guru di Internet a livello mondiale, membro del Board di quasi qualsiasi iniziativa collettiva in rete – da Creative Commons a Mozilla – e investitore in varie delle più brillanti startup del Web 2.0.

Oltre a tutto ciò, Joi è anche un eccellente fotografo; usava girare con una Leica, ma a Los Angeles aveva una Hasselblad. Ovviamente sono macchine dalle ottiche eccezionali – piacerebbe anche a me avere un obiettivo f1 con cui fare foto a 1/60 in un ristorante poco illuminato a notte fonda – ma, ciò nonostante, la bravura sta decisamente nel fotografo.

E quindi, sono lieto di avere anche io il mio ricordino made by Joi della cena di giovedì sera, l’ultima cena di Vint, ed è assolutamente bellissimo:

vb_joi.jpg

Va bene, ho le occhiaie e sembro vecchio, ma forse per questo mi ci ritrovo; e ammiro l’abilità di Joi di estrarre un ritratto da uno sguardo.

Io, invece, finisco per estrarne solo i dubbi, e ciò non solo per incapacità tecnica (e appoggio ballerino sul tavolo) ma anche per scelta: preferisco restituire delle persone una immagine a multiple sfaccettature. Per cui, questa è la foto che io ho fatto a Joi mentre lui faceva quella di sopra a me.

DSC00908s.JPG

[tags]joi ito, icann, fotografie[/tags]

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martedì 6 Novembre 2007, 14:54

Le vie della grafica sono infinite

Tra i miei clienti c’è una organizzazione no-profit che è tanto simpatica e socialmente utile quanto informaticamente disastrata. Io gli curo i siti a prezzo da amici, e mi smazzo nei ritagli di tempo anche quelle attività banalissime tipo “cambiami la scritta in home page”.

In particolare, loro hanno voluto mettere sul sito un pop-up per pubblicizzare una delle loro prossime iniziative (che tra l’altro è pure interessante, per cui ne riparleremo quando siamo più vicini alla data dell’evento). Ovviamente, in quattro giorni se ne sono succedute tre versioni diverse, ogni volta correggendo un particolare; e vabbe’, questo è normale.

Ma quale può essere il processo mentale e produttivo che ti porta a inviarmi tre volte di fila quella che è sostanzialmente la stessa immagine, e mandarmela la prima volta in PDF, la seconda in JPG, e la terza in BMP?

[tags]webmaster, informatico, grafica, cliente medio italiano[/tags]

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lunedì 5 Novembre 2007, 20:55

Cognomi

Ieri sera ho visto al telegiornale un servizio su questa notizia. Sono cose che purtroppo succedono di frequente, ma ciò nondimeno ho notato subito il cognome, il luogo, l’età. Poi ho pensato: in fondo chissà quanti Didonè ci sono attorno a Padova, sono io che sono apprensivo, vuoi mica che una cosa del genere succeda proprio ad un amico. E poi – lo so, sembrerà puerile, ma in fondo io leggo i blog per stare insieme alle persone, per sapere cosa gli succede – sono andato a controllare il suo blog. Non c’era nulla. Ho tirato un sospiro di sollievo.

Stasera sono tornato a casa dopo una giornata in giro – appuntamenti, commissioni, mi si è pure rotta la macchina in mezzo alla strada – e, sul mio instant messaging sempre aperto e abbandonato, trovo un messaggio di Fabbrone: “hai saputo del dido?”.

Ecco, lì mi si è gelato il sangue nelle vene. Sono tornato sul blog, e ci ho trovato questo.

Ora vorrei impilare uno sull’altro tutti i miei “non è possibile”, e sapere che farne e cosa dire. Non lo so, e quindi mi limito a fare testimonianza di abbraccio virtuale: che quando negli alti e bassi della vita capita a qualcuno un basso del genere, è questo ciò che gli possiamo fare.

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