Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Gio 29 - 22:18
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione
giovedì 4 Novembre 2010, 20:05

Dentro la TV

Ieri sera mi è successa una di quelle cose che possono accadere solo su Internet: ho scoperto un nuovo sito che mi ha catturato per tutta la serata e ancora oggi nelle pause.

Il sito si chiama TV Tropes e molti di voi probabilmente lo conosceranno già, dato che persino Xkcd gli ha dedicato una striscia davvero eloquente. Ed è proprio così: probabilmente per la sua natura di wiki fortemente connesso, una volta che si inizia a leggere è inevitabile continuare ad aprire ulteriori pagine e perdersi nella sua ragnatela. Peggio ancora che con Wikipedia!

Lo scopo di TV Tropes è quello di analizzare e codificare tutti gli strumenti a disposizione di chi si accinge a scrivere la sceneggiatura di un programma televisivo, un film, un cartone animato, un libro, un videogioco e così via. All’inizio può sembrarvi un’idea banale: si comincia difatti da concetti ben noti come la sospensione volontaria dell’incredulità, il principio alla base del rapporto tra spettatore e spettacolo; e si passa per le espressioni gergali ampiamente utilizzate nella comunità degli autori e sceneggiatori, come “saltare lo squalo”: il momento in cui una serie televisiva ormai a corto di idee si riduce a un espediente talmente improbabile da minare definitivamente la sua credibilità e dirigerla verso l’inevitabile chiusura (deriva da un episodio di Happy Days in cui Fonzie, vestito col chiodo sopra e il costume sotto, fa sci d’acqua saltando uno squalo).

Da lì, però, si finisce per perdersi in centinaia, anzi migliaia di concetti – archetipi di personaggi, espedienti narrativi, elementi di trama, metodi di sviluppo dei personaggi, trend culturali e altro ancora – che sono facilmente reperibili nello showbusiness moderno (ogni pagina ospita nella parte bassa abbondanti esempi, fate solo attenzione agli spoiler) e di cui però potreste essere coscienti fino a un certo punto.

Il fattore interessante, infatti, non è tanto il rendersi conto che quasi tutto ciò che vediamo è basato su cliché; è capire come i cliché non siano di per sé negativi, ma costituiscano semplicemente le regole del linguaggio audiovisivo e narrativo a cui siamo abituati, la cui violazione talvolta può creare originalità e interesse, ma più spesso genera smarrimento e incomprensibilità del messaggio.

In più, il tutto è descritto in modo piuttosto divertente: alzi la mano chi di voi non ha visto i Simpson quel tanto che basta da riconoscere a vista la flanderizzazione di un personaggio, o quel po’ di Star Trek necessario per imparare a odiare un Wesley o a trovare un po’ ridicolo l’ennesimo effetto Worf. Se il tipo di finale “ma ora devo andare” è anche denominato sindrome di Mary Poppins, la sindrome di Chuck Cunningham è invece la sparizione improvvisa e senza spiegazioni di un personaggio di una serie, il cui contrario è “ricorda il nuovo tizio”, ovvero l’apparizione di un nuovo personaggio che tutti fanno finta di aver sempre conosciuto, che a sua volta può degenerare in un caso di “esopo da zio lungamente perduto” (l’esopo è la morale del racconto, in onore appunto delle favole di Esopo).

Tra tutte queste concatenazioni potete perdere delle ore, in un tipico wikiwalk; e poi, nessuno show televisivo vi sembrerà più lo stesso. Siete avvertiti!

[tags]televisione, cinema, videogiochi, animazione, sceneggiatura, narrativa, tv tropes, wiki[/tags]

divider
mercoledì 3 Novembre 2010, 18:19

A volte ritornano

Sapete che da queste parti non siamo certo teneri con la busiarda, volgarmente detta La Stampa. Tuttavia, vorrei rendere onore al merito e segnalare lo spettacolare servizio inaugurato da pochi giorni: l’archivio storico di tutte le edizioni del giornale, parola per parola, dal 1867 fino al 2005, liberamente consultabile (spero per sempre).

Internet è una miniera di informazioni, ma con un grande limite: si trova tutto di ciò che è avvenuto negli ultimi dieci anni, ma molto poco di ciò che è avvenuto prima. Un servizio come quello de La Stampa apre dunque al pubblico una nuova dimensione di accesso all’informazione storica, una dimensione che prima era disponibile solo agli archivisti e a chi si prendesse la briga di setacciare tonnellate di microfilm. Quello che colpisce di più non è tanto la possibilità di recuperare la cronaca della storia, gli articoli sull’inizio e sulla fine delle guerre e dei grandi eventi del secolo scorso, che tanto sono riprodotti ovunque; è la possibilità di recuperare la cronaca spicciola di tempi ormai remoti, di scoprire dettagli di vita quotidiana di cent’anni fa altrimenti completamente perduti, e persino di indagare sulla vostra famiglia.

Mi è bastato un quarto d’ora di ricerche per scoprire, per esempio, che il mio nonno calciatore della Juve rifilò due gol al Toro in un derby dell’aprile 1922 finito 3-1 per loro; o per ritrovare un trafiletto sulla vendita di un quadro da parte del mio bisnonno pittore nel 1920. Anche voi potreste scoprire che i vostri antenati prima o poi sono finiti sul giornale, e ritrovare informazioni e vicende che non conoscevate.

Più inquietante, ecco, è veder ritornare anche i dettagli di tutto ciò che avete fatto voi in passato. Non ci è voluto molto per ritrovare l’articolo qui sotto, risalente al 1992: era il 22 luglio, un periodo in cui i giornali non hanno molto da scrivere, e La Stampa pensò bene di riempire la prima pagina della cronaca di Torino con un articolo sui giovani virgulti che avevano preso i migliori voti alla maturità; nella mia classe c’erano quattro 60/60 di cui tre con lode, e la cosa non passò inosservata. Solo che noi neomaturati eravamo già bellamente fuggiti in vacanza di branco a Diano Marina; e all’epoca non esistevano i cellulari, né altri mezzi di comunicazione che non fossero la classica telefonata dalla cabina sul lungomare, rigorosamente con i gettoni telefonici, rigorosamente dopo le 22 quando la tariffa della teleselezione calava drasticamente.

Dunque noi scoprimmo il misfatto a giochi conclusi, e così si materializzò quello che è indubbiamente l’incubo di ogni adolescente: finire descritto sul giornale, con tanto di foto, tramite un’intervista alla mamma.

maturita1992.png

[tags]la stampa, archivio, storia, cronaca, torino, maturità[/tags]

divider
martedì 2 Novembre 2010, 11:15

Mai più DVD originali

Ieri, per passare la serata in montagna, abbiamo tirato fuori un DVD: precisamente Mulholland Drive di David Lynch, uno dei capolavori degli ultimi dieci anni di cinema. Mentre apprezzavo per l’ennesima volta il ritmo lento e teso e la costruzione diabolica della trama, non potevo però esimermi da una certa delusione, perché il DVD prescelto per la serata era originariamente un altro, e precisamente Hana Bi di Takeshi Kitano; un altro grandissimo film di cui mi sono procurato a fatica anni fa il DVD, comprandolo direttamente dall’Istituto Luce che lo distribuiva in Italia, perché i maggiori siti di vendita non ce l’avevano (non so se sia ancora così).

Peccato che, estratto dalla custodia dopo qualche anno dall’ultima visione, il DVD risultasse pieno di macchie appiccicose e affiorazioni di vario genere sulla superficie inferiore. Io tengo i DVD in uno scaffale e non li metto in forno o in frigorifero; ma la masterizzazione era di qualità talmente scarsa da rovinarsi in pochi anni senza alcuna ragione apparente. Naturalmente non c’è garanzia; se volessi un nuovo DVD, dovrei ripagarlo per intero – non solo il costo del supporto, che è una minima parte, ma anche il costo, preponderante, della remunerazione della proprietà intellettuale del film.

Se volessero, i signori dell’industria cinematografica potrebbero benissimo offrirmi un servizio al passo coi tempi: ad esempio, la possibilità di acquistare il file del film e di poterlo guardare o riscaricare ogni volta che mi serve. Sarebbe magnifico se ciò avvenisse senza tante protezioni e controlli: al giorno d’oggi, se pago per comprare un film o un CD – e io, ogni tanto, continuo a farlo – è perchè lo voglio fare, non certo perché non abbia a disposizione con estrema facilità l’alternativa gratuita dello scaricamento “pirata”. Dato che la loro remunerazione dipende solo dalla mia buona volontà, trattarmi come se fosse scontato che io sia un criminale e rendermi l’accesso ai contenuti “legali” molto più difficile, lento, complicato e inaffidabile dell’accesso ai contenuti “illegali” (prima ancora di parlare di prezzo) non mi sembra una grande strategia commerciale, anzi è una strategia decisamente suicida.

Ma i signori cinematografari sono ancora lì a blaterare di protezioni cifrate supersicure e operazioni di polizia di altissimo livello contro i ragazzini che scambiano file… Quel che mi è successo ieri dunque prova, ancora una volta, che tanto vale mandare a stendere l’industria cinematografica e scaricarsi i film gratis da Internet, almeno finché questi non si degneranno di offrire un servizio di qualità superiore, o almeno comparabile, a quello dei sistemi peer-to-peer.

[tags]proprietà intellettuale, cinema, pirateria, dvd, mulholland drive, lynch, hana bi, kitano[/tags]

divider
sabato 30 Ottobre 2010, 11:14

Patria e bandiera

Già so che le celebrazioni per il centocinquantenario dell’unità d’Italia – su cui ho espresso in passato le mie perplessità – ci riempiranno di polemiche quotidiane da qui alla primavera. Quella di oggi riguarda l’idea di tappezzare il centro di Torino – non si capisce se a spese pubbliche – di bandiere tricolori, per tutta la durata delle celebrazioni; proposta dell’amministrazione osteggiata, manco a dirlo, dalla Lega.

Si sa che i veri progressisti non hanno mai amato le bandiere nazionali, dunque quest’improvviso amore per il tricolore da parte di Chiamparino e i suoi non fa altro che confermare la loro transizione salottiera e altoborghese. Ma c’è un altro motivo, oltre alle mie perplessità sopra linkate e relative all’oggetto stesso della celebrazione, per cui questa idea mi piace proprio poco.

Quello proposto mi sembra un uso della bandiera contemporaneamente avvilente e pericoloso. Avvilente, perché la bandiera non è un oggetto decorativo e colorato, da appendere perché fa allegria; usarla in tal senso, replicandola all’infinito come un logo qualsiasi, ne svilisce il valore. Pericoloso, perché è abbastanza esplicito il tentativo di usarla come simbolo di parte, appunto contro la Lega. Il rischio è di generare nella mente di molti torinesi un parallelo del genere: così come la Lega tappezza la scuola di Adro del sole delle Alpi, il centrosinistra tappezza Torino del tricolore.

Se la percezione fosse questa, sarebbe un grosso regalo proprio alla Lega: vorrebbe dire riconoscere e promuovere l’uso della bandiera a fini politici, per la propaganda di una parte contro l’altra, e negarne il valore come simbolo di tutti. Vorrebbe dire riconoscere (come già purtroppo fanno i simpatizzanti padani) che le celebrazioni del centocinquantenario sono una festa di parte e non di tutti – se così fosse, davvero è meglio non farle proprio.

Secondo me la bandiera deve stare là sui pennoni e non altrove, così come l’inno deve essere eseguito nelle occasioni ufficiali e non altrove (trovo scandaloso l’uso dell’inno nazionale come jingle pubblicitario – ultimamente lo fa pure Robe di Kappa). Questo è l’unico modo di onorare e valorizzare i nostri simboli nazionali.

[tags]bandiera, inno, unità d’italia, italia 150, celebrazioni, torino, chiamparino, lega[/tags]

divider
giovedì 28 Ottobre 2010, 12:56

Bunga bunga bang bang

Oggi vi lascio due link da leggere.

Difficilmente non avete ancora letto il primo: è la storia della minorenne marocchina di bella presenza che avrebbe denunciato la sua partecipazione a festini porno-pedofili nella villa di Arcore, con Silvio Berlusconi e Emilio Fede. La cosa sarebbe venuta a galla quando, fermata dalla polizia per un comunissimo furto, sarebbe stata liberata d’imperio su ordine di Palazzo Chigi e riconsegnata a Nicole Minetti, la splendida “igienista dentale” di Ber… no, dai ragazzi, vaffanculo, non ce la faccio più a scrivere queste stronzate, la verità sulle porcate sessuali di Silvio ormai è chiara a tutti, su Facebook e nei bar lo prendono per il culo all’infinito, il problema è che nel mondo prendono per il culo l’Italia. Ah, e il “bunga bunga” è uno stupro anale di gruppo.

Allora vi lascio invece con un altro link che quasi certamente non avete letto. Viene dal blog di una signora di Napoli che è in piazza a Terzigno e che racconta il vero perché di questa protesta, gli interessi che obbligano a non differenziare e non compostare ma invece ad incenerire e interrare in discarica, a favore dell’Impregilo. Ma potete anche leggere la storia (nell’ambiente nota da settimane) del sindaco Cenname, raccontata stamattina anche da Gramellini, o di come vari dignitari del PDL, con possibili ombre di camorra, guadagnino dalla gestione dei rifiuti napoletani; peraltro, lo stesso amministratore dell’azienda rifiuti Asìa denuncia che gli è stato ordinato di alimentare l’emergenza, forse perchè l’emergenza ora potrà generare appalti con molta maggiore libertà.

Mi sembra che l’Italia di oggi sia tutta qui: in questa depravata fine regime, una piccola élite si diverte col “bunga bunga” mentre se gli italiani, abbandonati a se stessi, osano protestare vengono accolti col “bang bang” di lacrimogeni tossici e scaduti sparati ad altezza uomo.

[tags]berlusconi, ruby, emilio fede, pedofilia, porno, scandali, sesso, bunga bunga, terzigno, rifiuti, emergenza, bertolaso, cenname, gramellini, asia, pdl, camorra, lacrimogeni[/tags]

divider
mercoledì 27 Ottobre 2010, 18:51

La supercazzola

Che poi, dicono i puristi, sarebbe in realtà supercazzora; ma non divaghiamo. Raccontiamo invece che due giorni fa su Micromega, l’estensione snob del giornale del PD, è comparso un articolo intitolato: “Dibattito. Beppe Grillo è un po’ qualunquista? Dì la tua”. In allegato, due altri articoli per introdurre il dibattito dai due punti di vista: uno di Gilioli, contro Grillo anche se possibilista, e uno di tal Pellizzetti, contro Grillo e basta.

Ora, nessuno nega che nelle uscite di Beppe ci sia alle volte del qualunquismo; la mia risposta infatti è stata “Beppe Grillo è indubbiamente un po’ qualunquista. Tutti gli altri, in compenso, sono un po’ corrotti, nepotisti, ipocriti, raccomandati, incompetenti, collusi, obsoleti, provinciali e incollati alle sedie col Bostik. Continuo a preferire Beppe.”. Ma l’organizzazione del “dibattito” era chiaramente prevenuta, e così, avendo capito che non sarebbe stato possibile discutere seriamente, ho deciso di prenderla sul ridere; questo anche a fronte del testo del suddetto Pellizzetti, che vi invito assolutamente a leggere – un vero capolavoro di politichese quasi totalmente incomprensibile.

E così, ho lasciato sotto l’articolo di Pellizzetti un commento vagamente ironico, e precisamente questo:

Parla come mangi

Sono Vittorio Bertola del Movimento 5 Stelle di Torino e volevo solo dire che ho letto due volte il suo commento ma non sono riuscito a comprenderlo. Ora ho chiesto aiuto a un mio conoscente di vent’anni più vecchio, lui negli anni ’70 c’era e magari lo capisce: parlatevi pure tra voi nel vostro politichese, mentre noi andiamo avanti a cambiare il mondo. Distinti saluti,

Apriti cielo! Ovviamente mi hanno subito accusato di non essere costruttivo. Eppure l’assurdità del testo di Pellizzetti, pieno di paroloni per nascondere un sapido rosicamento, non dovrebbe sfuggire a nessuno; tantomeno è sfuggita a Beppe, che difatti ha cominciato in questi giorni a ripubblicarne ogni giorno un estratto, in fondo al post del giorno, sotto il titolo “La supercazzola di oggi”.

E allora stasera ho deciso di rispondere a Pellizzetti per le rime, e gli ho lasciato una risposta concreta, precisa e scritta in un linguaggio che anche lui potesse capire. Eccola qui:

Una risposta concreta

Chiarissimo professor Pellizzetti, mi pregio di permanere nella mia identità di Vittorio Bertola, artefice del più dibattuto contributo sin qui caduto nel suo acuto commentario, forcipe di un’anticipatoria e preveggente apertura dialettica e prospettica nel dialogo politico del suo sé col non-sé collettivo, sfigurato e – a suo modo – anonimamente deprivato di una identità propria, qual è quello che Lei attribuisce a ciò che implicitamente denomina “grillianesimo”. Ciò che la sua pur puntuale analisi pare non cogliere è l’estensione obnubilante di un’anàbasi politica da molti di noi vissuta, alla quale non può, freudianamente parlando, non corrispondere una sensazione di personale esaltazione. Incorporando dunque cortesemente il suo comprensibile appello a una minore iomaniacità, ma suggerendole l’inevitabile autoriflessività di un simile messaggio, mi pregio ulteriormente di invitarla a recarsi a comporre poesie con Sandro Bondi. Rispettosamente, Suo V. B.

Tutto chiaro? Guardate che gli sto persino dando in parte ragione…

La verità è che la supercazzola, prima di venire utilizzata a nostro danno menando il can per l’aia per nascondere la realtà, era un’arte sopraffina del nonsenso; e chi di supercazzola ferisce, meritatamente di supercazzola dovrà perire!

[tags]supercazzola, beppe grillo, movimento 5 stelle, micromega, intellettuali, pd[/tags]

divider
martedì 26 Ottobre 2010, 18:19

Efficienza italiana

Oggi vorrei pubblicare e farvi leggere questa lettera, scritta da qualche funzionario dell’ambasciata italiana in Pakistan al tecnico locale di una nostra azienda, in risposta alla sua richiesta di visto per potersi recare presso la sede aziendale in Italia.

italian-embassy-544.jpg

In pratica, visto che nonostante il loro duro lavoro non riescono a smaltire la coda, nessuno riesce più ad andare in Italia, a meno di chiederlo con anticipi geologici.

Ovviamente in Pakistan ci stanno già ridendo dietro…

[tags]italia, ambasciate, ministero degli esteri, pakistan[/tags]

divider
lunedì 25 Ottobre 2010, 10:34

La cresta

La vita può essere tragica; tutti noi speriamo di non trovarci mai di fronte a drammi che però accadono tutti i giorni. Tra questi drammi c’è sicuramente la morte improvvisa e imprevista di persone giovani; esaminando i dati che il nostro Istituto Nazionale di Statistica mette a disposizione dentro uno ZIP contenente un foglio Microsoft Excel (evviva l’accessibilità) si scopre che nel 2007 in Italia sono morte 9375 persone tra i 20 e i 40 anni. La prima causa di morte sono, come noto, gli incidenti stradali (22,7%); meno noto è che la seconda, che presto potrebbe diventare la prima anche in questa fascia di età, è il cancro (21,7%). La terza causa di morte, a debita distanza ma comunque con più di 800 vittime, è il suicidio (8,8%). Queste cause sono tutte e tre, in modi diversi, sintomi di disfunzioni della nostra società, e sono talmente diffuse che se ne parla il meno possibile; si parla molto di più di cause di morte numericamente ben meno rilevanti, come l’omicidio (2,7%) e l’AIDS (1,9%).

Nell’elenco non compare la causa che ultimamente va più di moda sui giornali: la “malasanità”. Soltanto due giorni fa, sulla cronaca cittadina, l’ennesimo caso: una ragazza di 33 anni morta in sala operatoria durante la sostituzione di una valvola cardiaca, una operazione teoricamente di routine. Quasi sempre, il sottotitolo è lo stesso: i parenti che gridano “ce l’hanno ammazzata”, “vogliamo giustizia” e “qualcuno deve pagare”.

E’ comprensibile ed umano che una persona che sta vivendo una tragedia del genere parli così e senta il bisogno di trovare un colpevole (meno giustificabile che ciò venga rilanciato dai giornali e dalle televisioni). Se ci pensate, però, queste affermazioni tradiscono la concezione piuttosto distorta della vita e della morte che permea la nostra società: una concezione basata sull’aspirazione all’immortalità, e persino su una certa fiducia nel fatto che l’uomo possa dominare qualsiasi condizione avversa impostagli dalla natura.

Nel caso specifico, l’operazione di routine consiste nell’addormentare qualcuno in maniera innaturalmente profonda, aprirgli il cuore, togliergli un vecchio pezzo di plastica che sostituisce la sua valvola cardiaca difettosa e metterne uno nuovo. A guardarla bene, non si capisce come si possa essere arrivati a considerare una cosa del genere “di routine”. Come umanità, possiamo senz’altro esserne orgogliosi, ma non credo che abbia senso pensare il successo di queste terapie come un diritto, e dunque il fallimento di una operazione chirurgica come un omicidio; non solo perché la fallibilità è umana – se fosse richiesto il 100% tondo di successo in tutto ciò che facciamo, nessun umano potrebbe guidare un veicolo: ci risparmieremmo quasi ventimila morti l’anno solo in Italia, ma la nostra società non funzionerebbe più – ma perché il rischio di morte è intrinseco ed ineliminabile in una operazione di quel tipo, e nella maggior parte dei casi avviene senza alcun errore da parte dei medici.

Con tutta la nostra scienza, non sappiamo perché ogni anno decine di neonati muoiano di “sindrome della morte improvvisa nell’infanzia”; muoiono in culla, e basta. Quando si vivono drammi del genere, dal punto di vista del singolo è difficile, forse impossibile, farsene una ragione; dal punto di vista collettivo, però, è un chiaro invito ad abbassare la cresta, e a spiegare agli individui che non tutto è sotto il nostro controllo.

[tags]malasanità, morte, omicidio, medicina, scienza[/tags]

divider
domenica 24 Ottobre 2010, 20:22

La signora Annarella

Per chi non li avesse visti su Facebook, lascio anche qui i video del mio nuovo idolo, la signora Annarella: altro che Bersani e Di Pietro, questa sì che è opposizione.

[tags]roma, montecitorio, opposizione, annarella[/tags]

divider
sabato 23 Ottobre 2010, 10:21

Normalità pelosa

Ha fatto molto scalpore in città, in questi giorni, la vicenda del volantino-offerta di lavoro che scriveva esplicitamente “NO PERDITEMPO E NO STRANIERI”. Si sono subito scatenate le analisi sociologiche e le reazioni poltiiche, con Chiamparino che parla di “grave episodio di razzismo” e si prostra davanti al commissario europeo romeno. Dato che sul volantino c’è un numero di cellulare, i responsabili saranno presto presi e assicurati alla giustizia. Tutto risolto?

Per quanto mi riguarda, sono stato più interessato (sorpreso no, le prevedevo) delle reazioni dal basso, che sono molto ben esemplificate dalla lettera pubblicata oggi su Specchio dei Tempi:

«Scrivo in merito ai volantini che girano per Torino: offrono lavoro nei centri commerciali e non vogliono stranieri. Subito si è levato in coro di sdegno e rabbia, con richieste di scusa agli stranieri per questa forma di razzismo. Ma non è razzista anche chi cerca dipendenti dai 18 ai 24 anni? Perchè nessuno chiede scusa anche a chi, come me, ha 49 anni e viene discriminato per l’età? Troppo vecchio per lavorare? Davvero non sono più in grado di fare niente? «Io ho bussato a tante porte ma nessuna si è aperta, anzi non ci sono state neanche risposte. E dire che ho venti anni di esperienza nel settore commercio «Eppure io sono italiana e devo far fronte alle spese come tutti, immigrati e non. Per cui mi sento discriminata anch’io e mi sembra un razzismo per il quale non si indigna nessuno».

Molto pochi, tra i lettori italiani della Stampa, si sono preoccupati degli stranieri discriminati sul posto di lavoro; quasi tutti hanno invece pensato “e io?”. Ognuno di noi si è sentito discriminato per qualcosa, spesso a ragione; non di rado, a un colloquio di lavoro si viene respinti perché si è bassi, perché si è brutti, perché si ha la erre moscia che suona un po’ snob, perché non piace il colore della cravatta, o, più spesso, perché si è donna o perché non si è più giovani (in certi casi anche perché si è troppo giovani).

D’altra parte, uno dei principi basilari della nostra società è la proprietà privata; se l’azienda è mia, assumo chi voglio (se la casa è mia, la affitto a chi voglio) e non sono tenuto a fornire spiegazioni. Questo principio ha cominciato ad essere mitigato con le lotte per i diritti dei neri negli Stati Uniti, nel dopoguerra, e ha progressivamente dato vita a una folta legislazione che discrimina per non discriminare, obbligando i privati ad assumere, per esempio, un disabile ogni 15 dipendenti (uno dei motivi per cui certi grandi gruppi si organizzano in micro-aziende di 14 dipendenti ognuna) o vietando, appunto, l’aperta discriminazione degli stranieri e delle donne (“aperta” perché comunque se tu non assumi qualcuno non sei tenuto a fornire ragioni, dunque ti basta non dire chiaramente che è una questione di genere o di colore della pelle; in molti casi il datore di lavoro non è nemmeno cosciente del suo pregiudizio ed è convinto di aver scelto in modo oggettivo).

Cosa distingue, allora, ciò che è una discriminazione accettabile – richiedere la laurea o una età non superiore a 25 anni – da una discriminazione inaccettabile, da vietare per legge? Non lo distingue niente; è un fattore culturale, una scelta politica. E allora è anche giusto che ogni categoria si faccia sentire per chiedere protezioni migliori; credo che una legge che vietasse le discriminanti di età negli annunci di lavoro riscuoterebbe un enorme consenso, nella nostra società di vecchi.

D’altra parte, non servirebbe a nulla: le aziende continuerebbero ad assumere i giovani, che costano meno e si lasciano sfruttare senza opporre resistenza, così come continueranno a non assumere gli stranieri se non li vogliono, qualsiasi legge venga fatta; a dimostrazione che sui temi sociali la legge ha un importante ruolo di sostegno, ma le battaglie si vincono o si perdono a livello culturale.

E allora, tutta questa indignazione per chi ha messo nero su bianco la normalità, quello che in silenzio fanno in molti, suona anche un po’ ipocrita; come se i politici non sapessero che il razzismo strisciante e crescente deriva dalla loro incapacità ventennale di gestire l’immigrazione in maniera appena decente; come se il problema, come spesso in Italia, non fosse il fare qualcosa di male, ma il dirlo apertamente.

[tags]immigrazione, lavoro, annunci, stranieri, discriminazione, donne, xenofobia, torino, chiamparino[/tags]

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike