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Archivio per il giorno 31 Dicembre 2013


martedì 31 Dicembre 2013, 15:16

2013, l’anno della cattiveria

In questi giorni di messaggi di fine anno, di lettere a Babbo Natale e di propositi per l’anno nuovo, io vorrei dedicare due parole a riflettere sul 2013, l’anno della cattiveria.

Non che gli anni prima non fossero stati almeno un po’ bastardi, dato che la cattiveria è un elemento fondamentale dell’animo umano; ma il 2013 ha visto un trionfo, una tracimazione di cattiveria generale, in questo nostro Paese derelitto e dal futuro sempre più difficile.

Certamente pesa in questo giudizio il mio ruolo di cittadino prestato alla politica; mai come quest’anno la discussione politica si è incattivita, e se una volta si parlava spesso in maniera approfondita di questioni di sostanza, e se ne discuteva anche con persone di diversa opinione, adesso la rete è quasi sempre uno scontro continuo; una enorme vasca in cui c’è sempre meno dialogo, e sempre più lotta nel fango.

A sempre più persone non interessa confrontare idee e proposte, interessa urlare più forte degli altri, e se non basta anche insultare e minacciare, senza più ascoltare; ognuno tifa per se stesso e per la propria squadra. Eppure la politica sarebbe l’arte del mettere d’accordo, del trovare soluzioni intermedie che possano andare bene per tutti, e non quella del vincere e sopraffare le opinioni e le esigenze degli altri cancellandole.

In questo scenario anche i rapporti umani passano in secondo piano, e succede persino di vedere vecchi amici a cui un tempo confidavi le cose più intime, ma ora tifosi di un’altra squadra, che vengono da te e cominciano a prenderti a male parole in quanto “grillino” – come se “grillino” o “piddino” o “pidiellino” fossero categorie esistenziali di persone tutte uguali – e magari poi si vantano pure di essere stati cattivi con te.

Ma non succede solo nella politica; Facebook – che, già di suo, è concepito come uno specchio in cui ognuno scrive senza pudore i propri pensieri – è un flusso di coscienza pieno di cattiverie di ogni genere. Non sei d’accordo con me? Non appartieni al mio clan? Muori, possibilmente tra tormenti atroci; succede coi terremotati di Napoli come con la malata pro-vivisezione. Ed è una reazione collettiva, di minoranze rumorose che diventano sempre più consistenti, fuori da ogni possibilità di controllo da parte di qualsiasi autorità, leader o istituzione, che perdipiù scaccia la discussione civile, perché in mezzo agli insulti gli altri se ne vanno e l’argomento del dibattito diventano gli insulti e non la questione iniziale.

Ma perché tutta questa cattiveria? L’Italia è da sempre una repubblica fondata sull’invidia, e spesso su quella negativa, quella che ti porta a sperare che l’altro perda la sua fortuna invece che a cercare di fartene una tua; atteggiamento peraltro giustificato dalla mancanza di meritocrazia, per cui spesso chi ha avuto fortuna non l’ha avuta per merito e chi ha merito non riesce comunque ad avere la fortuna a cui potrebbe aspirare.

Ma da noi si somma ora un altro fattore preoccupante: come disse bene prima di morire Alberto Sordi, il problema non è nascere e vivere poveri, perché i poveri sono abituati ad arrangiarsi e a non sentirsi tali. Il problema è essere ricchi, o perlomeno benestanti, e poi ridiventare poveri; tanto più dopo essere cresciuti in una società che spinge ad associare l’autostima col benessere materiale. E difatti spesso i più rabbiosi adesso non sono i poverissimi, ma quelli dell’ex classe media che perdono giorno dopo giorno il proprio benessere.

E allora? Credo che nessuno abbia veramente una soluzione sottomano; io, questi potenti della politica e dell’economia che hanno veramente in mano il futuro del Paese, me li immagino sempre più preoccupati che si guardano tra loro dicendo “oddio, e adesso che facciamo?”, confidando semplicemente sulla duplice diga della propaganda e della polizia, che però non può reggere all’infinito.

Dopo, c’è chi come noi lavora a porre le basi per l’avvio della ricostruzione; il problema, però, è cosa ci sarà nel mezzo, e quale sarà il sentimento collettivo che segnerà l’anno 2014; già sapendo che, se non riusciremo ad ascoltarci tra italiani almeno un po’, non potrà che essere un anno ancora più cattivo.

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