I diritti di chi usa Facebook
Casi come questo sono sempre più frequenti: persone normali e rispettabilissime, talvolta anche piuttosto conosciute, che da un giorno all’altro, senza preavviso, si ritrovano bannate da Facebook – l’account chiuso, i contatti dispersi, le foto e i video cancellati. E senza nemmeno sapere perché: tutti i tentativi di contattare qualcuno tra i gestori del servizio non vanno a buon fine, vengono ignorati o ricevono soltanto risposte generiche e preconfezionate.
Questo genere di comportamento è, per chi lo subisce, un danno notevole; anche economico, per chi con la rete ci lavora. Le condizioni legali del servizio tuttavia lo permettono; e non sono pochi quelli che giustificano questi episodi dicendo “in fondo è un servizio gratuito”.
Rispondere così, tuttavia, significa non aver capito l’economia dei social network; un’economia in cui il prodotto di una azienda come Facebook, Youtube o simili non è altro che l’insieme degli utenti stessi. Facebook guadagna vendendo persone profilate e comunicazione alle persone stesse; semplicemente usando Facebook, tu stai lavorando per loro. Addirittura, quando l’azienda viene venduta, il suo valore viene determinato anche moltiplicando il numero degli utenti per un “reddito atteso per utente”: questa metrica era comunissima ai tempi della new economy, dove alcune aziende passarono di mano per cifre di alcune centinaia di dollari per utente registrato.
Tempo fa, in una conferenza internazionale a Berlino, mi trovai in mezzo a una interessante disquisizione proprio su questo tema: è giusto che chi possiede queste aziende “monetizzi” gli utenti e i loro contenuti senza riconoscere loro una parte dei proventi? In una visione marxista classica, gli utenti di Facebook potrebbero benissimo essere equiparati ad operai sfruttati, e dovrebbero arrivare a possedere la “fabbrica”. Ma è questione di valore, e si può anche pensare che lo scambio quando funziona sia equo: io ti do la mia vita sociale e tu mi dai una piattaforma di comunicazione gratuita. Tuttavia, questo non vuol dire che gli utenti non debbano avere alcun diritto, e che debbano essere ostaggio del gestore della piattaforma.
Al contrario, specialmente nel momento in cui una piattaforma come Facebook acquisisce una posizione fortemente dominante nel suo segmento, essa dovrebbe acquisire anche doveri di equità , rispetto e accesso universale. Escludere qualcuno da queste piattaforme può alterarne significativamente le opportunità sociali, culturali, professionali, politiche: che ciò venga fatto senza regole, senza trasparenza, con meccanismi automatici piuttosto balordi, e senza possibilità di appello, è francamente inaccettabile. Per non parlare dei rischi per la privacy, delle possibilità di censura (Facebook è attualmente la principale fonte di notizie non censurate in Italia, ma per quanto?), delle violazioni di ogni genere che, senza un controllo e una regolamentazione attiva da parte di chi rappresenta il pubblico interesse, i gestori potrebbero mettere in atto.
Certo, a guardare l’Italia di oggi, già si sa che una eventuale regolamentazione di Facebook andrebbe nell’ottica di limitare la libertà degli utenti piuttosto che garantirla: forse è meglio scamparcela. E però, a livello internazionale da anni abbiamo sollevato il tema della Carta dei Diritti della Rete, sotto la guida illuminante di Stefano Rodotà . Più la rete si evolve e più ne aumenta il bisogno.
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