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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


sabato 17 Giugno 2023, 09:41

L’invasione

Dunque l’avevo già capito sul volo, che c’era qualcosa di strano: da Washington Dulles a Francoforte su un’inguardabile carretta Lufthansa, un 747-8 con le ginocchia nei denti che neanche Ryanair, i piedi a zigo zago tra sostegni dei sedili e scatole dell’entertainment, il touchscreen che non funziona e soprattutto una marea di bambini di ogni età, di cui quattro – quattro! – sotto l’anno, a darsi i turni a rompere le orecchie. Già dopo un’ora dal decollo, lo steward si è scusato in questo modo: “a causa dell’elevato numero di ragazzini, abbiamo finito la Sprite”.

La situazione è degenerata del tutto a dieci minuti dall’atterraggio: nonostante l’obbligo di stare seduti con le cinture allacciate, vedo passare accanto a me nel corridoio un ragazzone americano di quelli pompatissimi, con magliettina tecnica, culo scolpito e bicipiti da sollevatore di pesi. Il volo era tranquillissimo, eppure lui fa altri tre passi in avanti, si gira verso un lato e buargh, vomita anche l’anima come neanche i bambini di cui sopra. Il passeggero a fianco, anche lui americano, interviene prontamente: si alza, lo abbranca e cerca di scaraventarlo via al grido di “can you just go somewhere else”.

Bene, come dicevo, avrei dovuto capire, e invece no. Arrivo a Francoforte, faccio tutto il corridoio degli Z, e al fondo trovo una nuova freccia: B a sinistra, A a destra. È strano, perché subito a sinistra c’è il controllo passaporti che porta proprio nel cuore degli A; ma io sono un cittadino onesto e devo andare alla lounge degli A, quindi seguo la freccia. Mi fanno fare tutto l’altro corridoio degli Z, e in fondo comincio a vedere una strana folla. Alla fine del corridoio, scopro un nuovo controllo passaporti con quattro sportelli in tutto, e nessuna porta automatica, e una coda di gente per almeno un’ora, tutti col loro passaporto blu; non se ne vede la fine.

Penso che ok, mi son fatto fregare, ma vale la pena di tornare indietro. Ripercorro tutto il corridoio e arrivo alla scala mobile in discesa verso il vecchio controllo passaporti: trovo l’ingresso sbarrato col nastro e una signora che manda via la gente verso il nuovo passaggio, anche se sotto c’è comunque gente in fila. Faccio il finto tonto: vado a Torino, B13, per B dice di qui. La signora mi guarda male, poi però nota una cosa: in mano ho il passaporto, ed è bordeaux. Amico! Mi apre il nastro e mi dice testualmente: “you are lucky, European passport”.

Sotto, stessa scena: ondate di americani in fila, disperati per la connessione da prendere; io mi metto in fondo alla lunga coda, ma noto più avanti il cartello “passaporti europei” verso un passaggio vuoto. Esibisco il passaporto bordeaux, mi aprono il nastro e mi fanno passare accanto a tutta la fila, fino alle mie solite e adorate porte automatiche per passaporti bordeaux, completamente deserte; e in un minuto sono di là.

È che in sostanza, su un volo di trecento persone, ero l’unico europeo o quasi. Non so se Lufthansa abbia deciso di regalare biglietti a tutta l’America, ma il volo era pieno a tappo, e ce n’erano altri, e qui adesso c’è una marea di americani in vacanza che vagola per l’aeroporto cercando di capire dove andare e chiedendo a tutti, perché gli americani sono abituati a fermare l’addetto di turno e a chiedere, non a seguire i cartelli in silenzio.

Ora sono nella lounge, e anche qui sono tutti americani: li riconosci perché abbrancano le inservienti tedesco-magrebine e pretendono che gli venga immediatamente approntato un tavolo per fare colazione, chiedendolo in americano stretto a una signora immigrata che a malapena capisce il tedesco. Li riconosci perché è ora di colazione e hanno una sola parola in testa, “cappuccino” (qualcuno anche “latte” o “venti”, sono quelli degli Starbucks), e però si fanno il cappuccino e poi ci mettono non uno, non due, ma quattro cubetti di ghiaccio, giuro l’ho appena visto fare or ora a una signora, mentre il marito chiedeva dove fosse la bottiglia del Jack Daniel’s.

