Luftansia
All’inizio, pareva un volo privo di eventi, questo per Los Angeles. Lo stint per Francoforte (uso certi termini per i fan della Ferrari) è stato tranquillissimo, e anche i venticinque minuti di bus dall’aereo all’aeroporto sono andati bene, se si eccettua quando siamo dovuti passare sotto l’ala di un jumbo in partenza, e quando abbiamo trovato coda al casello.
Attraversato il terminal ed effettuati i controlli di sicurezza, avevo ben cinque minuti di tempo prima dell’imbarco, che sono stati sufficienti per entrare nella lounge e far fuori un tazzone di gulash, un po’ di polpette, del pane, e le nuvolette di cioccolato soffiato che ancora non ho capito come sono fatte, ma che sono buonissime ed esistono solo lì. Terminato il pit stop, stavo per uscire quando si è materializzato il mio collega di Board portoghese; da Lisbona non c’è un volo diretto per Los Angeles, e lui ha allungato il percorso fino a Francoforte pur di non volare con gli spagnoli (patriota!).
Il decollo è in ritardo, e mi permette di leggere sulla prima di Repubblica il commentario di Michele Serra su Valentino Rossi, riassumibile in breve come “un miliardario se la prende con un altro miliardario perchè ha un commercialista migliore del suo”. In effetti il tema è appropriato alla business class Luftansia, che è lussuosissima, ma anche ottimizzata al centimetro, applicando la grande esperienza di impaccamenti umani che deriva ai crucchi dalla seconda guerra mondiale. Per dire, io che sono al finestrino – quindi con meno accesso alle cappelliere – dispongo di sei centimetri sei di stivaggio laterale accanto al mio sedile!
Qui, ecco, qualcosa succede, perché dopo il decollo mi ricordo di aver visto un documentario sul magico mondo dei videogiochi; nulla che già non sapessi, e in più fanno vedere le immagini del secondo videogioco della storia (Spacewar, per PDP-1) e mi sovviene che io ci ho giocato a maggio, al museo del computer di Mountain View, e ho pure il video di Vint che ci gioca, eppure tutto ciò non è andato online perché son stato troppo pigro per bloggarlo, e poi ho dato la precedenza ai gerani sulle corsie di sorpasso.
Qui succede ancora qualcosa, perché mi addormento un po’ e quando mi sveglio la scena cambia. Io sono inchiodato al mio posto dal pranzo – perché in business class, da signori, ti servono tre portate, però con quaranta minuti di attesa tra l’una e l’altra – e vedo passare le hostess. Sono parecchio brutte, per cui decido che non utilizzerò qui il buono per uno jus primae noctis che mi hanno dato insieme alla tessera argento; però si fanno in quattro per noi clienti business, anche se ogni tanto devono affacciarsi verso l’economy e servire il pranzo, cioè, lanciare sacchetti di patatine alla gente che se le contende a gomitate. Il mio vicino si diverte, e grida, “More chips! More chips!”, così le hostess lanciano in economy altre patatine, per fargli rivedere la scena.
Io nel frattempo mi sono disteso, è arrivato il dolce, e imparo una cosa che non si deve fare: mangiare i cantucci (secchi) da distesi. Si sbriciolano, e i pezzetti duri di biscotto ti si infilano nel collo della maglietta e si spargono per tutta la schiena: è doloroso! Per fortuna, incomincia l’intrattenimento di bordo: le hostess cominciano a ballare cantando vecchie canzoni della lotta d’indipendenza dell’Alto Adige, come quella che fa “Veniamo giù dai monti / dai monti del Tirolo / e ci prendiam lo scolo / in piena libertà ”. In un tripudio di salsicce, un passeggero rovescia la birra su un altro passeggero, poi insieme annunciano una guerra lampo che prevede l’invasione delle file quattordici e quindici. E’ bello volare in tedesco.
