Uè, figa
Da ieri, lo confesso, sono un po’ milanese anch’io. E’ che Elena ha preso casa a Milano, e dopo infinite vicissitudini ieri sera l’abbiamo inaugurata; gli impegni lavorativi sono i suoi, ma è probabile che ci capiti anch’io, una sera o due ogni paio di settimane.
Noi torinesi amiamo sbeffeggiare Milano: già il nome della città sembra scelto apposta per permettere grevissimi giochi di parole sul mio buco del culo, tipo GiraMilano, PulisciMilano, LeccaMilano eccetera. Il massimo divertimento per noi è la praticità ingegnosa dei milanesi: dove altro troveresti un tizio la cui casa dà sulla ferrovia che appende sul balcone uno striscione tutto bello stampato a laser con scritto “EUROSTAR… PER FAVORE FERMATE PRIMA DEL PONTE”? In compenso, alle fermate dell’ATM le deviazioni sono scritte a pennarello, con grafia da quinta elementare; noi almeno c’abbiamo la stampante, e spero che Chiamparino valorizzi questo fondamentale asset nella prossima svendita all’ATM (pardon, “fusione alla pari”) del nostro GTT.
E poi, i bus di Milano hanno una cosa geniale. Invece di aprire le porte a ogni fermata, ci sono sia fuori che dentro dei pulsanti in modo che ognuno possa aprirsele da sé, solo se serve: sai che risparmio! E’ però indicativo il fatto che abbiano messo i pulsanti di apertura sia dentro che fuori anche sulle porte da cui si dovrebbe solo salire o solo scendere: così, se devi infrangere la regola, puoi farlo con maggior comodità . Fai solo attenzione, perché appena scendi sul marciapiede potresti essere investito dai ciclisti che vi circolano, dalle auto che vi stanno parcheggiando o dagli scooter che, percorrendo normalmente le corsie preferenziali, deviano un attimo sulla zona pedonale per sorpassare i bus in fermata.
Comunque, stringi stringi, si avverte subito che Milano è un altro mondo: sorprendentemente, qui non regna quel senso di decadenza, miseria e prossima apocalisse che permea Torino ormai da decenni. Pare quasi che qui le persone pensino di avere un futuro, e per noi è una sensazione davvero sconvolgente.
Come prima serata in questo mondo alieno, facciamo l’unione dei locali da noi già conosciuti e poi l’intersezione con la zona centro: se si esce, almeno andiamo a far lo struscio. Un dritto e morbido cinquantaquattro pieno di puzza di cingalese sporco (a scanso d’equivoci ribadisco cingalese sporco e non sporco cingalese) ci porta così fino in via Larga alla pizzeria Flash, locale intitolato non si sa se alla velocità del servizio (effettivamente notevole), al personaggio dei fumetti o al leggendario quiz con Mike Bongiorno. Le pizze base costano 7-8 euro invece dei 5-6 di Torino, idem la pasta, ma alla fine ce la caviamo con 27 euro senza scontrino fiscale. Io avevo la media chiara e quindi mi esalto.
Prendiamo piazza Duomo dal lato dove pisciano i barboni, e anch’io mi adeguo: desidero unirmi a questo eccitante clima di prossima ricchezza e di grandi possibilità , e proclamo quindi la mia intenzione di salire su tutti i pinoli della piazza per gridare “Libertà ! (prooot) Libertà !”. Dando libertà sia al mio corpo che al mio cervello, intendo compiere un’opera d’arte estetico-provocatoria degna di un finanziamento dell’assessore Alfieri. Elena, invece, non afferra cosa io intenda per “pinoli”, nonostante gliene indichi alcuni che si rivelano però essere vacui, cavi e inutili cestini della spazzatura. Aggiungo esempi da tavola di nomenclatura, “i pinoli delle statue”, “i pinoli della seggiovia”, ma niente. Alla fine, anche in piazza Duomo l’estetica dannunzian-scorreggiona, simbolo dell’Italia da bere, esce sconfitta, nonostante sui bus campeggino perentori proclami di una “FESTA DELLA LIBERTA’ – BERLUSCONI – FINI” (presumo si parli di libertà condizionata).
