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Archivio per la categoria 'Culturaculturacul'


domenica 13 Luglio 2008, 13:09

A bocca chiusa

Non so che cosa ne pensiate voi, ma io vorrei spendere due parole per la dipartita di un grande personaggio: Gianfranco Funari. E le vorrei spendere proprio sapendo che molti storceranno il naso, perché Funari è sempre stato considerato un arruffapopolo, un banfone, un pecoraio, un burino volgare e arricchito che si vestiva da lord inglese e girava con la Bentley, ma basava le proprie fortune, ben prima di Maria De Filippi, sulle massaie e sui tamarri che si insultavano in tivvù a colpi di luoghi comuni.

A me, invece, Funari è sempre piaciuto, proprio perché era così; perché in un Paese dove tutti sono ossessionati dal sembrare intellettuali, dal pubblicare libri che nessuno legge, dal rilasciare interviste colte che fanno addormentare e dal farsi chiamare Maestro anche se si è solo un onesto Pino Mango come tanti, lui preferiva essere popolare; usare le parole che usiamo tutti, comprese le parolacce, e non avere paura di dire le cose come stanno; e nel frattempo baccagliarsi qualsiasi femmina passasse in zona. E basare tutto su un’esperienza di vita vera, una vita che lo aveva portato a fare il croupier e il pugile e tante altre cose, prima di entrare in televisione.

Funari fu il primo epurato dell’era berlusconiana; prima ancora che scoppiasse Mani Pulite, parlò male di Craxi e fu cacciato da Retequattro; si inventò una cosa mai vista, cioè una syndication dal basso, registrandosi lui il suo programma e mandando le cassette a 75 piccole televisioni locali per farle trasmettere. Tornò e fu cacciato varie altre volte, tanto è vero che dal 1996 al 2007 non apparve più né sulla Rai né su Mediaset, se non qualche volta come ospite; si inventò il suo angolino, di nuovo sulle reti private, e lì rimase, facendo parlare chi pareva a lui, che fosse un antisistema come Travaglio o un democristiano come Rotondi. Non per queste epurazioni si mise a fare la vittima, o a pietire un posto da eurodeputato come Santoro; le prese, semplicemente, come la conseguenza necessaria della sua sincerità, che non intendeva abbandonare. Tirò quindi dritto per la sua strada, anzi andò pure a trovare Craxi ad Hammamet, per dargli del ladro a quattr’occhi e però capire qualcosa di quell’uomo, esattamente come voleva capire qualcosa delle casalinghe a cui dava la parola in televisione.

Questa è l’impressione che rimane: quella di una persona vera che amava la vita, che apprezzava la sua fortuna ma non per questo si considerava superiore agli altri, tanto è vero che adorava la sua Bentley, ma la usava per scorrazzare sul lungomare di Loano, mica quello di Porto Cervo.

Come per tutte le persone vere, prima o poi la fine arriva ed è dura; perché chi ama la vita trova sempre nuove cose da fare, e non vorrebbe andarsene. Eppure, anche se Funari se la tirava troppo poco per poter finire sui libri di storia, credo che saremo in molti a ricordarci di lui ancora per un bel po’.

[tags]funari[/tags]

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venerdì 4 Luglio 2008, 08:42

Chinglish

Se vi siete stancati di World of Warcraft, perché non provare i suoi cloni cinesi? Basta leggere la loro presentazione ufficiale per ritrovarsi con dei punti interrogativi che ruotano sopra la testa. E anche un bel po’.

“Zu Online – which refers to lots of classical sutras, has its setting based on the supernature novel—The Life of Swordsman in a area called Zu.

It is an elaborately and well-designed 3D MMORPG with a rich culture of immortals and knight-errants. Its most outstanding feature is putting emphasis on the traditional orient-culture of monkery. The in-game quests will boost the development of storyline. Players will be able to taste flying by riding a sword, consubstantiating gods, forging mystic weapons, creating sects and other else amusing.

Zu Mountain, these two characters do not only represent a range of mountains and streams. By contrast, considerable ghosts, immortals, knight-errants and uncanny fairylands have been tightly fastened to them. Zu Mountain has become the pronoun of the millenarian oriental culture of immortals and monkery.