A questo punto, il viaggio è diventato interessante: siamo da qualche parte verso la Groenlandia, e dal finestrino vedo un’isoletta che, stando all’atlante, potrebbe essere Kâdëldiåø FrèiddlÃ¥førkka. Difatti è vero, perchè all’improvviso, puff! davanti all’ingresso della toilette si materializza il diavolo. Le hostess gli porgono i moduli verdi per l’ingresso negli Stati Uniti, ma lui li rifiuta sdegnosamente (ha parecchie amicizie laggiù), e si rivolge a noi. Con voce da baritono, grida: “Mi i son el diao, e i rangio le pipe!”. Sottolinea l’affermazione girandosi ed emettendo un fragoroso peto, che travolge le tendine di separazione e annichilisce orribilmente una manciata di passeggeri in economy, che le hostess provvedono a sostituire con manichini per non urtare la nostra sensibilità .
Interessato all’occasione di dialogare con Sua Malvagità , faccio doppio clic sull’apposito bottone del mio telecomando; ma non è quello giusto, perchè si apre il tavolino. Comincio a premere pulsanti all’impazzata, e la sedia s’allunga, il video si accende, parte la radio, si spegne la luce, insomma la tecnologia mi domina, ne sono prigioniero.
Resisto, e vorrei chiedere al diavolo se ha capito cosa spinga la razza umana ad organizzarsi in una serie piuttosto complessa di attività , culminanti nel produrre un coso grande come un palazzo, pieno di sedie di plastica e di persone stipate e di cherosene che brucia e scioglie l’Artico, e metterci sopra me medesimo. Il tutto trasformato in un non-luogo d’eccellenza, perché noi della business, con le tendine abbassate, paghiamo il privilegio di non essere; per tredici ore, non siamo in nessun posto, e anzi non ci muoviamo, perchè siamo seduti ad osservare quattro pareti di plastica che non si spostano d’un millimetro.
Il diavolo, però, sta mangiucchiando i sandwich della prima classe, che non sono come quelli della business, ma hanno uno strato di zero virgola otto centimetri di salmone in più, e vengono serviti quattro minuti e venti secondi prima degli altri. Qualcuno dei viaggiatori della prima classe protesta, e lui lo manda in economy, dove si crea però un sovraffollamento; pertanto, in modo ben scientifico, egli autorizza le famigliole ad amputarsi una gamba ogni tre persone, per stare più larghi; e vedo mamme convincere gentilmente il figliolo a sgambarsi un attimo per il bene collettivo, ché oggi tocca a lui.
E’ un incubo, perché, per quanto io faccia, non riesco ad attirare l’attenzione di Satana; arriva solo una hostess che mi chiede se ho bisogno di più ossigeno, che in quel caso può far depressurizzare l’economy, tanto hanno maschere ad ossigeno sufficienti per quasi tutti i passeggeri. Io mi sento un po’ giù e quindi rispondo di sì, tanto per far succedere qualcosa, in questo volo infinito. C’è solo il disturbo che, essendo in fondo alla business, mi toccherà ributtare di là i passeggeri che, stramazzando al volo, cercheranno di venire a rubare i centimetri cubici d’aria che Lufthansa ha stanziato per me.
Alla fine il diavolo viene a me in tutta la sua maestà , anche se stringe in seno una gamella di acciughe al verde da cui pesca ogni tanto con le mani, e il bagnetto gli cola un po’ sul corpo (è nudo, il diavolo mica ha i vestiti). Conosce tutte le canzoni di Gipo, ma neanche lui sa spiegarmi a cosa servano i jumbo jet in generale, e quello su cui sono io in particolare – anche se, per quel che ne vedo, potrebbe essere un camion, una scatola di cartone, un teatro di posa o lo stomaco di una balena. A ben vedere, c’è una catena di perché che spiega il motivo per cui sono qui, ma è troppo lunga, e Satana mi fa notare che ci metteremmo una giornata a dipanarla tutta. Meglio attaccare la radio sul canale del J-Pop, musica giapponese e veramente giovane, e divertirsi, fino a che lui tornerà alla sua isola, e l’aereo potrà atterrare, e noi riconnetterci al pianeta, sperando che la prossima volta il caffè sia meno violento, e l’assenza di contesto meno evidente.