Per sentirci più a casa andiamo da Grom, non senza esserci chiesti perché ci siano sedi del Credit Suisse a mazzi e che razza di banca sia la Banca Cesare Ponte. Qui almeno non c’è coda, però il gelato è lo stesso di Torino, ma costa mezzo euro in più; e inoltre, sommo insulto, hanno finito lo zabaione. Cioè, parliamone: chi diavolo può chiedere lo zabaione in piena Milano, se non un piemontese in trasferta? Ditemi pure che non l’avete mai avuto perché qui nessuno lo apprezza, no? E poi che razza di gelateria artigianale siete, se quando finite un gusto dovete aspettare che ve lo riportino?
Per finire, torniamo giù per la galleria, al centro della quale – e insistono che sia un ottagono, pur se il centro è un punto, per cui non ha forma né dimensioni – c’è un’adunata di pessima musica sotto la sconcertante insegna “Franco Nisi incontra i Modà ”, presentata come se fosse ovvio di chi si parla. Sul palco, almeno a un primo sguardo, c’è un tamarro da antologia che canta canzoni da napoli, accompagnato da alcuni giovanotti firmatissimi. Ma non potevano incontrarsi da qualche altra parte? In piazza Duomo, in compenso, c’è una balera romena. Ora, non ho nulla contro la Romania, ma ha veramente rotto le scatole, visto che c’era una balera romena pure domenica in piazza Castello a Torino, con l’aggravante che invece di liscio romeno eseguivano una cover della musichina dell’Ultimo dei Mohicani. Ma non si può avere almeno ogni tanto un po’ di musica nostrana, di qualsiasi genere purché prodotta a meno di duecento chilometri dal Po?
Chiudiamo con un avvistamento: sempre in piazza Duomo, c’è una Feltrinelli dentro un autogrill, oppure un autogrill dentro una Feltrinelli, non è chiaro. La Feltrinelli è al piano cantina e puzza di fogna; Elena guarda i libri e a me verrebbe voglia di rendermi utile, che so, mettendomi lì davanti alla pila di copie del nuovo libro postumo della Fallaci ad aggiungere col pennarello sulle copertine tutte le i che mancano. Però la libreria è enorme, mica come la stiva pigiata che abbiamo noi in piazza Castello a Torino; e poi vuoi mettere la voglia di cultura che ti viene dopo una rustichella? Ma è tutta Milano ad essere cheappissima: in galleria di fronte al Savini c’è McDonald’s e in piazza Duomo campeggia una gigantesca pubblicità non di Prada o di Bvlgari, ma di un cappotto a trenta euro. Fa strano che non si scandalizzino.
In un dedalo di strade marmoree il cinquantaquattro ci riporta sul dritto, e poi a casa, quasi al fondo di viale Argonne. Questo è il posto più interessante, una serie di viuzze che sembrano congelate negli anni ’60, dove c’è tuttora un verduriere (un verduriere! e non ricostruito in un museo, ma vero e in piena azione!) e un Caffè Jesi ad un angolo da cui non passerà mai nessuno, coi tavolini di formica, l’insegna di lettere al neon e gli arredi rigorosamente fermi ai tempi delle figurine di Facchetti. E’ strano, perchè a Torino non è praticamente rimasto nulla di tutto questo; sulle vecche viuzze di periferia incombono i palazzoni di cartone di Franco Costruzioni, al posto delle fabbriche c’è una colata di cemento olimpica dietro l’altra (tutte già quasi in disuso) e verdurieri e latterie sono stati sterminati dalla politica di una Città Mercato (Fiat) qui, uno Sma (Fiat) là , un Auchan (joint venture Fiat-francesi) lì dietro e così via. Pensa, mi sa che adesso siamo noi la città senz’anima.
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