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Archivio per il mese di Ottobre 2008


venerdì 31 Ottobre 2008, 17:56

Scampoli di pianeta

A Torino, ieri pomeriggio, c’era un vento gelido che portava via il mondo; man mano che si avvicinava il tramonto, sembrava veramente che la città stesse per svanire in una lattigine indistinta. In bicicletta era difficile tirare diritto, anche perché si era continuamente avvolti da nuvole di polvere di foglie secche frantumate: gli alberi sono ancora carichi di giallo, ma non lo saranno per molto. Il sole era una palla pallida sopra i mattoni rossi dei poveri vecchi, appena nascosti da svergognate affissioni di politici bolliti e di Winx seminude.

Se tutto questo già è straniante, aspettate di vedere l’interno: perché in quel mondo nascosto di mattoni rossi, sospeso tra l’ospedale e il dimenticatoio, sta una realtà improbabile quanto poetica, fatta di anziani, di disabili e persino di anziani disabili. Capita così di trovare dietro un angolo, in una stanza che fu di degenza, una vera balera; un eccezionale ballo a palchetto alle tre di un pomeriggio feriale. L’età minima per varcare la porta è sui settantacinque, eppure, da fuori, si può rubare uno sguardo: ballano bene, e sembrano ancora innamorati.

Francoforte, oggi, è verde scura: le foreste attorno all’aeroporto sono rossicce e bagnate, e ti verrebbe da cercare presto un caminetto. Invece ci scaricano a metà dell’infinito corridoio A, e mi tocca lottare sui tapis roulant e poi intasarmi nell’ascensore; il tunnel lisergente dai colori artificialmente cangianti, per cui questo aeroporto è famoso, oggi è ancora peggio del solito. Rimaniamo intampati dietro a una famigliola con bambini: il genere di passeggero che l’industria definisce VFR, che ufficialmente significa “visiting friends and relatives”, ma che nel gergo taluni interpretano come “very frightened and rambling”. Vallo a spiegare al bambinetto irrequieto e al genitore che non capisce dove andare, che stanno bloccando una fila di almeno una decina di businessmen spazientiti che sanno quel percorso a memoria!

La lounge è pure peggio: non è più il Senator di una volta, ormai c’è più spazio nella metro di Londra che nelle sale Lufthansa di prima classe. Però, oltre a spararmi in vena un intero bretzel, mi godo i telegiornali tedeschi: tra il konjunkturpaket e la chiusura di Tempelhof, spunta un servizio su come fare Halloween da professionisti, con tanto di interviste a vari “profi-monster”. Non c’è niente da fare, i tedeschi sono così: tutto deve essere scientifico, tecnologico e soprattutto professionale. Qui ancora si ricorda quando la nota casa tedesca di pneumatici Continental scelse come slogan pan-europeo “Supremazia tecnologica tedesca”: a un tedesco sembrava la cosa migliore che si potesse dire di un pneumatico, ma al resto d’Europa faceva venire in mente il rumore di militari e carri armati in marcia all’unisono verso la Polonia, così le vendite non andarono benissimo.

Cairo… cosa si può dire del Cairo: veramente uno dei pochissimi posti dove non avrei voluto venire. Nulla voglio togliere alla meraviglia delle piramidi, al centro storico bellissimo e unico al mondo, e anche alla gentile ospitalità di questo popolo. Eppure vivere qui, anche per pochi giorni, è davvero stressante: il concetto di organizzazione non esiste nemmeno. All’aeroporto le persone che devono aspettarti per aiutarti a passare la frontiera e arrivare all’albergo non ci sono, hanno cartelli sbagliati, faticano a leggere i caratteri occidentali, e appena possibile litigano tra loro per contendersi il piacere di chiederti la mancia. Per passare la frontiera, una volta acquistato il visto al costo di 15 dollari americani (niente carte, niente valuta locale e per pagare in euro devi pregare e poi pagare 15 euro), il tizio prende in mano 15 o 20 passaporti del gruppo e va da una guardia che, dopo un po’ di discussione, fa passare tutti senza nemmeno aprire i documenti, contando semplicemente che numero di persone uguale numero di passaporti. Dopodiché la navetta gratuita promessa dall’organizzazione non c’è, o meglio c’è ma è parcheggiata in fondo allo spiazzo, in mezzo a un cantiere abbandonato, e gli autisti non ci sono, e comunque se ci fossero sarebbero stati corrotti da quelli delle limousine in modo da forzarti a prendere quelle.