In a word, Zu Online is a story about the immortals monkery and battles against the evil. It has attracted much attention since its debut. We believe that Zu online will be a focus of the new online games in Q4 2007.”

Non ha ancora battuto il mitico segnale che accoglie gli occidentali all’uscita dell’aeroporto di Pechino, per indicare dove inizia la coda per i taxi:

DSC01204_544.JPG

però ci si avvicina già parecchio.

[tags]cina, inglese, cinese, segnali, traduzioni impossibili da una lingua per concetti a una lingua per parole[/tags]

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lunedì 23 Giugno 2008, 11:30

L’astérix

La Francia è un paese civile, dove durante le partite dell’Europeo passa uno spot TV con due bei maschioni che si sbaciucchiano e si montano in ogni posizione (con inquadrature ovviamente non esplicite ma molto chiare) mettendo bene in evidenza la busta del preservativo, quindi alla fine agitano contenti un foglio e si abbracciano, e si chiude sullo slogan “Prima di smettere col preservativo fate il test dell’HIV”.

Però hanno la mania dell’asterisco.

Per esempio, passa lo spot del DVD di Io sono leggenda, con la scritta: “Comprate il blockbuster dell’anno!”. Però vicino a “blockbuster” c’è un asterisco, e sotto compare la scritta: “* Blockbuster = Film à succès”. Oppure presentano il “dream team” di commentatori degli Europei (ok, c’è dentro Didier Deshampoo, quindi il nome fa un po’ ridere) e anche lì spunta l’asterisco, e sotto compare la scrittina “* Dream team = Equipe de reve”. Persino all’aeroporto, dove ci sono le pubblicità internazionali delle grandi multinazionali, tutti i loro slogan globali in inglese sono asteriscati e ritradotti letteralmente.

Farebbe ridere, se noi nel frattempo, tra parole straniere e giornalisti che non sanno la grammatica, non avessimo completamente rinunciato a preservare la nostra lingua nazionale…

[tags]francia, italia, lingua[/tags]

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venerdì 30 Maggio 2008, 13:59

Intervallo

Mentre scelgo di cosa occuparmi nel post di oggi pomeriggio, allo scopo di tenervi occupati, vi ripropongo la performance di Elnur & Samir, gli azeri dell’Eurovision, con il loro brano Gay After Gay… pardon, Day After Day: sono sicuro che pochi di voi l’hanno apprezzata fino in fondo.

[tags]eurovision, azerbaijan, rock, cappone, castrato di manzo[/tags]

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martedì 27 Maggio 2008, 09:41

Gomorra altrui

Ho letto questa bella recensione di Gomorra (il film) sul blog di Leonardo, una scoperta recente che merita. L’ho letta e ho pensato: ma se nonostante tutto il bailamme giornalistico uno a Gomorra non riesce proprio a interessarsi, deve sentirsi in colpa?

Faccio i miei complimenti a chi ha il coraggio di portare avanti battaglie di quel genere e con quel livello di rischio, ma non sono le mie e non riesco a riconoscermici; saranno forse questi i problemi dei trentenni campani, ma per i trentenni sabaudi professionisti dell’ICT un racconto ambientato nella Silicon Valley risulterebbe più attuale e interessante, persino più vicino alla realtà delle cose. Insomma, io vedrei volentieri un film sulla fuga dei cervelli, un documentario-denuncia sull’inefficienza della pubblica amministrazione, un reportage sul riscaldamento globale e sull’inquinamento del nostro territorio, o magari un bel film sulla cupola affaristica che non sarà camorra e non si sparerà per la strada, ma che comunque controlla molto del Nord Italia. Però, un film sulla camorra napoletana – oltre a riproporre gli stereotipi dell’italiano mafia, pizza e mandolino che poi ci perseguitano non appena mettiamo piede all’estero – proprio non solletica il mio interesse.

Fa molta tristezza che una parte del Paese si trovi ancora in mezzo al brigantaggio ottocentesco o a scontri tra squadroni della morte come nemmeno nelle peggiori favelas di Rio; ma – a parte la zavorra che tutto ciò costituisce per l’Italia, finché esiste – siamo sicuri che debba essere un problema mio? Non è piuttosto un problema di chi là ci vive, e che, a parte qualche raro Saviano, finisce per adeguarsi tranquillamente, anzi ti dice sottovoce “non ripeterlo in giro, ma per fortuna che c’è la camorra che almeno dà lavoro e mantiene l’ordine”?

