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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


sabato 15 Gennaio 2011, 10:19

Mirafiori, sognando Hammamet

Io, ad Hammamet, ci sono stato anni fa: ci stavamo solo di notte, alloggiati lì per la grande conferenza ONU che si teneva a Tunisi. La Tunisia era un sultanato ordinato, pieno di viali di palme e asfalto nel deserto, se non fosse che Internet era filtratissima, che ovunque c’erano gigantesche facce di Ben Ali, e che io avevo dovuto offrirmi come scudo umano europeo in uno scontro tra la polizia e una associazione dissidente locale. (Ma non pensate che il resto del Nord Africa sia diverso: l’ultima volta che sono stato al Cairo, in una via laterale del centro, improvvisamente erano partiti gli scontri – non si sa nemmeno con chi e perché – e tutto era stato bruciato e raso al suolo, per poi ritornare spettralmente calmo in mezz’oretta.)

Non so come sia Hammamet oggi, penso come il resto della Tunisia: terra bruciata che esulta, all’alba di un dittatore fuggito (presumo perché scaricato da chi può, non fatevi illusioni sulle rivolte popolari).

Per il risultato del referendum di Mirafiori, invece, non esulta nessuno: il no ha perso, ma, rispetto ai risultati delle ultime elezioni sindacali della fabbrica, al fronte del sì manca quasi il 20%, e con una vittoria così risicata si annunciano tempi durissimi e scioperi continui. Perdipiù, tantissimi hanno detto di aver votato sì solo per costrizione.

La mia bacheca di Facebook è un fiorire di promesse come “Marchionne ti aspettiamo a piazzale Loreto” (con commento “lo vorrei vedere morto a testa in giu’ e riempirlo di calci e sputi o giocare a palla con la sua testa”) e “fossi quei 421 impiegati mi guarderei bene le spalle ad andare a lavorare e tornare a casa”; sulla bacheca dei viola è ripassato anche il pugno di Lotta Continua. Non a caso, stamattina è arrivata pure una nota di Bifo Berardi, fresco fresco dal ’68, che detta la linea: “dai tunisini dobbiamo imparare come si fa” perché “le formalità della democrazia ora non debbono interessarci più”.

Io, a questo, non ci sto; non voglio un agghiacciante ritorno degli anni ’70, delle gambizzazioni dei quadri Fiat e della “lotta extraparlamentare”, con conseguente e inevitabile nuova marcia dei quarantamila e altri trent’anni di craxoberlusconismo. Io sogno Hammamet: sogno una rivoluzione pacifica, attraverso i processi nei tribunali e la mobilitazione nelle piazze, che spinga la nostra classe politica ad andarsene in esilio, mentre noi realizziamo il progetto di pace e di giustizia che abbiamo in mente.

Quello che abbiamo visto a Tunisi può esaltare la rabbia, l’aggressività frustrata; lo capisco. Ma non è giusto lasciarsi andare, nemmeno a parole. Come dimostra il movimento No Tav, la lotta può essere dura senza arrivare alla violenza contro le persone; perché in democrazia la forma è sostanza; perché chi conquista il potere con la violenza raramente lo lascia con la democrazia.

[tags]mirafiori, torino, tunisia, hammamet, rivoluzione, terrorismo, lotta continua, sindacato, democrazia[/tags]

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domenica 9 Gennaio 2011, 15:40

Chi li ha costruiti rubando

Scandalizzò i benpensanti, quel famoso brano in cui De Gregori, in piena era Tangentopoli, chiedeva “stai dalla parte di chi ruba nei supermercati / o di chi li ha costruiti rubando?” (il testo ufficiale è zeppo di punti interrogativi per confondere gli avvocati del Pam). Ancora oggi viene definito “populista” e “facilone”; e per quanto sia ovvio che la risposta è “con nessuno dei due”, quei commenti per me ribadiscono soltanto la tendenza tutta italiana ad accettare con gioia i furti e i soprusi purché vengono dal potere (alle volte sembra proprio che l’italiano medio sogni solo un ombrello nel culo).

Comunque, in queste feste è scattato l’allarme sulla nuova moda del furto al supermercato con scassiera: la “scassiera” è una cassiera parente che cerca di far passare il carrello dei propri congiunti battendo sì e no un articolo su tre. Ora, è evidente che un furto del genere viene facilmente beccato, soprattutto se il carrello è pieno fino all’inverosimile di giochi della playstation e di un televisore piatto 22 pollici (e no, la scusa “me l’ha messo il bambino nel carrello di nascosto”, pur proferita, con un televisore proprio non regge). Ma a me interessa il fenomeno sociologico.

Perché di gente che fa fatica a mangiare a Torino ce n’è tanta, ed è un problema di cui si parla troppo poco; ma, dalle cronache, non pare che le famiglie di cui si parla rubassero per sopravvivere. Rubavano, invece, per “sopravvivere”: per avere anche loro il televisore piatto e i giochi della playstation o anche solo un cenone con salmone e caviale invece che pasta e pollo. Rubavano, dunque, per non sentirsi inferiori agli altri, identificando “gli altri” con il modello forzatamente sorridente che domina la comunicazione natalizia, ancora di più in un momento di crisi, in cui ai media è stato dato ordine di “diffondere positività e benessere” per non deprimere i consumi.

E’ questo che spesso fa la differenza tra felicità e infelicità: è provato che la felicità, sopra la soglia di sopravvivenza materiale, non dipende da ciò che si ha, ma dalla proporzione tra ciò che si ha e ciò che hanno gli altri: di qui gli “status symbol”. Chi si sente escluso dalla grande festa, chi ritiene di avere meno, lotta per accumulare oggetti e dunque status come può: a costo di distruggere il pianeta e sfruttare gli altri, o anche solo di rubare in un supermercato; oppure investendo il buttafuori che gli ha impedito l’ingresso in discoteca e lo ha sminuito davanti a tutti.

E’ questa dinamica negativa, indotta artificialmente nell’interesse di pochi, che va combattuta; e la sua penetrazione è davvero ubiqua, se viene presentato come un grande gesto di beneficenza il regalare a un bambino rom non un’istruzione, non un’assistenza, non il riscaldamento o una casa decente, ma una playstation (e sarebbe strano se il bambino non si lamentasse perché è il modello vecchio).

Allo stesso tempo, va poi detto che le “scassiere” erano tutte precarie stagionali, persone che probabilmente non trovano lavoro e che l’avrebbero comunque perso a breve. Insomma, per certi versi questa faccenda è anche una vendetta proletaria: tu mi sfrutti da precaria sottopagata? E io allora ti derubo. Non è una giustificazione valida, ma allo stesso tempo, a questi supermercatari, gli sta bene: perché in una società dove il lavoratore fosse considerato (come è) un valore fondamentale per l’azienda, invece che un costo secco da minimizzare, certi trattamenti di lavoro non sarebbero consentiti e prima ancora non sarebbero nemmeno concepiti. Quando gli “imprenditori” e i “manager” italiani arriveranno a capirlo davvero – non solo a parole, nelle melense e ipocrite letterine motivazionali di fine anno – sarà sempre troppo tardi.

[tags]lavoro, supermercati, cassiere, furti, consumismo, status sociale, benessere, povertà[/tags]

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lunedì 27 Dicembre 2010, 11:26

Il lavoro del futuro

Nik il Nero è un ragazzo bolognese (ha 41 anni dunque in Italia lo si definisce “ragazzo”). E’ diventato piuttosto noto in questi anni: è l’autore di molti dei video del Movimento 5 Stelle emiliano, spesso ripresi anche sul blog di Grillo. I suoi video sono intelligenti, divertenti, ben girati, passano di bacheca in bacheca; Nik non è un regista famoso, ma è comunque conosciuto da Aosta a Palermo.

