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martedì 7 Dicembre 2010, 20:04

La fattura

Venerdì ho portato la macchina a fare il tagliando, dal mio meccanico abituale. So che non è un meccanico particolarmente economico, anche perché normalmente lavora per le aziende di noleggio a lungo termine e per altri grandi committenti che non guardano certo alla lira; ho visto in riparazione persino auto della Polizia di Stato.

Però i tentativi di cambiare, in passato, sono stati pessimi. Il gommista sotto casa, quando gli ho portato la macchina per montare gomme nuove, me l’ha ridata dicendo che avevo il freno a mano rotto, col cavo tranciato; naturalmente funzionava perfettamente quando gliel’ho portata, ma lui voleva 170 euro per ripararlo. Altri amici hanno avuto esperienze orride con Norauto, talmente orride che non si possono raccontare. Insomma, alla fine, già trovarne uno che non faccia più danni di quelli che ripara è un successo.

Comunque, venerdì sono andato a riprendere la macchina, mettendoci 50 minuti per un percorso che in linea d’aria consta di tre chilometri e che in auto richiede sei o sette minuti (grazie GTT). Il preventivo era di 230 euro per il tagliando (cifra più o meno in linea con quello che si legge nei forum), 55 euro per il cambio gomme (le gomme le avevo io), 130 euro per la riparazione di una maniglia rotta. A questi si sono sommati 100 euro per il cambio delle pastiglie dei freni posteriori: tra una cosa e l’altra, 520 euro per, boh, un paio d’ore di lavoro e un po’ di componentistica varia.

Già dunque mi chiedo che senso e che futuro abbia un Paese dove due ore di lavoro di un meccanico valgono come due settimane di stipendio di un ricercatore; arrivato al momento del pagamento, il meccanico si vanta di avermi anche cambiato gratis una lampadina dello stop. Io lo ringrazio, e chiedo fattura.

E’ a quel punto che mi sento dire “ah ma se vuole fattura c’è anche l’IVA”. Già, giusto: è ovvio che, se non si dice niente, il default è l’evasione fiscale. E dunque ho dovuto pagare 624 euro per il mio tagliando, e sentirmi pure un po’ un verme, perché lui era stato così gentile da regalarmi una lampadina dello stop e io, a tradimento, gli chiedo la fattura.

Peraltro, bisogna già ringraziare che poi me l’abbia fatta senza fiatare: c’è anche chi ti costringe a pietirla per un quarto d’ora o a dover minacciare la chiamata alla Guardia di Finanza. E poi si torna al punto di partenza: puoi anche litigare con un singolo commerciante o professionista, ma non a tutto c’è un’alternativa; quando è l’unico centro assistenza autorizzato per la tua marca in tutta Torino, che fai? Quando (come successo l’anno scorso) hai la caldaia rotta a dicembre per il gelo e tutti i riparatori sono oberati di lavoro, puoi davvero permetterti di essere selettivo?

Il fisco italiano è in uno stato drammatico; tartassa oltre misura chi già paga o comunque ci si sottomette onestamente, mentre una parte significativa del Paese continua a non pagare una lira; vive ancora di procedure bizantine e balzelli insensati (avete mai provato a registrare un contratto d’affitto di un box? la tassa di registrazione si mangia tre mesi di affitto…) e di metodi da sceriffo di Nottingham (vedi studi di settore) che poi fanno sì che l’intero Paese finisca per disperazione o per errore nel grigio, in modo che la vera evasione possa farla franca in mezzo a tonnellate di piccole scorrettezze.

Certamente serve la collaborazione dei cittadini nel chiedere fatture e scontrini, ma non trovo nemmeno accettabile che la lotta all’evasione sia scaricata sulle loro spalle, che siamo noi a doverci fare il sangue amaro e litigare perché altrimenti i disonesti fanno quello che vogliono. Vorrei un fisco online, immediato, semplice, e ragionevole nelle pretese, sia di burocrazia che di cifre; ma rispettabile e rispettato da tutti. Vorrei che fosse lo Stato a farsi valere, senza che debba essere io a litigare ogni volta. Vorrei non avere quella sensazione strisciante, sempre più diffusa, per cui il fesso è chi paga e non chi evade, per cui l’evasione è data per scontata dalle stesse istituzioni, per cui a chi gestisce l’Italia, in fondo, va bene così. Vorrei, insomma, delle istituzioni che mi dimostrassero il contrario.

