In onore di Stefano RodotÃ
Se ne è andato così, in un venerdì caldissimo, Stefano Rodotà , uno degli ultimi grandi intellettuali politici del nostro Paese. Da tempo aveva sempre più rarefatto le uscite, non stava bene, insomma non è stata una sorpresa, come non può esserlo oltre una certa età .
Adesso mi vengono in mente, affastellandosi, molti ricordi: la volta che diedi il suo numero di cellulare a Casaleggio, perché lo chiamasse e gli chiedesse di essere il candidato a presidente della Repubblica. Quella, poco dopo, in cui mi chiese di chiamare qualcuno a Roma che avvertisse Crimi e Lombardi perché andassero da lui, e feci l’ambasciata ad Airola sul bus. La volta ancora, qualche settimana dopo, che passai un quarto d’ora sul prato davanti a casa mia in montagna, cercando di far funzionare il cellulare sotto la pioggia, mentre lui, non con presunzione ma con incredibile umiltà , si discolpava dalla colpa inesistente di “voler fondare un partito con Civati per portarci via il consenso” (Grillo dixit), e mi pregava di mettere una buona parola con i cari leader per lui, e io trovavo tutta la situazione totalmente assurda, e gli dissi che al massimo sarebbero dovuti essere loro a ringraziare che lui fosse stato a sentirli, per venire poi scaricato in maniera così turpe.
Ma ricordo anche, tanti anni prima, ben prima del M5S, una cena ad Atene in cui ci raccontò della fuga di Toni Negri, di come si sentì turlupinato. O un pulmino verso l’ambasciata italiana a Rio, in cui eravamo in dodici e c’erano undici posti, e lui continuava a insistere che essendo il più smilzo era quello che doveva viaggiare in piedi. O la volta in cui, negli uffici di via Isonzo, io gli diedi del lei durante una riunione e lui mi interruppe dicendo per l’ennesima volta “ma ti prego, dammi del tu”, e io sbottai dal cuore, gridando disperato “ma non ci riesco!!”.
Sono stato molto fortunato ad avere a che fare con lui di persona, a poter leggere le sue mail e i suoi pensieri sulla rete in anteprima, a cercare di rubargli almeno un po’ di intelligenza, di rigore, di umanità , di quella incredibile energia e voglia di fare, di capire, di riflettere, che credo per lui fosse l’essenza stessa della vita. Involontariamente, è colpa sua se a un certo punto mi sono deciso a credere davvero nella possibilità di cambiare l’Italia tramite la vita pubblica, a impegnarmi direttamente in politica come lui aveva fatto per tutta la vita; e forse, ed è un rimorso, è colpa mia se anche solo per qualche mese ha dato credito al pentastellismo nascente, forse cogliendone la stessa allegra voglia di sparigliare le carte che è un po’ la caratteristica di chiunque sia mai stato radicale.
Ormai molti mesi fa ci eravamo scambiati per mail un augurio di rivederci ancora, e non è stato possibile; e mi dispiace moltissimo che non sia potuto succedere, per dirgli ancora una volta, semplicemente, grazie.