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venerdì 24 Gennaio 2014, 11:14

Le case dei rom

Da diversi giorni vedo girare per i social network la questione delle “case di lusso col parquet” assegnate ai rom del campo di Lungo Stura Lazio, come mostrato dalle foto e da un articolo di un sito di notizie cittadino.

Va a ondate: prima mi scrivono in venti segnalando che è uno scandalo che si diano le case ai rom quando c’è una famiglia italiana che dorme in macchina e che il Comune ha abbandonato a se stessa, poi mi scrivono altri venti segnalando che lo scandalo è una bufala razzista, dopodiché spesso partono gli insulti e lo scontro tra tifoserie, pro-rom e anti-rom. Come sempre, a me interessa innanzi tutto raccontare le cose come stanno in modo che ogni cittadino possa farsi un’opinione, possibilmente civile e costruttiva, di cui io posso essere poi il portavoce in Comune.

Peraltro, chi segue la mia bacheca Facebook (cosa che vi raccomando se volete rimanere informati) ha già potuto discutere questa faccenda il 7 gennaio, quando è stata presentata al consiglio comunale; e dello stanziamento di cinque milioni per l’emergenza rom vi avevo già parlato ad ottobre.

In pratica, quello che sta accadendo in queste settimane è l’inizio delle attività finanziate con i cinque milioni di provenienza nazionale, affidate a un gruppo di 19 associazioni italiane e romene, dall’Aizo alla Croce Rossa passando per Terra del Fuoco, associazione da sempre al centro delle polemiche politiche in quanto creatura dell’attuale capogruppo di SEL.

Da dicembre, gli operatori hanno censito gli abitanti del campo di Lungo Stura Lazio, che sono circa 850; ce ne sono poi altri 250 nel campo abusivo di corso Tazzoli, che sarà affrontato successivamente. In base al censimento, si decide cosa fare di ciascuna famiglia rom; a ciascuna viene chiesto se preferisce rimpatriare o rimanere a Torino. Chi vuole rimpatriare in Romania riceve sei mesi di sussidio e di assistenza là, grazie alla partecipazione di associazioni romene, e deve impegnarsi a non rientrare in Italia, anche se non è chiaro se e come si farà rispettare questa clausola.

Chi invece vuole rimanere viene aiutato a trovare casa; se ha diritto alla casa popolare, perché residente qui da almeno tre anni, viene aiutato a fare domanda; se ha qualche forma di reddito perché lavora, oppure se gli si può trovare un lavoro tramite un apposito progetto di inserimento, viene sistemato in alloggi a basso costo, come quelli appunto di corso Vigevano, impegnandosi a pagare l’affitto (anche se è previsto un contributo pubblico iniziale e decrescente nel tempo) e le utenze, a mandare i figli a scuola e ovviamente a non delinquere, rendendosi autosufficienti entro due anni. Questi sono i casi più facili da risolvere e quindi quelli che sono partiti subito, ma sono solo una parte; nei prossimi mesi, chi non ha né lavoro né diritto alla casa verrà diretto ad altri campi regolari, man mano che vi si liberano dei posti; e si stanno studiando altre possibilità, come ad esempio quella di dargli cascine da ristrutturare in proprio. In cambio di questo, la famiglia deve anche demolire la propria baracca in Lungo Stura Lazio, smaltendo i rifiuti e assicurandosi che nessuno vi possa subentrare.

Quindi, la notizia delle “case popolari assegnate ai rom” è vera, e del resto vi sono già molti rom nelle case popolari, perché ne hanno diritto in base alle stesse condizioni applicate a chiunque altro; tuttavia, in questo caso non sono alloggi ATC in assegnazione definitiva ma alloggi privati pensati per il “social housing” e assegnati temporaneamente; anche se sono nuove e hanno il parquet, non sono case di lusso ma case pensate per accogliere famiglie bisognose a basso costo; il costo della sistemazione è in parte a carico dei contribuenti e in parte a carico della famiglia alloggiata.

D’altra parte, il campo di Lungo Stura Lazio è una vergogna (già ampiamente documentata) e un problema sia per chi ci vive che per il quartiere; e certo quella situazione non aiuta a ridurre la delinquenza tra la comunità rom, al punto che un bimbo del campo che non vuole rubare deve scrivere e chiedere aiuto e fa pure notizia. Ma se si vuole eliminare il campo bisogna sistemare in qualche modo chi ci abita, perché un semplice sgombero per forza di cose si concluderebbe con la nascita di un nuovo campo pochi metri più in là.

