Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Ven 2 - 16:18
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
sabato 7 Ottobre 2006, 10:05

Supersbagliati

Ieri sera, girando per l’Auchan, ho scoperto come mai la gente non sa l’italiano: glielo mostrano sbagliato dappertutto.

Già si potrebbe discutere sull’offerta pubblicizzata a caratteri cubitali come “Se trovi un prodotto alimentare più caro, ti rimborsiamo 10 volte la differenza”. Certo, c’era l’asterisco con la scritta in piccolo “consultare il regolamento”, ma detta così, noi pensavamo di arrivare lì con un tartufo da mezzo chilo e confrontarlo con un sacchetto di farina.

Però la cosa migliore è stato il vasetto di “Melanzane alla napoletana” che come sottotitolo sulla lista degli ingredienti aveva: “Fette di melanzana ricettate in olio”. Sono sicuro che volessero dire che non erano al naturale, ma cucinate secondo una ricetta; tuttavia, dopo aver letto la scritta, non le ho comprate. Non vorrei mai trovarmi la Finanza in casa.

divider
sabato 7 Ottobre 2006, 02:02

Notturno urbano

Stasera ero solo, erano le otto e mezza, ero fuori – avevo accompagnato Simone nella spesa preparatoria per la cena di domani – e non avevo proprio voglia di mangiare a casa. Così, nel buio appena sceso sul centro commerciale di corso Romania, mi sono infilato in macchina e sono andato a cena in birreria.

Oggi, a Torino, c’era un traffico assassino; non solo per la mezz’ora abbondante di coda in via Reiss Romoli, dovuta a due macchine dei vigili urbani infilatesi dentro una utilitaria che aveva tagliato loro la strada (roba da scena finale di Blues Brothers). Il problema peggiore per il traffico odierno è stata l’insolita abbondanza di guidatori piantati ai quaranta all’ora in mezzo ai corsi; presumo si tratti di gente che di norma non prende mai l’automobile e che a malapena distingue l’acceleratore dal freno. Oggi c’era sciopero degli autobus – ma anche degli edili, dei giornalisti, e dei precari comunali – e quindi sono usciti tutti dalle catacombe.

Tuttavia, il buio semplifica le cose, e rende tutto più immediato e sincero; ivi compresa la circolazione automobilistica, su cui il peso della massa indistinta e inscatolata che esce dal lavoro si allenta d’improvviso, e permette finalmente un po’ di sano movimento.

Il senso della serata, comunque, è il piacere della casa estesa che è la tua città, di quell’insieme limitato di posti che hai visto crescere con te, oppure restare immutato mentre tu crescevi, e che comunque conosci a menadito anche se non ci passi da mesi. Il Manhattan, ad esempio, è una birreria che ha visto passare tutte le stagioni; per ciascun tavolo potrei citare un episodio nell’arco di quindici anni, i festeggiamenti dopo Toro-Real di Coppa Uefa, l’attesa del concerto degli amici, la cena offerta prima del concerto tuo, le uscite con diversi gruppi, quelle con la fidanzata dove siete stati bene, e quelle con la fidanzata dove poi avete litigato.

E quelle da solo, una pizza e una birra, ad ascoltare con piacere del jazz strepitoso venire da una cassetta attraverso gli altoparlanti del locale, un jazz destrutturato eppure pieno di trama, caotico e coerente come la vita. Subito dopo, a tradimento sotto il salamino piccante, pezzi a cui sei legato per motivi diversi, With My Own Two Hands di Ben Harper, Are You Gonna Go My Way di Lenny Kravitz, persino l’eccezionale quanto rimossa Get On The Snake dei Soundgarden primo periodo, quelli che qui a Torino da perfetti sconosciuti vennero spediti sul palco del Delle Alpi, attaccati a un Marshall che sparava sì e no fino alla quinta fila, ad aprire i Faith No More che aprivano i Guns’n’Roses. E’ la giornata della musica che tesse e trama alle tue spalle e ti stabilizza e ti scuote insieme; avrei dovuto capirlo quando stamattina Radio Flash ha mandato Grace di Jeff Buckley.