E così, mi mangio uova e salsicce su un tavolino e resisto all’invasione, però, ragazzi, prepariamoci: da qui a settembre, in ogni angolo di ogni città e di ogni paese italiano, ci sarà la folla dei nuovi vacanzieri; una sostituzione etnica del tempo libero da Roma a Venezia. È il mondo del post-lavoro, e porta soldi; e questo mette a sedere qualunque discussione.

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lunedì 1 Maggio 2023, 18:06

Il lavoro di massa è finito

Oggi ho letto in rete molti post sul primo maggio, quasi tutti reclamanti più stipendio, più garanzie, più diritti e meno sbattimento sul posto di lavoro, e non di rado il diritto di vivere senza lavorare. È un’idea che piace a tutti, però, ecco…

…ecco, scusate ma ve lo dico: il lavoro di massa, nel primo mondo, è finito. Già oggi siamo molto più importanti come prodotti, come prosumatori per il business di qualcun altro, che come produttori di qualsivoglia valore. Ci sono eccezioni, ma per la maggior parte di noi il poco che produciamo sarà presto realizzato a costi molto inferiori e con qualità molto superiore da un’intelligenza artificiale americana o cinese o ben che vada tedesca, da un robot controllato da essa, oppure da qualche asiatico che si è sbattuto a studiare e a competere per i primi venticinque anni della sua vita ed è molto più preparato e determinato di tutti noi, o, se proprio serve, da qualche operaio in un paese in via di sviluppo.

Ne consegue che le condizioni di lavoro del 90% di noi non faranno altro che peggiorare, e nessun governo – specialmente quello di un Paese impoverito e anziano come il nostro, che di questi temi non riesce manco a parlare – potrà mai evitarlo. Per cui sì, alla fine molti di noi vivranno senza lavorare, ma a condizioni sull’orlo della sussistenza, e solo per quanto sarà necessario per restituire subito tutti i soldi ricevuti come consumo di beni e servizi.

Buon primo maggio!

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giovedì 30 Giugno 2022, 21:27

Parlando di valori

Dunque ricapitoliamo, perché non succede spesso che io prenda in mano la tastiera del possessore ufficiale di questo profilo e possa parlare, né tantomeno esprimere opinioni complesse e poco ufficialmente agibili, idee che vadano oltre allo stanco trollaggio-rantaggio minimo che caratterizza l’interfaccia con cui normalmente venite in contatto su Facebook. Come si dice quando si è votati a farsi divorare dal mondo, prendete e mangiatene tutti: è il motto dei social network moderni.

Coaguliamo quindi la circostanza attuale, quella per cui noi Occidente siamo impegnati in una strisciante guerra tiepida per la salvezza dei nostri valori, sottoposti all’aggressione di mostruose potenze che vogliono ridefinire il mondo in senso autoritario, e per senso non s’intende solo una direzione, ma proprio un significato.

E’ una guerra che ci costa cara, ma non importa; perché non è certo una guerra per miseri interessi finanziari o geopolitici, per il vantaggio di alcuni gruppi dominanti o di alcuni operatori economici della pace armata. Noi combattiamo per la salvezza dell’anima del pianeta, ed è per questo che la guerra non può essere fermata, che deve andare avanti fino alla vittoria; perché se fosse soltanto una guerra d’interesse, beh, allora non sarebbe irragionevole chiedersi se tal interesse può arrivare a un compromesso, e fino a dove è prevalente rispetto ai danni gravi ed evidenti che il conflitto sta causando ai cittadini dell’Occidente stesso, ricchi e militari esclusi. Ma no, è una guerra di principio per salvare la democrazia, e sui principi non si può negoziare; ed è una guerra per salvare le povere vittime ucraine, e sulle vite non si può mercanteggiare.

Quindi è per questo, per sostenere questa guerra fino alla vittoria, che abbiamo appena stretto un accordo per permettere l’ingresso della Svezia e della Finlandia nella NATO, un passo che migliorerà senz’altro la democrazia del mondo; ed è per questo che tale accordo prevede per la Turchia la libertà di procedere all’eliminazione fisica del popolo curdo, la cancellazione di ogni diritto civile in quella parte del mondo (se mai ve n’è stati) e un numero di vittime imprecisato, che però, non essendo locate a favor di telecamera, non sono vittime rilevanti.