Quindi attraversi la strada rischiando la vita e ti infili alla bell’e meglio in una macchina, con cui ti portano alla sede del convegno: un albergone a 20 chilometri dal centro, nel bel mezzo di un centro commerciale. E’ come se avessero preso l’Auchan di corso Giulio Cesare e ci avessero messo accanto un albergo, però con attorno palazzi di cemento cadente, niente verde e tutto dieci volte più squallido. E quando finalmente riesci a fare il check-in, dopo dieci minuti che sei in camera, nonostante tu abbia affisso fuori il segnale di non disturbare, entra un addetto senza bussare e ti porta dalla lavanderia un vestito e delle camicie non tue – e non parla mezza parola d’inglese per farglielo capire. Ah, e la rete dell’albergo funziona per dieci minuti, poi si pianta troncando i pacchetti di brutto, ma se stacchi e riattacchi il cavo (niente wi-fi) riprende a funzionare per altri dieci minuti.

Non so, spero di non sembrare snob; il problema, come dicevo, è che già essere in giro è pesante, se di fatto sei prigioniero in un posto del genere diventa poco piacevole. Ma forse è solo la stanchezza del viaggio.

[tags]torino, francoforte, cairo, viaggi, lufthansa, continental, tempelhof, autunno, vecchi[/tags]

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giovedì 30 Ottobre 2008, 12:10

Giovani limoni e radici secche

Non pensavo di ritornare subito sul rapporto tra imprenditori e tecnici dell’ICT, nonostante assista regolarmente a perle su perle: l’ultima è una azienda dot com che, pur avendo come unico prodotto un sito web, per scelta non ha un sistemista: infatti il ragionamento è stato “diamo da fare l’installazione dei server in outsourcing, tanto dopo che li abbiamo installati un sistemista non serve più”. Alle richieste di assumere un sistemista, anche solo part time o su chiamata, l’azienda ha risposto sempre di no, perché era una spesa non necessaria. Poi, al primo serio problema con server che si piantano e sito malfunzionante, la reazione del management è stata non di chiamare un sistemista di corsa sperando di trovarne uno, ma di cazziare ancora di più il reparto sviluppo – peraltro composto di un neolaureato e di uno stagista, e che va avanti a forza di serate fino alle 22 e ferie negate per tutta l’estate – perché non era in grado di risolvere il problema sistemistico.

Questo genere di situazione è la punta dell’iceberg costituito da un problema molto più grave: perché, nonostante l’ICT sia uno dei pochissimi settori che possono ancora reggere l’economia di un paese sviluppato, praticamente nessuna azienda italiana dell’ICT ha successo su scala globale, e quelle che reggono lo fanno in buona parte solo su scala nazionale e solo grazie a commesse ricevute per amicizia (quando non per stecche) da pubbliche amministrazioni o manager amici?

La mentalità dell’imprenditore italiano medio è ristretta: se gli date in mano un budget di 100 con cui fare una nuova impresa, lui allocherà 80 a se stesso, al proprio SUV e al telefonino fico, e poi coi 20 rimasti cercherà di assumere (anzi, di non assumere) collaboratori vari, stagisti, consulenti e personale vario, selezionato esclusivamente perché costi poco. Conosco personalmente più d’un piccolo-medio imprenditore che parla dei propri dipendenti con il nomignolo di “carne da macello” o “scimmie ammaestrate”, magari adottando esplicitamente la tattica di prendere una persona in stage promettendo una assunzione, tenerla sottopagata o gratis finché non si stufa, e poi prenderne un’altra.