Il Manhattan, peraltro, è un posto sozzo come non si può immaginare, dotato di musica eccellente che sul tardi diventa anche dal vivo, di un cesso che incoraggia il vomito, e di una cucina tanto semplice quanto eccezionale, con porzioni da rinsaldare l’amicizia. All’ora di cena è quasi vuoto, c’è solo qualche coppia giovane e un paio di famigliole, e sembra una cripta da vampiri, per quanto abbiano appena aperto una espansione in cortile. Come luogo letterario è perfetto, anche quando l’esperienza letteraria è uscire dal mio corpo, spostare la telecamera col joystick e guardarmi solo e pensieroso al tavolo numero tre.

C’è ancora spazio per un gelato dall’altro lato della città: un inseguimento giocoso con un’altra 147 sulle nuove rotonde di via Livorno, le precedenze annurche di piazza Statuto, i centoventi sfiorati ma non raggiunti sui binari del tram in via Borsellino, e la fila di doppie file e quattro frecce davanti alla gelateria in via Monginevro, che da quando il 15 non è più un tram si lascia la macchina anche lì. Al ritorno, la radio spara un po’ di tutto, The baby di Morgan, persino J’aime l’amour a trois di Stereo Total (una chicca). E’ la serata delle luci di città, la serata della loro musica; che ci volete fare.

divider
venerdì 6 Ottobre 2006, 18:01

Prodi e la cultura

La cultura, si sa, è importante. Lo è specialmente quella stampata, e lo è ancora di più per la sinistra italiana: la rivista, il quotidiano e il libro, in ordine crescente, sono considerati l’elemento distintivo delle persone intelligenti (di sinistra) rispetto ai buzzurri qualsiasi (di destra). Deve essere per questo che il governo Prodi ha destinato particolare attenzione all’editoria proprio in questi giorni.

Per prima cosa, la legge finanziaria, per uno di quei miracoli legislativi che esistono solo in Italia, contiene anche una piccola ma cruciale revisione della normativa sul diritto d’autore. E’ stato aggiunto di soppiatto il seguente testo:

“I soggetti che realizzano, con qualsiasi mezzo, la riproduzione totale o parziale di articoli di riviste o giornali, devono corrispondere un compenso agli editori per le opere da cui i suddetti articoli sono tratti. La misura di tale compenso e le modalità di riscossione sono determinate sulla base di accordi tra i soggetti di cui al periodo precedente e le associazioni di categoria interessate. Sono escluse dalla corresponsione del compenso le amministrazioni pubbliche di cui al comma 2 dell’articolo 1 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n.29.”

Cosa vuol dire? Ufficialmente, è un modo per “regolamentare” le rassegne stampa professionali, ossia quei servizi che ti mandano ogni giorno una selezione di articoli sugli argomenti che hai specificato di tuo interesse; essi dovranno pagare una quota – presumibilmente, per motivi pratici, proporzionalmente alla quantità di articoli riprodotti – che verrà poi spartita in qualche modo tra gli editori.

Tuttavia, se leggete, non c’è scritto in alcun modo che la questione riguarda solo chi lo fa per mestiere, o chi ne trae un guadagno, o chi lo fa in maniera consistente, o chi lo fa per terzi (gli unici esentati sono gli enti pubblici: se c’è una buona occasione per aggiungersi un privilegio, come farsela sfuggire?). Da adesso, in teoria, anche citare o fotocopiare un capoverso di un articolo di quotidiano è soggetto al pagamento di una tassa. Per dire, per fare un post come questo io avrei dovuto pagare, non si sa bene (ancora) come e quanto. Non parliamo poi, che so, di fotocopiare e conservare gli articoli che mi interessano.

Sulla stessa scia, sono in arrivo altre iniziative, naturalmente tutte mirate a promuovere la vera cultura, a danno dei contribuenti buzzurri. Il vicepremier piacione “Ciriaco” Rutelli, teso a contendere a Veltroni la leadership della romanità, ha tenuto nella capitale gli “Stati generali dell’editoria 2006”, chiamando attorno a un tavolo tutti gli interessati: lui, l’associazione degli editori e i sindacati dei giornalisti.