Dato che la mentalità è questa, a me viene il dubbio che ogni tanto si riparli di camorra proprio per giustificare lo stato di inciviltà permanente in cui si crogiola un terzo dell’Italia; “si è vero, ci rotoliamo nella monnezza, ma sapete, noi c’abbiamo la camorra”. Le nobili intenzioni del progetto diventano insomma per un’altra parte del Sud, compresa la sua classe dirigente, un alibi per continuare a deresponsabilizzarsi, e a vedere come unica soluzione a tutti i problemi il lamentarsi fino a che non arrivano dei soldi da Roma.

Viene infine l’ulteriore dubbio che i nostri media ci parlino ampiamente di mafia, di camorra e di Andreotti – i cattivi da film – per evitare di parlarci di quelli veri: del cartello dei petrolieri, della mafia della catena alimentare e degli abbracci di Veltrusconi con se stesso. Penso troppo male?

[tags]gomorra, cinema, camorra, mafia, italia, politica[/tags]

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lunedì 26 Maggio 2008, 08:59

Eurotamarri

Sabato sera sono stato invitato a casa di amici, a piazzarmi davanti a RTR Planeta per seguire la finale 2008 dell’Eurovision Song Contest. Voi probabilmente non ne avrete mai sentito parlare; in pratica, è la versione europea del Festival di Sanremo, in cui gareggia una canzone per ciascuna delle nazioni dell’Eurovisione che scelgono di partecipare. In Italia, un festival canoro basta e avanza, per cui – nonostante la vittoria di Toto Cutugno nel 1990 – ormai da quindici anni non partecipiamo nemmeno; per il resto d’Europa però è un evento che incolla decine di milioni di persone davanti alla TV.

In apparenza, ci si potrebbe chiedere quale sia il senso di mettere in competizione la musica inglese con le tamarrate del resto del continente; la teoria dice che il Regno Unito dovrebbe vincere a mani basse. La realtà, invece, è che – dato che il sistema di voto prevede che ogni nazione, mediante un televoto via SMS, assegni punti alla propria top 10, con il divieto di votare per la propria canzone – nella maggior parte dei casi i maggiori punteggi vanno alle nazioni confinanti o a quelle da cui proviene una folta comunità di emigranti; tanto che durante l’annuncio finale dei voti da ciascun Paese ho cominciato a indovinare in anticipo a quali nazioni sarebbero andati i punteggi più alti, azzeccandoci nell’80% dei casi.

Aggiungeteci che esistono uno zilione di repubbliche ex sovietiche piene di minoranze russe nazionaliste, e capirete come mai quest’anno ha vinto la Russia; l’anno scorso la Russia era arrivata terza, e aveva vinto la Serbia, raccogliendo i voti dello zilione di repubbliche balcaniche; due anni fa aveva vinto la Finlandia, raccogliendo i voti di tutta la Scandinavia e degli inglesi, e la Russia era arrivata seconda. Altre nazioni che causa emigrazione e amicizie politiche non possono non arrivare nei primi posti sono l’Ucraina, la Grecia, la Turchia e l’Armenia; si prevede una forte ascesa della Romania non appena gli emigranti romeni si saranno sufficientemente stabilizzati da avere un televisore e un cellulare con credito da sprecare.

La conclusione che si raggiunge guardando questo festival è che se noi con Giò di Tonno pensavamo di aver toccato il fondo, in realtà c’è ancora molto da scavare. Per buon cuore, comincio dal meglio; siccome però la canzone russa di quest’anno non era male ma era un po’ una lagna – per quanto nobilitata dall’esibizione coreografica del naso che fende il vento – la sostituisco con quella finnica del 2006, un fenomeno che sconvolse il festival come La terra dei cachi da noi:

Ma non fatevi ingannare; a parte un paio di canzoni rockettare, il grosso è musica da discoteca oppure melassa sanremese. E infatti, il resto del podio ci è arrivato grazie alla carta del pop + fregna, che paga sempre; potete quindi scegliere tra la Britney Spears greca:

e la Shakira ucraina:

Gli studenti di terza media di tutta Europa si sono duramente impegnati per scrivere i testi di questi capolavori!

