Mirafiori, sognando Hammamet
Io, ad Hammamet, ci sono stato anni fa: ci stavamo solo di notte, alloggiati lì per la grande conferenza ONU che si teneva a Tunisi. La Tunisia era un sultanato ordinato, pieno di viali di palme e asfalto nel deserto, se non fosse che Internet era filtratissima, che ovunque c’erano gigantesche facce di Ben Ali, e che io avevo dovuto offrirmi come scudo umano europeo in uno scontro tra la polizia e una associazione dissidente locale. (Ma non pensate che il resto del Nord Africa sia diverso: l’ultima volta che sono stato al Cairo, in una via laterale del centro, improvvisamente erano partiti gli scontri – non si sa nemmeno con chi e perché – e tutto era stato bruciato e raso al suolo, per poi ritornare spettralmente calmo in mezz’oretta.)
Non so come sia Hammamet oggi, penso come il resto della Tunisia: terra bruciata che esulta, all’alba di un dittatore fuggito (presumo perché scaricato da chi può, non fatevi illusioni sulle rivolte popolari).
Per il risultato del referendum di Mirafiori, invece, non esulta nessuno: il no ha perso, ma, rispetto ai risultati delle ultime elezioni sindacali della fabbrica, al fronte del sì manca quasi il 20%, e con una vittoria così risicata si annunciano tempi durissimi e scioperi continui. Perdipiù, tantissimi hanno detto di aver votato sì solo per costrizione.
La mia bacheca di Facebook è un fiorire di promesse come “Marchionne ti aspettiamo a piazzale Loreto” (con commento “lo vorrei vedere morto a testa in giu’ e riempirlo di calci e sputi o giocare a palla con la sua testa”) e “fossi quei 421 impiegati mi guarderei bene le spalle ad andare a lavorare e tornare a casa”; sulla bacheca dei viola è ripassato anche il pugno di Lotta Continua. Non a caso, stamattina è arrivata pure una nota di Bifo Berardi, fresco fresco dal ’68, che detta la linea: “dai tunisini dobbiamo imparare come si fa” perché “le formalità della democrazia ora non debbono interessarci più”.
Io, a questo, non ci sto; non voglio un agghiacciante ritorno degli anni ’70, delle gambizzazioni dei quadri Fiat e della “lotta extraparlamentare”, con conseguente e inevitabile nuova marcia dei quarantamila e altri trent’anni di craxoberlusconismo. Io sogno Hammamet: sogno una rivoluzione pacifica, attraverso i processi nei tribunali e la mobilitazione nelle piazze, che spinga la nostra classe politica ad andarsene in esilio, mentre noi realizziamo il progetto di pace e di giustizia che abbiamo in mente.
Quello che abbiamo visto a Tunisi può esaltare la rabbia, l’aggressività frustrata; lo capisco. Ma non è giusto lasciarsi andare, nemmeno a parole. Come dimostra il movimento No Tav, la lotta può essere dura senza arrivare alla violenza contro le persone; perché in democrazia la forma è sostanza; perché chi conquista il potere con la violenza raramente lo lascia con la democrazia.
[tags]mirafiori, torino, tunisia, hammamet, rivoluzione, terrorismo, lotta continua, sindacato, democrazia[/tags]