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lunedì 16 Luglio 2007, 18:07

La casta

Stamattina, mentre ero in macchina con la radio accesa, ho sentito su Radio Flash l’intervista a un sindacalista della FIOM. Parlava della situazione del settore metalmeccanico a Torino, ovviamente piangendo miseria, lamentandosi dello scalone, battendo cassa su tutto e con tutti.

Comunque, la cosa che mi ha colpito di più è stata la chiosa finale, quando egli ha esposto il seguente ragionamento: siccome in Piemonte ci sono aziende metalmeccaniche che stanno chiudendo (come la Thyssen-Krupp di corso Regina Margherita) e altre che sono in espansione, pretendiamo dagli imprenditori un accordo per cui le aziende che si stanno espandendo si impegnano ad assumere innanzi tutto i lavoratori licenziati da quelle in crisi.

Ecco, questa proposta riassume perfettamente l’idea di industria e di società che i sindacati della sinistra tradizionale hanno in mente. Per prima cosa, i lavoratori sono dei numeri; dei pacchetti postali tutti uguali, tra loro intercambiabili, che si possono prendere e spostare di qua e di là. Che negli ultimi decenni anche gli operai siano diventati altamente specializzati, diversi uno dall’altro, è un concetto che sfugge; così come la possibilità che la crisi di certe aziende possa essere dovuta anche alla scarsa qualità o allo scarso impegno dei loro lavoratori, e che quindi prendere questi lavoratori e iniettarli in blocco in altre aziende possa non essere la cosa più furba da fare. E dire che la Fiat si è ripresa proprio quando (specie tra gli impiegati) ha spedito a casa in qualche modo le piante da ufficio cinquantenni, e ha assunto giovani al loro posto; ma questa cosa, naturalmente, va negata in tutti i modi.

Soprattutto, è agghiacciante l’idea che per essere assunto in una azienda metalmeccanica non conti quanto sei bravo o quanta voglia hai di fare, ma solo se eri già prima un metalmeccanico. Scoprii questo principio al Politecnico, quando protestammo per le aule sempre sporchissime per via della scarsa lena dello staff delle pulizie, e ci spiegarono che in Italia esiste una legge per cui, quando si toglie l’appalto a una ditta delle pulizie e lo si dà ad un’altra, quella nuova è obbligata ad assumere tutti i lavoratori di quella precedente; insomma, un sistema perfetto per garantire ai dipendenti un posto a tempo indeterminato, uguale per tutti indipendentemente dal merito, potendo nel contempo ogni tanto, al cambiar dei venti politici, cambiare il raccomandato che guadagna su di loro. (Questo è il motivo per cui in Italia qualsiasi cosa pubblica, dai treni agli ospedali, è irrimediabilmente sporca.)

Ma che la risposta dei metalmeccanici alle numerose caste che abusano del nostro Paese sia la proposta di crearne un’altra per sè, magari trasmissibile di padre in figlio, fa proprio tristezza.

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37 commenti a “La casta”

  1. Bruno:

    Ora ho capito! Se l’industria italiana va male è colpa degli operai fagnani, che sono la nuova casta che detiene il potere. Particolarmente agguerriti e pericolosi gli operai a rischio di licenziamento, che nonostante la ricca e continua formazione non hanno voglia di rivendersi sul mercato del lavoro. Meno male che ci sono dirigenti e amministratori, categoria purtroppo sottopagata e poco tutelata. Grazie al loro rigore, alla loro forza morale, al loro notorio spirito di sacrificio, l’industria italiana si salverà. Purtroppo, i coraggiosi dirigenti devono scontrarsi con un terribile e multiforme nemico, un’hydra dalle molte teste: il sindacato, che con inaudita tracotanza pretende che le aziende che vanno bene assumano, magari chi sta perdendo il posto da un’altra parte.
    Non ci resta che sperare che gli operai prendano coscienza della propria condizione, si liberino del sindacato e si affidino alla saggia guida di dirigenti e amministratori. Solo così gli stabilimenti troveranno pace e produttività.
    Purtroppo, caro vb, gli operai sono gente gretta, che vede solo la propria pagnotta e non capisce nulla di macroeconomia. Anzi, sono convinto che le incomprensioni con i dirigenti derivino proprio dall’ignoranza degli operai. Non c’è che da sperare in un futuro migliore, in cui le maestranze non disturbino l’operato dei capi, gli elettori quello dei politici, la Guardia di Finzanza quello degli imprenditori. Abbi fede, un futuro del genere è possibile.