Eppure, con l’attività di videomaker, Nik non riesce a campare. Tra qualche giorno, avrà un nuovo lavoro: farà il camionista. E’ un lavoro che gli piace, che ha già fatto in passato; come scrive lui stesso su Facebook, avrei fatto volentieri video per vivere, ma non ce la facevo, non guadagnavo abbastanza per mantenere la mia famiglia in modo dignitoso, quindi sono tornato alla mia vecchia passione, i camion e la strada, da piccolo sognavo di guidare i bisonti della strada, quel lavoro l’ho fatto per anni con piacere e dedizione, adesso visto che il mio sogno di videomaker non è decollato a dovere torno a farlo con piacere”.

So che i più cinici diranno che è giusto; c’è chi dice che girare video, scrivere, suonare, fare l’attore non sono veri lavori, a differenza che guidare camion. Eppure c’è qualcosa che non quadra; eppure è lustri che ci dicono che siamo un paese sviluppato e dunque che i lavori poco qualificati, come il camionista o il muratore, non hanno futuro, e che il futuro sta invece nei lavori qualificati, creativi e intellettuali, tra cui appunto quelli nello spettacolo e nella comunicazione.

La prova dei fatti, purtroppo, è diversa. Magari lo è non tanto perché quei lavori non ci siano, ma perché finiscono a chi non è qualificato, a chi non ha talento ma ha un contatto che conta. Io, per esempio, ho visto le ultime campagne di comunicazione della Presidenza del Consiglio e mi sono chiesto chi le abbia pensate. Quella contro l’omofobia, oltre ad essere moscia e inefficace, paragona tranquillamente una materia sensibile e personale come l’orientamento sessuale alla scelta del numero di scarpe; quella contro gli incidenti sul lavoro dice che se muori in un cantiere la colpa non è del tuo datore di lavoro che risparmia sulla sicurezza, dei controlli inesistenti e ammorbiditi o delle leggi lasche e incomprensibili, ma è tua, perché non hai “preteso” la sicurezza dal padrone.

Sono convinto che se avessero fatto fare questi spot a Nik sarebbero venuti fuori dei piccoli capolavori. Alla nostra economia, però, servono camionisti; e sarebbe ora di chiedersi il perché.
[tags]economia, lavoro, videomaker, camionista, nik il nero, movimento 5 stelle, pubblicità[/tags]

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venerdì 17 Dicembre 2010, 13:12

Santorizzati

Stamattina, tra le altre cose, sono andato all’ufficio postale di via Marsigli a pagare i miei 216 euro di TARSU (tre mesi in ritardo sulla prima rata e tutti insieme per via di un lungo incontro con la burocrazia comunale di cui vi racconterò un’altra volta). L’ufficio postale ha un parcheggio che è sempre piuttosto pieno, e soprattutto che pare progettato da Escher: ha una forma piena di curve e slarghi vari.

Mentre uscivo e riprendevo la macchina, due persone nel parcheggio hanno cominciato a urlarsi contro: erano un tamarro con un’Audi nera e un nerd con una Bravo. Discutevano appunto per questioni di parcheggio, non perché mancasse il posto ma perchè uno aveva insistito a fare subito manovra senza far passare l’altro che doveva uscire, o qualcosa del genere.

La rivalità tra nerd e tamarri è storica, e di scazzi per strada ormai ce ne sono tanti, in una società sempre più frustrata; ma c’era qualcosa di questo scazzo che mi colpiva. I due non stavano venendo alle mani, e non si stavano nemmeno parlando direttamente: urlavano insulti rivolti all’altro, ma con una voce innaturalmente alta, e senza guardarsi. All’inizio esponevano ragioni, ma subito dopo passavano all’ingiuria; un po’ argomentavano, e un po’ cercavano di parlarsi sopra l’uno con l’altro. La scena mi sembrava familiare, ma perché?

Alla fine ci sono arrivato: era sostanzialmente la stessa scena che ho visto a forza ieri sera perché mezzo mondo la linkava su Facebook, quella di La Russa che da Santoro interrompe lo studente che parla; così come, praticamente, qualsiasi altra “discussione” politica che Santoro o i suoi simili abbiano mandato in onda negli ultimi dieci anni.

Le due persone in mezzo alla strada, insomma, non stavano discutendo per chiarire la situazione e nemmeno per sfogare la rabbia verso l’altro; si stavano semplicemente esibendo davanti al pubblico che popolava il parcheggio, con lo scopo di “vincere” il confronto e risultare più simpatici all’audience del momento, riducendo l’altro allo status di perdente.

Temo che questo modo di “discutere”, ripetuto all’infinito dalla televisione, sia penetrato in profondità; e che siano molto poche le persone che ormai affrontano un dibattito con lo scopo di comprendere le ragioni dell’altro e se possibile trovare una mediazione, avendo allo stesso tempo la sicurezza di credere nelle proprie idee anche quando il pubblico non le applaude. E in una situazione dove i conflitti sono destinati ad aumentare e dove sarà necessario far digerire varie verità impopolari, questo sarà un grosso problema.

[tags]discussione, televisione, santoro, società, conflitto[/tags]

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martedì 14 Dicembre 2010, 15:52

La dimostrazione

Le vicende parlamentari di oggi sono solo normale anormalità; sono il segno di uno Stato che si sta sciogliendo come neve al sole. Non vale nemmeno la pena di entrare nelle vite di questi carneadi nominati da qualcun altro, scelti perché mediocri e vassallabili, che cambiano padrone in cambio del mutuo della casa; non mi interessa se la finiana Polidori, proprietaria del CEPU, è stata costretta a votare la fiducia per evitare che le segassero l’azienda, come dice Barbareschi; o se è vero quel che dice Calearo, che sotto sotto nel PD c’era gente che lo incitava a salvare il governo. Non mi sorprende la rissa nella coda per votare, come tra tamarri davanti alla discoteca, né mi scandalizza Scilipoti che dall’IDV va a votare la fiducia; al massimo mi scandalizza Di Pietro, che nel teatrino fa la parte dell’oppositore incorruttibile ma poi porta in Parlamento, da sempre, gente così in quantità industriale.

Quella di oggi è solo una mossa in una partita a scacchi; Berlusconi ha segato Fini e la possibilità di un ribaltone, ma non ha certo la forza per governare a lungo; o riesce a imbarcare Casini, o si andrà a votare a marzo, nel mezzo della crisi e col debito pubblico a rischio di collasso. Questo perché quando è toccato a lui muovere Berlusconi ha detto: meglio che muoia l’Italia piuttosto che sopravviva senza di me.

E allora non è questione di fiducia o no, è questione di cosa viene dopo, che altro Stato può esserci in questo sfascio. Il Movimento 5 Stelle è un tentativo di costruire una nuova classe dirigente, ma ci vuole molto, troppo tempo. Se ci saranno le elezioni saremo pronti, ma il problema del Movimento non sarà presentarsi e nemmeno prendere i voti necessari per entrare in Parlamento, il problema sarà come evitare di mandare in Parlamento uno Scilipoti, un Calearo.

Perché, se c’è una cosa che è dimostrata da quel che è successo oggi, è che tutta la retorica sul fatto che in politica conta il gruppo e le persone sono intercambiabili e irrilevanti è appunto retorica, perché, quando arriva uno con mezzo milione di euro in mano a offrirsi di pagarti una villa in cambio di un voto, non ci sono né accordi né programmi né gruppi che tengano: o hai un’etica e una forza personale che ti permettono di rifiutarli con un sorriso, o non ce le hai.

[tags]politica, fiducia, berlusconi, casini, fini, governo, crisi, corruzione, etica, movimento 5 stelle, elezioni[/tags]

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lunedì 13 Dicembre 2010, 11:50

La manata

Se una immagine vale più di mille parole, poche immagini secondo me sono più efficaci per esemplificare lo stato attuale dell’Italia di quelle del gol di Biancolino grazie a cui il Cosenza ieri pomeriggio ha espugnato il campo del Foggia. Il portiere rossonero para facilmente un cross innocuo e si appresta a rinviare, quando l’attaccante del Cosenza, notando che l’arbitro si è girato ed è di schiena mentre riprende a correre verso il centro del campo, tira una manata al pallone che sta tra le braccia del portiere; il pallone finisce per terra e l’attaccante può così tranquillamente infilarlo in porta. L’arbitro era girato e non ha visto niente, vede solo la palla che entra in rete e convalida il gol.

In campo è scattata la rissa (si vede anche nel servizio del TGR); tutti hanno chiesto a Biancolino di ammettere il fallo, ma lui ha risposto “chi, io? no no, tutto regolare”… salvo poi confessare a partita finita davanti ai giornalisti.

Molti commentatori sportivi hanno scritto che Biancolino “ha mestiere”, che è un “attaccante esperto”. Ma no: è semplicemente un ladro. Eppure anche i commenti della gente fanno cascare le braccia. Dal lato foggiano è un coro di “arbitraggio scandaloso”; eppure, è vero che ha sbagliato l’arbitro a fidarsi nel convalidare un gol che non aveva visto segnare, ma la colpa primaria non è dell’arbitro che deve far rispettare le regole, ma di chi le ha violate. Dal lato cosentino la partita viene riassunta così:

“Il Cosenza espugna lo Zaccheria e batte il Foggia per 1 a 2. con una doppietta di Biancolino, una delle quali contestate. Grande partita con tre occasioni da rete nitide per il Lupi mangiate al 15′ con Roselli, al 43′ Con Mazzeo, al 76′ con Mazzeo e al 93 con A. Fiore. contro l’unica del Foggia.”

A parte l’italiano un po’ così, una rete evidentemente irregolare diventa “contestata” (mai ammettere la colpa, in nessun caso) e comunque c’erano “tre occasioni da rete nitide”, come a dire che rubare un cellulare va bene se è un po’ che si provava a comprarlo senza riuscirci.

Non ci vuole una analisi di Rodotà (che pure, essendo la sua città, per il Cosenza tifa) per capire che il problema dell’Italia non è Berlusconi, ma il berlusconismo che ci è entrato nella testa, sdoganando quel carattere furbetto e arrogante che è sempre stato italico ma che una volta veniva controllato dalle convenzioni borghesi. Stiamo attenti, perché è dentro di noi, inculcato da un ventennio di disastro culturale, e cerca sempre disperatamente di uscire.

[tags]calcio, arbitro, foggia, cosenza, biancolino, furto, regole, berlusconi, rodotà[/tags]

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venerdì 10 Dicembre 2010, 19:43

Tony Troja in Magic Italy Tour

Sì, ieri sera è iniziato a Torino il tour di Tony Troja, nel senso che lo scarrozziamo in giro noi perché lui non guida. A dire il vero si narra che l’altro ieri sera vi sia stata una specie di prova generale in un circolo privato, con tanta gente semiubriaca che ballava e cantava, ma queste non sono cose che vi riguardino; del resto io ero in montagna e il mio cellulare non prendeva, con grande scorno di tutti quelli che mi volevano chiamare.

Ma ieri sera invece ero al Teatro Espace, dove Tony ha presentato il suo spettacolo: lui davanti ai suoi video pieni di facce di Berlusconi proiettate a dimensioni gigantesche e spesso anche un po’ inquietanti. Si ripete a Cuneo stasera e a Bussoleno domenica. Intanto, ecco qui una piccola selezione di ciò che vi siete persi.

[tags]tony troja, magic italy tour, berlusconi, pd, satira, musica[/tags]

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mercoledì 8 Dicembre 2010, 16:41

Il nuovo sicuro

Mi ha fatto molto ridere sentire ieri al telegiornale le dichiarazioni di Massimo Calearo, industriale veneto nominato in Parlamento da Veltroni in una delle sue peggiori crisi di invidia del pene capitalista e poi ovviamente scappato subito fuori dal PD e attualmente finito nel gruppo misto, quando gli hanno chiesto se avrebbe completato il salto del fosso votando tra una settimana la fiducia al governo Berlusconi, conscio del fatto che il nostro signore e padrone offre a questo giro una cifra tra i 300.000 e i 500.000 euro a chi, dopo tormentate riflessioni politiche, si schiererà dalla sua parte: ha risposto “non so, sto valutando, sono un imprenditore”. Da vero imprenditore, si è messo nella posizione migliore per approfittare della situazione di mercato; e da vero imprenditore italiano, non dubitiamo che le sue valutazioni porteranno alla ricerca del massimo profitto immediato.

