Domani pomeriggio, o al più tardi lunedì, il consiglio comunale dovrà esprimersi su una delibera che istituisce l’indirizzo fittizio “via della Casa Comunale 3” e lo attribuisce come residenza ai profughi e richiedenti asilo che dimorano abitualmente a Torino, tra cui gli attuali occupanti del MOI (ex mercati generali di via Giordano Bruno). Data la complessità della questione, io vorrei raccontarvela con calma e chiedere un parere al fine di determinare il mio voto personale in consiglio comunale, visto che, trattandosi di materie esterne al programma comunale, non siamo vincolati da una posizione pregressa.
Innanzi tutto, non parliamo di immigrati clandestini, ma di persone che, pur entrate in Italia (spesso coi barconi) senza permesso, sono state riconosciute come profughi o meritevoli di protezione umanitaria, in quanto scappano dalla guerra o dalla fame; oppure sono in attesa di risposta alla loro domanda. L’Italia ha firmato diversi trattati internazionali che la impegnano ad accogliere queste persone, in particolare la Convenzione di Ginevra del 1951 che, al capitolo IV, stabilisce che queste persone hanno diritto a casa, istruzione e assistenza come se fossero cittadini italiani.
A Torino, tuttavia, ci sono centinaia di profughi che non hanno mai ottenuto quanto sopra, arrangiandosi per anni a sopravvivere in qualche modo e spesso stabilendosi in immobili occupati, in condizioni di vita spaventose; i più “anziani” sono passati già dalla Clinica San Paolo di corso Peschiera, poi dalla caserma di via Asti, poi dalla ex sede dei vigili di corso Chieri e adesso dalle palazzine del MOI. Il principale motivo è che la Città si è sempre rifiutata, per anni, di riconoscere queste persone come residenti torinesi, iscrivendole nelle liste anagrafiche; e dato che ogni Comune si occupa del welfare dei propri residenti (italiani o stranieri che siano), se non sei residente in alcun Comune nessuno potrà mai darti assistenza pubblica.
Queste persone sono dunque sopravvissute in un limbo, grazie ad aiuti di benefattori e associazioni varie (es. Banco Alimentare); non avendo la residenza, non hanno nemmeno potuto provare a rendersi autonomi, perché non possono accedere a un lavoro non in nero, iscriversi al collocamento o anche solo mettere un indirizzo su un curriculum. Dare la residenza a queste persone (la Città non sa stimarne il numero, ma solo al MOI risultano vivere circa 450 persone) ha dunque una doppia valenza: da una parte aggiunge alcune centinaia di persone a carico dello stremato welfare comunale, dall’altra però può essere un modo per avviarle all’autosufficienza.
Difatti, la situazione attuale comunque non è sostenibile, per loro e per la città , che vede spuntare ogni tanto un nuovo ricovero di centinaia di sconosciuti disperati, con gli inevitabili problemi di convivenza con chi ci abita vicino, e con la totale incapacità di controllare chi ci vive e cosa succede all’interno, nel bene e nel male; il Comune deve affrontare il problema, e su questo in passato abbiamo presentato più di una interpellanza.
Il motivo esposto dalla Città per non concedere la residenza è sempre stato proprio quello che non la si può dare in stabili occupati illegalmente; punto ribadito per iscritto non più di due mesi fa, in risposta a una nostra interrogazione in circoscrizione 3. Adesso, improvvisamente, l’amministrazione comunale ha invertito completamente la rotta; in commissione ci è stato detto che la Città è obbligata per legge a dare la residenza a chiunque dimori abitualmente sul suo territorio, anche in luoghi occupati, e addirittura che i profughi, tramite avvocati benevolenti, sono pronti a denunciare il Comune per questa inadempienza.
L’urgenza da parte della maggioranza nel far approvare questa delibera starebbe comunque nel fatto che a fine anno scade il permesso di soggiorno umanitario ai profughi della cosiddetta “Emergenza Nordafrica”, ovvero quelli che sbarcarono in Italia nei primi mesi del 2011 allo scoppio della guerra civile in Libia. Queste persone sono state accolte e mantenute per un anno e mezzo, con una spesa complessiva da parte dello Stato (a livello nazionale) stimata in un miliardo e mezzo di euro, che oltre a vitto e alloggio avrebbero dovuto coprire percorsi di integrazione e avviamento all’autosufficienza.
In realtà , è stata una grande abbuffata di fondi pubblici (vedi ad esempio questo articolo o quest’altro), di cui hanno goduto tutti tranne i profughi, ai quali, “finita l’emergenza” lo scorso 28 febbraio, sono stati dati in mano 500 euro a testa per “tornare a casa”. Ovviamente a casa non ci è tornato nessuno, e ora sono tutti accampati qui; se non gli si dà la residenza, a quanto ci è stato detto, non possono lavorare regolarmente né rinnovare il permesso di soggiorno e dunque diventeranno clandestini a tutti gli effetti, da espellere a partire dal primo gennaio.
La concessione della residenza pone problemi non indifferenti, in primis perché va comunque legata alla presenza sul territorio. Persino per i senzatetto, a cui da anni viene data la residenza in “via della Casa Comunale 1”, viene richiesto di fornire l’indicazione di una panchina o di una macchina in cui dimorano abitualmente; se per un po’ di volte i vigili non li trovano, vengono depennati dalle liste.
Pertanto, i vigili dovrebbero poi andare al MOI a controllare se i profughi abitano veramente lì; e ovviamente chi si oppone alla delibera sostiene che i vigili non entreranno certo in un posto occupato da centinaia di persone, magari spalleggiate dal centro sociale di turno, a chiedere i documenti, e quindi che il Comune darà la residenza a chiunque la chieda, compresi profughi pronti a spostarsi a Torino per il tempo necessario da altre città meno disponibili. Va però anche detto che diverse altre città italiane hanno iniziato a dare la residenza ai profughi, magari presso la sede delle associazioni umanitarie.
L’altra preoccupazione di chi si oppone alla delibera è la sostanziale mancanza di fondi per affrontare un nuovo carico di persone sul welfare comunale: la delibera difatti riconosce la residenza, ma non prevede alcun tipo di finanziamento aggiuntivo al welfare. Il problema maggiore è legato alle case popolari: la legge regionale (proposta da Bresso e votata da Cota) attribuisce cinque punti aggiuntivi ai profughi in virtù del loro status, il che, sui 12 che servono per avere la casa, vuol dire che i profughi finiranno in massa davanti a tutti, una volta maturati i tre anni di residenza torinese richiesti dalla legge, e che – visto che ogni anno si rendono disponibili al massimo alcune centinaia di alloggi – per un periodo di uno o due anni nessun altro riuscirà ad avere una casa popolare. E poi naturalmente queste persone entreranno in lista per tutto: collocamento, sussidi, asili e così via.
La prospettiva, in sostanza, è che si scateni una guerra tra poveri, e che il costo pratico e sociale dell’accoglienza dei profughi non venga scaricato, come dovrebbe essere, sulla fiscalità generale e sulle tasche di tutti a partire dai più ricchi, ma vada a pesare solo su quelli che si troveranno scavalcati nelle liste per l’accesso all’assistenza. Non saremo certo noi consiglieri comunali che dobbiamo esprimerci sulla delibera a pagarne le conseguenze, ma saranno i poveri delle nostre periferie (italiani e stranieri) già provati dalla crisi; poveri che, molto spesso, non sono stati mantenuti dalle casse pubbliche per un anno e mezzo e non hanno mai ricevuto 500 euro in mano dallo Stato per fare alcunché.
Per questo, pur condividendo il principio, a me questa delibera sembra inaccettabile perché incompleta; perché un modo serio di affrontare il problema sarebbe quello di avere dei dati su quante sono queste persone, su quale sarà il loro impatto (magari meno di quanto si pensa, chissà ), su quali servizi andranno potenziati, su dove reperire nuove case, su come finanziare tutto questo e su come evitare che vada a discapito di chi c’è già (quando ho chiesto se i nostri servizi erano in grado di sostenere l’afflusso, la risposta dei dirigenti è stata che all’anagrafe ci sono tanti sportelli; non commento per decenza).
Eppure, la delibera è stata presentata per la prima volta martedì pomeriggio, discussa frettolosamente e portata a forza in aula per votarla domani; non c’è stata nessuna disponibilità della maggioranza ad esaminare concretamente il problema. Questo, onestamente, sembra più che altro uno spot natalizio per permettere al sindaco e ai suoi consiglieri di complimentarsi sotto l’albero su quanto sono stati buoni, umani e accoglienti coi poveri profughi.
Io sono favorevole al riconoscimento di un principio di accoglienza per chi fugge dal disastro, a cui comunque siamo tenuti dall’umanità prima ancora che dalle leggi, e all’inizio di un percorso che possa portare queste persone dal degrado all’integrazione, in cui con il loro lavoro e le loro capacità possano ricambiare l’accoglienza, ma sono contrario alle buone intenzioni portate avanti in modo astratto e ideologico, col solo risultato pratico di scaricare i costi dell’accoglienza sui più deboli e di fomentare la rabbia nelle piazze; per questo motivo la mia intenzione è quella di astenermi, presentando inoltre delle proposte per potenziare il welfare in modo che ce ne sia per tutti (ricorderete la nostra mozione sulla casa). Tuttavia, da buon portavoce, ci tengo a dare a tutti voi fino a domani pomeriggio per concordare con me o per convincermi con i vostri commenti a cambiare orientamento.