In tale occasione ha annunciato che il governo costituirà un “Centro per il libro”, in pratica un collettore di soldi pubblici per finanziare le iniziative autopromozionali degli editori; ma soprattutto, riproporrà la legge sul diritto di prestito.

Per chi non è pratico, si tratta dell’attuazione di una famigerata direttiva comunitaria che prevederebbe l’abolizione di un concetto secolare, quello delle biblioteche pubbliche aperte a tutti. Si stabilirebbe difatti il principio che anche una biblioteca pubblica, per quanto gratuita e senza scopo di lucro, deve corrispondere all’editore un compenso per poter dare in prestito i libri. Di conseguenza, le biblioteche pubbliche diverrebbero a pagamento, o, in alternativa, lo Stato dovrebbe remunerare ogni anno gli editori a botte di milioni di euro.

Di fronte a questa prospettiva, approvata dal Parlamento Europeo dopo la solita campagna di lobbying delle grandi aziende del settore, altre nazioni hanno detto no: Spagna e Portogallo hanno fatto ricorso alla giustizia europea. Noi, invece, ci appresteremmo ad implementarla in silenzio, naturalmente sempre per promuovere la cultura.

Peccato che, nella pratica, tutto questo crescente drenaggio di soldi dalle tasche degli italiani e dello Stato finisca nel solito vecchio imbuto, la SIAE, che redistribuisce il maltolto in base al criterio della quantità. Pensavate che i soldi raccolti in nome della promozione della lettura finissero ai piccoli editori e agli scrittori emergenti? Al contrario, come per la musica, finiranno per la maggior parte nelle tasche dei grandi editori, quelli che pubblicano i calendari delle veline, le riviste popolari e i quotidiani gratuiti, che già fanno profitti significativi ogni anno, e i cui prodotti aumentano scientemente la buzzurritudine degli italiani, anzichè diminuirla. Quelli che sono promotori di cultura quando c’è da farsi abbassare l’IVA e farsi finanziare progetti dalla collettività, ma che sono “aziende che devono stare sul mercato” quando c’è da offrire un servizio pubblico o diffondere contenuti non di massa.

In compenso, in tutte le discussioni di cui sopra c’è un grande assente: la rete. Non sono più soltanto quattro aziende specializzate a far ricircolare gli articoli di giornale, ma centinaia di migliaia di persone, ogni giorno nei loro blog. E non sono più solo gli editori a promuovere la lettura, ma – oltre alle biblioteche e alle università, che però, secondo Rutelli, non essendo nè editori nè giornalisti non sono interessate dalla questione – persone e gruppi che digitalizzano libri, li trasformano in audiobook per i ciechi, li traducono in lingue dove non sono mai stati disponibili, e via così, inventando ogni giorno nuovi modi per far circolare la conoscenza, e renderci tutti un po’ meno buzzurri.

Purtroppo, per la gran parte del nostro mondo politico, le persone della rete sono invisibili. O peggio, sono pericolose; perchè in rete non c’è nessun editore che, con un colpo di telefono, può essere “invitato” a modificare un editoriale o ridimensionare una notizia sgradita al politico di turno, o al contrario a dare visibilità alle sue fregnacce. I nostri blog, a colpi di poche decine di lettore per volta, fanno informazione decentralizzata, e quindi, nell’aggregato, non controllabile.

Se volete approfondire, qui trovate una petizione da firmare contro il provvedimento sulle rassegne stampa, mentre qui ne trovate un’altra contro l’esclusione di biblioteche, università e gruppi culturali dalla discussione sulla promozione del libro. A questo ultimo link troverete anche l’articolo del Corriere della Sera che spiega i dettagli della seconda questione… almeno finchè non approveranno la legge di cui alla prima.

divider
giovedì 5 Ottobre 2006, 19:37

[[Pearl Jam – Army Reserve]]

Dopo i commenti al post di ieri stavo scrivendo un lungo post sulla finanziaria e le tasse, provocatorio come al solito, ma poi mi sono stufato da solo. Per cui, per oggi vi beccate questo pezzo di cui è da un po’ che volevo bloggare, dopo il concerto. E’ il solito genere della retorica dei fiori nei cannoni, ma è molto bello.

How long must she stand
Before the ground, it gives way
To an endless fall
She can feel this war on her face
The stars on her pillow
She’s folding in darkness, begging for slumber

I’m not blind, I can see it coming
Looks like lightning in my child’s eye
I’m not frantic, I can feel it coming
Violently shakes my body

Her son’s slanted
Always giving her the sideways eye
The empty chair where dad sits
How loud can silence get?
And mom, she reassures
To contain him – but it’s becoming a lie
She tells herself and anyone else
Father is risking his life for our freedoms

I’m not blind, I can see it coming
Looks like lightning in my child’s eye
I’m not frantic, I can feel it coming
Darling you’ll save me if you save yourself

divider
mercoledì 4 Ottobre 2006, 18:26

Se lo Stato arretra

Non è difficile trovare esempi in cronaca: solo negli ultimi giorni, si sono visti (a Torino) un gruppo di pusher senegalesi occupare per tre giorni una delle principali arterie cittadine, difendendo il territorio con la forza; e (a Roma) un gruppo di italiani di periferia assaltare a colpi di mazze e spranghe il bar dei romeni, accusati di ubriacarsi e molestare gli abitanti del quartiere, per riportare un po’ di “ordine” nel luogo dove vivono.

Sono casi di arretramento dello Stato: casi in cui le istituzioni rinunciano al proprio ruolo di mediatori e di garanti – con le buone o con le cattive – della convivenza civile e del rispetto della legge, lasciando libero sfogo agli istinti e agli attriti fino a che la situazione, non gestita, esplode.

D’altra parte, è difficile prendersela con le forze dell’ordine, cronicamente sottodimensionate, utilizzate anche per compiti impropri, e spesso prive di mezzi; costrette ad inseguire ladri e spacciatori che, anche se presi, il giorno dopo sono di nuovo in giro. Il problema è chiaramente politico.

In questo senso, il governo Prodi ha mandato due pessimi segnali all’Italia. Da una parte, con l’indulto, ha rimesso in circolazione malfattori di ogni genere, dimostrando che il crimine paga; dall’altra, al di là di tutte le foglie di fico che in questi giorni vengono agitate, ha prontamente aumentato le tasse. Come a dire: non ce ne frega niente della vostra vita quotidiana o della vostra sicurezza; veniamo una volta l’anno a prendervi dei soldi, e poi sono tutti cavoli vostri.

Non meraviglia, quindi, che di fronte a questo genere di messaggi la reazione crescente sia il fai da te, sia da parte degli onesti esasperati che dei criminali incalliti.

Chissà quanto manca al punto in cui anche da noi, come nelle periferie di Los Angeles o di San Paolo del Brasile, ci saranno intere zone in cui la polizia non oserà più mettere piede, demandate all’autogestione violenta delle fasce più povere e disintegrate della società.

divider
martedì 3 Ottobre 2006, 22:25

En plein

Oggi è stata una giornata dedicata in buona parte al Toro: non solo per la mattinata spesa in Municipio assistendo all’audizione delle commissioni comunali relativa alla ricostruzione dello Stadio Filadelfia, e per un brevissimo passaggio di cinque minuti all’allenamento pomeridiano; ma perchè stasera ho fatto un en plein.

Difatti, prima – alle 19 – La Stampa organizzava un botta e risposta via forum con il presidente Cairo, e tra il centinaio abbondante di domande inviate gli hanno fatto rispondere a una decina tra cui la mia; e Cairo mi ha dato lezione di bilancio ma si è dichiarato d’accordo :-)

E poi, alle 21, Alessandro Rosina, dal ritiro della Nazionale Under 21, si è messo dietro a un PC e, su una sezione speciale del suo forum, ha chiacchierato amabilmente con un manipolo di tifosi, rispondendo anche lui a un paio di mie domande. In generale, abbiamo scoperto che dal campo dell’Olimpico il tifo si sente molto di più che al Delle Alpi, abbiamo saputo che sono tutti carichi e incacchiati per l’intesa che manca e i risultati che non vengono, abbiamo ricevuto la promessa di una esultanza sotto la curva Primavera, e ho avuto la sensazione di una persona che, giocando a poco più di vent’anni nel ruolo più stressante di tutti, dimostra già una maturità e una consapevolezza sorprendenti.