Ma è un po’ tutta la sfilata della campagna acquisti di quest’anno ad aver assunto dimensioni leggendarie. Sembra quasi una campagna acquisti del Toro, con la differenza però che il Toro, dopo che per settimane i giornali danno per certi gli arrivi di Ronaldinho e Messi, si ritrova all’ultimo giorno a prendere un Di Cesare in prestito con diritto di riscatto. Finirà così anche la campagna di Berlusconi?

Per ora è tutto uno sfilare. Ci sono parlamentari mai visti né sentiti prima, che assurgono a dignità (?) di cronaca solo in queste occasioni, lasciando il destino del Paese nelle mani di un repubblicano o di un postdemocristiano di qualche genere. Si rivedono gruppi politici la cui memoria si era persa nel tempo: qualcuno si ricordava che esistessero ancora i radicali? Anche loro, da veri liberisti, son lì che trattano – pardon, “dialogano” – con Bersani e con Berlusconi per capire chi offre di più.

Ma il massimo di questi giorni – anzi il Massimo, con una mossa degna di un novello D’Alema – è stato il presunto “rottamatore” Renzi, sindaco di Firenze. Lui che vorrebbe tanto rappresentare il nuovo che avanza non ha trovato di meglio che andare a visitare Berlusconi ad Arcore proprio adesso. Si sa che – sempre, ma in particolare in questi giorni – Berlusconi non pensa ad altro che al bene del Paese e specialmente a quello delle regioni più rosse, per cui cosa c’è di strano se il sindaco di Firenze lo va a trovare? In fondo è un segnale chiaro: caro Silvio, non preoccuparti se i D’Alema e i Veltroni che ti hanno tenuto su per vent’anni ora sembrano un po’ in difficoltà, col loro partito che perde pezzi da tutte le parti; rottama con gioia l’usato sicuro, perché ci siamo qui noi nuovi leader, pronti a garantirti altri vent’anni di potere in cambio delle briciole della torta.

[tags]italia, berlusconi, crisi, democristiani, radicali, pd, calearo, renzi[/tags]

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martedì 7 Dicembre 2010, 20:04

La fattura

Venerdì ho portato la macchina a fare il tagliando, dal mio meccanico abituale. So che non è un meccanico particolarmente economico, anche perché normalmente lavora per le aziende di noleggio a lungo termine e per altri grandi committenti che non guardano certo alla lira; ho visto in riparazione persino auto della Polizia di Stato.

Però i tentativi di cambiare, in passato, sono stati pessimi. Il gommista sotto casa, quando gli ho portato la macchina per montare gomme nuove, me l’ha ridata dicendo che avevo il freno a mano rotto, col cavo tranciato; naturalmente funzionava perfettamente quando gliel’ho portata, ma lui voleva 170 euro per ripararlo. Altri amici hanno avuto esperienze orride con Norauto, talmente orride che non si possono raccontare. Insomma, alla fine, già trovarne uno che non faccia più danni di quelli che ripara è un successo.

Comunque, venerdì sono andato a riprendere la macchina, mettendoci 50 minuti per un percorso che in linea d’aria consta di tre chilometri e che in auto richiede sei o sette minuti (grazie GTT). Il preventivo era di 230 euro per il tagliando (cifra più o meno in linea con quello che si legge nei forum), 55 euro per il cambio gomme (le gomme le avevo io), 130 euro per la riparazione di una maniglia rotta. A questi si sono sommati 100 euro per il cambio delle pastiglie dei freni posteriori: tra una cosa e l’altra, 520 euro per, boh, un paio d’ore di lavoro e un po’ di componentistica varia.

Già dunque mi chiedo che senso e che futuro abbia un Paese dove due ore di lavoro di un meccanico valgono come due settimane di stipendio di un ricercatore; arrivato al momento del pagamento, il meccanico si vanta di avermi anche cambiato gratis una lampadina dello stop. Io lo ringrazio, e chiedo fattura.

E’ a quel punto che mi sento dire “ah ma se vuole fattura c’è anche l’IVA”. Già, giusto: è ovvio che, se non si dice niente, il default è l’evasione fiscale. E dunque ho dovuto pagare 624 euro per il mio tagliando, e sentirmi pure un po’ un verme, perché lui era stato così gentile da regalarmi una lampadina dello stop e io, a tradimento, gli chiedo la fattura.

Peraltro, bisogna già ringraziare che poi me l’abbia fatta senza fiatare: c’è anche chi ti costringe a pietirla per un quarto d’ora o a dover minacciare la chiamata alla Guardia di Finanza. E poi si torna al punto di partenza: puoi anche litigare con un singolo commerciante o professionista, ma non a tutto c’è un’alternativa; quando è l’unico centro assistenza autorizzato per la tua marca in tutta Torino, che fai? Quando (come successo l’anno scorso) hai la caldaia rotta a dicembre per il gelo e tutti i riparatori sono oberati di lavoro, puoi davvero permetterti di essere selettivo?

Il fisco italiano è in uno stato drammatico; tartassa oltre misura chi già paga o comunque ci si sottomette onestamente, mentre una parte significativa del Paese continua a non pagare una lira; vive ancora di procedure bizantine e balzelli insensati (avete mai provato a registrare un contratto d’affitto di un box? la tassa di registrazione si mangia tre mesi di affitto…) e di metodi da sceriffo di Nottingham (vedi studi di settore) che poi fanno sì che l’intero Paese finisca per disperazione o per errore nel grigio, in modo che la vera evasione possa farla franca in mezzo a tonnellate di piccole scorrettezze.

Certamente serve la collaborazione dei cittadini nel chiedere fatture e scontrini, ma non trovo nemmeno accettabile che la lotta all’evasione sia scaricata sulle loro spalle, che siamo noi a doverci fare il sangue amaro e litigare perché altrimenti i disonesti fanno quello che vogliono. Vorrei un fisco online, immediato, semplice, e ragionevole nelle pretese, sia di burocrazia che di cifre; ma rispettabile e rispettato da tutti. Vorrei che fosse lo Stato a farsi valere, senza che debba essere io a litigare ogni volta. Vorrei non avere quella sensazione strisciante, sempre più diffusa, per cui il fesso è chi paga e non chi evade, per cui l’evasione è data per scontata dalle stesse istituzioni, per cui a chi gestisce l’Italia, in fondo, va bene così. Vorrei, insomma, delle istituzioni che mi dimostrassero il contrario.

[tags]fisco, evasione fiscale, meccanico, auto, riparazioni, finanza[/tags]

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martedì 30 Novembre 2010, 14:57

Declino e caduta dell’impero romano

Ieri mattina sono arrivato a Fiumicino con un volo Alitalia. Non usavo più la compagnia di bandiera da secoli; stavolta c’era una buona offerta, e dunque ho deciso di darle un’altra chance. Avrei dovuto capire che era una pessima idea dal fatto che sul sito Alitalia non è stato possibile comprare il biglietto: quando arrivavo al modulo di pagamento, il sito si piantava. Forse funziona solo con Internet Explorer, non lo so, fatto sta che sono dovuto andare a comprare il biglietto su Expedia, che peraltro non mi ha fatto pagare i cinque euro di “commissione carta di credito” che Alitalia chiedeva sul suo sito (unico caso in cui l’acquisto tramite intermediario costa meno dell’acquisto diretto).

Anche il web check-in è stato un mezzo disastro: il sistema Alitalia non accetta, come il resto del mondo, il codice IATA di sei caratteri, ma vuole per forza il numero di biglietto elettronico, che però Expedia non mi dava. Alla fine l’ho trovato in un angolino dell’interfaccia di Expedia, l’ho messo, il sistema mi ha creato un PDF in due copie. Io ne ho stampata una sola: tutti i web check-in del mondo funzionano che al gate o il foglio viene strappato o marcato (modello Ryanair), o contiene un codice a barre che viene letto (modello Lufthansa). In ambo i casi, il foglio resta al passeggero. Ma Alitalia no: stampa il codice a barre ma, visto che non si sono preoccupati di dotare i gate di lettori, al gate il foglio viene ritirato. Dopodiché, salendo sull’aereo, ti chiedono la seconda copia! Ma perché dovrei stampare due volte lo stesso foglio per consegnarlo in duplice copia a trenta secondi l’una dall’altra? Gli alberi ringraziano.

Arrivato a Fiumicino con soli 45 minuti di ritardo, mi sono avviato verso la stazione del treno. Come al solito, i tappeti scorrevoli del percorso dal terminal alla stazione erano quasi tutti rotti; il degrado è sempre peggiore, le scale mobili sono ferme e vanno salite a balzelloni, tutto è sporco e semiabbandonato. La responsabilità è di RFI, trattandosi di area ferroviaria, e dunque come ha risolto il problema la società Aeroporti di Roma? Semplice, tappezzando di cartelli i punti di confine per avvisare “DA QUESTO PUNTO I SERVIZI NON SONO GESTITI DA AEROPORTI DI ROMA”. Scaricata la responsabilità, il servizio rimane degradato come prima.

Dovevo andare a Termini, e dunque ho fatto una cosa che non faccio mai; invece di prendere il molto più economico treno metropolitano FM1 per Fara Sabina, scendendo a Ostiense e prendendo da lì la metro, ho preso il Leonardo Express per Termini. E’ “express” nel senso che non ferma, ma si accoda al treno locale che fa tutte le fermate e dunque va a passo d’uomo, impiegando 38 minuti per percorrere 23 chilometri (velocità media 36 km/h). Non sarà il maglev che collega alla città l’aeroporto di Shanghai, che raggiunge i 400 chilometri orari, ma in compenso costa poco: 14 euro (il maglev di Shanghai ne costa 5). E’ perché è un treno “di sola prima classe”: cioè un treno di seconda con i sedili coperti in finta pelle blu, le porte rotte e le carrozze arrugginite.

A Termini, il treno dall’aeroporto viene attestato al binario 25, che inizia a centinaia di metri dagli altri: il posto più scomodo e lontano possibile, costringendo i turisti con i bagagli a trascinarseli sul marciapiede. Ma sul marciapiede devono passare anche i carrelli di servizio, dunque qualche sindacalista romano ha ottenuto che metà del suddetto venisse delimitata con strisce blu e riservata ai dipendenti su carrello. Lo spazio rimanente è insufficiente e i clienti del treno si pigiano, ma non importa a nessuno.

Si potrebbe uscire dal sottopassaggio verso via Marsala, risparmiando parecchi minuti di cammino, ma c’è un problema: era pieno di venditori abusivi. Come hanno risolto il problema? Pattugliando il sottopassaggio? No, semplicemente hanno chiuso gli accessi al sottopassaggio dai binari, così il problema si risolve da solo.

Stamattina presiedevo una sessione della conferenza. In sala poca gente: la città è paralizzata dai cortei degli studenti. Li ho visti partire mentre arrivavo qui a piedi: migliaia e migliaia, con fumogeni e botti, e striscioni che dicevano “RIVOLUZIONE”. Elena è andata in centro – a piedi, perché i mezzi di superficie sono bloccati, mentre la metro è chiusa per sciopero. Il centro è militarizzato: l’intera zona centrale, per chilometri, è bloccata e non ti fanno passare nemmeno a piedi; ti accolgono col mitra spianato. Signore con auto lussuosa spergiurano di abitare davanti a Palazzo Chigi e chiedono di passare; agognano brioche. Ma ci sono vari livelli di sbarramenti; mancano solo i carri armati… per ora.

Qui, molto più che a Torino, tira aria di fine impero. Il problema è cosa resterà dopo.

[tags]roma, governo, politica, crisi, impero, manifestazioni, scioperi, degrado, alitalia, trenitalia, fiumicino[/tags]

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