Security (2)
Dunque, dicevamo come le procedure di sicurezza per entrare negli Stati Uniti siano disumane; anche quelle per uscire, però, non sono male.
In particolare, dopo aver effettuato il check-in a LAX, mi è stato detto che dovevo riprendermi la valigia e portarla personalmente al controllo di sicurezza. Fatta la coda, ho consegnato la valigia e mi è stato chiesto se la serratura fosse aperta; ovviamente non lo era, visto che le valigie aperte vengono spesso saccheggiate durante il trasporto.
Il poliziotto mi ha guardato come se fossi uno spacciatore, e mi ha mostrato un cartello che offriva ai viaggiatori le tre seguenti opzioni:
1) Lasciare la valigia aperta;
2) Utilizzare una serratura “approvata dal governo americano”, che presumibilmente vuol dire che ha un sistema di passepartout che permette ai poliziotti di qualsiasi aeroporto americano di aprirla a tua insaputa;
3) Accettare il fatto che la serratura potrebbe essere spaccata dai poliziotti per controllare cosa c’è dentro.
Io ho cominciato a protestare, e dopo un po’ di discussione la risposta è stata: va bene, allora aspetta dall’altro lato del passaggio, così puoi vedere se la valigia passa il controllo o se la devi aprire.
Vado dall’altro lato del posto di controllo e mi metto a guardare gli inservienti, per vedere quand’è che arriva la mia valigia. Errore mortale: mi si precipitano addosso due altri poliziotti, e mi intimano sgarbatamente di andare via, e stare oltre il nastro. Io mi metto prontamente oltre il nastro… e scopro che da quella posizione si vede ancora meglio cosa fanno i controllori; però sono oltre il nastro e non possono dirmi nulla.
Dopo qualche minuto, vedo la mia valigia uscire dalla macchina a raggi X, e ovviamente viene selezionata per il controllo. In tre la poggiano su un tavolino, e cominciano a spingere sui pulsanti a scatto per aprirla. Non ci riescono… e non hanno alcuna intenzione di chiedere la chiave. Intuendo cosa sta per succedere, mentre uno dei tre si dirige a prendere un martellone dall’altro lato del tavolo, tiro fuori la chiave della valigia, la alzo sopra la mia testa e comincio a fare ampi cenni, gridando “Key! Key!”. Riesco appena in tempo a richiamare l’attenzione di uno degli inservienti, che viene fino al nastro a prendere la chiave.
Seguono cinque minuti in cui una gentile signorina mette le mani ovunque nella mia valigia. Temo che ci saranno problemi, visto che ho acquistato vari libri, di cui uno chiaramente sovversivo. Invece, alla fine richiude la valigia, e mi riporta persino la chiave. La valigia viene portata via per l’imbarco, mentre io vado ai controlli di sicurezza (mi tolgono anche le scarpe, ma ormai non ci faccio più caso).
Tra l’altro, cosa degna di nota, per la prima volta mi hanno fermato anche a Francoforte, alla dogana nel passaggio tra lato non-Schengen e lato Schengen: mi hanno fatto aprire il computer e si sono assicurati che fosse vecchio e italiano. Col dollaro debole, penso che comincino a stare attenti alla gente che compra elettronica durante i viaggi agli Stati Uniti.
Chiudo con un aneddoto carino: ancora a LAX, dopo i controlli, sono andato ad attendere l’imbarco in una splendida lounge, quella da cui ho postato la puntata precedente. Ero lì spaparanzato godendomi riso e gamberi e birra Kirin dal buffet giapponese, quando arriva una famigliola abbronzatissima, padre madre e due bambini. Dal loro comportamento, e non appena aprono bocca, li riconosco subito: sono un temutissimo esemplare di venditori di cessi della Brianza. Parlano a voce altissima disturbando tutti i presenti; commentano tra loro “Uè, cazzo, guarda quanti giapponesi” e “Figa, ma c’è la birra gratis!”, mentre il dodicenne viziato, con i suoi vestiti firmati, comincia a rompere le scatole a voce altissima, facendo osservazioni quasi più stupide di quelle di suo padre. Poi i quattro si avvicinano al banco e imboscano banane e lattine di coca-cola, che tanto gli sequestreranno all’imbarco.
Di fronte a tanta calamità , insensibili alle occhiate disgustate del mondo civile, il giunonico staff tedesco della lounge non può restare indifferente. E così, a un certo punto una hostess crucchissima passa dalla ragazza giapponese dietro di me, le chiede “Frankfurt?”, la ragazza risponde di sì, e la hostess le dice: “I would like to inform you that unfortunately we are slightly late, we will board ten minutes later.”. La giapponese annuisce; la hostess viene avanti, arriva da me, mi chiede “Frankfurt?”, io rispondo di sì, e dice anche a me la stessa frase. Va avanti così con tutti, finché non arriva dagli zotici, al che dice: “Frankfurt?”. Quelli, con un tono di voce che sveglierebbe un morto, rispondono “Yes!”, e lei: “I would like to inform you that we are boarding right now, please follow me immediately!”.