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Archivio per la categoria 'Itaaaalia'


domenica 5 Febbraio 2017, 12:49

Il vero problema del M5S

Dopo che mi hanno girato alcuni articoli dei giornali di stamattina, mi vedo costretto a tornare sull’argomento Raggi per precisare alcune altre cose.

Io ho partecipato alla discussione collettiva che avveniva in rete, facendo ipotesi basate sulle notizie di stampa, come tutti; e tutte le mie congetture sono sempre state chiaramente marcate come ipotetiche e da verificare. Non ho mai detto di avere altri elementi, né che l’uso di polizze vita di investimento sia di per sé la prova di alcunché; ho semplicemente menzionato diverse possibili ipotesi, tra cui anche quella che la Raggi non ne sapesse niente. Il fatto che questa pratica possa essere usata, a seconda delle clausole, per trasferire dei soldi a un terzo, non vuol dire che questo sia per forza vero nel caso della Raggi, tanto più che nessuno di noi ha tuttora visto il contratto e letto le relative clausole.

Inoltre, non ho mai detto, né penso, che questo tipo di pratiche siano comuni nel M5S (ma quando mai) o che esso fosse a conoscenza delle polizze. Non sono un “superpentito del M5S“, che non è una associazione a delinquere, e non sono affatto pentito di averne fatto parte e averlo fatto crescere, almeno fino a quando non è andato in una direzione politicamente molto diversa da quella originariamente prospettata.

Non mi interessa la visibilità, se così fosse avrei fatto il giro delle televisioni e dei giornali nazionali in questi due giorni; invece gli unici giornalisti con cui ho parlato in questi giorni sono Gabriele Guccione e Maurizio Pagliassotti, spiegandogli peraltro le cose di cui sopra, e poi ho rimbalzato tutti gli altri. Tutto il resto è una interpretazione o invenzione dei giornalisti, senza averne discusso con me, e spesso ben oltre le mie affermazioni: quanto sopra è quanto ho sempre detto, quindi non c’è niente che io debba ritrattare, ma non è accettabile attribuirmi altro.

Aggiungo però un’altra cosa: che tutto questo polverone inutile generato dai media rischia di spostare l’attenzione dalla vera questione che il M5S deve risolvere.

Il M5S deve spiegare come seleziona la propria classe dirigente, in particolare quella non eletta, ma nominata nelle posizioni di massimo potere dalle persone elette.

Posso capire che non ci fosse alcuna intenzione di compensare alcunché da parte di Romeo quando ha stipulato la polizza a favore della Raggi, ma questo non spiega come mai lui lo abbia fatto (“per amicizia”? voi avete amici che vi intestano polizze da 30.000 euro?) né esclude il potenziale conflitto di interessi insito nella nomina, da parte della Raggi, di una persona così strettamente amica in una posizione di grande potere e con uno stipendio quasi triplicato.

Il M5S deve spiegare come mai le sue amministrazioni, dopo tante promesse di rivoluzione, nominano proprio nelle posizioni più importanti diverse persone già legate alle amministrazioni precedenti o con un passato in altri partiti, talvolta anche due o tre partiti uno dopo l’altro (è successo anche a Torino); e come mai, una volta preso il potere, spesso esso porta avanti le stesse scelte amministrative delle precedenti giunte piddine.

Il M5S deve convincere di essere capace di governare il Paese con capacità ed efficienza, cambiando davvero le cose, senza scandali continui, senza giunte e dirigenze che vanno e vengono in pochi mesi, senza informazioni imbarazzanti che vengono fuori a spizzichi e bocconi, solo quando le scoprono i magistrati e/o i media ostili.

Il M5S, inoltre, deve trovare il modo di mantenere la discussione sui binari della democrazia e del rispetto anche di chi la pensa diversamente, perché il livello di insulti (talora minacce) che ho ricevuto questi giorni è davvero ben oltre qualsiasi cosa abbia visto fino a due o tre anni fa, e, nella prospettiva di un M5S al governo, lascia davvero preoccupati su come sarà trattato chi la penserà diversamente da esso; e questo secondo me è un punto cruciale per chi, da elettore, dovrà decidere se dargli o meno credito.

E sarebbe bello se il M5S e i suoi sostenitori, invece di sghignazzare, di insultare o di cercare traditori e nemici, si dedicassero una buona volta ad affrontare questi problemi.

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giovedì 12 Gennaio 2017, 09:28

Addio articolo 18, parliamo del futuro

Vedo in giro molte persone tristi o arrabbiate perché la Consulta ha bocciato la proposta di referendum sull’articolo 18, abrogativa nella forma ma di fatto propositiva, visto che mirava apertamente a reintrodurlo. Negli anni, “articolo 18” è diventata infatti una espressione di uso comune per dire una cosa ben precisa: divieto di licenziare per le aziende.

Eppure, al di là del fatto che le motivazioni della Consulta siano giuridiche e non politiche, io spero proprio che dell’articolo 18 non si parli mai più. Il problema che esso vorrebbe affrontare è importante, e, per essere chiari, non è il caso relativamente raro del dipendente mobbizzato e discriminato, che si può benissimo affrontare con la giustizia ordinaria; è invece la quantità enorme di italiani che perdono il lavoro senza grandi speranze di trovarne uno nuovo, se non, al massimo, una occupazione ultraprecaria e sottopagata; e in questo modo perdono tenore di vita o addirittura vedono messa a rischio la propria sopravvivenza.

Tuttavia, se questo accade, è per via di dinamiche economiche, in parte globali e in parte specificamente nazionali, che l’Italia non ha ancora saputo affrontare e risolvere appieno. Dunque l’idea che, in uno scenario in cui le nostre aziende chiudono per via di fenomeni epocali, il problema dell’occupazione si possa risolvere vietando alle aziende di licenziare è semplicemente folle.

E’ un’idea folle perché se le aziende non riescono a incassare più di quanto spendono prima o poi chiudono comunque, lasciando sul tappeto un numero di posti di lavoro probabilmente molto superiore a quello che si sarebbe perso se il problema fosse stato affrontato per tempo, e magari avendo bruciato nel frattempo montagne di denaro pubblico in ammortizzatori e sovvenzioni.

Ed è un’idea folle perché incentiva la mentalità per cui il posto di lavoro può esistere a prescindere da tutto, a prescindere dalla sanità del business in cui si lavora, a prescindere dall’efficienza aziendale, a prescindere dalle capacità e dalla produttività del singolo; il lavoro come prerogativa acquisita per diritto divino, sancita dagli articoli 1 e 4 della Costituzione.

E’ un peccato che l’economia se ne freghi della Costituzione e delle leggi degli uomini, quando esse la prendono dal lato sbagliato, cioè da quello degli effetti. L’economia è in effetti una invenzione umana, e dunque è assolutamente possibile modificarne per legge il funzionamento; purché, però, lo si faccia in maniera organica, costruendo un sistema in cui tutti gli ingranaggi funzionano insieme, e non prendendo un sistema basato su ruote dentate e ordinando per legge che l’ultima a sinistra diventi quadrata senza modificare le altre.

La vera questione che dovrebbe essere al centro del dibattito, infatti, è la fine del legame diretto tra lavoro e reddito, che ha caratterizzato la vita di tutti gli esseri umani più o meno da quando sono finiti il feudalesimo e la schiavitù.

Il capitalismo, specie quello più consumista degli ultimi cento anni, ha sfruttato al massimo questo legame, traendo la forza per crescere proprio dalla distribuzione di lavoro e quindi di reddito da spendere per alimentare l’economia, in un circolo virtuoso. Ma è ormai da qualche decennio che l’aumento di produttività e l’aumento demografico non vanno più di pari passo con l’aumento di posti di lavoro; e nonostante noi abbiamo rapinato il pianeta di tutte le risorse possibili, abbiamo concepito mille modi di farci anticipare i soldi dalle generazioni future, e ci siamo inventati ogni genere di nuova merce esistente e inesistente, alla fine la crescita della produzione non tiene più il passo della crescita della produttività e del numero di persone in cerca di lavoro, e non c’è più lavoro per tutti; e, stando a tutte le previsioni, non ce ne sarà mai più abbastanza per tutti, a causa del progresso tecnologico.

Non è certo una fine inattesa; per certi versi, da Marx in poi, molti la aspettavano da tempo. La soluzione più semplice, quella di ricevere da ognuno secondo le sue capacità e dare ad ognuno secondo i suoi bisogni, è tanto bella in teoria ma non pare funzionare nella pratica, perché perde di vista un parametro fondamentale: l’uomo è un animale utilitaristico e così come questo è bello quando lo motiva a darsi da fare, e con ciò a generare progresso per tutti, questo è meno bello quando si tratta di fargli venir voglia di lavorare anche per quelli che hanno poco o niente da dare alla società.

D’altra parte, io non credo che l’idea di riqualificare le persone, di trasformare tutti in geni della scienza o esperti massimi di qualche mestiere, sia una soluzione valida: può funzionare per un po’, ma non possiamo pensare che tutta l’umanità svolga lavori superqualificati, anche quando di lavori non qualificati non ci sarà più alcun bisogno. E nemmeno è pensabile che tutti guadagnino coltivando le proprie passioni e che la nostra società sia fatta al 50% da cantanti e pittori, almeno nel medio termine (magari nel lungo periodo, se tutto sarà completamente automatizzato).

E quindi? E quindi bisogna inventare qualcosa di nuovo; un sistema che garantisca reddito e sopravvivenza a chi non troverà più lavoro, mantenendo però una differenza di reddito e tenore di vita, rispetto a chi lavora, tale da motivare le persone a darsi da fare comunque.

Invece di attaccarci come un feticcio al mondo industriale del ventesimo secolo, di cui l’articolo 18 è un simbolo, bisogna allora parlare del futuro: del reddito di cittadinanza, ma più in generale dei tempi di lavoro, della percentuale di vita destinata ad esso, di come e quanto redistribuire la ricchezza sia in generale, nella società, sia all’interno delle singole aziende, in cui i lavoratori rimasti assumono un ruolo sempre più partecipe e imprenditoriale; bisogna parlare dello scopo per cui le aziende esistono, che non può più essere solo quello di creare valore di breve periodo per gli azionisti o peggio per i megamanager, ma deve comunque assumere una motivazione sociale; bisogna parlare persino dello scopo della vita umana, visto che da secoli l’uomo è definito e gratificato in buona misura dal suo lavoro.

Per tutto questo serve un pensiero innovativo, serve una leadership sociale, politica, morale, culturale che all’orizzonte non si vede da nessuna parte. Eppure, se non affrontiamo questi problemi, pensando di risolvere tutto imponendo per decreto il ritorno al ventesimo secolo, non ci aspetta altro che il disastro.

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sabato 31 Dicembre 2016, 08:59

La fine dell’anno è una bufala

Una discussione seria e approfondita sulle bufale che sempre più spesso popolano la comunicazione di massa è urgente e importante, ma sfortunatamente non è quella che si è sviluppata in questi giorni tra Grillo e il garante antitrust, che è solo l’ennesima battaglia di propaganda, quindi una bufala anch’essa.

La nostra società del consumo si basa da sempre sul marketing, che è l’arte di dire mezze bugie senza mai arrivare a una bugia intera, anche se poi spesso la bugia intera si dice lo stesso. La “post-verità” nell’informazione ne è solo la naturale evoluzione, e peraltro, già molto tempo fa, da Goebbels a Orwell, in molti ci hanno avuto a che fare.

Comunque, ho passato gli ultimi vent’anni a usare la rete per fare controinformazione rispetto alle manipolazioni dei giornali, per cui non dovete spiegare a me che siamo in fondo alle classifiche della libertà di stampa. Tuttavia, il fenomeno visto sulla rete italiana in questo ultimo paio d’anni è qualcosa di nuovo, incomparabile rispetto alle “linee editoriali” e agli articoli scandalistici della carta stampata (compresa persino la colonnina destra di Repubblica). E’ nuovo per sfacciataggine, è nuovo per sistematicità, è nuovo per diffusione, è nuovo per la completa anonimità dei suoi responsabili.

Io non ho mai visto alcun giornale pubblicare una bufala tipo quella che ho segnalato qualche giorno fa, quella della foto di un ponte crollato a Piacenza anni fa spacciata per un ponte della Salerno-Reggio Calabria crollato subito dopo l’inaugurazione di Renzi. Non si possono paragonare le interviste sdraiate dei telegiornali a una cosa del genere.

E dato che la moneta cattiva scaccia quella buona, se queste pratiche vengono ammesse come legittima forma di comunicazione, allora anche i giornali e la televisione, prima di scomparire del tutto per la naturale evoluzione tecnologica, ci si adegueranno completamente; e vivremo davvero dentro il libro di Orwell.

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venerdì 30 Dicembre 2016, 08:44

Chavez al pomodoro

La Cassazione sancisce anche in Italia il modello anglosassone dei rapporti di lavoro – ovvero, l’azienda può licenziare semplicemente perché ritiene che tu non le serva più, e che quindi possa risparmiarsi il suo costo. E questo, che in una società dinamica come quella americana è spesso alla base della crescita e dello spirito di iniziativa, in una società vecchia e produttivamente obsoleta come la nostra è per molti l’inizio della fame.

Si potrebbe commentare a lungo parlando della crisi da troppo successo dell’economia capitalista, della fine del lavoro salariato e di altri fenomeni storici che stanno inesorabilmente portando al collasso il modello socialdemocratico alla base delle società europee.

Oppure si potrebbe commentare, come ho letto poco fa su una bacheca di Facebook, “E tutti d accordo PD sindacati massoni e falsi profeti!!La gente umile e onesta calpestata e sfruttata.Il popolo ha capito è sta capendo!!!”.

Il problema è proprio questo: che il “popolo” pensa di capire, perché le soluzioni semplici sono sempre affascinanti. E la soluzione semplice è che nessuno debba rimettersi in gioco tranne i politici, che se non trovo un lavoro è colpa del PD e non del fatto che non riesco a scrivere una frase in italiano compiuto, e che arriverà un nuovo regime che caccerà i corrotti e farà ricca “la gente umile e onesta” – che poi, non di rado, è quella che pensa di meritare duemila euro al mese senza fare niente e che si fa fare i lavori in nero appena può.

Capire davvero il nostro tempo è, temo, fuori dalla portata dell’italiano medio; e quindi, chiunque sia a sfruttare la situazione per arrivare al potere, rischiamo davvero un ventennio di chavismo al pomodoro, grida ai complotti plutomassonici e ghigliottine di Stato.

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giovedì 29 Dicembre 2016, 14:35

Il divieto dei botti a Capodanno

Credo di poter parlare con una certa cognizione di causa della questione del divieto di botti a Capodanno, visto che in cinque anni da consigliere sono stato l’unico a intervenire puntualmente prima della fine dell’anno per sollecitare il rispetto del divieto, e dopo il capodanno per chiedere conto della sua applicazione. I botti di fine anno, infatti, sono un disturbo inutile non solo per gli animali ma anche per le persone che per qualsiasi motivo (malati, anziani…) non possono festeggiare e hanno bisogno di tranquillità, oltre che essere un pericolo per le persone (non solo quelle che li accendono).

Capisco dunque chi ci è rimasto male e anche chi parla di un complotto contro la sindaca pentastellata di Roma, ma le cose stanno in maniera un po’ diversa. I botti, difatti, sono legali, esattamente come il gioco d’azzardo; e proprio perché sono legali, il sindaco può imporre divieti solo se la legge glielo concede esplicitamente, o in alternativa lo può fare solo parzialmente (nel tempo e/o nello spazio) e solo per motivi gravi e urgenti legati alla salute pubblica.

In passato, sindaci di ogni colore (Fassino compreso) si sono appellati a questa possibilità per introdurre il divieto di botti sotto Capodanno, in una ordinanza o in un regolamento comunale, anche se quasi mai poi il divieto è stato fatto seriamente rispettare, viste le oggettive difficoltà; diciamo che si tratta più di una campagna di opinione (e, per i politici, del tentativo di accaparrarsi i numerosi voti degli animalisti).

Quest’anno, tuttavia, c’è stata una novità: una circolare del Ministero dell’Interno di tre settimane fa dice che il potere di un divieto in tal senso non sta nelle mani del sindaco, ma in quelle del prefetto, in quanto si tratterebbe di una questione di ordine pubblico legata a un evento unico e imprevedibile, e non di un problema di salute pubblica; se fosse un problema di salute pubblica, i botti sarebbero vietati sempre (dalla legge) e non solo a Capodanno.

La circolare di un ministero non ha valore di legge, ma quel che è successo è che le associazioni di categoria dei venditori di botti hanno impugnato al TAR Lazio l’ordinanza di Roma, chiedendo se l’interpretazione giusta della legge fosse quella dei sindaci o quella del ministero; e il TAR Lazio, che invece ha potere vincolante, ha deciso che potrebbe avere ragione il ministero, e quindi ha sospeso l’ordinanza in attesa di poter discutere dettagliatamente nel merito a fine gennaio.

Perché è stata impugnata solo l’ordinanza di Roma? Può darsi che ai pirotecnici stia antipatico il M5S, ma la cosa più probabile è che, dovendo scegliere (visti i tempi e i costi) una città in cui impugnare il provvedimento, essi abbiano scelto la capitale, sia perché è la prima città d’Italia e può fare da esempio, sia perché per legge il TAR Lazio è il “TAR supremo” e dunque la sua pronuncia prevarrebbe su quella eventualmente contraria di altri TAR in altre regioni. Insomma, questi sono onori e oneri di governare la capitale.

Non è chiaro se questa pronuncia renda automaticamente invalide anche tutte le ordinanze delle altre città, e comunque per ora è solo una sospensiva; magari a gennaio la pronuncia finale sarà opposta, e comunque c’è da aspettarsi un ricorso al Consiglio di Stato.

Per l’anno prossimo, sperabilmente, la questione legale sarà conclusa e sapremo se i sindaci hanno o no il potere di vietare i botti, e come (essendo in Italia, magari basta riscrivere l’ordinanza in modo diverso). Tuttavia, la soluzione vera è una sola, ovvero quella di cambiare la legge a livello nazionale, inserendo nella legge stessa la prerogativa dei sindaci di vietare i botti in occasione di determinate feste.

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venerdì 16 Dicembre 2016, 13:42

Sulla mia espulsione dal M5S Torino

Cari attivisti,

so che domenica sera, alla riunione cittadina, il primo punto all’ordine del giorno sarà la mia espulsione dal Movimento 5 Stelle di Torino. Domenica sarò in Germania e non mi sarà possibile essere presente di persona; per questo motivo ho pensato di scrivere qualcosa.

A proposito dell’espulsione in sé, sinceramente, fate come ritenete più giusto; non me ne importa granché. Anche se nel regolamento del M5S Torino non sono previsti requisiti di attivismo minimo per rimanere iscritti, io ormai ho altro per la testa. Mi dedico al mio nuovo lavoro, e per quanto mi dispiaccia un po’ che le mie energie, invece di essere dedicate alla mia città, vadano a vantaggio di una società privata straniera, devo però dire che tale società, con la sua causa globale di una rete più libera e aperta, se le merita tutte; e non c’è persona che incontri per strada che non mi dica che sto molto meglio adesso.

Nel tempo che mi rimane, continuo a fare il cittadino attivo, e credo di fare un buon servizio alla collettività proseguendo nel “fiato sul collo” a mezzo Internet che era il vanto del M5S delle origini, e che ho sempre fatto di mia iniziativa da ben prima che esistesse il Movimento. Solo, come l’ho fatto con Chiamparino e con Fassino trovo giusto farlo anche con Appendino, e senza sconti. Se il vanto del M5S di ieri è incompatibile con la partecipazione al M5S di oggi, amen: preferisco la fedeltà ai principi che quella ai simboli di partito.

Mi permetto però soltanto di segnalare una cosa. Trovo strano che in una città piena di problemi, dopo alcuni mesi di amministrazione a cinque stelle non certo esaltanti, la preoccupazione più urgente del M5S Torino sia espellere una persona che nei fatti già non partecipa più.

Credo che gli attivisti dovrebbero preoccuparsi di altro. Dovrebbero pretendere dal proprio movimento e dai propri eletti il rispetto del programma elettorale e delle promesse fatte prima del voto, ora tanto velocemente messe da parte. Dovrebbero pretendere coinvolgimento e partecipazione, invece di accettare a scatola chiusa le scelte della giunta. Dovrebbero pretendere il rispetto dei principi base tanto sbandierati dal Movimento 5 Stelle, a partire dal taglio degli stipendi, visto che sindaco, assessori e presidente del consiglio comunale continuano a guadagnare dai seimila euro al mese in su.

Dovrebbero preoccuparsi di poter andare per strada a testa alta, senza trovarsi di fronte a cittadini perplessi o arrabbiati che hanno votato Appendino per ottenere un cambiamento e ora vedono che poco o nulla sta cambiando. Dovrebbero preoccuparsi dei segnali evidenti di assimilazione del M5S alla mediocrità della politica italiana, dei primi arresti nel Movimento nazionale, del continuo cercare scuse, usare il marketing per negare i problemi, cercare traditori e nemici per sviare l’attenzione.

Io capisco che governare non sia facile, e sono anche convinto della buona fede e dell’impegno di molti degli eletti. Sono anche convinto però che il M5S abbia fatto delle scelte e ne debba rispondere a chi lo ha votato, tra cui il sottoscritto.

Per esempio, il M5S ha scelto una brutta strada quando ha messo la fedeltà davanti a tutto il resto, regalandoci momenti come quelli di questo video, con il presidente del consiglio comunale, la massima carica istituzionale della città, che non riesce nemmeno a leggere il numerale romano “II” contenuto nel nome di uno dei principali corsi cittadini.

Peggio ancora mi sento quando leggo di strane manovre sulle nomine o di lucrosi affari privati derivanti da generose concessioni della nuova amministrazione, o vedo sparate propagandistiche ridicole come quella di ieri. Peggio ancora mi sento se per il Movimento tutto questo va sempre bene, se tutto viene sempre difeso a prescindere solo perché viene da “noi”.

Quindi scusatemi se quando scopro queste cose ci resto male, mi arrabbio e mi sento anche un po’ in colpa, dato che ho comunque sostenuto la candidatura di Chiara fino all’ultimo, pensando che almeno l’onestà intellettuale e la trasparenza ci sarebbero state. Non mi diverto a criticare, a litigare in rete, a subire ondate di attacchi preconcetti e di fango personale, lo faccio solo perché spero di svegliare ancora qualcuno.

Fossi in voi, dunque, mi concentrerei sul vero compito della base di qualsiasi forza politica sana, che non è quello di applaudire e di farsi i selfie coi capi, ma quello di controllare e dirigere l’operato di chi rappresenta la base e i cittadini.

Comunque, nessuna decisione di partito potrà cancellare quasi dieci anni di lavoro al servizio della mia città e dell’ideale di un tempo, i tempi meravigliosi delle origini, lo spirito avventuroso ed entusiasta che fu, i dibattiti accesi su idee di democrazia diretta e di riforma sociale che forse erano ingenue e utopistiche, ma che avrebbero davvero potuto cambiare il mondo, se non fosse arrivato prima il potere che tutto vincola e tutto corrompe, insieme a tempi cupi che fanno presagire il peggio.

Spiace, ma spiace soprattutto che il tempo della rivoluzione sia passato, e che ora ne resti soltanto più la caricatura.

Buona assemblea,

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sabato 10 Dicembre 2016, 13:37

Equitalia, che piacere

Stamattina mi sono messo a pagare le tasse di fine anno. Già che c’ero, ho controllato le mie varie posizioni; faccio così da quando ho scoperto che Equitalia aveva in serbo per me delle cartelle non dovute che io pensavo fossero state sgravate dal mio commercialista anni prima, e che invece secondo loro erano ancora dovute, ma senza avvertirmi; la volta che andai là a pagare 18 euro arretrati che dovevo alla Camera di Commercio, chiesi per curiosità l’estratto e venne fuori che esistevano ancora queste cartelle, che continuavano a maturare more in silenzio; e magicamente poco dopo cominciarono i solleciti.

Alla fine, oltre un anno fa, anche se io negli anni ho sempre pagato tutto ciò che il mio commercialista mi diceva, dopo anni di pratiche strazianti ho deciso di saldare la parte rimanente delle cartelle pur di togliermeli di torno, anche perché ormai erano passati otto anni, avevo chiuso la partita IVA da quattro, e non avevo voglia di andare avanti a rischiare il fermo della macchina e altri casini per qualche centinaio di euro.

Bene, secondo voi cosa risulta? Che una buona metà degli arretrati che ho pagato più di un anno fa secondo loro non sono mai stati pagati, e sono ancora lì che maturano more in silenzio, forse in attesa di qualche futura occasione per minacciarmi di sequestrarmi la macchina, pignorarmi la casa o altre robe così.

Ovviamente ho dovuto perdere un’oretta a spese mie per ricostruire tutti i passaggi e verificare che le somme che mi chiedono sono proprio quelle che ho già pagato, e adesso dovrò andare a rompere le scatole per fargliele cancellare del tutto.

Tra l’altro gli manderei un messaggio dal sito, ma dentro l’area riservata, in cui l’identità è validata dall’Agenzia delle Entrate o addirittura da SPID, non c’è alcuna possibilità di aprire un ticket. C’è invece una form di contatto da fuori, ma per autenticarmi devo allegare una scansione della mia carta d’identità, favorendo così ogni genere di possibili furti d’identità a mio danno. Geniale…

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sabato 1 Ottobre 2016, 09:58

Sui nuovi assessori di Virginia Raggi

Va detto subito: chiunque la Raggi avesse scelto come proprio assessore, i giornali avrebbero trovato subito qualcosa da ridire. Eppure, una riflessione va comunque fatta.

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Ho conosciuto Massimo Colomban nel 2013, alla GAM; me lo presentò Casaleggio quando mi chiamò a partecipare al lancio del progetto che avevano costruito insieme, quello di una “Confindustria a cinque stelle” dedicata alle PMI. Il progetto non mi pare andato molto lontano, ma Colomban mi sembrò comunque una persona molto valida, però di un tipo particolare: il classico self-made-man del Nordest abituato a decidere tutto in prima persona, maneggiare soldi e affari e lamentarsi delle tasse e degli statali fancazzisti. Mettere una persona così nell’ambiente della politica romana è come versare l’acqua nell’olio bollente: vedremo sicuramente molti scoppiettii, ma l’esito è tutto da capire e il rischio è o di far evaporare lui in un attimo, o di bruciare la cucina.

Quanto a Mazzillo, il fidato collaboratore dietro le quinte ora messo sotto i riflettori come assessore al bilancio, il profilo mi ricorda molto quello di Paolo Giordana, il braccio destro di Chiara Appendino: una persona che è stata a lungo all’interno delle amministrazioni PD, non ha più trovato lì il suo spazio e lo ha poi trovato nel M5S. Questo non vuole dire che siano persone stupide (anzi, tutt’altro) e nemmeno che siano in cattiva fede, ma è preoccupante il messaggio che si manda: quello che il M5S non sia in grado di reperire al proprio interno o tra i propri simpatizzanti le professionalità necessarie, e che quindi, dopo tante promesse di “spazzare via” il vecchio sistema, per combinare qualcosa quando è al governo debba arruolare gente che viene dal PD, con tutta la rete di conoscenze e amicizie pregresse. A questo punto, il rischio è che la gente si chieda se non si faccia prima a rivotare direttamente il PD.

Per questo, al di là di augurarmi che la Raggi ora riesca a lavorare e a cambiare la sua città nei fatti, credo che sia urgente che il Movimento affronti la questione di come selezionare una nuova classe dirigente: perché presto governerà un po’ dappertutto, e le prossime volte sarà necessario essere più pronti.

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mercoledì 28 Settembre 2016, 15:11

Due parole contro la Bolkestein

Oggi in tutta Italia i mercatali manifestano contro la direttiva Bolkestein, che richiederebbe di mettere all’asta nel prossimo futuro tutti gli spazi attualmente assegnati nei mercati. E siccome ho già visto girare commenti con la puzza sotto il naso che accusano di “mafia” e “lobby populista” chi si oppone a questo ennesimo sprazzo di neo-liberismo, vorrei spiegare alcune cose.

Il problema della Bolkestein nei mercati è oggettivo: l’intero settore è in ginocchio da un pezzo per la crisi, e se liberalizzi e metti all’asta le licenze avrai migliaia di microimprese familiari che, non avendo i capitali per rilanciare e anzi avendo anni di debiti con Equitalia, chiuderanno e lasceranno il posto, mentre i mercati si trasformeranno in una appendice in bancarella delle varie catene di supermercati o perlomeno nel territorio esclusivo di pochi grandi operatori che al posto degli operatori indipendenti di oggi impiegheranno precari sottopagati e immigrati in nero.

Questo è talmente evidente che nei Comuni non si trova alcun partito che si dichiari a favore della Bolkestein, e persino l’assessore al commercio PD della scorsa consigliatura ha passato gli ultimi due anni a dire che Fassino sarebbe andato a Roma a discutere con Renzi come fermare l’applicazione della direttiva.

Dopodiché senz’altro esistono situazioni in cui l’assegnazione e la gestione delle licenze sul suolo pubblico è in mano a mafie e mafiette con la complicità di politici e funzionari conniventi o intimiditi, e il problema dei Tredicine a Roma (citato nei post critici) è reale, ma questo non cancella comunque il problema originario, che riguarda decine di migliaia di piccoli operatori in tutta Italia, e che andrebbe affrontato seriamente senza trasformarlo nella solita occasione per accuse strumentali tra partiti.

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venerdì 2 Settembre 2016, 11:55

Caro Stato, fatti i cavoli tuoi

Si sa, ogni giorno in Italia sui social network parte un’ondata di indignazione e di scherno contro qualcosa; talvolta meritata, talvolta no. Quella di ieri, meritata, è contro la ridicola campagna pubblicitaria del Ministero della Salute che vorrebbe convincere i giovani italiani a fare più figli; una campagna che è innanzi tutto una prova di incapacità amministrativa, dato che evidentemente è stata affidata a dei “professionisti” talmente scarsi da aver partorito slogan e immagini che hanno fatto ridere tutto il Paese.

Finito di ridere, però, è necessario comprendere il vero, grave problema che si ripete continuamente nella politica italiana: quello per cui chiunque abbia in mano il potere si sente in diritto di imporre agli italiani i propri valori e le proprie visioni della vita.

E’ vero, difatti, che la società nel suo complesso ha sotto molti punti di vista un interesse effettivo a promuovere un tasso di natalità più elevato, che vuol dire, banalmente, più contribuenti in futuro e più energie fresche per sviluppare il Paese; anche se il sospetto è che le considerazioni politiche dietro la campagna non siano tanto queste, quanto il desiderio degli alleati centristi di Renzi di appagare il Vaticano e quell’elettorato cattolico integralista che ormai è ridotto a un manipolo di ultrà adinolfici, ma che nella testa dei politici è ancora dilagante.

Ma anche lasciando perdere la questione se la soluzione migliore al calo della natalità sia una pubblicità su Facebook, il problema è che in una società libera l’individuo ha innanzi tutto il diritto di fare scelte che non perseguano l’interesse e il benessere collettivo, ma il suo individuale; e lo Stato può limitare o contrastare questo diritto solo là dove lede direttamente l’uguale diritto degli altri, ma non, invece, per imporre all’individuo di allinearsi a un modello di vita che non condivide.

Se non si parte da un principio libertario come questo, si va verso società totalitarie in cui l’interesse collettivo giustifica qualsiasi prevaricazione; non solo, come una volta, il matrimonio obbligato e pianificato in funzione dell’accrescimento della numerosità e del patrimonio familiare, ma pure l’eugenetica (perché è interesse sociale non avere individui deboli al proprio interno), l’omofobia (perché non funzionale alla riproduzione) e così via.

In questo tipo di società, chi è al potere segue una ideologia che descrive il modo “corretto” di vivere, e la impone a tutti i cittadini. Purtroppo, questa mentalità è molto diffusa in tutta la politica italiana, vecchia e nuova, perché non c’è differenza concettuale tra promuovere la fertilità per rafforzare numericamente la popolazione e promuovere il veganesimo per ridurre l’impatto ambientale dell’alimentazione; o impedire alle famiglie di dar da mangiare ai bambini a scuola quello che vogliono, montando una serie di scuse organizzative e pseudo-sanitarie per nascondere il fastidio di non poter obbligare i figli degli altri a essere tutti uguali e allineati al modello che si vuole imporre.

Il messaggio post-ideologico del Movimento 5 Stelle, in origine, era anche questo: l’ideologia di Stato e di partito limita la libertà degli individui di essere felici e vivere come meglio credono, per cui perseguiamo una società senza ideologie. In questo senso, il M5S delle origini era una speranza per i laici e libertari, e spiace vedere che il M5S di oggi, come già tutti gli altri partiti, abbia completamente abbandonato questa idea.

Il problema politico, dunque, ritorna a essere generale: quello dell’italiano che deve difendersi dallo Stato e dai politici non solo sul piano dell’incompetenza e della disonestà, ma anche su quello del vedersi consigliare o direttamente imporre grandi e piccole scelte di vita. Chissà se e quando gli italiani riusciranno ad avere la meglio.

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