E il resto? Il resto è tamarraggine: potete quindi provare gli Aqua lettoni (tamarri da leggenda) o le Spice Girls tedesche (tamarre da marciapiede); i tamarri islandesi o i tamarri bosniaci. Oppure, potete scegliere tra un disadattato francese senza voce (io i francesi proprio non li capisco) e un disadattato spagnolo in cerca di disco per l’estate.

Insomma, nota di merito per l’azero castrato alla nascita e per gli Heroes del Silencio turchi, ma le uniche performance che assomigliassero a una canzone – cosa che, ricordiamo, richiede sia della musica che un interprete dotato di voce e di carisma – erano Georgia e Portogallo. Ovviamente arrivati fanculesimi, e arrivederci all’anno prossimo; anche se sto pensando di ripubblicare i video in pillole nei prossimi giorni. Per non dimenticare.

[tags]musica, eurovision, europa[/tags]

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domenica 25 Maggio 2008, 10:09

Piccola epica di un grande sport

Chi non conosce il ciclismo difficilmente capisce perché continuare a guardarlo; ed è vero che in questi anni mancano i campioni, visto che quelli che vincono una gara di rilievo poi regolarmente finiscono nelle maglie dell’antidoping. Ma la bellezza del ciclismo sta non solo nella complessità e nella varietà dei suoi scenari tecnici, ma soprattutto nella fatica, nel sacrificio, nella sfida degli uomini contro se stessi e contro le asperità della natura. Il tennis, per dirne uno, è uno sport disumano, fatto di droni palestrati che volano in giro per il mondo in business class per vedere chi spara la pallettata più forte; lo stesso calcio sta diventando un po’ così. Il ciclismo, invece, regala storie di vita a ogni occasione; spesso, storie epiche.

Quella di Emanuele Sella, per esempio, entrerà nella storia del Giro (anche perché per adesso il Giro di quest’anno ha concesso ben poco altro: hanno aumentato le salite per renderlo più spettacolare, e per risposta i corridori migliori, in un tacito accordo, si sono rifiutati di battagliare almeno per i primi due terzi). Sella è un Paperino, uno di quei corridori piccoli ed emotivi capaci di grandi imprese sulle montagne e di grandi crisi quando le cose vanno storte. Certamente non è il genere di corridore che vince facile; non domina le pianure e non taglia il vento, né ha una squadra al suo servizio, per cui la sua speranza di vittoria è legata al coraggio: scegliere una tappa piena di su e giù e buttarsi da lontano, sperando di arrivare in fondo.

Gli era andata bene al debutto da professionista, nel 2004: primo Giro, prima fuga da lontano, prima vittoria. Dopo, però, gli era successo di tutto: sfighe, cadute, vittorie mancate di poco, quasi sempre dopo essersi sciroppato 150 o 200 chilometri di fuga, da solo o quasi su e giù per i monti; sforzi pazzeschi per rimanere con un pugno di mosche. Una settimana fa, a Pescocostanzo, sembrava fatta: 160 km di fuga, prima in gruppone, poi in gruppetto, poi da solo, seminando via via gli avversari sulle tre salite intermedie. Sulla quarta, che portava all’arrivo, era saldamente al comando; poi, a sette chilometri dall’arrivo, la foratura. E così, la vittoria andava a un altro, mentre lui arrivava sul traguardo terzo, a un minuto, in lacrime.

Non sono casi isolati; succede ogni tanto che qualcuno arrivi sul traguardo con l’ennesimo piazzamento e si metta a piangere, anche perché la fatica è mostruosa e puoi avere anche inghiottito una farmacia, ma la fai lo stesso. E non è solo la fatica della tappa: dietro ci sono mesi e mesi di sveglie all’alba, migliaia di chilometri di allenamento, per uno stipendio che tolti i campioni è quello di un buon impiegato, al massimo di un medio dirigente. Se non sei un capitano, hai una sola occasione all’anno per farti notare; perderla così, per una gomma che si sgonfia, è un colpo durissimo.

Ieri invece era una tappa durissima; l’arrivo era all’Alpe di Pampeago, un posto maledetto non solo per la tragedia del 1985, ma perché per arrivare in cima ci sono cinque chilometri al 10% fisso, una infinita rampa di garage. Ci vinse Pantani, ed è tutto dire. Ieri tutti aspettavano gli uomini di classifica, perché è una di quelle salite dove si può vincere il Giro. E invece, è spuntato Sella; 180 km di fuga, gli ultimi cinquanta da solo. Aveva talmente tanta rabbia in corpo che persino sulla salita finale non si è fermato un attimo, l’ha presa più veloce di quelli dietro che pure avevano riposato. Alla fine, però, non ci credeva nemmeno lui; negli ultimi metri continuava a guardarsi indietro e a pensare: non è possibile, non sta arrivando nessuno. Dopo il traguardo piangeva di nuovo, ma stavolta di felicità; sul podio sembrava tanto fuori posto, con la bottiglia di champagne più grossa di lui e il tappo che non voleva venir via, da far tenerezza.

Comunque, non sempre le cose vanno via lisce: ieri s’è visto il calvario dell’ex maglia rosa Visconti, un gregario che ha beneficiato di una delle tante fughe bidone, ma che ieri ha pagato con cento telecamere che inquadravano il suo calvario. A un certo punto veniva voglia di dirgli di scendere e andare a piedi, che faceva certamente prima; e nonostante i tifosi impietositi che lo portavano su a spinta, il ritardo finale è stato di diciotto minuti. Complimenti lo stesso.

[tags]sport, ciclismo, giro, montagne, sella, pantani[/tags]

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domenica 18 Maggio 2008, 13:12

Un ego che fa provincia

Ultimamente pare diventato di moda: a chiunque tu chieda cosa fare per salvare l’Italia, tra le prime cinque voci c’è l’abolizione delle province. Effettivamente, forse potremmo cavarcela con un po’ meno burocrazia… In realtà, si tratta di suddivisioni amministrative, nate per organizzare meglio la struttura burocratico-aziendale dello Stato. Come tali, “servono” o “non servono” a seconda di cosa gli si dà da fare, ragion per cui sarebbe probabilmente più produttivo andare ad esaminare le loro competenze – dalle strade all’edilizia scolastica – e capire se e come possono essere trasferite altrove in modo più efficiente, considerando che comunque qualcuno se ne dovrà occupare.

Purtroppo, però, raramente la questione viene affrontata in termini pratici; sulla discussione prevale sempre un altro aspetto, quello dell’ego collettivo delle comunità interessate, con il desiderio di vedere la propria città riconosciuta a livello nazionale, e con la conseguente creazione di burocrazia, posti di lavoro pubblici, infrastrutture di collegamento.

Del resto, il concetto stesso di provincia non è che l’evoluzione delle suddivisioni feudali in vigore fino all’era della rivoluzione industriale, divenute progressivamente inadatte con l’affermarsi della borghesia e l’incremento del peso centrale degli stati nazionali. In origine infatti non era certo questione di elezioni provinciali, ma semplicemente di governatori o prefetti inviati dal governo centrale per gestire un determinato territorio.

Fu l’inventore dello Stato moderno, Napoleone, a imporne la definitiva affermazione; e così, dopo la Restaurazione, lo Stato sabaudo si divise anch’esso sul modello francese, in dipartimenti (l’equivalente delle odierne regioni) a loro volta suddivisi in province. Erano province decisamente più piccole delle attuali, tanto è vero che per un territorio comprendente un sesto dell’Italia più la Savoia c’erano ben 49 province, a loro volta ulteriormente suddivise in centinaia di mandamenti formati da una manciata di villaggi. Non dissimile era la situazione negli altri regni pre-unitari.