[tags]fisco, evasione fiscale, meccanico, auto, riparazioni, finanza[/tags]

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domenica 5 Dicembre 2010, 18:55

Boicottando Amazon

Io non sono un grande amante delle campagne di boicottaggio e delle iniziative personali per salvare il mondo, perché penso che se una azienda agisce male o se un certo comportamento è negativo per la collettività dovrebbe essere innanzi tutto lo Stato a intervenire, nella sua funzione di regolatore e garante del bene comune.

Ciò detto, dovevo comprare un libro e un blu-ray e nonostante sul nuovissimo Amazon.it il totale fosse di sette euro inferiore a quello di Bol (quasi il 20%), ho scelto di comprare su quest’ultimo: perché non mi è piaciuto il modo in cui Amazon ha scaricato Wikileaks invece di difenderlo. Quando ci vuole, ci vuole…

[tags]wikileaks, amazon, censura, service provider, internet governance, boicottaggio[/tags]

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sabato 4 Dicembre 2010, 12:22

Internet e Costituzione

Ho seguito in diretta, lunedì a Roma, la sessione in cui Stefano Rodotà ha lanciato la proposta di un articolo 21 bis della Costituzione, dedicato a difendere e promuovere il diritto dei cittadini di accedere a Internet: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla Rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale.”.

La proposta è attivamente supportata dalla rivista Wired Italia, con tanto di raccolta firme, il che ha fatto storcere il naso a molti perché tale rivista non è nuova a lanciare progetti altisonanti (il precedente era il premio Nobel per la Pace a Internet) con lo scopo probabile di farsi pubblicità; credo sia questa, sotto sotto, la vera ragione di alcuni dei pareri negativi circolati in rete. Altri, invece, dicono semplicemente che la tecnologia non è argomento costituzionale.

Io credo che sia importante capire che ciò che si vuole difendere non è uno specifico sistema di telecomunicazione – altrimenti ci si dovrebbe chiedere perché la Costituzione non parli del telefono – ma il modello di interazione sociale, primo nella storia delle comunicazioni, che è sotteso al concetto originario di Internet: l’idea di una rete orizzontale, neutrale, basata sulla condivisione alla pari, aperta a tutti per scambiarsi idee, contenuti, proposte di azione. Il mezzo di comunicazione è irrilevante, tanto è vero che Internet è stata concepita per funzionare su qualsiasi mezzo, piccioni viaggiatori inclusi.

Per questo credo che la proposta di Rodotà sia importante e meritoria, ma manchi di un elemento necessario: quello che chiarirebbe appunto che ciò che si vuole difendere non è una tecnologia ma una pratica democratica di condivisione e organizzazione dal basso, che permette la realizzazione delle persone e dei loro diritti in modo mai visto prima, e che provvede a una redistribuzione del potere dall’alto verso il basso (e qui permettetemi di linkare il mio paper scientifico che un giornale britannico, il Journal of Information, Communication and Ethics in Society, ha pubblicato da poco dopo due anni di peer review, e che parla appunto del rapporto tra Internet e potere).

In particolare secondo me sarebbe molto importante citare due dei vari diritti esercitabili tramite Internet, quello alla condivisione di idee e contenuti e quello ad associarsi dal basso; per il resto ovviamente si può fare riferimento ai diritti inviolabili già sanciti dalla Costituzione e dalla Carta di Nizza.

In assenza di questo, il rischio è che ci venga dato accesso a una rete Internet che non è altro che un grosso ripetitore di trasmissioni televisive e giornali di regime, disabilitando le possibilità di comunicazione e di azione dal basso. Questo è un rischio ancora maggiore di quello legato alla difficoltà dell’accesso; ed è a questo che una azione costituzionale secondo me dovrebbe essere orientata.

[tags]internet, costituzione, rodotà, diritti, accesso, internet governance[/tags]

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venerdì 3 Dicembre 2010, 16:42

La riconquista

Da anni, noi grillini teniamo spesso riunioni in una sala in zona San Salvario; e siccome le riunioni vanno spesso avanti fino a tarda notte, in genere ci vado in auto. Negli anni, ho dunque potuto seguire l’evoluzione della viabilità e dei parcheggi in una delle zone più difficili di Torino da questo punto di vista, anche per i lavori della metropolitana.