  2. .mau.:

    Naturalmente a te non è mai venuto in mente che gli appalti per le ditte delle pulizie (e per le mense, aggiungo io) non sono vinti perché la singola azienda ha una produttività maggiore o minore, ma per tutta una serie di occasioni esterne. Oppure immagini che un dipendente di un’impresa di pulizia debba necessariamente avere una serie di capacità tali da capire al primo momento quale sia l’azienda vincente, e si faccia assumere da essa.
    Quella norma da te tanto vituperata serve solamente perché il lavoratore (di un settore “debole”, tra l’altro) non sia fregato dai giochi di potere più in su, e non c’entra una beata cippa con la possibilità o meno di licenziare per scarso rendimento. Mischiare le due cose è come minimo fuorviante.

  3. vb:

    .mau.: Sta di fatto che al Politecnico c’erano le aule sporche perchè chi doveva pulirle passava la maggior parte del tempo al bar, non poteva essere licenziato (perché in Italia anche se non lavori e anche se l’azienda fa tutti i vari richiami e lettere per preparare il licenziamento, poi trovi facilmente un giudice del lavoro che ti dà ragione a prescindere), e non poteva nemmeno essere mandato via dando l’appalto a qualcun altro. E le aule restavano sporche.

    Bruno: Torna quando sei uscito dal modo write-only e rileggi quello che ho scritto… Io ho solo contestato l’idea che, tra gli operai come tra i notai, ci possa essere un diritto di prelazione per chi fa già parte del gruppo, e che questa sia la mentalità dell’italiano qualsiasi lavoro faccia. Il resto l’hai aggiunto tu.

  4. .mau.:

    Vittò, capisco che anche tu come me viva in Italia, ma ti faccio notare che il tuo discorso si riduce a “visto che non posso licenziare una persona per scarso rendimento, cerchiamo un cavillo per farlo”.

  5. bruno:

    Veramente, VB, hai fatto anche un parallelo tra la scarsa pulizia delle aule del politecnico “sempre sporchissime per via della scarsa lena dello staff delle pulizie” e la crisi della Thyssen-Krupp. E hai detto come la FIAT si sia ripresa dopo aver licenziato le “piante da ufficio”, immagino che tu indenda i dipendenti scarsamente produttivi.
    Quanto al parallelo tra notai e operai, beh, trovo difficile commentarlo, data l’abissale differenza tra le categorie.

  6. elena:

    non è difficile commentare il parallelo tra notai ed operai: in genere in Italia c’è scarsissima mobilità sociale (uno dei motivi per cui si parla di “caste” è proprio questo). Da un lato i figli tendono a inserirsi nella categoria professionale/lavorativa dei genitori (siano essi operai ovvero notai), dall’altro lato c’è scarsa voglia di “uscire” dalla propria classe sociale, perchè spesso ci si lamenta che mancano le conoscenze che possano raccomandare/agevolare il passaggio (e sovente non si ha il coraggio di tentare/fare codesto salto), oppure è tanto più comodo trovare la pappa fatta.
    E’ così difficile che il figlio di un operaio riesca a diventare notaio? Non saprei, un notaio di mia conoscenza ce l’ha fatta, ma è un caso raro, troppo raro per essere preso quale paradigma (anche se in verità il mio conoscente è figlio di contadini e non di operai).

    [Nota bene: ho scritto di “tendenze”, non di verità assolute :P]

  7. vb:

    “Piante da ufficio” è il termine che usò un mio amico che lavora in una azienda del gruppo FIAT, quando l’azienda, avendo un costo del personale insostenibile su un determinato progetto su cui stavano due cinquantenni assunti e due giovani precari, e non potendo materialmente licenziare i due cinquantenni assunti, mandò a casa i due giovani precari, che pure lavoravano il doppio degli altri guadagnando la metà. Inutile dire che quella è l’unica azienda del gruppo Fiat che sta tuttora andando a rotoli.

    Per il resto, se pure a voi piace viaggiare nei treni sporchi perchè bisogna “tutelare” quelli che prendono lo stipendio senza fare il proprio lavoro, questo Paese non ha davvero speranze…

  8. Attila:

    Avendo lavorato nella produzione, posso dirvi tranquillamente che esistono operai iperspecializzati e talmente bravi nel loro mestiere da pretendere (e sottolineo pretendere) di essere pagati in nero il surplus e moltissimi nullafacenti, ma con contratti blindatissimi, che RUBANO letteralmente il lavoro e affossano aziende, (l’ho visto con i miei occhi, e potrei fare nomi e cognomi, se non vedessi la privacy come uno dei beni da preservare).
    Indovinate con chi stanno i sindacati?