Ma a ben vedere, notoriamente i nostri principî sono un po’ questi; che a seconda del momento e della convenienza le vite valgono di più o di meno, che s’usano i media per murare domande anziché per farle, che nulla fermerà il profitto e la sottomissione dell’interesse dei popoli a quello di chi li governa, che difendiamo fino alla morte una democrazia dell’astensione e dell’estinzione, ben simboleggiata da un teatrino di ex comici anziani e professori un po’ massoni e un po’ bolsi, molto presi a distrarre l’attenzione da chi comanda.

E quindi sì, chiaramente, combattiamo per difendere i nostri prìncipi e i nostri principî; son proprio questi e sempre siano lodati. Baciamoci in dolce giubilo fino alla prossima bolletta del gas.

Or me ne torno da dove son venuto, là dove, per dirla col poeta, non batte mai il sole. Ma non temete, il prossimo post sarà su una buca per strada; così potremo sbizzarrirci a modino nei commenti usuali.

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mercoledì 6 Aprile 2022, 18:39

In difesa delle Nazioni Unite

Ho a che fare con pezzi di Nazioni Unite ogni giorno da oltre vent’anni e ne conosco perfettamente tutti i limiti: l’inefficienza burosaurica, la logica spesso disconnessa dalla realtà, il peso sproporzionato di Paesi arretrati e dittatoriali, e anche la loro sostanziale impossibilità di intervenire su un certo numero di situazioni specifiche (oggi si parla di Russia, ma parliamo anche di Palestina) che deriva dall’essere figli dell’ordine stabilito con le armi alla fine della seconda guerra mondiale.

Con tutto questo, le Nazioni Unite sono l’unica parvenza di istituzione globale che abbiamo, e oltre a guardarne i limiti dobbiamo guardarne anche i meriti: magari non potranno fare niente in Ucraina, ma in tanti altri conflitti in questi decenni l’intervento dei caschi blu è stato decisivo per riportare e mantenere la pace. Parliamo poi del lavoro oscuro ma importante sui profughi, sull’alimentazione, sulla malattia, sulla cultura; criticare la FAO, l’UNESCO o l’UNHCR è uno sport facile, molto praticato e talvolta anche più che giustificato, ma davvero il mondo sarebbe migliore senza di esse?

Scrivo questo perché in questi giorni leggo cose assurde. C’è gente che scrive che bisognerebbe chiudere le Nazioni Unite, o che l’Occidente dovrebbe abbandonarle per farsi il proprio club chiuso, sancendo ufficialmente la divisione del pianeta in blocchi contrapposti. Sono davvero follie: il progresso non può che essere verso un pianeta unito e sempre più integrato fino al punto da rendere le guerre inconcepibili come oggi lo sarebbe una guerra tra Lombardo-Veneto e Regno di Napoli. La direzione opposta è quella del regresso, del ritorno alla preistoria e alla violenza permanente.

Questo è a maggior ragione vero perché le vere sfide di fronte all’umanità di oggi non sono affatto i gasdotti o i confini tra Russia e Ucraina. Le sfide importanti per l’umanità, quelle che determineranno il suo futuro e la sua sopravvivenza o distruzione, sono il riscaldamento globale, le migrazioni e l’autosufficienza alimentare ed energetica su scala planetaria. Sono sfide che possono essere vinte esclusivamente con la cooperazione tra tutti i popoli del mondo, nessuno escluso. Spaccare il mondo in due blocchi che non si parlano sarebbe il primo passo verso la distruzione dell’umanità, persino senza dover scatenare una guerra nucleare. Come concorderemo obiettivi collettivi di riduzione delle emissioni se saremo impegnati a farci la guerra tra di noi?

Demolire l’ordine uscito dalla seconda guerra mondiale può sembrare una buona idea soltanto a chi non l’ha vissuta, a chi non capisce che un nuovo ordine mondiale potrebbe emergere solo dopo una nuova guerra mondiale con milioni di vittime e con la devastazione delle vite di miliardi di persone. Attaccare l’ordine mondiale è un crimine ancora di un ordine di grandezza superiore che attaccare un Paese; equivale ad attaccarli tutti. Per questo, chi cerca di demolire le Nazioni Unite, chiunque sia, è un pazzo criminale e come tale deve essere trattato.