Purtroppo, nell’ICT questo non funziona: il lavoro dei tecnici è un lavoro ad alta densità di conoscenza, che non può essere programmato come quello di un operaio. Specialmente se ciò che si crea è innovativo, non si può sapere in anticipo quando sarà finito, e nemmeno se lo si riuscirà a fare e come; in questa situazione, l’investire su una persona, il qualificarla, il tenersela – evitando così i costi, che quasi nessun imprenditore considera, di inserire nuove persone e di doverle formare da capo – è vitale per il successo dell’azienda, a tutti i livelli; le persone non sono intercambiabili.

Sperare di competere globalmente nell’ICT con aziende piene di stagisti e giovani-limone, da spremere fin che ce n’é, è pura utopia: è chiaro che l’Italia, con questo approccio imprenditoriale, non andrà mai da nessuna parte. Alla fine, però, nel malato sistema economico nostrano le cose comunque vanno avanti: tanto le commesse arrivano raramente per via della qualità dei prodotti e dei servizi dell’azienda, e arrivano più spesso per capacità commerciali o direttamente per amicizie. Tanto, dall’altra parte c’è spesso un’altra azienda piena di giovani limoni, che per carenza di competenza non è in grado di capire la qualità del prodotto informatico che sta comprando.

Anzi, probabilmente nemmeno gliene frega, dato che esistono molti giovani limoni che provano piacere a farsi spremere per poche lire, ma solo per qualche anno di inizio carriera; poi tutti i giovani italiani imparano che alla fine la via migliore per il successo è lavorare il meno possibile, stare al proprio posto e leccare sederi. E quindi, se il capo vuole quell’applicativo inutile e pieno di bachi perché il commerciale è suo amico, vada per quell’applicativo inutile e pieno di bachi.

Stringi stringi, il punto fondamentale è sempre lo stesso: la mancanza di meritocrazia e di capacità in tutta la nostra società, evolutasi addirittura nel disprezzo per la meritocrazia e per la capacità stessa. Certo che è difficile immaginare un modo con cui questa mentalità possa cambiare… eppure, non dimentico la lezione della mia visita africana: a forza di non irrigare il terreno, prima o poi le radici seccano, e presto i limoni non avranno più nemmeno il succo.

[tags]italia, informatica, lavoro, economia, aziende, imprenditori, meritocrazia, ict[/tags]

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mercoledì 29 Ottobre 2008, 14:46

We Train Italy, wellcome from us

Da qualche tempo, nel generale marasma dei lavori di Milano Centrale, sono comparsi dei cartelli per aiutare gli utenti ad uscire: c’è il rischio infatti di non riuscire a trovare il modo di arrivare all’esterno. I cartelli sono bilingui, e si comincia con l’italiano:

“Si informa la gentile clientela che in attesa del completamento dei lavori della Stazione Centrale, per la discesa è possibile utilizzare, oltre alle nuove rampe mobili, gli ascensori posti all’interno della Sala d’Attesa nei modi previsti dalle rispettive norme d’uso.”

Insomma, manca una virgola dopo il che, però alla fine si capisce, anche se ci si chiede come sia possibile utilizzare degli ascensori in modo irrispettoso delle norme: salendo sul tetto? Giocando ad andare su e giù?

Comunque, purtroppo a Trenitalia (anzi, a Grandi Stazioni, o qualsiasi sia la società del gruppo FS che si occupa della cosa) hanno pensato bene di riportare subito dopo il messaggio tradotto in inglese, a vantaggio dei turisti internazionali. Quindi, eccolo qui in tutto il suo splendore:

“Waiting for Stazione Centrale renovation works ending, customers are informed that, to reach ground floor, it is possible only use of lateral stairs, waiting room’s elevators or moving escalator in Ovest side of the station according with respective regulation.”

Che dire? Mi piacerebbe sapere di chi sia parente quello che è stato pagato per scriverlo.

P.S. Nonostante la sfiducia dei lettori milanesi di questo blog, ieri sera sulla 91 sono comparsi due controllori e mi hanno chiesto il biglietto.

[tags]treni, trenitalia, milano, milano centrale, inglese, traduzioni[/tags]

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martedì 28 Ottobre 2008, 16:33

Lo sparo

Stamattina non mi ha sorpreso più di tanto leggere sul blog di Flavia Amabile – uno di quei casi di blogger per cui ti chiedi “ma ogni tanto troverà anche il tempo di lavorare?” – che su Facebook è partita una campagna, già con oltre mille adepti, per uccidere Berlusconi. Per carità, posso immaginare che tutto ciò sia soltanto uno scherzo; si sa però che lo scherzo non è altro che una versione depotenziata della realtà, e che nessuno scherzerebbe sull’uccidere Berlusconi se sotto sotto non sperasse che succedesse davvero.

D’altra parte, mentre all’ora di pranzo pedalavo sul cavalcavia di corso Sommeiller, mi ha colpito una grossa scritta rossa, tracciata con lo spray sullo sfondo di uno dei grandi cartelloni pubblicitari che guardano la salita. C’era scritta una serie di cose, seguite da minacce a Sacconi, a Berlusconi e alla Marcegaglia, concludendo con l’ovvia stella a cinque punte. Per carità, una cosa è disegnare stelle a cinque punte e una cosa è pensarle davvero, ma le morti di Biagi e D’Antona non sono poi così lontane.

Persino davanti alla piazzetta del pranzo politecnico, all’incrocio tra via Vigone e via Monginevro, una mano sconosciuta ha versato con uno spray nero un bestemmione, che non riporto per rispetto dei miei lettori cattolici. Una bestemmia scritta non è una bestemmia istintiva, di quelle che vengono fuori a molti nell’incazzatura del momento; una bestemmia scritta in un luogo pubblico è desiderio di colpire, di offendere, insomma è uno sparo a salve.

Gli spari a salve non vengono solo dagli scontenti: basta distillare l’umore di molti commenti alla protesta della scuola e dell’università. Forse voi, bazzicando questi ambienti, avete l’impressione che l’Italia sia avvolta da una protesta ampia e dilagante, ma non è così: o meglio, dilaga la protesta contro la protesta. Se il Rettore dice che non manderà la polizia a sgomberare le aule, sono pronti mille italiani medi a invocare legge e ordine a colpi di manganello. Paradossalmente, non interessa nemmeno valutare le ragioni della protesta, anzi nemmeno conoscerle. Ciò che interessa è che la protesta finisca; spesso addirittura per un senso di disfacimento e rassegnazione, per un “credi che io stia meglio? eppure sto zitto al mio posto” che molti pensano, arrivando a rovesciare le prospettive a considerare arrogante e pretenzioso chi chiede soltanto un mondo migliore in cui vivere.

Sui nostri media controllati e censurati, la rabbia trova sempre meno spazio; trova invece spazio la paura, che è funzionale ad aumentare le schiere di coloro che reclamano repressione indistinta, non solo dove ci vorrebbe – verso i criminali, verso gli spacciatori, e aggiungiamoci magari gli evasori e i corrotti, che non li cita mai nessuno – ma anche verso qualsiasi opinione diversa da quella del potere. I meccanismi bastardi del potere sono molti, ce li ha spiegati Cossiga a chiare lettere soltanto la settimana scorsa; ma quando la protesta diventa impossibile, quando viene repressa senza ascoltarla e senza concederle spazio per canali democratici, a chi dissente resta una sola cosa: lo sparo.

Se le premesse sono queste, mi chiedo anzi come mai lo sparo, in questo duemilaotto senza speranza, non ci sia ancora stato.

[tags]italia, politica, democrazia, terrorismo, protesta[/tags]

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lunedì 27 Ottobre 2008, 21:32

L’eterna lotta

Oggi ho sentito un manager e un tecnico che discutevano, e ho assistito a una nuova vetta della conflittualità latente che sempre regna nelle aziende ICT: il manager, infuriato per ritardi e bachi di vario genere, ha detto al tecnico “mi spiace solo che non so programmare, se no nel tempo necessario per spiegarti le cose lo programmavo io il sito!”.

E il tecnico non ha nemmeno risposto “prego, allora fai tu”!

[tags]tecnici, manager, ingegneria, aziende[/tags]

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domenica 26 Ottobre 2008, 12:49

Ritorno

Oggi è una bella giornata: il sole splende, la temperatura è piacevole, e sto per andare a mangiare su per i bricchi parlando di politica. Sono arrivato a Caselle ieri pomeriggio tardi, sono stato riaccompagnato a casa, ho aperto la valigia, mi sono rilassato, ho cenato… poi c’è un buco di qualche ora, e non ricordo proprio cosa sia successo. Se qualcuno ricorda qualcosa di ieri sera, quindi, è pregato di non dire nulla.

Colgo invece l’occasione per dare un giudizio culinario su Cagliari: positivo ma con dei distinguo. Infatti la trattoria Lillicu in via Sardegna, zona delle trattorie tipiche, è stata davvero buona, anche se ci siamo riempiti dei soli antipasti; invece i ristoranti eleganti dove ci hanno portato per il convegno erano buoni ma troppo elaborati. Se vi piace la cucina sarda elaborata in modo elegante e costoso, sia il ristorante Flora (tradizionale) che il ristorante Pomata (nouvelle cuisine) sono molto interessanti; quest’ultimo in particolare si è riscattato con una eccezionale bistecca di tonno, cotta fuori e cruda dentro come fosse carne. Però non puoi prendere la commessa di dar da pranzo a centocinquanta persone nella pausa di un convegno e preparare un menu di cinque portate che richiede due ore e mezzo per essere servito; e nemmeno avere un cuoco giapponese e definirti “susci bar” o addirittura “scusci bar”!

[tags]cagliari, cucina, {argomento temporaneamente innominabile}[/tags]

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giovedì 23 Ottobre 2008, 16:39

Frattaglie di Internet governance

1) Il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, usa prendere e inviare appunti scrivendo sui fogli per storto.

2) O’ professore napolitano (minuscolo) in show sulla diversity (diversità culturale, uno dei temi trattati qui all’IGF Italia con un seminario dedicato alla parità tra i sessi in rete): “Io non sopporto quelli che a cinquant’anni costringono la moglie a rifarsi il culo le tette, piuttosto esco e mi faccio io la diversity una volta al mese, almeno così è più onesto!”

3) La conferenza si svolge alla Manifattura Tabacchi, un ex complesso industriale ristrutturato da poco. C’è il wi-fi solo al piano terreno, nella officina-reception, dove tutti stanno seduti ai tavoli digitando sui loro computeroni microsoftici. Solo io, avendo batteria, mi sono messo fuori, al sole e dentro un’amabile brezza, seduto su una panca cubica colorata di blu, con il mio iBook sulle gambe. Passa da dentro Anna Masera, mi vede là fuori seduto con l’unico Apple di tutta la congrega, e mi dice: “Certo che potremmo farti la foto per la pubblicità della Apple: think different!”.

4) O’ professore napolitano (sempre lui, un vero mito) sui vigili di Napoli: “Una volta ho visto due vigili in moto che giravano, poi uno di loro si fermava vicino a un semaforo pedonale dove non attraversa mai nessuno, e dalla moto premeva ripetutamente il pulsante di chiamata pedonale. E io non capivo, mi chiedevo che facesse, poi ho capito: a Napoli nessuno si ferma al rosso di un semaforo pedonale, per cui lui faceva continuamente scattare il semaforo in modo che il suo collega più avanti potesse fare più multe!”.

5) (Non-piemontese, non-falso e non-cortese): “Ma non è vero che qui la stampa non è venuta, prima a pranzo allo stesso tavolo c’era tutto il gotha del giornalismo specializzato italiano: c’era De Biase, c’era Formenti, c’era la Masera e c’ero io!”

P.S. Niente offesa per nessuno; domani scrivo qualche racconto serio…

[tags]cagliari, aneddoti[/tags]

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mercoledì 22 Ottobre 2008, 20:20

Piove, ma il titolo l’hanno già fatto su un altro blog

Il nostro arrivo a Cagliari ha portato buono: infatti stamattina sulla città si è scaricato un temporale alluvionale che ha devastato tutto, bloccando ovviamente il traffico aereo. Il nostro volo da Linate, partito già con mezz’ora di ritardo, ha passato un’altra ora a girare in tondo sulla città aspettando che l’aeroporto venisse riaperto: a un certo punto ci hanno detto che l’aeroporto prevedeva di riaprire entro quindici minuti, e che noi avevamo carburante soltanto per altri venti. Spero che intendesse dire “prima di dover girare e andare ad atterrare a Olbia”, ma per fortuna non ho dovuto scoprirlo sul serio. A noi comunque è andata bene; quelli che partivano col primo aereo da Roma sono arrivati nel primo pomeriggio, e alcuni relatori sono arrivati ora, giusto in tempo per la cena.