    Mi sa che avete dato la risposta corretta… fra un po’ vi arriverà a casa l’orsacchiotto…

  9. BlindWolf:

    @(+ o – tutti): stupendo, siamo arrivati immediatamente al gioco nazionale, quello chiamato “la colpa è dell’altro”; ecco l’esempio delle frasi tipiche:
    ‘Il “padrone” è quello che sfrutta i lavoratori ed evade le tasse’
    ‘Il “dipendente” è quello che non possiamo chiamare “lavoratore” perchè non lavora un cappero’
    ‘Il sindacato protegge i fannulloni’
    ‘Il sindacato non protegge i lavoratori perchè è corrotto dai “padroni”‘

    Andando avanti con questi pregiudizi ciascuna delle parti chiamate in causa si arroccherà sulle proprie posizioni ed inizierà a comportarsi veramente in questo modo (o intensificherà tali comportamenti) “per potersi difendere dalla parte avversa”.

    Ed andremo ancora più a rotoli di adesso.

    (piccola nota: anche questi, come tutti i pregiudizi, hanno un fondamento; come tutti i pregiudizi diventano pericolosi quando vengono applicati al posto di un’analisi critica.
    Esistono anche lavoratori pigri ed imprenditori schiavisti, ma sono delle mele marce della propria categoria che risultano comode nella propaganda politica.
    Per quanto riguarda i sindacati: oggigiorno ne fanno di cotte e di crude, ma senza di essi saremmo rimasti allo schiavismo).

  10. .mau.:

    Vittò, onestamente, non trovi che forse cercare di restare abbarbicato alla tua idea continuando a rispondere non è una grande mossa?

  11. vb:

    .mau., e quindi perchè lo fai?

  12. sciasbat:

    Questa sera mi sento dello stato d’animo adatto per argomentazioni profonde e dettagliate: vb c’ha ragione e se non siete d’accordo con lui potreste essere parte del problema.

  13. .mau.:

    quale sarebbe “la mia idea”? :-)

  14. LucianoMollea:

    Sì. VB ha ragione.
    Thumbs up per la definizione di “piante da ufficio” [ma ci sono anche quelle da “catena di montaggio”].
    Le ho viste personalmente e posso dire che quando uno è trentenne e precario (o “carne umana in outsourcing”) e si scopra di sapere lavorare meglio e il doppio di un cinquantenne dallo sguardo vacuo… beh, i pregiudizi nascono caro BlindWolf.
    E fino a che si continua ad avere “timore reverenziale” per i sindacati di oggi, come se fossimo nel 1800, beh, sì, concordo con sciasbat, probabilmente si è parte del problema.

    [Nota personale, ho sempre lavorato in aziende piccole, senza sindacati, anche con padroni sfruttatori, eppure il mio stipendio è salito, la mia posizione è salita e quando non c’è stata più possibilità di collaborazione li ho salutati. Non è stato difficile. Lo stesso è successo a mio cugino, che ha iniziato da falegname ed ora è direttore di linea… Se non avete capito che nelle aziende l’unico “capitale” siete voi stessi, beh, continuate a farvi schiavizzare dai padrone od a farvi trattare da numeri dai sindacati. Buona fortuna.]

  15. Attila:

    La logica del “tanto sono solo un numero” va bene a molti: sindacati, lavoratori nullafacenti (che siano operai, impiegati e dirigenti) e funzionari statali che ci lucrano. Però non ci si vuole rendere conto che ormai ad oggi qualsiasi lavoro (anche quello che può essere ritenuto il più umile) richiede specializzazione ed un minimo di dedizione.
    Le fabbricone degli anni ’60 e ’70 con migliaia di operai non esistono più (se non in Cina), quelle in cui per uno che non faceva ce ne erano altri 2 che sopperivano (ed il alvoro era davvero alienante per chi ci metteva impegno). Adesso qualsiasi mansione è basilare: chi fa le pulizie deve mantenere uno standard igienico nell’ambiente ad esempio (sennò i NAS possono chiudere la fabbrica). Sembra assurdo parlare a chi è fortemente politicizzato che tutte le mansioni collaborano effettivamente (ma veramente e non più solo retoricamente, come nei vecchi discorsi di fine anno dei “padroni” degli anni ’60) alla SOPRAVVIVENZA di un’azienda (sì signori, si parla di sopravvivenza, soprattutto nella produzione).