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domenica 13 Marzo 2022, 11:19

Dov’è la pace?

Dov’è la pace?

La pace è nella resa? Nel chinare la testa a uno che è più grosso di te, nel porgere l’altra guancia senza combattere? Ma anche se lo si facesse sarebbe solo altro odio nascosto sotto la cenere, fino a quando chi si arrende oggi riproverà a ribellarsi domani. La pace tra nemici che si guardano con odio, uno dominante e uno sottomesso, che pace sarebbe?

La pace è nella guerra? Non esistono proiettili giusti o omicidi giusti. Va di moda l’idea che si costruisca la pace ammazzando tutti quelli che sono nemici della pace: una bella pace solo per noi e i nostri amici sopra un cimitero in cui abbiamo seppellito tutti gli altri. Ma ci hanno costretti loro, quindi va bene: una strana idea di pace.

La pace è nelle manifestazioni? Ma quali, quelle in cui fanno parlare il presidente e capo di uno dei due eserciti che si sparano addosso? Ma che pacifismo, che tentativo di pacificazione sarebbe? Ma non si sentono ridicoli?

La pace è nelle sanzioni? Ma le sanzioni generano sofferenza vera, nel nemico e in noi stessi. Creano odio e frustrazione qui e là, creano nuove faglie sociali anche a casa nostra, tra chi le può pagare senza problemi e chi resta senza benzina e senza riscaldamento perché non può più permetterselo. Quanta altra guerra sociale nascerà da questo nei prossimi anni? Che pace può esserci se il prezzo è distruggere la vita di molti di noi?

La pace è nella propaganda? Abbiamo identificato un nemico e ne abbiamo silenziato la voce. Spesso era una voce biforcuta, vaneggiante, malevola, ma era la sua voce. Che pace si può costruire con una persona senza voce? Adesso abbiamo anche deciso che è giusto insultarlo e minacciarlo. Ma si può costruire la pace con le minacce?

La pace è nel nostro privato? Ma se siamo i primi a non essere in pace, a passare i giorni litigando sulle diverse idee per fermare la guerra. Prima litigavamo sul covid, sulla politica, sulle preferenze sessuali, sulla ricetta della carbonara e sul gol di Turone. Abbiamo mai passato un giorno senza arrabbiarci con qualcuno? Quanto veleno di rabbia circola nelle nostre società e da lì avanti e indietro nell’animo di tutti, generalmente perché qualcuno ci deve guadagnare sopra?

Forse il problema è che la pace non esiste? Forse è un concetto astratto che non esiste nel mondo reale, in cui ogni giorno siamo violenti con qualcosa o con qualcuno? Subiamo e riflettiamo violenza a ogni semaforo, a ogni riga di social, a ogni incontro pubblico e privato. In fondo, l’intera nostra società è una violenza sul mondo, sulle altre specie viventi, sulla natura ultima delle cose e probabilmente anche sul nostro originario equilibrio con essa. Ma non sappiamo vivere altrimenti; certamente non in un sistema a risorse finite in cui la gratificazione personale è in gran parte basata sulla soddisfazione di desideri materiali.

Ma allora, cosa possiamo fare? Probabilmente possiamo solo essere imperfetti e convivere con la nostra naturale violenza. Nel frattempo, non sarebbe più onesto cancellare la parola pace dal vocabolario, o perlomeno usarla con molta più parsimonia?

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giovedì 24 Febbraio 2022, 21:48

La fiaba cinese dell’orso sulla montagna

(dal grande libro delle fiabe di Luo Gen)

Molto tempo fa, in una terra lontana lontana, un orso viveva nella sua foresta sulla montagna. Era il re incontrastato di tutto quello che c’era nel bosco: tutti gli altri animali erano molto più deboli e si inchinavano a lui. Certo, nella foresta non c’era molto, e mentre lui viveva in una grotta mangiando quello che trovava, poteva vedere in fondo alla valle gli esseri umani nella loro città, con le loro case di mattoni riscaldate, le loro macchine veloci, i loro computer. Lui manco sapeva fare il fuoco con le pietre e gli stecchini, ma quella era la sua foresta, e lui ci viveva bene.