Certo che Internet rende davvero più vicine le persone; questi saranno pure dei “token effort” più unici che rari (anche se Rosina ci ha lasciato dicendo “alla prossima settimana…”), ma creano comunque delle opportunità per comunicare e per conoscersi, abbattendo paradossalmente le barriere che le differenze di posizione sociale e di ruolo creano nel mondo fisico.

divider
martedì 3 Ottobre 2006, 00:01

Big change, no change

Ovvero: cambiare tutto per non cambiare niente. Il governo americano deve essere andato a scuola dal suo storico alleato Andreotti, se per mantenere il controllo di ICANN di fronte alle crescenti pressioni internazionali ha scelto la più classica delle formule dorotee.

Con la fine di settembre scadeva l’ultima proroga dello storico “memorandum of understanding” tra ICANN e il governo americano, che, con il complemento di altri documenti, stabiliva che cosa ICANN dovesse fare, con tanto di elenco dettagliato di attività che l’organizzazione doveva realizzare entro la scadenza del contratto.

Da mesi ci si chiedeva cosa sarebbe successo di questo accordo: se è vero che al summit di Tunisi ci si era accordati per ricercare un “nuovo modello di cooperazione” e quindi un nuovo ruolo dei governi nel controllo degli identificatori unici della rete (nomi a dominio e indirizzi IP), in pratica entrambe le opzioni erano sgradite: rinnovare l’accordo avrebbe voluto dire ribadire il principio secondo cui era il governo americano a stabilire il piano di lavoro di ICANN, mentre lasciarlo scadere senza sostituirlo avrebbe lasciato ICANN sostanzialmente senza controllo.

E allora, che cosa si sono inventati? Semplice: via il memorandum of understanding, arriva il joint project agreement: il governo americano e ICANN, da pari a pari, si mettono d’accordo su cosa si debba fare. Formalmente è un passo avanti; in pratica cambia poco.

Del resto, due sono le cose che veramente stanno a cuore al governo americano: che i cambiamenti al file radice del DNS – il file che contiene l’elenco dei domini di primo livello, sia generici che nazionali, e stabilisce chi gestisce ognuno di essi – continuino a richiedere la sua approvazione, e che tutti i possessori di domini del mondo siano obbligati a identificarsi e pubblicare i propri dati nel Whois, in modo che le multinazionali della proprietà intellettuale possano molestarli con efficacia. La prima cosa è prevista da altri accordi che restano bellamente in vigore; la seconda è stata esplicitamente inserita (al punto 5 dell’allegato A) come una delle clausole obbligatorie e perentorie che ICANN deve rispettare, nonostante sia, ai sensi delle leggi sulla privacy di tutto il resto del mondo, completamente illegale, tanto che gli stessi organismi interni di ICANN stavano per approvare una riforma del sistema (pericolo scampato, penserà la RIAA).

E il resto del mondo? Immagino che, volendo, anche gli altri governi del mondo potrebbero chiedere ad ICANN di fare un bel progetto insieme, e firmare il loro bell’accordino con cui baloccarsi. La verità, difatti, è che il potere di controllo esercitato da ICANN non deriva affatto dai soli accordi con il governo americano, o dalla sua struttura formale.

Deriva invece in gran parte dalla rete di relazioni interpersonali che c’è al suo interno e nelle altre organizzazioni che gestiscono la rete, da un management quasi tutto anglosassone, da quelle poche persone influenti che prendono le decisioni nei corridoi o davanti al buffet, e che appartengono tutte all’aristocrazia del grande business americano del settore (AT&T, Cisco, IBM, e le immancabili Google e Verisign, le centrali informative globali dell’America in rete).

E quindi, le forme cambiano per dare qualche contentino, se non proprio per darla un po’ a bere ai governi di mezzo mondo, un po’ gonzi e un po’ duri a comprendere il ventunesimo secolo, quello dove il controllo globale degli affari e dei flussi informativi determina un potere ben superiore a quello di qualsiasi legge nazionale o accordo diplomatico.