Fino a qualche mese fa, la situazione era ancora discreta; infatti il viale centrale di corso Marconi, chiuso al traffico di scorrimento per i suddetti lavori, fungeva da grande parcheggio, con le auto a lisca di pesce sui due lati e in una fila al centro.

Qualche tempo fa, però, il Comune ha avuto una interessante pensata: ha tracciato un’ampia pista ciclabile lungo uno dei due lati del viale centrale, eliminando di conseguenza il parcheggio sia su tale lato che al centro, riducendo dunque i posti auto a poco più di un terzo.

Ora, io mi sposto spesso in bici per Torino, e trovo la situazione delle piste ciclabili cittadine davvero scandalosa: quelle che esistono sono spesso inutili, abbandonate, ostruite da foglie e radici, bloccate da auto in divieto, e spesso vengono fatte passare sui marciapiedi, davanti ai portoni, in mezzo alle edicole e ai benzinai, per poi finire contro un gradino o contro un muro proprio nei punti più difficili e pericolosi.

Insomma, un piano serio di piste ciclabili – dove “serio” si riferisce innanzi tutto al fatto che esse devono coprire i percorsi di maggiore scorrimento senza interrompersi nelle piazze e negli incroci, anche a costo di sottrarre spazio alle auto – è una delle prime cose che vorrei che il Comune facesse; e l’obiettivo della pianificazione del traffico urbano deve senza dubbio essere quello di eliminare il più possibile le auto private, rendendole superflue ed economicamente sconvenienti.

Ciò nondimeno, non essendo un integralista, sono il primo a dire che la pista ciclabile di corso Marconi è una cagata pazzesca: non solo serve un corso a basso traffico che non porta da niente a niente (anche perché nessun ciclista farebbe corso Marconi per poi infilarsi nel cantiere stile Camel Trophy di via Nizza), ma è su un percorso che era già tranquillamente percorribile in bici senza grandi problemi, dato che il viale centrale era privo di traffico a parte le auto che entravano e uscivano dal parcheggio.

Per settimane dunque ho visto le auto girare in tondo senza requie, spuzzettando e rumoreggiando qua e là nel buio della sera per cercare un parcheggio inesistente, mentre la pista ciclabile ovviamente rimaneva completamente vuota.

Ieri sera però, andando all’ennesima riunione, è successo un fenomeno strano. Mi sono immesso sul viale, e, incredibilmente, la pista ciclabile era completamente piena… di decine di auto parcheggiate. Non c’erano altri cambiamenti, o nuovi segnali stradali, o altro di particolare. E’ come se tutto il quartiere, di colpo, avesse deciso di averne abbastanza e silenziosamente, dal basso, si fosse riappropriato dei propri parcheggi, fino all’ultimo centimetro.

Non ne gioisco, perché l’azione dal basso meriterebbe migliori cause (anche se niente a Torino è odiato come le strisce blu, lo sentiamo anche noi parlando costantemente con la gente), ma ne prendo nota: attenzione alla pianificazione urbana scriteriata, perché prima o poi la gente s’incazza.

[tags]traffico, parcheggi, piste ciclabili, torino, san salvario, auto, bici[/tags]

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giovedì 2 Dicembre 2010, 17:42

Inquinamento da bit

Story Of Stuff è un progetto di un gruppo di ambientalisti americani per sensibilizzare le persone sugli effetti devastanti del nostro stile di vita. Il loro ultimo video fa proprio per noi che viviamo davanti a un computer: spiega il principio che sta dietro al moderno mercato dell’elettronica, quello per cui ciascun apparecchio viene progettato apposta per durare pochissimo e per essere incompatibile con quelli passati e quelli futuri.

Dovrebbero essere cose ovvie, ma forse non ci avevate mai riflettuto bene: e allora è importante capire come stanno le cose, e come su queste materie il mercato non basti, e sia la buona politica a dover intervenire, per stabilire regole del gioco che tengano conto del bene comune e dei costi nascosti.

[tags]inquinamento, elettronica, economia, mercato, ambiente[/tags]

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mercoledì 1 Dicembre 2010, 16:37

Parlando di zingari

Stamattina tornavo in treno a Torino sul solito regionale da Milano, carico di tutte le masserizie per il viaggio da Roma – zaino, borsa del computer e giaccone bagnato. Dopo Chivasso, a un certo punto passa per il vagone una zingara; si ferma davanti alle persone sedute e comincia a chiedere l’elemosina. Davanti a me si ferma un attimo in più, io rispondo di no, lei insiste, alla fine se ne va.

Dopo tre o quattro minuti ne arriva un altro; ha in mano un foglio piuttosto lercio, dentro una busta di plastica trasparente, sul quale c’è la foto di un bambino e un testo abbastanza lungo che racconta di varie sofferenze e chiede una donazione. Arrivato vicino al mio sedile, si ferma e si sporge (io sono seduto vicino al finestrino) e comincia a insistere che vuole un euro. Lo dice una volta, lo dice due, spinge questo foglio proprio sotto al mio naso, chinandosi in avanti. Io dico di no una volta gentilmente, la seconda lo ripeto, alla terza capisco che qualcosa sta andando orribilmente storto, perché una insistenza così non si spiega. Alzo la voce e lo zingaro infine se ne va.

Prima ancora che possa controllare, la coppia di ragazzi marocchini seduta dall’altro lato del corridoio mi dice subito di controllare la borsa. Infatti lo zaino, posato sul sedile accanto a me, è aperto – e io sono sicuro di averlo chiuso. Loro parlottano in arabo, presumo dello stupido italiano che non sa neanche guardarsi le sue cose; per fortuna però devo essermi incazzato in tempo, perché non manca niente (del resto nello zaino non c’era niente di valore, se non il borsello con la macchina fotografica che però è piuttosto pesante e ingombrante).

Il trucco di mostrare un foglio tenuto sulla mano, mentre sotto si armeggia nelle borse con l’altra, è vecchio come il mondo (ma vale la pena di ribadirlo); questo caso però dev’essere particolarmente raffinato, visto che probabilmente al primo passaggio viene aperta la borsa, in modo che al secondo passaggio si possa frugare più facilmente.

Ora, come catalogare questo evento, che morale trarne? Io non lo so: agire per induzione, generalizzare in base a un episodio singolo, è un istinto umano ma porta a conclusioni del tutto irrazionali. Certo, basta aprire i giornali – anche quelli non di destra – per trovare casistiche molto più ampie; solo nelle ultime due settimane, solo a Torino, i rom sono finiti tra le notizie per un caso di morte accidentale durante furto di rame; per la contemporanea raccolta di firme contro i miasmi tossici che escono dal campo nomadi di strada dell’Aeroporto, quando i cavi rubati vengono bruciati per eliminare la plastica e recuperare il rame; e per l’arresto di una banda di rom dedita al racket del parcheggio. Un mese fa aveva fatto scalpore il caso del muro interno al campo per separare zingari bosniaci da zingari serbi.

Ma questo accade perché statisticamente i rom hanno tassi di criminalità e di turbolenza sociale superiori alla media, o perché i giornali sono interessati solo alle cattive notizie? E se hanno tassi di criminalità superiore, è colpa loro che hanno una cultura in cui certi comportamenti per noi inaccettabili sono normali, o colpa nostra che li emarginiamo?

Le istituzioni scelgono la via della tolleranza e li giustificano: per esempio, il nuovo vescovo Nosiglia ha esplicitamente citato i rom tra i suoi “figli prediletti”. Il Comune investe soldi nei campi, paga i danni e le bollette, promuove il volontariato e l’assistenza, mantiene un ufficio di undici persone solo per loro, che pubblica peraltro un rapporto molto interessante. Eppure, nonostante le conclusioni dello stesso rapporto rivendichino “il ruolo d’eccellenza che il Comune di Torino ha saputo conquistarsi nell’ambito delle iniziative e delle politiche rivolte ai Rom ed ai Sinti”, i risultati in termini di integrazione e di soddisfazione dei torinesi non sembrano esaltanti.

[tags]zingari, rom, sinti, torino, furti, integrazione, comune, vescovo[/tags]

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martedì 30 Novembre 2010, 14:57

Declino e caduta dell’impero romano

Ieri mattina sono arrivato a Fiumicino con un volo Alitalia. Non usavo più la compagnia di bandiera da secoli; stavolta c’era una buona offerta, e dunque ho deciso di darle un’altra chance. Avrei dovuto capire che era una pessima idea dal fatto che sul sito Alitalia non è stato possibile comprare il biglietto: quando arrivavo al modulo di pagamento, il sito si piantava. Forse funziona solo con Internet Explorer, non lo so, fatto sta che sono dovuto andare a comprare il biglietto su Expedia, che peraltro non mi ha fatto pagare i cinque euro di “commissione carta di credito” che Alitalia chiedeva sul suo sito (unico caso in cui l’acquisto tramite intermediario costa meno dell’acquisto diretto).

Anche il web check-in è stato un mezzo disastro: il sistema Alitalia non accetta, come il resto del mondo, il codice IATA di sei caratteri, ma vuole per forza il numero di biglietto elettronico, che però Expedia non mi dava. Alla fine l’ho trovato in un angolino dell’interfaccia di Expedia, l’ho messo, il sistema mi ha creato un PDF in due copie. Io ne ho stampata una sola: tutti i web check-in del mondo funzionano che al gate o il foglio viene strappato o marcato (modello Ryanair), o contiene un codice a barre che viene letto (modello Lufthansa). In ambo i casi, il foglio resta al passeggero. Ma Alitalia no: stampa il codice a barre ma, visto che non si sono preoccupati di dotare i gate di lettori, al gate il foglio viene ritirato. Dopodiché, salendo sull’aereo, ti chiedono la seconda copia! Ma perché dovrei stampare due volte lo stesso foglio per consegnarlo in duplice copia a trenta secondi l’una dall’altra? Gli alberi ringraziano.

Arrivato a Fiumicino con soli 45 minuti di ritardo, mi sono avviato verso la stazione del treno. Come al solito, i tappeti scorrevoli del percorso dal terminal alla stazione erano quasi tutti rotti; il degrado è sempre peggiore, le scale mobili sono ferme e vanno salite a balzelloni, tutto è sporco e semiabbandonato. La responsabilità è di RFI, trattandosi di area ferroviaria, e dunque come ha risolto il problema la società Aeroporti di Roma? Semplice, tappezzando di cartelli i punti di confine per avvisare “DA QUESTO PUNTO I SERVIZI NON SONO GESTITI DA AEROPORTI DI ROMA”. Scaricata la responsabilità, il servizio rimane degradato come prima.

Dovevo andare a Termini, e dunque ho fatto una cosa che non faccio mai; invece di prendere il molto più economico treno metropolitano FM1 per Fara Sabina, scendendo a Ostiense e prendendo da lì la metro, ho preso il Leonardo Express per Termini. E’ “express” nel senso che non ferma, ma si accoda al treno locale che fa tutte le fermate e dunque va a passo d’uomo, impiegando 38 minuti per percorrere 23 chilometri (velocità media 36 km/h). Non sarà il maglev che collega alla città l’aeroporto di Shanghai, che raggiunge i 400 chilometri orari, ma in compenso costa poco: 14 euro (il maglev di Shanghai ne costa 5). E’ perché è un treno “di sola prima classe”: cioè un treno di seconda con i sedili coperti in finta pelle blu, le porte rotte e le carrozze arrugginite.

A Termini, il treno dall’aeroporto viene attestato al binario 25, che inizia a centinaia di metri dagli altri: il posto più scomodo e lontano possibile, costringendo i turisti con i bagagli a trascinarseli sul marciapiede. Ma sul marciapiede devono passare anche i carrelli di servizio, dunque qualche sindacalista romano ha ottenuto che metà del suddetto venisse delimitata con strisce blu e riservata ai dipendenti su carrello. Lo spazio rimanente è insufficiente e i clienti del treno si pigiano, ma non importa a nessuno.

Si potrebbe uscire dal sottopassaggio verso via Marsala, risparmiando parecchi minuti di cammino, ma c’è un problema: era pieno di venditori abusivi. Come hanno risolto il problema? Pattugliando il sottopassaggio? No, semplicemente hanno chiuso gli accessi al sottopassaggio dai binari, così il problema si risolve da solo.

Stamattina presiedevo una sessione della conferenza. In sala poca gente: la città è paralizzata dai cortei degli studenti. Li ho visti partire mentre arrivavo qui a piedi: migliaia e migliaia, con fumogeni e botti, e striscioni che dicevano “RIVOLUZIONE”. Elena è andata in centro – a piedi, perché i mezzi di superficie sono bloccati, mentre la metro è chiusa per sciopero. Il centro è militarizzato: l’intera zona centrale, per chilometri, è bloccata e non ti fanno passare nemmeno a piedi; ti accolgono col mitra spianato. Signore con auto lussuosa spergiurano di abitare davanti a Palazzo Chigi e chiedono di passare; agognano brioche. Ma ci sono vari livelli di sbarramenti; mancano solo i carri armati… per ora.

Qui, molto più che a Torino, tira aria di fine impero. Il problema è cosa resterà dopo.

[tags]roma, governo, politica, crisi, impero, manifestazioni, scioperi, degrado, alitalia, trenitalia, fiumicino[/tags]

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lunedì 29 Novembre 2010, 14:45

Profumo di cambiamento

La lettera con cui il Rettore del Politecnico Profumo comunica la sua indisponibilità a fare il sindaco segna probabilmente un momento di svolta negli equilibri geopolitici di Torino. Detto che su questo genere di cose giravolte e ripensamenti sono all’ordine del giorno, il messaggio che ha mandato ieri il Rettore è molto chiaro: “io l’avrei anche fatto, mi ci sarei messo seriamente, ma voi avete cominciato a litigare e allora non ci sto”.

Il “voi” in questo caso è la classe politica cittadina, da Chiamparino in giù; che poi vuol dire, vista la calcolata inconsistenza del centrodestra a Torino città, soprattutto il PD. Con Castellani prima e con Chiamparino poi, il PD è stato organico al blocco socio-economico che controlla la città: è stato fedele alleato della Fiat sia sul piano industriale che su quello dell’immagine (compresi i mondiali di sci e le Olimpiadi); si faceva scrivere i piani strategici dal Sanpaolo; ha permesso ai palazzinari (talvolta amici, talvolta parenti) di cementificare le periferie; aveva dalla sua parte anche gli accademici, non solo gli intellettuali di Palazzo Nuovo, ma addirittura quei “confindustriali” del Politecnico.

Ora, però, questo asse si è incrinato. Da una parte il potere economico ha spinto Profumo in tutte le maniere; se riprendete in mano le prime pagine della cronaca cittadina della Stampa, quasi ogni giorno per tre mesi c’è stato un articolo su cosa faceva Profumo, cosa pensava Profumo, quanto era figo Profumo. Dall’altra la politica cittadina ha detto no: chi più chi meno, i vari capetti del PD hanno detto “con Castellani ci avete preso alla sprovvista, con Chiamparino ci avete marginalizzato, ora tocca a noi”; hanno detto che la “società civile” deve stare al suo posto, e che l’amministrazione delle istituzioni compete ai politici professionisti.

Questo esito rafforza, se ce ne fosse bisogno, il ruolo di una lista civica come la nostra; una lista che, pur facendo parte di un movimento nazionale, non aspira a formare politici di professione, ma piuttosto a portare un gruppo di persone comuni nelle istituzioni. Il nostro gruppo è particolarmente variegato; ci sono i “meetuppari” classici, gli esperti di decrescita, di energie alternative, di mobilità sostenibile, di GAS; ma ci sono anche persone che sfuggono a questa classificazione, imprenditori, liberi professionisti, persone che vogliono soprattutto una gestione di Torino migliore, orientata al bene comune invece che agli interessi di pochi.

Se questa varietà può far storcere il naso a chi intende il Movimento come un club di puri, essa è invece per me un grosso valore: vorrei che fossimo noi la vera “alleanza per Torino”, quel movimento di persone che non vogliono fare politica per mestiere ma che, venendo da esperienze molto diverse, si radunano su un programma di rinnovamento e rilancio della città. Più ampio e variegato sarà il fronte che riusciremo a costruire, migliori saranno le nostre chance di ottenere dei risultati: questa è la nostra sfida dei prossimi mesi.

[tags]torino, sindaco, elezioni comunali, politecnico, profumo, movimento 5 stelle[/tags]

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domenica 28 Novembre 2010, 21:03

Raccomandato da Google

Come già vi dissi, sono in partenza per Roma; purtroppo ho già prenotato l’hotel settimane fa, ma stasera Google Maps mi ha presentato un ottimo suggerimento. Perché non andare a stare a Montecitorio? Ci sono pure lo schermo piatto e il wi-fi gratuito…

ss-montecitorio-hotel.png

[tags]google, google maps, stranezze, montecitorio, roma[/tags]

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sabato 27 Novembre 2010, 19:40

Nuovi fatti contro il Tav

Oggi, a Chiomonte, per la seconda volta il presidio No Tav sequestrato dalla magistratura è stato rioccupato, riaprendo il cantiere per finire i lavori. L’inverno si avvicina, e bisogna finire il tetto… In parallelo, la discussione è arrivata nelle stanze del consiglio comunale. Ma invece di concentrarmi solo sulla diatriba mediatica, io vorrei citare una serie di fatti che i media non riportano.

Per quanto riguarda il traffico, sono usciti da poco i dati Alpinfo 2009 – Alpinfo è l’osservatorio sul traffico alpino gestito dalla Svizzera – e sono clamorosi: il traffico automobilistico attraverso il Frejus è calato del 20%, da 12.2 a 10.2 milioni di tonnellate, ma il traffico ferroviario sulla stessa tratta (nella tabella è alla riga “Mont-Cenis”) si è praticamente dimezzato in un anno: da 4.6 a 2.4 milioni di tonnellate. In dieci anni si è ridotto a poco più di un quarto (nel 2000 peraltro, come ricorderete, il Monte Bianco era chiuso in seguito a un drammatico incidente).

Ricordiamo che la capacità dell’attuale linea ferroviaria attraverso il Frejus è di 20 milioni di tonnellate di merce all’anno: anche se per magia tutto il traffico automobilistico venisse spostato su ferro (per quanto i dati dimostrino che la tendenza è se mai opposta) la linea sarebbe piena per poco più di metà…

Ma ci sono altre notizie delle ultime settimane che sono passate abbastanza sotto silenzio. Per esempio, un paio di settimane fa a Bologna gli scavi della stazione sotterranea della TAV, situata in piena zona abitata al di là dell’attuale stazione ferroviaria, hanno provocato l’ennesima voragine. Il terreno è instabile; questa volta sono stati fortunati e la voragine si è aperta in un piazzale, ma venti metri più in là ci sono le fondamenta delle case, che già più volte in questi anni sono state lesionate. Ci sono persone con il salotto o la camera da letto puntellata e transennata e con la casa che rischia di crollare; ma queste cose ovviamente passano sotto silenzio.

Non sarà diversa la situazione a Firenze, in cui dovrebbe essere costruita un’altra galleria di “sottoattraversamento” della TAV in una zona dove le falde acquifere sono a pochi metri dalla superficie: e infatti già con i lavori preparatori ci sono stati danni alle case. Il rischio è che le strutture del tunnel, che scorrerà trasversalmente alle falde e al flusso del Mugnone, facciano da diga, provocando scompensi alle fondamenta di tutta la città, compreso il centro storico. Se non ci credete, basta guardare lo scandalo tutto torinese della Falchera allagata: da quando è stato costruito il ben più piccolo tunnel del tram 4, le acque nel sottosuolo non defluiscono più ed emergono allagando le case. Immaginate una cosa del genere, ma dieci volte più grossa.

Insomma, questi scavi faraonici creano danni e problemi altrettanto faraonici; uno potrebbe ancora capirli se ci fosse una effettiva e pressante necessità, se dall’altra parte ci fossero strade e ferrovie intasate, inquinamento a livelli record, e non ci fossero alternative. Ma del Frejus abbiamo già detto; per Firenze, ad esempio, esiste un progetto alternativo in superficie che costa un ottavo e risolve il problema con meno sforzi e senza rischi. Forse il problema è proprio questo.

[tags]no tav, ferrovie, appalti, sprechi, valsusa, torino-lione, frejus, firenze, bologna[/tags]

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