Dopo un po’ di tempo, però, gli umani ebbero bisogno di spazio. Aspettarono il momento in cui l’orso era in letargo e cominciarono a tagliare la parte più bassa della foresta. Quando l’orso si risvegliò, vide che la sua foresta era più piccola, e che al posto del grande albero in fondo alla valle su cui andava spesso a cagare in santa pace c’erano ora delle villette. Gli animali che vivevano attorno a quell’albero erano ora gli animali di casa degli umani nelle villette, e sembravano più grassi e più contenti di prima. Quando si affacciavano, dicevano all’orso e agli animali rimasti nella foresta: qui si sta molto meglio eh! Per fortuna che non siamo più nella foresta.

Venne un altro inverno, un altro letargo: e la foresta dell’orso si ridusse ulteriormente. Ogni anno il progresso degli umani abbatteva un po’ di alberi e cancellava il mondo primordiale in cui l’orso aveva vissuto; ogni anno la foresta rimasta era più piccola e triste e l’orso aveva meno spazio per andare a cagare in santa pace. Non solo: gli animali rimasti in quel piccolo pezzo di foresta cominciarono a non rispettare più l’orso. I loro amici ora vivevano tutti in comode cucce, avevano da mangiare e un futuro felice davanti. Anche loro volevano andarsene dalla foresta.

Infine, arrivò l’ultimo inverno. Quando l’orso si risvegliò, praticamente la foresta non c’era più; la città degli umani era arrivata fin quasi davanti alla sua grotta. Era chiuso in un angolo: vedeva gli umani lì pronti con escavatori, motoseghe, ruspe, betoniere, a tagliare gli ultimi alberi, murarlo dentro alla sua grotta e trasformare anche il suo ultimo spazio vitale in una nuova periferia della loro città, piena di supermercati e concessionari di auto elettriche.

Come tutti gli animali chiusi in un angolo, l’orso si infuriò e si fece più grosso che poteva, anche più grosso di quello che era, minacciando di entrare nelle loro nuove villette e cagare in santa pace proprio al centro dei loro televisori 65 pollici. Cercò di spaventarli perché andassero via, e per cominciare prese a spaccare tutti i vetri delle villette tirando tutte le pietre che gli erano rimaste.

Gli umani si risentirono molto. Loro non avevano torto un capello a quell’orso; avevano semplicemente dato una casa agli altri animali della foresta, stufi di stare al freddo a mangiare bacche con lui. Loro erano i protettori dei diritti degli animali che quell’orso aveva maltrattato per secoli; avevano portato in quelle lande progresso e conoscenza. Perché adesso quell’orso li attaccava? Era veramente cattivo. Che ragionamento aveva mai fatto? Quali erano le sue vere intenzioni? Voleva davvero spaccargli tutte le villette?

Fu proprio allora, con una magia, che il dio degli animali benedì l’orso e gli diede il dono della parola, affinché l’orso potesse finalmente spiegare le sue azioni.

Così l’orso guardò negli occhi gli immobiliaristi davanti a lui e con la bava alla bocca gli disse: “Ma porco Zeus, sono un orso di duecento chili con l’uccello grosso e il cervello piccolo, per trent’anni mi avete demolito la foresta e mi avete chiuso in un angolo, che cazzo vi aspettavate che facessi?”

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mercoledì 29 Settembre 2021, 20:32

Il cambiamento climatico è grave, ma non è serio

Il riscaldamento globale è un fenomeno epocale, per cui epocali sono anche le buffonate che lo accompagnano.

E’ una buffonata il mega incontro e manifestazione di giovani che discutono – capeggiati da una ragazzina autistica a cui però adesso hanno affiancato un’africana, perché donna e disabile sì ma se non sei nera non sei comunque abbastanza politicamente corretta – e dopo giorni di ponderazioni partoriscono come unico risultato “fate subito qualcosa, è colpa vostra”. Ed è ovviamente una buffonata anche maggiore la gara dei politici a farsi fotografare colorandosi di verde, ben sapendo che tanto poi la cosa finirà lì.

Infatti, il riscaldamento globale è un problema che l’umanità non può né affrontare né risolvere. Intanto, tre quarti dell’umanità – Cina in testa – ha altre priorità ben più urgenti, principalmente legate al mettere insieme il pranzo con la cena; le riduzioni che potremmo fare noi “ricchi” sarebbero contemporaneamente troppo limitate per cambiare il trend e troppo impattanti sulla nostra economia.

Alla fine, nessuno sa esattamente se e quando una eventuale catastrofe climatica spazzerà via gran parte dell’umanità, ma se così è, tale catastrofe è inevitabile perché l’umanità per definizione non è in grado di prendere decisioni coordinate, specialmente decisioni che siano molto penalizzanti ora per avere effetti nel lungo termine. E infatti, i mega summit mondiali si concludono per forza con dichiarazioni cosmetiche e qualche vago impegno a vent’anni, che tanto sarà disatteso fin che la tecnologia non lo renderà possibile senza sforzo, perché nessun politico vuole perdere consenso imponendo sacrifici.

Inoltre non sapremmo nemmeno che decisioni prendere: stiamo tutti chiusi in casa per non generare emissioni? Mangiamo solo erba? Dormiamo al freddo? In gran parte, le tecnologie alternative per mantenere uno stile di vita più o meno simile all’attuale costano di più e non sono ancora disponibili su una scala di massa; e comunque, a parte una minoranza di stoici votati al sacrificio, la maggior parte dell’umanità non è interessata a cambiare il proprio stile di vita, e al massimo può accettare la sostituzione di una tecnologia con un’altra più ecologica, purché non costi troppo.

L’unica vera speranza sta dunque nel naturale progresso tecnologico. Se esso sarà insufficiente e se dunque gli stili di vita cambieranno, sarà perché la popolazione vi sarà costretta con la forza – quella delle armi, quella dei soldi o quella della natura. In attesa di quel momento, e dell’inevitabile scontro violento che genererà, possiamo al massimo chiacchierare sui social.

(P.S. per chiarezza: io differenzio religiosamente l’immondizia da vent’anni, vado a piedi o in bici quando posso, ho migliorato energeticamente il mio appartamento eccetera; dovrebbero farlo tutti. Il problema è che queste ormai sono piccole cose che non fanno alcuna vera differenza sul trend climatico.)

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domenica 11 Aprile 2021, 10:03

Quella sedia me la tiro in testa

La pessima, dilettantistica reazione dell’Italia al sofagate di Ankara, ormai diventato un Draghigate, sta degenerando di ora in ora. Io spero ancora che l’Italia avesse un piano, che le parole di Draghi siano state ispirate dal ministro degli Esteri Di Maio nell’ambito di una strategia logica e ragionata, ma la logica non si vede apparire e dunque sembra sempre più credibile che siano venute fuori così, come chiacchiere da bar tra anziani, magari seguite a uno scambio di battute tra nonno Mario e nipote Gigi in una cena tra parenti davanti al telegiornale.

La situazione, insomma, sembra indicativa di quello che sembra essere un grosso problema di fondo, cioè la disconnessione della classe politica italiana dalla realtà del mondo, sia sul piano interno che sul piano esterno. Perché anche sul piano interno, permettetemi, le scene di donne PD che piazzano sedie vuote qua e là nelle sedi istituzionali sono pietose, primo perché non hanno capito che il problema non è turco ma interno all’Unione Europea, e secondo perché a un paese sull’orlo della povertà e di una crisi di nervi generale sai che gliene frega della sedia della Von der Leyen.

Ma è sul piano esterno che questa vicenda, come quella con l’India per i marò, come quella con l’Egitto per Regeni e Zaky, dimostra una arroganza non pari alle effettive possibilità. L’Italia si comporta come se alzare la voce servisse a mettere a posto quei Paesi, tipo “oddio s’è incazzata l’Italia, sdraiamoci subito a porgere le nostre scuse o saranno casini”. La realtà è esattamente opposta.

Infatti, in termini geopolitici, l’Italia è la ruota di scorta sgonfia dell’Europa, a sua volta junior partner della NATO; se a qualcuno di quei Paesi frega qualcosa di non far incazzare qualcuno, o se ha un problema con l’Occidente e lo vuole risolvere, va a parlare con Washington, Londra, Berlino e Parigi; oppure va a parlare con Mosca e Pechino e chi se ne frega più dell’Occidente. L’Italia, invece, è il perfetto Paese scendiletto: non conta un cazzo, ma è un Paese altamente simbolico da prendere a schiaffi per dimostrare forza e indipendenza (per i paesi islamici, c’è persino il bonus Papa).