Ma finchè l’Europa non comincerà ad usare tecnologie e servizi propri, invece di quelli americani, resterà sempre la periferia dell’Impero.

divider
lunedì 2 Ottobre 2006, 11:34

E’ ora di farsi sentire

La notizia era già stata anticipata nelle scorse settimane in varie occasioni, ma ora è ufficiale: il governo italiano ha aperto una consultazione pubblica sui temi della società dell’informazione, dal diritto d’autore ai problemi dell’accesso a Internet, dallo spam alla diversità culturale.

Si tratta di uno dei risultati del recentemente costituito “Comitato consultivo sulla governance di Internet”, presieduto dal professor Rodotà, di cui faccio parte insieme ad altri sei esperti. Nato per volontà del ministro Nicolais e del sottosegretario Magnolfi, il comitato ha lo scopo di preparare la posizione italiana per il prossimo Internet Governance Forum delle Nazioni Unite, che si terrà ad Atene a fine ottobre.

Allo stesso tempo, abbiamo cercato di costruire un canale di comunicazione tra il governo e il “popolo della rete”, trasformando la prima esperienza del “tavolo Stanca” istituito dal governo precedente in qualcosa che potesse essere aperto a tutti gli utenti della rete, inclusi i singoli individui. E’ nata così l’idea di una consultazione pubblica online, che in Italia ha pochissimi precedenti: da oggi fino al 22 ottobre, partendo da questa pagina e seguendo il link “consultazione virtuale”, è possibile leggere le bozze della posizione italiana ed inviare commenti di qualsiasi genere. Si terrà comunque anche un incontro fisico, il 12 ottobre a Roma, per il quale è necessario registrarsi sul sito, e che sarà trasmesso in webcast in diretta.

Personalmente, l’obiettivo per cui ho spinto per questa apertura è molto chiaro: anche alla luce delle esperienze del passato, legge Urbani in testa, ritengo che i governi italiani di qualsiasi colore debbano prendere l’abitudine di ascoltare molto più attentamente la voce del pubblico, e in particolare di quegli individui e quelle associazioni attive sulla nostra rete che dispongono di idee, competenza specifica, esperienza e capacità di innovazione; tutte caratteristiche che troppo spesso mancano alle istituzioni italiane, rendendo ad esse così difficile gestire adeguatamente l’impatto sociale ed economico delle nuove tecnologie, e così facile cadere vittima della sindrome da “colazione con Bill Gates” – quella per cui la modernità è firmare accordi miliardari con le multinazionali in cambio di un comunicato stampa.

Finora, ci siamo trovati davanti ad interlocutori politici inusualmente aperti e liberi da questo genere di impostazione mentale; tuttavia, si sa, la politica segue il consenso. E’ per questo che è così importante che dalla rete venga un supporto vasto e rumoroso alla pratica di concertazione che stiamo tentando di mettere in piedi, e una opinione libera e indipendente su tutti i temi di Internet, con l’obiettivo di orientare la politica del nostro governo anche dopo Atene, e di segnare una svolta rispetto al quinquennio passato; una svolta a favore dei diritti degli individui, della privacy, della piccola impresa, degli standard aperti, dell’inclusione digitale, della lotta al digital divide, della condivisione della conoscenza, della protezione dei consumatori dell’ICT; in un’Italia che ristagna, una innovazione vera.

Con tutti i caveat e i limiti di una prima volta, la possibilità c’è: sta a tutti noi sfruttarla. La politica è un territorio spesso imprevedibile e legato a logiche difficili da contrastare, per cui nessuno può garantire che questa esperienza avrà risultati tangibili; eppure, vale la pena di provare a farsi sentire. In questo caso, bastano tre minuti, due click e una mail.

divider
lunedì 2 Ottobre 2006, 09:34

E ribadisco, viva Lidl

Non voglio sembrare troppo cinico; in realtà, i due lunghissimi thread (uno e due) in cui si discute da mesi sulle condizioni di lavoro in Lidl hanno sicuramente sfidato alcune delle mie certezze.

Tuttavia, poco fa stavo facendo colazione con i recentemente introdotti Fior di Cioccolato e devo dire che sono davvero eccezionali: buoni come le originali Gocciole – che, nel frattempo, sono apparse anche loro al Lidl, in un disperato tentativo di preservare quote di mercato – ma costano, a occhio, il 30% in meno (controllerò la cifra esatta).

Allo stesso tempo, a tutti quelli che si sono scandalizzati leggendo il blog di Beppe Grillo e che hanno giurato sdegnati di non andare più a far la spesa dai tedeschi, raccomando di leggere qui (grazie per la segnalazione) cosa succede all’Auchan.

A questo punto, coerentemente, consiglio a chi ha problemi etici verso il sistema della grande distribuzione moderna di far la spesa solo nel negozietto sotto casa. E di rinunciare alle vacanze per poterselo permettere.

Oppure, si potrebbe anche auspicare una revisione complessiva dell’organizzazione del lavoro in questi ambienti, con contratti più simili alla realtà delle cose ma comunque con dei limiti di orario e di mansioni che vengono fatti rispettare. Solo che questo porterebbe inevitabilmente a un aumento dei costi, e quindi dei prezzi per il consumatore finale. Domanda non retorica: è quello che vogliamo?

divider
domenica 1 Ottobre 2006, 21:47

Restringimenti

Come vi avevo detto, oggi sono andato dai miei parenti a Loano.

A Loano ho passato praticamente tutte le mie estati e molti dei miei weekend, fino ai vent’anni. Poi, piano piano, sono cresciuto e ho cominciato ad andare in vacanza da solo e ad avere i miei giri di amicizie altrove, e nel frattempo alcuni dei miei parenti sono mancati, altri sono invecchiati, e la casa dove andavamo d’estate è stata venduta. Insomma, adesso ci vado in media una o due volte l’anno, a Natale e a Pasqua, e nemmeno sempre.

Questa volta, comunque, è stata la prima dopo parecchio tempo, e anche la prima con la macchina nuova. Non so se sia dovuto a questo, ma i luoghi che pure riconosco ancora perfettamente mi hanno fatto una impressione molto strana: mi sono sembrati… più piccoli.

La Liguria è da sempre soffocata dal cemento, con stradine strettissime e case costruite ovunque. Eppure, stavolta mi è sembrata un budello persino l’autostrada, con quelle gallerie lunghissime intervallate da salite, discese e viadotti; e poi, nonostante ultimamente abbiano sfondato interi muretti per allargarla e fare delle nuove rotonde, mi è sembrata stretta e intasata di auto anche l’Aurelia; e poi tutte le altre vie del paese, strette e vecchie – forse anche perchè quelli del posto, da buoni liguri, in trent’anni non hanno nemmeno dato il bianco alle case, o cambiato le insegne dei negozi.

Forse è perchè ho memorizzato tutti questi luoghi con gli occhi di un bambino; ma quelli che una volta mi sembravano stradoni, oggi si rivelano a malapena capaci di far passare due macchine, fermandosi per riuscire a incrociarsi; e percorsi lunghissimi durano in realtà trenta secondi di macchina.

La sensazione è stata più forte quando, salendo verso la vecchia casa, ho affrontato quello che all’epoca era un temibile doppio curvone in salita, sulla cui rampa si rischiava la vita, e che ora è poco più di una chicane sulla stradina. Questo anche perchè hanno abbattuto la palazzina che stava sulla curva, per costruire nuove case; e a questo scopo hanno invaso anche il terreno retrostante. Subito dopo la curva, difatti, la strada era fiancheggiata da quello che nei miei ricordi era un lunghissimo campo di ulivi, sempre pieno di reti rosse distese sotto le fronde, per raccogliere i frutti senza che cadessero a terra.

Ora, al posto di quel campo, ci sono… due mucchi di ghiaia. Grandi, eh; ma pur sempre due mucchi di ghiaia, messi lì per preparare il terreno per il cantiere delle nuove case. In auto, ci abbiamo messo tre secondi a fare quello che, da bambino, era un mezzo viaggio in direzione del mare.

Non so bene che morale trarre da questa storia; forse, che sarebbe bene tenere i propri ricordi d’infanzia ben archiviati in un cassetto, e ben slegati dalla nuova realtà dei luoghi dove si sono svolti.

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2025 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike