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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


lunedì 2 Giugno 2008, 11:02

Qui si onora la Repubblica

Stavo pensando a come celebrare degnamente sul mio blog la Festa della Repubblica; siccome le foto nude della Carfagna sarebbero state troppo ovvie, preferisco segnalare che c’è un’altra delle componenti femminili del governo italiano ad avere interessanti qualifiche – e no, non sto parlando della sua laurea in Lettere alla Cattolica. Non è così giusto che ciò che abbiamo spensieratamente fatto vent’anni prima torni a perseguitarci vent’anni dopo, ma, per chi non li avesse ancora visti, è bello ricordare gli esordi professionali di Michela Brambilla.

[tags]festa, repubblica, brambilla[/tags]

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giovedì 29 Maggio 2008, 10:56

Noi e loro

Per prima cosa, se ancora non l’avete fatto, andatevi a leggere la confessione del presunto capo del presunto raid nazista anti-immigrati del Pigneto a Roma. Magari non è completamente sincera, ma raramente ho trovato sui giornali qualcosa che metta in luce la prospettiva totalmente distorta con cui la nostra classe dirigente, i nostri giornali e i residui intellettuali di sinistra percepiscono ciò che sta accadendo in Italia.

E’ giorni, infatti, che la sinistra si lamenta: è arrivato Berlusconi e adesso i fascisti rialzano la testa. E giù a raccontare episodi di aggressione ai poveri immigrati, di morti nel CPT, di campi rom bruciati, di manifestazioni squadriste puntualmente documentate da Repubblica con nobile sdegno. Salvo poi scoprire – la volta che lo scoop passa oltre le linee editoriali – che la realtà è ben diversa; che è vero che una rabbia prima sopita sta rialzando la testa, che è vero che sta partendo una guerra tra “noi” e “loro”, ma è solo marginalmente una questione di fascismo o di razzismo; tanto è vero che il presunto raid fascista e organizzato del Pigneto si rivela essere la storia di un militante di sinistra abituato a menar le mani che si vendica di un “povero immigrato” che vende droga e organizza gli scippatori del quartiere.

Io sono rimasto agghiacciato, pochi giorni fa, nel leggere i commenti al blog della signora Amabile, una vera bibbia di snobberie sinistrorse prive ormai di qualsiasi contatto con la realtà (mitica la volta che ha raccontato con furore e sdegno il fatto che Trenitalia licenziasse i bigliettai per sostituirli con le macchinette in stazioni cruciali come Termoli e Assisi, beccandosi ovviamente qualche decina di commenti sulla linea “e il problema sarebbe?”). Bene, l’altro giorno la giornalista ha postato a proposito del fatto che per Stefano Lucidi, l’investitore di Roma, il magistrato abbia derubricato l’accusa a omicidio colposo; cosa che è assolutamente ovvia e giusta per chiunque conosca la legge.

Sapete che io, per i canoni del giovane laureato torinese, sono ormai un pericoloso reazionario, perché sostengo teorie come l’espulsione su due piedi degli immigrati che delinquono e la repressione della micro-illegalità dai lavavetri agli abusivi. Eppure anche io mi sono davvero preoccupato nel leggere i commenti a quel post, tutti unanimi, tutti furiosi, e in buona parte legati al paragone con un’altra vicenda di cronaca, quella del fiorentino che spara nella schiena al ladro albanese dopo averlo messo in fuga. Ve ne riporto solo alcuni, ma non li ho selezionati; sono tutti, tutti così, al massimo con una eccezione su venti:

“Diciamo bene la verità,sempre, chiunque commetta un delitto,o violazione della legge che sia,quando proviene da un certo ceto sociale o buona posizione economica commette sempre il reato perchè in preda a,sotto l’effetto dì,conseguentemente a,non nelle proprie effettive volontà….e tutto si conclude con il minimo della pena.E’ la legge delle classi sociali.”

“Una persona che entra in casa tua senza il tuo permesso commette non solo una effrazione ma una autentica aggressione…Forse la sua reazione non è giustificabile, ma comprensibile… Detto questo, l’omicidio volontario non è un po’ troppo? Altro caso: un uomo – sotto l’effetto degli stupefacenti – prende un auto, nonostante sia stato interdetto alla guida…Conduce il mezzo sopra tutti i limiti di velocità, non rispetta il semaforo rosso, ammazza due poveretti e scappa senza prestare soccorso… Mettersi alla guida sotto gli effetti degli stupefacenti è come andare a giro con una pistola carica senza una sicura ed il dito sempre pronto a premere il grilletto… Detto questo l’omocidio colposo non è un po’ troppo poco? Forse i giudici dovrebbero invertire i capi d’accusa, Voi non credete?”

“Solo un giudice che di giustizia, ma soprattutto di logica umana non ne capisce nulla, può dire che chi uccide in quelle condizioni non voleva uccidere. Gli proporrei di bere un litro di varechina, sapendolo, e poi dire che non voleva suicidarsi. Le leggi italiane sono stupide ed inefficienti, ma certi dipendenti statali non sanno proprio che lavoro fanno e per quale motivo i cittadini pagano loro lo stipendio!”

“Applicare la legge in codesta maniera non ha alcun significato in quanto il giudizio di chi giudica è essenziale perchè la fredda norma non può rispondere a tutte le fattispecie. Nei due casi trattati c’è una differenza sostanziale. Nel caso del folle guidatore le due vittime se ne andavano tranquillamente con il loro motorino. Nel caso invece del ladro freddato dallo sparatore quello compiva un atto delinquenziale. La differenza sta tutta dalla parte delle vittime. La vita di due cittadini normali sembra avere poco valore per il magistrato, mentre la vita di un delinquente che si introduce in casa altrui sembra avere un valore maggiore. Per applicare la legge in questo modo basta un computer non ci vogliono magistrati superpagati e poco facenti. In ultimo sembra che per il magistrato lo sparatore abbia reagito in maniera sproporzionata, il che in definitiva significa che uno se assalito può colpire solo dopo che è stato colpito a morte.”

“se sei un assassino un pedofilo un criminale, non avere paura tanto ci pensano loro i magistrati/avvocatichi a trovare un cavillo per tirarti fuori dai guai tanto loro non hanno paura di nulla. Vivono scortati con la polizia che fa da guardia sotto casa , mica vengono assassinati mentre camminano sulle strisce. mi piacerebbe che anche i figli dei magistrati facessero la stessa fine di quei 2 ragazzi di roma.”

Nessun tipo di obiezione basata su argomenti razionali o sulla spiegazione della differenza tra volontà e colpa ha avuto alcun effetto: la folla ha giudicato e condannato.

Allora, esiste effettivamente una guerra tra “noi” e “loro”, ma è basata su schieramenti ben diversi da “italiani” e “stranieri”. “Noi” sono le persone “normali”, quelle che lavorano o cercano un lavoro, che faticano ad arrivare alla fine del mese, che non riescono a farsi raccomandare e ad evadere le tasse (anche se ne sarebbero lieti) e che nel frattempo vivono in quartieri sempre più degradati, abbandonati a se stessi e all’invasione della barbarie, come quella che racconta il “nazista” del Pigneto. “Loro” sono tutti gli altri, una alleanza che comprende qualsiasi istituzione – dai politici ai grandi imprenditori, dai magistrati alle forze dell’ordine, dagli avvocati ai dirigenti pubblici, gruppi vissuti sempre più come pure e semplici classi di privilegiati -, i ricchi – di cui si dà per scontato che abbiano rubato – e i loro odiosi figli, i “non allineati” come ultras e centri sociali, i criminali in genere, e soprattutto gli immigrati, ma non in quanto stranieri, quanto piuttosto in quanto gruppo sociale dove la percentuale di criminali è oggettivamente molto più alta della media e a cui, a differenza di “noi”, è permesso qualsiasi comportamento.

Questo clima è semplicemente un effetto dell’abbandono dei cittadini da parte delle istituzioni, della scelta dello Stato di ammettere sempre più zone franche e gruppi liberi da qualsiasi regola, di castagnare “noi” con gli autovelox ma di permettere a “loro” di pisciare per strada e di importunarci ai semafori. Il fatto che il numero dei crimini non sia effettivamente aumentato è irrilevante, perché spesso i comportamenti che creano la rabbia non sono nemmeno reati; sono la maleducazione, la sporcizia, il degrado, la mancanza di rispetto, gli insulti se non compri i fazzolettini, il biglietto non pagato sul bus, la precedenza non data allo stop. E’ su queste cose che bisogna intervenire, e dopo vent’anni di lassismo e di buonismo non è cosa facile; le nostre città andranno riconquistate metro per metro.

L’alternativa, però, sono i moti di piazza, le molotov e gli squadroni punitivi.

[tags]italia, roma, immigrazione, razzismo, pigneto, lucidi, blog[/tags]

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mercoledì 28 Maggio 2008, 17:40

Premio produzione

Io, oggi pomeriggio, ho prodotto: se vi venisse utile una applicazione mistica delle regexp in Perl, a scopo split ed elaborazione di dati da file CSV con valori particolarmente eterogenei, sfruttando quindi un mix di zero-width assertion, look-ahead assertion e look-behind assertion, faccio che copiare e incollare l’espressione da usare:

/(?:^|(?<!\\)\”|(?<=;)|(?<=NULL));(?:$|\”|(?=;)|(?=NULL))/

Invece, sono incerto a chi attribuire il premio di produzione della giornata, relativo alle attività collaterali.

Potrei darlo alla mia assistente personale di Websella (peraltro molto solerte e gentile nel rispondere), che alla segnalazione del fatto che ieri mi veniva negata l’autorizzazione per pagare online con la carta di credito mi risponde: “Ma non si sarà mica smagnetizzata?”.

Credo però che la palma spetti all’impiegata dell’ufficio postale di via Nicola Fabrizi (niente affatto dissimile da quello di via Stradella già noto ai miei lettori) dove io sono entrato alle 13:35, cinque minuti prima dell’orario di chiusura. L’ufficio era deserto, e c’erano quattro sportelli aperti con le impiegate che spostavano fogli da un lato all’altro dell’ufficio, oppure guardavano decisamente il vuoto.

Dovendo pagare due bollettini, ho pigiato sul primo pulsante, quello blu e marcato “Pagamenti, versamenti…”, e mi è uscito il numero A099. Proprio allora una delle quattro signorine preme il pulsante, suona il beep, e si illumina la scritta A098. Nessuno si presenta; del resto l’ufficio è vuoto, dal lato del pubblico ci sono solo io. Attendo quindi che la signorina ripigi per permettermi di pagare, e invece… niente. Riprende a spostare fogli da un lato all’altro del suo tavolo, ogni tanto guardando la vicina. Passano dieci secondi, trenta secondi, un minuto… io sono lì con i miei bollettini e il bancomat già in mano; l’ufficio è deserto; non voglio infierire, ma comincio a chiedermi se sia una candid camera; a un certo punto decido che la pazienza è finita, e mi avvicino.

Appena mostro di avvicinarmi, la signorina smette di spostare i foglietti, preme il pulsante, fa comparire A099, e mi dice in tono sgarbato: “Guardi che per pagare i bollettini deve prendere i C!”. In pratica, verso il basso della distributrice di bigliettini, qualcuno aveva appiccicato un foglietto, con scritto a mano in una grafia da terza elementare “SOLO BOLLETTINI”, a cui corrispondeva un ulteriore pulsante.

Ora, se anche avessi visto quella scritta, io avrei pensato – come insegna la logica – che il pulsante “SOLO BOLLETTINI” può essere premuto solo da chi deve pagare bollettini, ma ciò non implica affatto che chi deve pagare bollettini debba per forza premere quel pulsante, visto che più in su nell’elenco c’è un altro pulsante intitolato “Pagamenti”, con il simbolo dell’euro e un elenco di sottovoci che comprende esplicitamente i bollettini.

Tutto questo ragionamento, però, diventa estremamente inutile nel momento in cui l’ufficio è vuoto e ci sono quattro persone allo sportello con niente da fare; in una azienda normale, farebbero a gara tra loro per servire prima il cliente. Probabilmente, però, premendo A invece di C io sono finito nella coda di quello sportello invece che in quella dello sportello a fianco; e quindi ho costretto la signorina del mio sportello a ben quindici secondi di lavoro – peraltro nel pieno delle sue lunghe cinque ore e venticinque minuti di normale orario di sportello quotidiano – che sarebbero altrimenti toccati alla sua collega.

Ci sarebbe da sperare nell’informatica, se non fosse che Banca Sella ha appena abilitato la possibilità di pagare i bollettini postali dall’Internet banking, previa pagamento di una commissione di 1,25 euro che si somma all’euro chiesto dalle Poste. In pratica, far lavorare i computer invece che gli impiegati viene fatto pagare più del doppio, nonostante il costo per le strutture coinvolte sia un millesimo. Se questo è il privato, forse non era così scema la proposta elettorale di nazionalizzare le banche…

[tags]perl, italia, lavoro, banche, poste, fancazzisti, pubblica amministrazione mascherata da privato per non rispondere a nessuno[/tags]

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martedì 27 Maggio 2008, 09:41

Gomorra altrui

Ho letto questa bella recensione di Gomorra (il film) sul blog di Leonardo, una scoperta recente che merita. L’ho letta e ho pensato: ma se nonostante tutto il bailamme giornalistico uno a Gomorra non riesce proprio a interessarsi, deve sentirsi in colpa?

Faccio i miei complimenti a chi ha il coraggio di portare avanti battaglie di quel genere e con quel livello di rischio, ma non sono le mie e non riesco a riconoscermici; saranno forse questi i problemi dei trentenni campani, ma per i trentenni sabaudi professionisti dell’ICT un racconto ambientato nella Silicon Valley risulterebbe più attuale e interessante, persino più vicino alla realtà delle cose. Insomma, io vedrei volentieri un film sulla fuga dei cervelli, un documentario-denuncia sull’inefficienza della pubblica amministrazione, un reportage sul riscaldamento globale e sull’inquinamento del nostro territorio, o magari un bel film sulla cupola affaristica che non sarà camorra e non si sparerà per la strada, ma che comunque controlla molto del Nord Italia. Però, un film sulla camorra napoletana – oltre a riproporre gli stereotipi dell’italiano mafia, pizza e mandolino che poi ci perseguitano non appena mettiamo piede all’estero – proprio non solletica il mio interesse.

Fa molta tristezza che una parte del Paese si trovi ancora in mezzo al brigantaggio ottocentesco o a scontri tra squadroni della morte come nemmeno nelle peggiori favelas di Rio; ma – a parte la zavorra che tutto ciò costituisce per l’Italia, finché esiste – siamo sicuri che debba essere un problema mio? Non è piuttosto un problema di chi là ci vive, e che, a parte qualche raro Saviano, finisce per adeguarsi tranquillamente, anzi ti dice sottovoce “non ripeterlo in giro, ma per fortuna che c’è la camorra che almeno dà lavoro e mantiene l’ordine”?

Dato che la mentalità è questa, a me viene il dubbio che ogni tanto si riparli di camorra proprio per giustificare lo stato di inciviltà permanente in cui si crogiola un terzo dell’Italia; “si è vero, ci rotoliamo nella monnezza, ma sapete, noi c’abbiamo la camorra”. Le nobili intenzioni del progetto diventano insomma per un’altra parte del Sud, compresa la sua classe dirigente, un alibi per continuare a deresponsabilizzarsi, e a vedere come unica soluzione a tutti i problemi il lamentarsi fino a che non arrivano dei soldi da Roma.

Viene infine l’ulteriore dubbio che i nostri media ci parlino ampiamente di mafia, di camorra e di Andreotti – i cattivi da film – per evitare di parlarci di quelli veri: del cartello dei petrolieri, della mafia della catena alimentare e degli abbracci di Veltrusconi con se stesso. Penso troppo male?

[tags]gomorra, cinema, camorra, mafia, italia, politica[/tags]

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giovedì 22 Maggio 2008, 15:36

Informazione

Per l’informazione giornalistica, questi sono anni neri: ciò che compare su giornali e telegiornali è attentamente selezionato in modo da non disturbare, fino a istupidirci con storielle amene e servizi di cinque minuti sulle nuove mode dell’estate, ma guardandosi bene anche solo dall’accennare a un qualsiasi fatto scomodo.

Oggi me ne è capitato sottomano un bell’esempio; e no, non è questo (via Pasteris), dove si narra per pagine e pagine di ogni possibile nefandezza fiscale che secondo un’indagine sarebbe stata compiuta da una grande azienda di telecomunicazioni, ma senza mai nominarla (ve lo diciamo noi, è Eutelia).

E’ invece questo articolo della Busiarda, comparso oggi in cronaca. Titolo sparato: “Richi Ferrero attacca la Regione” (Richi Ferrero, per chi non lo conoscesse, è uno dei più noti artisti contemporanei torinesi); e già qui, mi viene il dubbio se si tratti davvero di un “attacco” o magari non di una semplice critica. Bene, andiamo a leggere: dopo aver sparato i numeri della rassegna, il giornalista scrive: “Nel prendere la parola tra il pubblico l’artista Richi Ferrero ha attaccato l’assessore Gianni Oliva, di cui ha chiesto le dimissioni, e in generale la Regione Piemonte che, secondo lui spreca denaro pubblico nell’iniziativa.” – l’iniziativa in questione è Teatro a Corte, spettacoli teatrali nelle regge sabaude. Va bene, quindi adesso seguirà la spiegazione dei presunti sprechi, con qualche parola di Ferrero per illustrare la propria posizione, no?

No. Subito dopo si dice che Oliva non ha risposto, ma la Bresso sì; e il paragrafo successivo è tutto dedicato alla Bresso, che si difende dalle accuse, che però a questo punto ancora non conosciamo, sostenendo che i costi sono congrui e la rassegna è bellissima. Seguono altri tre paragrafi: adesso ci diranno quali sono i presunti sprechi? No: l’assessore Oliva, che non ha risposto, risponde, e per tre altri paragrafi magnifica il grande successo e ribadisce che i costi sono congrui. E poi, parlando di Ferrero, conclude: “Ci aveva presentato un progetto per l’inaugurazione della Reggia di Venaria che non andò in porto.”

Fine. Ci lasciano con l’insinuazione che Ferrero sia solo un rosicone deluso; magari è vero, magari questa rassegna è bellissima e perfettamente organizzata, però a me sarebbe piaciuto sapere quali sono gli sprechi che Ferrero ha contestato alla Regione, se ha delle prove a supporto, o anche solo in cosa sia stato speso il milionario budget della manifestazione. Invece, riempito l’intero articolo con le dichiarazioni dei politici, e ridotta a mezza riga incomprensibile la critica iniziale, il giornalista si ritiene soddisfatto.

E poi criticano Grillo

[tags]informazione, regione piemonte, teatro a corte, torino, venaria, ferrero[/tags]

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mercoledì 21 Maggio 2008, 11:06

Razzismo

L’idea di rendere reato l’immigrazione clandestina mi pare peregrina: un clandestino che lavora dovrebbe essere regolarizzato, mentre uno che non lavora e non ha lavorato per un certo tempo dovrebbe essere espulso, a maggior ragione se commette reati o vive di espedienti ai semafori; non si capisce a cosa serva metterlo in carcere, se non ad affollare le carceri. Mi sembrerebbe quindi più urgente risolvere il problema per cui l’80% dei clandestini che andrebbero espulsi restano in Italia perché non c’è abbastanza posto nei CPT per accoglierli in attesa di caricarli su un aereo.

Detto questo, sono rimasto indignato dall’offensiva anti-italiana che si è scatenata in giro per l’Europa, a partire dal governo spagnolo; Zapatero, peraltro, è un noto affondatore di gommoni, e sta biecamente sfruttando Berlusconi per rifarsi una verginità con l’ala buonista del suo partito, magari anche impaurito dall’idea che un po’ più di severità alle frontiere italiane comporti più gommoni sulle coste spagnole. Tempo fa, a fare la voce grossa era la Romania; e poi, esponenti politici di mezza Europa. E noi che facciamo? Non solo chiniamo la testa, ma ci facciamo del male da soli, ad esempio mandando a Strasburgo l’inneffabile Agnoletto ad esibire un cartello che dà del razzista al governo scelto da quelli che gli pagano il lauto stipendio, cioè i cittadini italiani: senza vergogna.

Noi, se avessimo ancora un po’ di dignità nazionale, risponderemmo nell’unico modo sensato: tutti insieme, di destra e di sinistra, diremmo a Zapatero e soci che l’Italia ha il diritto di scegliersi il governo che vuole e di adottare le politiche che vuole, nell’ambito dei trattati internazionali che abbiamo firmato; e se li stiamo violando, che ci denuncino nelle sedi opportune (dove l’Italia peraltro perde regolarmente le cause). Ma anche se Zapatero e sodali avessero ragione, non è accettabile che si immischino in questo modo, né che insultino regolarmente l’Italia un giorno dopo l’altro.

Sicuramente in Italia c’è del razzismo, alimentato dall’incapacità delle istituzioni (ma anche di troppi gruppi sociali italiani, a partire dalla sinistra e dalla Chiesa) di distinguere tra l’immigrazione sana e i delinquenti, di aiutare i primi e punire i secondi senza lassismo e senza buonismo. Ma dopo questi giorni mi pare chiaro che in Europa c’è altrettanto razzismo: contro l’Italia e gli italiani.

[tags]razzismo, europa, italia, immigrazione, zapatero[/tags]

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martedì 20 Maggio 2008, 09:59

Le punte della ricerca italiana

Seriamente: mi dispiace che la mia bonaria ironia su un incontro con gli uscieri (oltre che sulle politiche del Dipartimento Toponomastica del Comune di Roma) sia stata presa come un attacco diretto all’istituzione che, tra le altre cose, ha il merito di aver portato Internet in Italia, oltre a supportare quel po’ della ricerca italiana che resiste allo stato comatoso del Paese. Pensavo che non ci fosse nemmeno bisogno di dirlo, ma comunque mi scuso per l’equivoco.

[tags]ricerca italiana, sicurezza[/tags]

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lunedì 19 Maggio 2008, 10:21

Il prezzo di muoversi

Ieri sera stavo preparando una richiesta di rimborso spese per una trasferta a Pisa svolta a gennaio; per fare prima, ho aperto il file relativo a una trasferta analoga svolta nel gennaio 2007. La riga “pedaggio autostradale” del file recitava: “€ 42,30”. Così ho preso gli scontrini del viaggio fatto dodici mesi dopo, ho fatto i conti e ho inserito il nuovo totale: è risultato essere di € 46,40.

Ora, possono anche prendermi in giro con l’inflazione programmata al due per cento, ma se la matematica non è un’opinione l’aumento del pedaggio autostradale in un anno, almeno sulla tratta Torino-Pisa e ritorno, è stato del 10%. Vero è che l’anno scorso avevo ripreso l’autostrada a Viareggio – dopo una famosa sera in Versilia – e non a Pisa, quindi fino a un paio di euro di differenza saranno anche dovuti a quello, ma l’aumento dei pedaggi mi sembra comunque indecente, soprattutto a fronte del miglioramento dell’infrastruttura sulla tratta in questione (zero).

Ah, e ieri ho fatto carburante scoprendo che, in piena sintonia con il rapido passaggio degli italiani da auto a benzina a auto a gasolio, il prezzo del gasolio ha raggiunto quello della benzina. Ci credo che Moratti festeggia e compra un bidone milionario dietro l’altro… Hanno veramente la faccia come il culo.

[tags]prezzi, autostrade, benzina, inflazione[/tags]

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domenica 18 Maggio 2008, 13:12

Un ego che fa provincia

Ultimamente pare diventato di moda: a chiunque tu chieda cosa fare per salvare l’Italia, tra le prime cinque voci c’è l’abolizione delle province. Effettivamente, forse potremmo cavarcela con un po’ meno burocrazia… In realtà, si tratta di suddivisioni amministrative, nate per organizzare meglio la struttura burocratico-aziendale dello Stato. Come tali, “servono” o “non servono” a seconda di cosa gli si dà da fare, ragion per cui sarebbe probabilmente più produttivo andare ad esaminare le loro competenze – dalle strade all’edilizia scolastica – e capire se e come possono essere trasferite altrove in modo più efficiente, considerando che comunque qualcuno se ne dovrà occupare.

Purtroppo, però, raramente la questione viene affrontata in termini pratici; sulla discussione prevale sempre un altro aspetto, quello dell’ego collettivo delle comunità interessate, con il desiderio di vedere la propria città riconosciuta a livello nazionale, e con la conseguente creazione di burocrazia, posti di lavoro pubblici, infrastrutture di collegamento.

Del resto, il concetto stesso di provincia non è che l’evoluzione delle suddivisioni feudali in vigore fino all’era della rivoluzione industriale, divenute progressivamente inadatte con l’affermarsi della borghesia e l’incremento del peso centrale degli stati nazionali. In origine infatti non era certo questione di elezioni provinciali, ma semplicemente di governatori o prefetti inviati dal governo centrale per gestire un determinato territorio.

Fu l’inventore dello Stato moderno, Napoleone, a imporne la definitiva affermazione; e così, dopo la Restaurazione, lo Stato sabaudo si divise anch’esso sul modello francese, in dipartimenti (l’equivalente delle odierne regioni) a loro volta suddivisi in province. Erano province decisamente più piccole delle attuali, tanto è vero che per un territorio comprendente un sesto dell’Italia più la Savoia c’erano ben 49 province, a loro volta ulteriormente suddivise in centinaia di mandamenti formati da una manciata di villaggi. Non dissimile era la situazione negli altri regni pre-unitari.

Nel 1859, in piena seconda guerra d’indipendenza e con la prospettiva di annettersi gran parte dell’Italia, il ministro dell’Interno Urbano Rattazzi si rese conto che andare avanti con suddivisioni così piccole avrebbe implicato sprechi e difficoltà; e così, diede il via a una radicale ristrutturazione, basata proprio sul principio di “eliminare le province” spostando i poteri ai dipartimenti. Questa riforma, purtroppo, fu concepita con un piccolo problema di marketing: difatti si scelse di rinominare i nuovi dipartimenti in province, col risultato di far sembrare a 39 città di aver semplicemente perso lo status di capoluogo provinciale e di essere state “annesse” dalle rimanenti dieci.

Apriti cielo! Da Mortara a Biella, da Vercelli a Casale, da Asti a Savona, tutte le città degradate la presero maluccio. I più incazzosi, manco a dirlo, furono i genovesi dell’Oltregiogo: non solo gli avevano soppresso la provincia di Novi, ma, nonostante fossero da sempre stati parte della Repubblica di Genova, li avevano addirittura annessi ad Alessandria! Fu quello il momento in cui tutti i comuni della zona, in quello che De André avrebbe definito un atto di vibrante protesta, aggiunsero “Ligure” al proprio nome; e sono ancora incazzati adesso, tanto che il profluvio di pagine relative alla storia delle province italiane, in rete e su Wikipedia, viene quasi tutto da quei posti lì; e non ce n’è una che si dimentichi di buttar lì maliziosamente che Rattazzi era di Alessandria.

Tuttavia, questi episodi dimostrano come i confini amministrativi, anche quelli interni alla nazione, possano avere conseguenze significative sull’evoluzione storica dei territori. Per esempio, a tutti ormai sembra pacifico che la Lomellina sia un territorio lombardo, gravitante su Pavia; e invece, fino al decreto Rattazzi era un pezzo del dipartimento di Novara, tanto che non fu annesso al Piemonte in quegli anni come il resto dell’attuale Lombardia, ma faceva già parte del regno sabaudo sin dal 1707.

Oppure prendiamo Ascoli e Fermo, che al momento dell’Unità erano entrambi capoluoghi di provincia dello Stato Pontificio, entrambi con circa ventimila abitanti; per qualche misterioso motivo, nel 1860 lo Stato sabaudo decise che solo il primo sarebbe rimasto capoluogo, mentre il secondo sarebbe stato annesso dagli odiati vicini. Come conseguenza, partendo da condizioni simili – anzi Fermo è più vicina al mare e alle linee di grande comunicazione -, Ascoli e cintura ha oggi quasi il doppio degli abitanti di Fermo: quanto di questo sarà un effetto del ruolo di capoluogo? (Comunque dopo centocinquant’anni i fermani ce l’hanno fatta, e dal 2004 hanno di nuovo la provincia.)

Dopo le guerre d’indipendenza – a territorio sostanzialmente simile all’odierno – le province erano 69; oggi sono 110, cioè quasi il doppio. Certo sono aumentati anche gli abitanti, ma vi è indubbiamente una tendenza a un costante aumento del numero delle province, in seguito alle pressioni di questa o quella città aspirante capoluogo; negli ultimi anni poi è diventata una valanga (toh, divertitevi). In particolare in Meridione, dove la burocrazia pubblica è l’unica industria esistente, ogni buco di quattro case aspira ai suoi bravi uffici provinciali nuovi di zecca; tranne che in Sardegna, dove essendo regione autonoma ci sono già riusciti.

E quindi, forse è l’ora di tirar fuori un nuovo Rattazzi e di vietare ulteriori province, cercando poi di capire se le funzioni delle attuali non possano essere girate ad enti già esistenti, risparmiandoci qualche ciclo elettorale e un bel po’ di spese correnti; o perlomeno, dopo centocinquant’anni si potrebbe rimettere mano a un po’ di sani accorpamenti. Attenti, comaschi e verbani: Maroni è di Varese!

[tags]province, abolizione, burocrazia, rattazzi, novi ligure libera, lomellina piemontese, fermo provincia, collegno provincia[/tags]

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giovedì 15 Maggio 2008, 14:05

Craxi nostri

Ho letto in giro tanti commenti alla scelta dei ministri, ma quasi nessuno ha parlato dei sottosegretari; eppure, in quella lista ci troviamo tanti nomi interessanti. E non mi riferisco soltanto allo scontato Martinat, al fatto che finalmente abbiano trovato una seggiola su cui piazzare la Brambilla, o che abbiano scontatamente ringraziato Pizza con un posto all’Istruzione, o che uno dei due sottosegretari “tecnici”, ai Trasporti, sia il nostrano Bartolomeo “Mino” Giachino, che di pullman sicuramente se ne intende.

Non mi riferisco soltanto alla brillante assenza di Lucio Stanca dalla lista dei sottosegretari dopo aver mancato quella dei ministri, il che significa che per il momento l’innovazione tecnologica è vacante (suvvia, almeno potevano metterci Malan, che a un IGF è venuto).

E non parlo nemmeno dei vari cognomi noti e figli di papà, da Giuseppe Cossiga alla Difesa – sì, è il figlio di Cossiga; sì, persino Cossiga si è riprodotto – a Enzo Scotti agli Esteri – e in questo caso non è il figlio, è proprio lui, l’ex ministro democristiano degli anni ’70 e ’80.

Parlo invece di un caso che è così esemplare di come stia la politica italiana in questi anni che è incredibile che non sia citato su tutti i blog. Sapete chi era sottosegretario agli Esteri nel governo Prodi? No? Era lui, Vittorio “Bobo” Craxi. E chi è sottosegretario agli Esteri nel nuovo governo Berlusconi? Ma, ça va sans dire, è lei, Stefania Craxi. E noi stiamo ancora qui a scannarci tra sostenitori del PD e sostenitori del PDL

[tags]politica, governo, berlusconi, sottosegretari, craxi[/tags]

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