Marchionne, il sindacato e l’assenza di futuro
Sabato pomeriggio sono andato al presidio che la FIOM ha organizzato in piazza Castello per spiegare le ragioni del no all’accordo di Mirafiori. Abbiamo voluto esserci per dimostrare la solidarietà ai lavoratori (non tanto al sindacato in sé, istituzione la cui versione italica io non amo proprio), e nel frattempo io ho girato qualche immagine che vi lascio qui sotto.
Personalmente trovo l’accordo di Mirafiori scandaloso innanzi tutto nel modo in cui è maturato; è un ricatto con cui Marchionne dice “o lavorate a condizioni sempre peggiori o io chiudo le fabbriche italiane” (e non è detto che tra le due strade speri nella prima). Scandaloso, più ancora il fatto che Marchionne “ci provi”, è il fatto che il Paese si chini a novanta; che non ci sia una controparte seria in grado di giocare non in difesa, ma in attacco.
Già , perché il famoso progetto Fabbrica Italia, almeno per quanto riguarda Mirafiori, non mi convince proprio: che futuro può avere uno stabilimento che dovrebbe produrre SUV americani su licenza? E’ questo, secondo Marchionne, il veicolo del futuro, o è un modo per trascinare Mirafiori ancora per qualche anno in condizioni sempre peggiori, stile ThyssenKrupp, in attesa di poterlo chiudere per sfinimento?
Una delle cose più interessanti che ho fatto sabato è stata chiacchierare un po’ con un operaio dello stampaggio di Mirafiori. Mi ha detto più o meno “qui ci limano turni e pause perché saremmo troppo poco produttivi, eppure nel mio reparto il macchinario più recente ha almeno vent’anni e molti ne hanno quaranta; per cui, se in Volkswagen cambiano stampo in dieci minuti, noi ci mettiamo tre ore, periodo in cui la produzione resta ferma. Visto che ora la produzione è sempre più just in time e a piccoli lotti, questo vuol dire che per molto tempo la linea è improduttiva; ma non dipende dai lavoratori, ma dal fatto che la Fiat non ha mai investito per aggiornare tecnologicamente lo stabilimento”.
Ovvero, condizioni cinesi: io quest’estate ho visitato lo stabilimento Volkswagen di Shanghai e lì non ci sono robot o macchinari moderni, solo miriadi di operai con saldatori e persino cacciaviti in mano, come negli anni ’50. Evidentemente questo è il futuro che Marchionne ha in testa per le fabbriche italiane.
E qui, come dicevo, arrivano le magagne del sindacato: perché il sindacato ha passato gli ultimi trent’anni con la testa nella sabbia, confondendo la difesa dei lavoratori con la conservazione dello status quo, grazie a cui i sindacalisti hanno goduto di privilegi personali; e arrivando a difendere anche le inefficienze, come se il problema della competitività internazionale non si ponesse mai, come se non fosse inevitabile che in una fabbrica di auto arretrata e con prodotti poco competitivi presto non ci sarebbero stati più soldi per tutti, e che i tagli sarebbero stati scaricati sui lavoratori.
Io avrei voluto che fosse il sindacato a chiedere alla Fiat un piano industriale adeguato alla mobilità del “post petrolio”, basata su veicoli energeticamente efficienti e non inquinanti (e su una diversificazione verso settori attigui, come la cogenerazione) e su uno spostamento verso il trasporto pubblico e collettivo. La Fiat che idee ha per affrontare questa prospettiva? Apparentemente, nessuna. E la FIOM? Beh, temo, anche. E’ questo – non i dieci minuti di pausa di operai che peraltro lavorano già 40 ore settimanali contro le 35 dei tedeschi – che fa la differenza sulla competitività futura della nostra industria automobilistica.
A tutto questo si aggiunge però un altro scandalo, quello dell’ingiustizia sociale. Se l’Italia deve accettare sacrifici per recuperare competitività , li devono fare tutti. Non è accettabile che si peggiorino le condizioni di vita e di salute degli operai mentre Marchionne guadagna 120 milioni di euro con le sue stock option, tassate perdipiù al 12,5%. A me piacerebbe fare il conto di quanti soldi ha dato alla Fiat la collettività con la cassa integrazione, con gli incentivi alla rottamazione, con le regalie tipo l’acquisto delle aree TNE (60 milioni di euro) o la svendita dello Stadio delle Alpi a scopo di centro commerciale. Facendo i conti, potremmo scoprire che Mirafiori in realtà dovrebbe già essere nostra.
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