    E qui abbiamo molti esempi di segno opposto… il primo tra tutti: ALITALIA! E credo che ieri sera ne abbiamo avuto la controprova… miopia del sindacato… mah… devono anche loro sopravvivere… non so quanto si possa sopravvivere affondando definitivamente le aziende che si reggono in piedi solo con il contributo statale (cioè nostro)…

    Per non parlare dei NAS che controllano i cartellini della sanità umbra e scoprono di tutto… ma anche loro sono lavoratori…

  16. Mike:

    Se io sono una azienda meccanica in espansione che fa ad esempio lavori aereospace e quindi cerca un fresatore che sappia usare anche le rettifiche sul durallumino e come si applica la ISO 9001, che me ne faccio di uno che fa fusioni in ghisa?

  17. Alberto:

    Mi vien da dire che questo post e molti suoi commenti sono affetti dall’abitudine, questa sì molto italiana, dell’abbarbicarsi sulle proprie posizioni senza cercare di capire quelle dell’interlocutore, del guardare al proprio orticello, senza capire perché quello altrui è diverso. Così per qualcuno il sindacato protegge i fannulloni, per altri il datore di lavoro è malvagio. Il sindacato esiste per rappresentare collettivamente le istanze dei lavoratori e le leggi che proteggono il posto di lavoro esistono per migliorare il tenore di vita del nostro paese. Non dimentichiamo che questi scopi sono essenziali per garantire giustizia ed armonia sociale. Dopodiché esistono sindacalisti illuminati ed esistono sindacalisti miopi, così come esistono imprenditori illuminati ed imprenditori miopi. Se in Italia la dialettica tra sindacati e lavoratori è più turbolenta ed arruffata non è solo colpa dei sindacati né solo colpa degli imprenditori, in definitiva è colpa dell’abitudine italica di cui sopra di evitare scrupolosamente di confrontarsi, cercando di mediare le esigenze proprie con quelle dell’altro, prima di andare allo scontro. In Italia purtroppo si va allo scontro e solo quando la stanchezza riduce fisiologicamente l’aggressività si arriva forse a un accordo con un dispendio di tempo e fatica immane. Questo malvezzo d’altronde è diffuso ovunque nella nostra italica vita: dalla politica, ai rapporti lavorativi e spesso anche a quelli umani.

    Così vb esprime il disappunto perché i sindacati chiedono di dare priorità per l’assunzione a chi è stato licenziato da un’altra azienda, esprimendo la delusione di chi è disoccupato ma dimenticando la situazione di chi è stato licenziato, non perché fannullone, ma perché le strategie dell’azienda così hanno voluto e che si ritrova a non sapere come mantenere la propria famiglia che si era creato contando su uno stipendio che non avrà più. Conosco persone che lavorano in Thissen-Krupp alle quali la definizione di “piante da ufficio” si attaglia non per la propria immobilità ma per la frequenza con le quali si ritrovano in ufficio anche il Sabato e la Domenica e alle quali l’accostamento con i lavoratori fannulloni provocherebbe un travaso di bile. Presentare i problemi dell’industria italiana come legata ai “fannulloni” significa ignorare che l’Italia è il paese europeo nel quale un lavoratore lavora più ore. A fronte dei fannulloni, che esistono, esistono anche quelli che lavorano fino a tarda ora di notte, magari avendo timbrato l’uscita alle 17 perché l’azienda non vuole pagargli gli straordinari. Quando mi trovo in Germania, Francia, Svezia e noto che lì le persone alle cinque del pomeriggio se ne vanno in blocco a casa, mentre da noi stanno in ufficio fino alle nove di sera ho una visione diversa dei problemi dell’industria italiana da quella che presenta vb.
    Per quanto riguarda FIAT sarò anch’io un negazionista ma ho l’impressione che più del turnover degli impiegati in FIAT sia stato decisivo il turnover a capo dell’azienda, togliendo il timone a finanzieri avventuristi che avevano trasformato la FIAT in un carrozzone e ridandolo a chi ha cultura industriale, che ha ridato fiato e credibilità all’azienda. Mi sembra che la FIAT venda di più essenzialmente perché è più credibile come marchio. Non credete?
    Per quanto riguarda la questione pulizie, vi avverto che la legge in questione è applicata anche in Vodafone eppure i nostri uffici sono piuttosto puliti, come mai? Siamo sicuri che invece il problema non fosse che il Politecnico risparmiava sulle pulizie e dava poi la colpa agli addetti alle pulizie fannulloni?
    Finisco con il merito del post: il supporto delle aziende al reinserimento nel lavoro dei lavoratori licenziati è un ipotesi ventilata non solo in Italia ma in molti paesi avanzati dal punto di vista dei rapporti sindacali. Blair ne ha fatto un fiore all’occhiello. Il problema sta nel trovare una soluzione per evitare che le aziende vengano tenute in piedi artificialmente e nel contenere, al tempo stesso, gli impatti sociali della scomparsa di un’azienda. Il fatto che le istituzioni ad esempio aiutino la riassunzione delle persone lasciate a casa da Alitalia in altre compagnie aeree non farebbe che facilitare il compito di una liquidazione della compagnia di bandiere che ormai sembra ineluttabile e che avrebbe costi sociali altissimi. Se non si comprendono queste esigenze non si fa che prolungare vertenze e scontri.
    Ciao ciao

  18. vb:

    Io non intendo dire nè che tutti i sindacalisti sono miopi, nè che tutti i lavoratori sono fancazzisti; e non voglio sminuire il dramma di chi perde il posto di lavoro o la necessità sociale di farsene carico.

    Pretendo però che il trattamento di queste situazioni sia individuale e legato al merito; e qui permettimi di dire che quei lavoratori di Thyssen-Krupp che fanno gli straordinari e sono capaci non avranno certo difficoltà a trovare un altro lavoro. Il problema è che il sindacato vuole vantare un privilegio di gruppo a prescindere, e io continuo a non capire perchè uno che ha perso il lavoro e ne cerca un altro non dovrebbe presentarsi alla pari, e non avvantaggiato (se non dalla propria esperienza), rispetto a un disoccupato qualsiasi.

    Chiudo osservando che se in Italia c’è così tanta gente che deve fare ore di straordinario non pagato non è solo per la tendenza a sfruttare e farsi sfruttare, ma anche perché c’è obiettivamente bisogno di coprire le falle aperte da quelli che invece non lavorano. Una azienda che compete su scala internazionale, con i margini ridotti al minimo dalla concorrenza, deve pagare 2 per avere il lavoro di 2; se c’è uno che lavora per 0,5 è ovvio che o l’altro lavora per 1,5, o l’azienda va a rotoli, perchè spendendo 2 produce solo per 1,5 invece che per 2 come i concorrenti.

  19. Yari:

    VB, onestamente, che cazzo ne sai tu del mondo del lavoro ed in particolare del lavoro in fabbrica?

  20. MCP:

    (digressione) Quoto Blindwolf e l’inizio del discorso di Alberto, pero’ devo dire che raramente mi e’ capitato di imbattermi in persone che NON traggono conclusioni universali dalle proprie esperienze particolari. Capita anche a me, eh, a volte devo sforzarmi per non generalizzare la mia esperienza, o per non snaturare questioni molto complesse eccedendo con la sintesi. Digressione per digressione, suppongo che sia proprio il cervello umano a dover funzionare cosi’, questione forse di sopravvivenza e selezione. Ma forse l’avevo anche gia’ scritto tempo fa e senilmente mi ripeto :P

  21. BlindWolf:

    @LucianoMollea (post 14): sì, come ho già detto i pregiudizi una base di verità ce l’hanno quasi sempre. Il problema è quando il pregiudizio sostituisce l’analisi della situazione (in questo caso: il trentenne precario vede qualunque cinquantenne assunto e gli dà del fancazzista in anticipo e non cambia idea neppure se lo vede lavorare per 40 ore consecutive).

    @Mike (post 16): la parola chiave al giorno d’oggi è formazione. Un lavoratore (già assunto o appena assunto) oggi va formato in continuazione a causa dell’evoluzione continua della tecnologia e delle normative. Chi si ferma (ad imparare) è perduto.

    @vb (post 18): “permettimi di dire che quei lavoratori di Thyssen-Krupp che fanno gli straordinari e sono capaci non avranno certo difficoltà a trovare un altro lavoro”: vorrei condividere il tuo ottimismo.

    @vb (in generale): per favore allunga il numero di elementi del feed, ormai i 10 commenti al giorno li superi almeno una volta alla settimana.

  22. sciasbat:

    Sono costretto a ribattere a BlindWolf usando una generalizzazione delle mia esperienza personale (quindi un pregiudizio): non mi scambierei con gran dei cinquantenni assunti che ho intorno. Ma non perché stia meglio di loro, bensì perché se mi li ritrovassi al mio posto sarei fregato, in quanto non sarebbero in grado di fare il lavoro, mentre a me ora tocca parare il loro deretano. E per gran parte di questi non è che non siano all’altezza, ma soffrono solo degli effetti collaterali e ormai irreversibili di 25 anni di posto fisso…

  23. RidendoMores:

    nanismo intellettuale e gigantismo dell’ego: meno ne sai di una cosa e più hai la pretesa di esprimere una verità assoluta

  24. Alberto:

    La mia, di esperienza, non include aziende in cui c’è chi deve fare 2 perché il suo collega fa 0,5. Include invece aziende in cui devi fare 2 per non fare la figura del fannullone perché il tuo collega fa 3, oppure aziende nelle quali c’è chi fa 0,5 e chi fa forse 1. Il problema è che le prime sono in genere aziende nelle quali le possibilità di carriera, il lavoro stimolante, un’azienda con forte motivazione spingono le persone a moltiplicare i loro sforzi e l’azienda ne approfitta, a costo di violare le regole sindacali, per risparmiare personale. Nelle seconde, in assenza della spinta di cui sopra, molte persone non si sentono in dovere di assolvere agli obblighi lavorativi minimi per il solo fatto di aver sottoscritto un contratto e di ricevere ogni mese lo stipendio. In questo caso il guardare al proprio orticello si estende anche alla categoria di ciò che è giusto e ciò che è ingiusto e quindi diventa giusto non lavorare per il semplice fatto che il lavoro è noioso e l’azienda non mi da l’aumento, oppure diventa giusto venir meno alle regole sindacali perché sono troppo restrittive e perché gli straordinari costano troppo. Purtroppo anche la soggettività delle categorie di giusto e ingiusto è un vizio italico difficile da estirpare.

    E’ certo che facilitare per le aziende i licenziamenti sia un ulteriore modo per motivare i lavoratori, ma ha degli enormi costi sociali perché chi lavori sotto la spada di Damocle del licenziamento avrà minor propensione a fare cose tipo: consumare, acquistare casa, fare dei figli. Non pochi economisti considerano le riforme sociali restrittive degli ultimi anni la principale ragione della contrazione dei consumi in Europa.

    A questo si ricollega il motivo per il quale un licenziamento ha costi sociali maggiori di una mancata assunzione. Chi ha un lavoro a tempo indeterminato tende a fare degli investimenti per il futuro basati sulla stabilità delle proprie entrate, se improvvisamente se ne ritrova privo rischia di non essere in grado di pagare il mutuo della casa o i vestiti ai figli. Per questo a chi è stato licenziato si tende generalmente a dare priorità, da parte delle istituzioni, rispetto a chi è già senza un lavoro.

    Ciao ciao

  25. sciasbat:

    Non si finisce mai d’imparare, il welfare è la maggior causa del consumismo. Albero, sei da Nobel dell’Economia.

  26. BlindWolf:

    Io invece (per la prima volta!) quoto totalmente il post 24 di Alberto. Oggi chi si fida a mettere su casa e famiglia senza una sicurezza economica? Non si parla di “consumismo”: quello è relativo principalmente a spese più piccole e frequenti; a me sembrano voci contabilizzabili come “investimenti”.

    Per quanto riguarda il post 22: sarebbe pregiudizio se tu non ti scambieresti con nessun cinquantenne.
    Ma riflettiamo un attimo… il precario che dice “io mi sbatto, vengo sfruttato e sarò cacciato alla prima occasione, l’assunto se ne sbatte e resta lì” non fa che dare ragione al proprio datore di lavoro che preferisce spremere un giovane precario invece di assumerlo e farlo diventare un ingombrante soprammobile.
    La soluzione per evitare che un dipendente diventi un fardello? Incentivi di carriera per spingerlo a nuovi traguardi. Oppure il riprovevole (ma siccome è più economico è più utilizzato) mobbing.

  27. vb:

    Puntare sul welfare per sostenere i consumi è la classica politica keynesiana (da New Deal di Roosevelt) che funziona per un breve periodo, come “scintilla” per riaccendere il ciclo, ma non è sostenibile in permanenza: cioè, è assolutamente vero che se la gente ha più soldi in tasca o più sicurezze consuma di più, però se per garantire questo lo Stato spende più di quel che entra, alla lunga non funziona.

