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martedì 1 Giugno 2010, 18:59

Non parlarsi, non capirsi, sparare con le parole

Facebook può essere una finestra interessante sul mondo, perché mette insieme, gomito a gomito, le conversazioni di persone diverse. Se i vostri amici sono tutti dello stesso giro le conversazioni saranno simili, ma se avete amici di ambienti, estrazioni e nazionalità diverse, il risultato è spesso vicino al teatro dell’assurdo; fianco a fianco, serissime discussioni sul futuro del mondo e scherzi tra tifosi di calcio; appelli contro l’inceneritore e invocazioni di nuove autostrade; giochini stupidi e trattati di economia.

Mai come in questi due giorni, però, il mio Facebook è stato il simbolo dell’incomunicabilità. Eliminando le discussioni futili, nove thread su dieci sono dedicati ad attaccare Israele, a chiederne la radiazione dal consesso internazionale, a organizzare cortei e manifestazioni, a minacciare di bruciare le ambasciate, a gridare appellativi come pirati, terroristi, nazisti, assassini. Il decimo thread è di amici ebrei o vicini a loro, che si lamentano della campagna mediatica di odio antisemita scatenatasi in tutto il mondo.

Le due posizioni non si parlano, non si capiscono. Le tragedie che si portano appresso finiscono anzi banalizzate nei giochini dell’ideologia italica, nelle provocazioni di Feltri per vendere qualche copia in più (che riprendono peraltro gli editoriali di giornali israeliani) o nei pacati commenti di Diego Novelli (“Un gruppo di criminali governa Israele”) e di Giulietto Chiesa (“Il 31 maggio 2010 Israele ha dimostrato al mondo di essere divenuto il pericolo principale per la pace e la sicurezza del mondo”). Finiscono in una grande fiesta di editoriali da divano.

Io, in Israele, non ci sono mai stato. Ho conosciuto persone che ci hanno vissuto, che venendo da noi ancora si stupiscono di come sia possibile entrare in un centro commerciale senza trovarci un metal detector all’ingresso, e che quando prendono un autobus non riescono a non avere paura di saltare in aria.

E ho un ex compagno di università libanese che ogni tanto mi manda dei bei powerpoint pieni di teste mozzate di bambini palestinesi e altre atrocità del genere; tanti anni fa mi raccontava che quando ammazzarono Rabin (un premio Nobel per la Pace) lui e la sua famiglia andarono a fare caroselli suonando il clacson per il centro di Beirut. E quando giocavamo a Risiko, lui si disinteressava completamente della partita; il suo unico obiettivo era conquistare il Medio Oriente e da lì fare attacchi suicidi, un carrarmatino alla volta, contro i paesi confinanti. (Una volta, un carrarmatino alla volta, distrusse una dozzina di armate del padrone di casa, che lo buttò fuori a calci dall’appartamento: non c’è nulla come Risiko per distruggere le amicizie.)

Un odio così non lo capisco, non è proprio concepibile; e non capisco come si possa essere fiduciosi per la pace. Realisticamente, temo che nulla potrà risolvere questa situazione se non, a scelta, un muro alto alto alto (più alto dei razzi Qassam) oppure l’eliminazione completa dall’area di uno dei due contendenti (e, vista la demografia, non saranno certo gli arabi). Non mi posso permettere di pensare che se fossi israeliano o palestinese sarei senz’altro un pacifista; è troppo facile pensarlo da qui. Dunque, non mi posso nemmeno permettere di giudicare; trovo che la maggior parte delle parole che volano in questi giorni, da parte di persone che hanno responsabilità istituzionali così come da parte di chi fa informazione, siano insensibili, inappropriate e dette con grande leggerezza; e che sparare sentenze, in situazioni di questo tipo, non sia poi troppo lontano dallo sparare pallottole.

[tags]israele, palestina, assalto, gaza, informazione, facebook, politica, medio oriente, feltri, novelli, chiesa, pacifismo[/tags]

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Un commento a “Non parlarsi, non capirsi, sparare con le parole”

  1. Piero:

    Per capire l’odio, occorre rendersi conto che all’origine del nostro benessere ci sta una ingiustizia, un sopruso commesso nei confronti di qualcun altro dai nostri antenati nel corso della storia e dei secoli, fino ad arrivare a Caino che uccide Abele, dove un popolo, spesso a causa di una motivazione di origine divina, ha sterminato un altro popolo, confinandolo in riserve, dove rimanere sottomesso.

    Chi è senza peccato scagli la prima pietra: vale sia per gli europei, sia per gli americani. Noi osserviamo il conflitto arabo israeliano e puntiamo il dito contro di esso, senza accorgerci che ci sono stati e ci sono ancora situazioni di ingiustizia e soprusi in tante altre parti del pianeta di cui si preferisce non parlare o parlare molto meno.

    Risolviamo prima le ingiustizie in casa nostra, là dove la proprietà privata sottrae alla comunità un bene di tutti come l’acqua o la terra per destinarlo all’uso esclusivo di una singola persona o di un piccolo gruppo di persone.

 
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