Nel 1859, in piena seconda guerra d’indipendenza e con la prospettiva di annettersi gran parte dell’Italia, il ministro dell’Interno Urbano Rattazzi si rese conto che andare avanti con suddivisioni così piccole avrebbe implicato sprechi e difficoltà; e così, diede il via a una radicale ristrutturazione, basata proprio sul principio di “eliminare le province” spostando i poteri ai dipartimenti. Questa riforma, purtroppo, fu concepita con un piccolo problema di marketing: difatti si scelse di rinominare i nuovi dipartimenti in province, col risultato di far sembrare a 39 città di aver semplicemente perso lo status di capoluogo provinciale e di essere state “annesse” dalle rimanenti dieci.

Apriti cielo! Da Mortara a Biella, da Vercelli a Casale, da Asti a Savona, tutte le città degradate la presero maluccio. I più incazzosi, manco a dirlo, furono i genovesi dell’Oltregiogo: non solo gli avevano soppresso la provincia di Novi, ma, nonostante fossero da sempre stati parte della Repubblica di Genova, li avevano addirittura annessi ad Alessandria! Fu quello il momento in cui tutti i comuni della zona, in quello che De André avrebbe definito un atto di vibrante protesta, aggiunsero “Ligure” al proprio nome; e sono ancora incazzati adesso, tanto che il profluvio di pagine relative alla storia delle province italiane, in rete e su Wikipedia, viene quasi tutto da quei posti lì; e non ce n’è una che si dimentichi di buttar lì maliziosamente che Rattazzi era di Alessandria.

Tuttavia, questi episodi dimostrano come i confini amministrativi, anche quelli interni alla nazione, possano avere conseguenze significative sull’evoluzione storica dei territori. Per esempio, a tutti ormai sembra pacifico che la Lomellina sia un territorio lombardo, gravitante su Pavia; e invece, fino al decreto Rattazzi era un pezzo del dipartimento di Novara, tanto che non fu annesso al Piemonte in quegli anni come il resto dell’attuale Lombardia, ma faceva già parte del regno sabaudo sin dal 1707.

Oppure prendiamo Ascoli e Fermo, che al momento dell’Unità erano entrambi capoluoghi di provincia dello Stato Pontificio, entrambi con circa ventimila abitanti; per qualche misterioso motivo, nel 1860 lo Stato sabaudo decise che solo il primo sarebbe rimasto capoluogo, mentre il secondo sarebbe stato annesso dagli odiati vicini. Come conseguenza, partendo da condizioni simili – anzi Fermo è più vicina al mare e alle linee di grande comunicazione -, Ascoli e cintura ha oggi quasi il doppio degli abitanti di Fermo: quanto di questo sarà un effetto del ruolo di capoluogo? (Comunque dopo centocinquant’anni i fermani ce l’hanno fatta, e dal 2004 hanno di nuovo la provincia.)

Dopo le guerre d’indipendenza – a territorio sostanzialmente simile all’odierno – le province erano 69; oggi sono 110, cioè quasi il doppio. Certo sono aumentati anche gli abitanti, ma vi è indubbiamente una tendenza a un costante aumento del numero delle province, in seguito alle pressioni di questa o quella città aspirante capoluogo; negli ultimi anni poi è diventata una valanga (toh, divertitevi). In particolare in Meridione, dove la burocrazia pubblica è l’unica industria esistente, ogni buco di quattro case aspira ai suoi bravi uffici provinciali nuovi di zecca; tranne che in Sardegna, dove essendo regione autonoma ci sono già riusciti.

E quindi, forse è l’ora di tirar fuori un nuovo Rattazzi e di vietare ulteriori province, cercando poi di capire se le funzioni delle attuali non possano essere girate ad enti già esistenti, risparmiandoci qualche ciclo elettorale e un bel po’ di spese correnti; o perlomeno, dopo centocinquant’anni si potrebbe rimettere mano a un po’ di sani accorpamenti. Attenti, comaschi e verbani: Maroni è di Varese!

[tags]province, abolizione, burocrazia, rattazzi, novi ligure libera, lomellina piemontese, fermo provincia, collegno provincia[/tags]

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lunedì 5 Maggio 2008, 23:03

Grandi notizie

Oggi sono stato tutto il giorno a Milano per lavoro, e quindi non ho avuto modo di bloggare; peraltro, non ho trovato niente di veramente interessante da raccontarvi o da commentare. Ho però riflettuto a lungo, e ho deciso che, ora che questo blog ha raggiunto la meritata fama presso un pubblico moderno, colto e qualificato, è ora di selezionare soltanto notizie che siano di vero interesse.

Quindi, oggi vi voglio segnalare che Miley Cyrus, nonostante – a differenza di Papa Ratzinger – sia entrata nella lista delle 100 persone più influenti del mondo secondo Time, probabilmente perderà il suo ruolo da Hannah Montana: pare che la Disney non abbia gradito le foto osé che, dopo la rottura con Dylan Sprouse, la ritraggono in pose intime con un ragazzo sconosciuto. Sembra quindi che la carriera di Miley come superstar televisiva sia a rischio: dev’essere dura trovarsi sul viale del tramonto a sedici anni e mezzo.

P.S. Prima che qualcuno lo chieda nei commenti, il reddito di Miley Cyrus è stimato in circa 3,5 milioni di dollari annui.

[tags]notizie, attualità, musica, miley cyrus, hannah montana, dylan sprouse, redditi[/tags]

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domenica 4 Maggio 2008, 18:31

In giro per colline

Ieri, in una gita fuori porta, abbiamo infilato entrambi i posti del nord-astigiano dove non è bello essere andati. Prima siamo andati a pranzo a Passerano, frazione capoluogo del comune di Passerano Marmorito, diventato improvvisamente famoso negli anni ’80 grazie a Faletti: secondo me gli avranno fatto un monumento in piazza, anche perché non sono sicuro che abbiano capito che li stava prendendo in giro. Poi, ci siamo inerpicati su per stradine e per colli e siamo praticamente finiti a Aramengo.

L’astigiano nordoccidentale, al confine con la provincia di Torino, è un territorio poco conosciuto; ha poco a che vedere con le capitali del vino del Monferrato meridionale, come Nizza e Canelli. E’ invece un insieme di colline che sono quasi montagne, coperte di foreste; si arriva oltre i seicento metri di altitudine, e ci si ritrova via via in stradine sempre più strette, tortuose e pendenti; per tutti questi motivi, le vigne ormai sono state in buona parte sradicate, e il prodotto principale della zona è diventato la carcassa di motociclista al sangue (io, in un solo quarto d’ora, ne ho mancati di poco tre o quattro, tutti belli in piega a centoventi all’ora dal mio lato della strada, dietro una curva cieca su una strada larga sì e no tre metri). In compenso, i panorami e il senso di tranquillità e remotezza sono meravigliosi: nel silenzio appena appena rotto da qualche centinaio di motopuzzettari, si vede tutto il territorio dipanarsi in verde fino alla lontana Superga.

C’è in questa zona un posto speciale quanto abbastanza poco conosciuto, l’Abbazia di Vezzolano. L’hanno rimessa a posto da poco, e secondo me ha persino perso un po’ di fascino, tutta così pulitina e con la vegetazione rasata. E’ però una costruzione bellissima, che sopravvive da quasi dieci secoli in una valletta angusta e riparata, in mezzo al verde ma con una bella vista sulle colline più basse.

E’ ancora più interessante se – oltre a una mostra di romanico dell’Astigiano, con tutti i bassorilievi che raffigurano animali che ballano e persone che fanno sesso – ci trovi qualche pannello che ti spiega i principi di matematica medioevale con cui è stata costruita: scopri così che la chiesa è orientata lungo l’asse locale dei lunistizi, in modo che ogni 18,61 anni, quando la luna raggiunge il punto più alto di sempre sull’orizzonte, la sua luce penetri esattamente in asse; mentre la base della chiesa forma il lato di un decagono con centro sotto l’altare, e la finestra dell’abside, davanti all’altare, ha proporzioni legate alla sequenza 2, 3, 5, 10.

Insomma, non è che hanno preso il primo spiazzo e ci han messo su due mattoni, tutt’altro; c’è nella Chiesa del Medioevo un patrimonio di spiritualità magico-pagana, basate sui ritmi vitali della natura, che il cattolicesimo potente e repressivo dei secoli del colonialismo ha poi accuratamente eliminato, e che invece sarebbe molto interessante ristudiare.

[tags]monferrato, passerano, vezzolano, asti, chiesa, medioevo, matematica[/tags]

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