  28. dariofox:

    Intervengo su questo straordinario post: l’azienda che ha le piante da appartamento era quella in cui lavoravo in cui conosco di prima mano cosa significhi avere nell’ordine:

    Una dirigenza incapace di gestire le risorse umane e che basa i rapporti su clientelismi e parentele più che sulle capacità e meriti,

    Un sindacato inesistente che difende solo le cause di chi meriterebe di essere cacciato da qualunque azienda del pianeta

    Alcuni dipendenti un 5-10% con un contratto a tempo indeterminato la cui prodttività è minore di zero per loro volontà – ribadisco volontà – alcuni magari col doppio lavoro e che grazie a medici compiacenti abusano della mutua per riposarsi dopo aver suonato nei locali la notte…

    Colleghi stagisti meritevoli non assunti per pagare gli stipendi dei suddetti fagnani

    Morale: quest’azienda oggi usa la cassa integrazione, la mobilità e forse chiuderà… di chi è la colpa ?

    La mia risposta è banale: di tutti (capi e dipendenti) ma in particolare la colpa è di un mercato che non tollera più aziende non produttive per colpa dei suddetti capi e dipendenti che difendono interessi di casta (dirigenziale o sindacale). Buon lavoro a tutti

  29. sciasbat:

    Blindwolf: infatti tra i cinquantenni di cui sopra saprei esattamente chi fare fuori (anche se nel particolare ambiente la cosa è più generalizzata che in altri, in quanto sono rimasti quelli più pianta da ufficio, mentre gli altri hanno trovato opportunità migliori)
    Inoltre, sia chiaro che io non ho mai detto “sono sfruttato”, se la pensassi così me ne andrei il giorno dopo, le opportunità non mancano. Sono solo frustrato dal fatto che i maggiori ostacoli per lavorare bene vengano dall’interno, da persone che invece dovrebbero remare con te. Sugli incentivi come soluzione sono parzialmente d’accordo: è una cosa così banale che non ci sarebbe bisogno nemmeno di nominare, ma vale solo per i dipendenti che hanno ambizioni (oltre al fatto che i sindacati non sono d’accordo neppure su questo, visto che gli incentivi non vanno dati alla persona…). Purtroppo ci sono tre casi in cui non bastano:
    – quando l’azienda deve ristrutturarsi (tenere i rami secchi vuol direi solo affondare quelli che funzionano, limitando gli investimenti)
    – nei confronti dei fannulloni (e questo mi sembra il minimo)
    – o di chi non ha la minima ambizione o voglia di crescere professionalmente (ce ne sono…)
    Il terzo in una economia basata sulla conoscenza è il più critico e il posto fisso garantito a vità è la peggior zavorra per tutta la società. Se non sei disposto a metterti in gioco in continuazione in una economia di questo tipo, devi poter anche accettare che nella scala dei valori dei mondo del lavoro se hai 20 di esperienza alle spalle, potresti essere meno prezioso di un 20enne appena assunto, perché lui ha la percezione di cosa si deve fare, tu no.

  30. BlindWolf:

    @sciasbat: spiegando meglio il tuo pensiero hai detto delle cose molto più condivisibili.

    Concordo sul fatto che un lavoratore (o meglio, una persona) debba puntare a raggiungere nuovi traguardi (e nella “società della conoscenza” il traguardo si sposta sempre più avanti da solo). E troverei noioso fare le stesse cose per tutta la vita (tanto per conoscerci: ho quasi 33 anni, una laurea con lode in Ingegneria Elettronica presa a 26, il dottorato di ricerca conseguito a 30, lavoro dal 2000, non ho mai cercato un impiego fisso ed ho cambiato lavoro di mia spontanea volontà ogni 1/2 anni).

    Il problema però è il seguente: un lavoratore “flessibile” può rendere più efficiente il mondo del lavoro, ma la nostra società attualmente non è preparata al lavoratore di pongo.
    * Perchè il tempo per il lavoratore passa ed il datore di lavoro è riluttante a prendere un dipendente di una “veneranda età” (anche se tale età è di 35 anni).
    * (di conseguenza) Perchè il lavoratore, “invecchiando”, ha paura di essere meno appetibile per il mercato del lavoro.
    * Perchè le banche e le società finanziarie rilasciano con difficoltà prestiti o mutui a chi non ha un lavoro fisso.
    * (di conseguenza) Perchè chi non ha un lavoro stabile non si può permettere dei programmi costosi a lungo termine (leggi: casa & famiglia)

    Ho un amico (anche lui laureato & dottorato) di 35 anni la cui massima preoccupazione è quella di avere un contratto a tempo indeterminato perchè a forza di “un anno qui, un anno là” ha paura di avere sempre meno opportunità e di ritrovarsi in un vicolo cieco (e vi garantisco che è molto preparato ed è un gran lavoratore). Come posso dargli torto?

  31. BruRino:

    Sciasbat: credo che Alberto parlasse di consumi, non di consumismo. Forse sei stato un po’ precipitoso a commentare e postare…

  32. Thomas Jefferson:

    Quoto totalmente Sciasbat.
    Affermare, come fa Alberto, che “aziende nelle quali le possibilità di carriera, il lavoro stimolante, un’azienda con forte motivazione spingono le persone a moltiplicare i loro sforzi e l’azienda ne approfitta, a costo di violare le regole sindacali, per risparmiare personale.” è a mio avviso assolutamente incredibile.
    Quella è la classica situazione win-win. Uno che fa un lavoro stimolante è contento di farlo anche se questo non si traduce necessariamente in moneta. Non vedo dove sia l’approfittarsene da parte dell’azienda. Non più di quanto normalmente non avvenga in una qualunque prestazione professionale.

    Invece “E’ certo che facilitare per le aziende i licenziamenti sia un ulteriore modo per motivare i lavoratori, ma ha degli enormi costi sociali perché chi lavori sotto la spada di Damocle del licenziamento avrà minor propensione a fare cose tipo: consumare, acquistare casa, fare dei figli.” mi pare semplicemente un ragionamento errato. Mi pare che l’ultima affermazione sia al più spiegabile in termini di dipendenza statistica (tutta da dimostrare, IMHO) che è ben altra cosa da un rapporto di causa-effetto.

    Infine quanto al New Deal cominciano ad esserci tanti economisti che sostengono che anziché favorire l’uscita dalla grande Depressione, il New Deal la esacerbò. Ma questa non è la mia materia e lascio.

    P.S. Tra 10 giorni è il 26esimo anniversario della PATCO :-D

  33. sciasbat:

    Invece BriRino sei un po’ lento nel cogliere il sarcasmo ;)

  34. Alberto:

    @sciasbat: Non ho capito bene quale fosse l’intervento nel quale si parlava di consumismo ma non importa. Forse anch’io sono un po’ lento nel cogliere…

    @Thomas Jefferson: probabilmente per te è “incredibile” ma nella mia esperienza ci sono molte aziende nella quale le persone stanno in ufficio fino alle 23 e poi vanno a casa e dicono “che lavoro di me**a”! In queste aziende si instaurano delle dinamiche che portano le persone a sentirsi in obbligo di lavorare fino a tardi per vari motivi tra le quali il fatto che ci si sente in torto verso i propri collaboratori se non lo si fa oppure che si è convinti che altrimenti non ci siano possibilità di fare carriera. Ci si sente però altrettanto male quando si arriva a casa e ci si accorge di non avere una vita al di fuori del lavoro. In questo caso il win è sicuramente l’azienda che risparmia sul personale, sul fatto che il lavoratore sia win ho molti dubbi, sicuramente è lose quello che di cui l’azienda non ha bisogno perché il lavoro che farebbe lui lo fanno gli altri dalle 17 alle 23, altrettano lose è la società che non impone regole per divertirsi ma per impostare un modello di convivenza di cui ci infischiamo allegramente in nome dello win-win.
    Per quanto riguarda la mia certezza circa la minor propensione di un lavoratore precario a fare investimenti a lungo termine non mi pareva di aver formulato un’ipotesi così azzardata, ma effettivamente bisogna diffidare delle certezze…

    Ciao ciao

  35. Brurino:

    Se non avete ancora letto l’articolo su repubblica, eccolo qua:

    http://www.repubblica.it/2006/a/rubriche/piccolaitalia/valle-aosta-birra/valle-aosta-birra.html

    sembra che la Regione Val D’Aosta, con i soldi suoi (nostri) abbia pagato 13.600.000 euri alla Heineken.
    Perché metta (forse) un loguccio “val d’aosta” sulle bottiglie di birra, e non chiuda lo stabilimento di Pollein, cosicché non si perdano i posti di lavoro.

    Secondo voi la regione Val D’Aosta fa una politica keynesiana?

  36. vb:

    Secondo me la Val d’Aosta ha i soldi che gli escono pure dal buco del culo… (e se ritiene che questo sia un investimento produttivo nel lungo termine, fa bene ad usarli così, anche se i valdostani, nel loro piccolo, sono abbastanza un’altra casta: prova a metter su una azienda a Pollein se non sei della valle…)

  37. sciasbat:

    Secondo me no. La Val d’Aosta innanzitutto non sa come buttare via i soldi, come dice vb, e poi è ha fatto una banale mossa di marketing. L’effetto keynesiano è puramente marginale, messo lì perché restiano pur sempre in Italia, per far dormire bene i Brurino.

 
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