Comunque, all’arrivo ci hanno fatto uscire dalle partenze, perché il piano terra, quello degli arrivi, era completamente allagato; ci hanno consegnato i bagagli a mano uno per uno… La prova della situazione (e quello era il primo piano) sta sul blog di Stefano Quintarelli: io ero accanto a lui ma non ho potuto fare la stessa foto, perché il mio magico telefonino ha cominciato a insistere che prima di scattare una foto doveva assolutamente sintonizzarsi sul GPS per memorizzare la posizione in cui la facevo, però se volevo potevo fare un video da mandare in MMS. Grazie, Windows Mobile!

[tags]cagliari, igf italia, pioggia, aerei, maltempo[/tags]

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martedì 21 Ottobre 2008, 15:57

Twit-post

Non preoccupatevi, non sto male; sono solo molto molto occupato (ottobre e novembre sono mesi ad alta densità). Sto per andare a prendere un treno per Milano, poi da domani a sabato sarò a Cagliari per IGF Italia & Dialogue Forum on Internet Rights II, se qualcuno è in zona faccia pure un salto, specialmente ai miei workshop :-)

[tags]cagliari, igf, carta dei diritti della rete[/tags]

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domenica 19 Ottobre 2008, 21:43

Le nuvole d’autunno

Passare un fine settimana in montagna, d’autunno, è meglio ancora che farlo d’estate o d’inverno. D’autunno la natura è bellissima: gli alberi hanno qualsiasi colore, dal giallo al beige all’arancione al rosso, oltre naturalmente al verde e al marrone. L’aria è piena di profumi di pini e umidità, mentre gli animali si godono l’ultimo sole prima di prepararsi per l’inverno o di scendere a valle. E poi, fuori non c’è nessuno: chissà perché, le torme urbane hanno deciso che la montagna merita una visita soltanto d’estate o d’inverno. E invece, questo è uno dei periodi migliori.

Eravamo così da soli, gli unici di un intero villaggio di un centinaio di appartamenti, insieme alla vecchia Panda scassata del custode. O meglio, ieri pomeriggio c’è stata una apparizione: di colpo, nel piazzale davanti al bar, sono comparse delle Porsche Carrera. Ma non una, non due, almeno una dozzina; va a sapere cosa ci facessero lì, probabilmente un raduno. Sono sparite presto, ad ogni modo. Non appartenevano al luogo.

E così, si rimane soli, dentro il caldo della casa, a guardar salire le nuvole. Ci sono intere giornate, d’autunno, in cui la casa è immersa nelle nuvole, tanto da parer quasi il finale di Solaris. Invece, si è semplicemente isolati in una coltre di vapore che sale dalla valle, persi nel grigio e nel nulla, e quindi di fronte soltanto alla luce emessa da se stessi. Non c’è Internet, non c’è rumore di auto o di aerei, non c’è nessuna traccia di civiltà; soltanto, finalmente, natura.

E’ difficile, al giorno d’oggi, mantenere il senso della propria naturalità; allontanarsi dalla città aiuta. Anche rapportarsi con gli animali aiuta, purché non siano i cani e i gatti cittadini, nevrotici persi, che di naturale hanno ben poco; preferisco piuttosto le mucche o gli stambecchi. Entrare nel bosco è ancora meglio: si capiscono secoli di favole apparentemente inspiegabili; si capisce la magia che genera quel dedalo di alberi, dove perdersi è non solo facilissimo, ma doveroso.

Eppure, il fatto che in questo sabato d’autunno fossimo soli, là, in mezzo alle nuvole, dimostra che pochi apprezzano l’idea di trovarsi faccia a faccia con la (propria) natura. Ho come il sospetto che molti, anzi, ne abbiano paura.

[tags]montagna, bosco, autunno, natura, nuvole[/tags]

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