Tuttavia, provo anch’io rabbia e frustrazione all’idea che, stringi stringi, lo Stato italiano trovi casa per una comunità di occupanti abusivi, in gran parte stranieri e privi di qualsiasi voglia di integrarsi o rispettare le nostre leggi, e non la trovi per famiglie nate e cresciute qui e che hanno sempre lavorato e pagato le tasse fin che hanno potuto. Potrei spiegarvi nel dettaglio perché, dal punto di vista burocratico, la famiglia sopra citata non rientri nelle condizioni dell’emergenza abitativa e dunque sia lasciata dal Comune in mezzo alla strada; la realtà è che ormai vi sono case pubbliche sufficienti solo per una famiglia sfrattata su tre e dunque molti in un modo o nell’altro devono essere esclusi.

La soluzione, però, non è perpetuare l’orrore delle baraccopoli e nemmeno far partire una guerra tra poveri, ma recuperare il patrimonio abitativo inutilizzato, sia quello abbandonato che quello costruito e mai venduto, in modo da avere a disposizione case sufficienti per tutti. Noi l’abbiamo proposto da molto tempo, ricevendo sempre risposte negative dall’amministrazione comunale.

Comunque, come sempre, se avete commenti e proposte alternative sono qui per ascoltarle.

P.S. Con la famiglia sfrattata, così come con tanti altri casi disperati che non arrivano sui giornali, siamo in contatto diretto, ma ci mancano i volontari che si occupino di approfondire e aiutare i singoli casi, dunque, piuttosto che girarmi il link all’articolo e chiedermi di occuparmene nei ritagli di tempo di tutto il resto del mio lavoro di consigliere, vi pregherei di farvi avanti e dedicare un po’ del vostro tempo a incontrare le persone che hanno bisogno di aiuto e studiare come dare loro una mano. Grazie!

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2 commenti a “Le case dei rom”

  1. Alberto:

    Capisco non sia facile l’equilibrismo dialettico richiesto per strizzare l’occhio all’elettorato di destra deluso senza alienarsi quello di sinistra, ma a forza di equilibrismi talvolta si cade pesantemente a terra.
    Cosa vuol dire allora: “una comunità di occupanti abusivi, in gran parte stranieri e privi di qualsiasi voglia di integrarsi o rispettare le nostre leggi“. Qual è la comunità a cui fai riferimento? Quella Rom in generale, quella della baraccopoli di Lungo Stura o specificatamente le famiglie che hanno avuto la casa? Nei primi due casi ti ricordo che attribuire comportamenti ad una comunità estesa è operazione sempre estremamente superficiale oltre che scorretta. Visto che siamo italiani dovremmo essere stati abituati dal fastidio che proviamo quando ci sentiamo definiti mafiosi per la nostra sola nazionalità ad astenerci da simili apprezzamenti verso altri gruppi etnici, non credi? Nella fattispecie non ho statistiche specifiche sull’insediamento di Lungo Stura ma mi risulta molti dei suoi abitanti abbiano un regolare lavoro e secondo uno studio recente in generale il 30% degli abitanti dei campi nomadi in Italia ne hanno uno. Se invece la tua accusa di non volersi integrare o rispettare le leggi è rivolta alle famiglie oggetto della vicenda, dovresti almeno specificare quali elementi hai per formulare queste accuse nei confronti di persone che verosimilmente non hanno gli strumenti per potersi tutelare.
    Cosa vuol dire inoltre: “non la trovi per famiglie nate e cresciute qui“? Cosa intendi per “qui”? Torino? Il Piemonte? L’Italia? L’Unione Europea? L’Europa? Il mondo? Per quale principio chi è nato a Torino deve avere una qualche priorità su chi è nato a Bucarest e non su chi è nato a Chivasso o a Pavia? Per quanto certe formule risuonino frequentemente al banco del mercato di Porta Palazzo, ciò non significa che non siano ambigue e che, prima di trasportarle in un contesto politico, non richiedano un chiarimento.

  2. lucano:

    Scusate se invado il campo visto che sono forestiero.Vorrei portare la mia esperienza. In un paese vicino al mio in Basilicata una colonia di Zingari si è insediata fin dal 1700. Sono stanziali o quasi . Alcuni miei colleghi insegnanti raccontano che i bimbi vanno un poco a scuola poi la famiglia misteriosamente si traferisce in un paese vicino in un’altra comunità e colà ripigliano la scuola. Insomma l’istinto del viaggio ancora non è sopito . Comunque questa colonia , quasi stanziale , aveva da decenni occupato un quartiere di case abbandonate dopo un durissimo bombardamento americano. In tali rovine si erano costruiti degli alloggiamenti costituendo una sorte di quartiere tutto loro.Il comune per dare un decoro a questa popolazione e sopratutto riparo ai numerosi bimbi costruì delle case popolari per loro.Naturalmente le case furono subito accettate ed occupate , ma il quartiere che si era svuotato fu quasi subito riempito da zingari di altri paesi che raggiunsero il loro colleghi più fortunati. Tutto questo per dirvi di pigliarla allegra ;sono ” i figli del vento” inutile cercare di imbrigliarli.

 
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