E così, più noi apriamo bocca e più finiamo per pagare risarcimenti all’India, per far tenere Zaky in carcere proprio per il gusto di farlo, e adesso per prendercela nel posteriore con le commesse militari alla Turchia, che i nostri amici europei saranno ben lieti di prendere al nostro posto. Però noi gliene abbiamo dette quattro eh! Wow, siamo il Paese dei diritti!

Dunque è facile prevedere che noi, con le nostre pezze al culo, di riffa o di raffa finiremo per indietreggiare, giusto in modi e tempi che ci permettano di salvare un po’ la faccia. Del resto, non si capisce nemmeno come chiamare Erdogan un dittatore dovrebbe facilitare una eventuale transizione turca a un nuovo assetto di potere. A dire il vero, non si capisce proprio cosa diavolo stessimo cercando di fare.

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giovedì 8 Aprile 2021, 09:37

Il gioco della sedia

Tutti si sono scandalizzati per la provocazione di Erdogan nell’incontro diplomatico tra lui e le istituzioni europee, e per la mancata risposta da parte del presidente del Consiglio Europeo Michel. “Erdogan è arrogante, maleducato e sessista e l’Europa avrebbe dovuto reagire”, è il commento generale.

In diplomazia, però, le cose non sono mai così semplici, e così dirette nel significato. Naturalmente Erdogan non ha fatto questo perché è maschilista e voleva umiliare una donna, ma perché ha visto una opportunità: quella di spaccare e indebolire l’Europa, sottolineando che nel rapporto è lui il più forte.

Intanto, in Europa vivono almeno dieci milioni di turchi, sette solo in Germania: una cifra enorme. Una parte di loro è scappata dalla Turchia anche per motivi politici, ma una parte significativa, probabilmente preponderante, è qui per lavorare ma è orgogliosissima di essere turca, e in genere anche molto contenta di Erdogan. Già solo per questo, l’Europa non può permettersi di rompere i rapporti con lui, o rischia seri problemi interni e persino il terrorismo. Per Erdogan, rispondere in questo modo a una missione in cui l’Europa si presenta da lui col ditino alzato proprio per contestargli i diritti umani è un modo per ribadire che nel rapporto tra Europa e Turchia è la Turchia che comanda.

Simmetricamente, proprio perché eravamo stati noi a chiedere l’incontro, era diplomaticamente impossibile per i due leader europei contestare apertamente la situazione. Questo avrebbe creato un incidente diplomatico che avrebbe vanificato l’intero viaggio, e che gli avrebbe pure fatto fare la figura dei polli col resto del mondo. Si sono messi in una situazione in cui potevano solo subire.

Ma quel che Erdogan sapeva – e che sanno tutti – è che l’Europa non è affatto unita. Se notate, mentre la scontentezza di Von der Leyen è emersa subito (e lei si è subito fatta supportare dal suo partito, l’EPP), Michel ha impiegato 36 ore a rispondere. L’ha fatto solo perché stava venendo preso a pesci in faccia da tutta la pubblica opinione, ma la sua posizione iniziale, ribadita per tutte le 36 ore dal suo staff, era che l’incidente era deplorevole ma alla fine era giusto così, perché lui non è alla pari di Von der Leyen, ma più alto in grado; cosa che, se notate, ai media è stata detta e fatta dire sin da subito.

Del resto, l’idea che in un incontro diplomatico si facciano “sorprese”, e la parte ospite non abbia idea di come funzionerà l’incontro, è ridicola: generalmente tutto, compresa la disposizione delle sedie, viene discusso e concordato prima nel dettaglio. Può darsi che Erdogan abbia fatto un agguato, ma può anche darsi che il suo staff e quello di Michel abbiano concordato questa sistemazione, e che lui ci abbia visto una opportunità per ribadire che lui, nonostante a livello mediatico nessuno lo caghi e la maggior parte degli europei manco sappia che esiste, conta più di Von der Leyen, non pensando che la cosa sarebbe finita sui giornali in questo modo.

E infatti, ancora nel suo messaggio Michel non dice che i turchi hanno sbagliato, ma che hanno interpretato il protocollo in maniera troppo stretta (sottinteso: lui invece avrebbe graziosamente concesso alla sua sottoposta di sedergli vicino). Al contrario, lo staff di Von der Leyen dice che lei è esattamente pari grado di Michel e che il protocollo è stato sbagliato: una cosa molto diversa. I due staff, come racconta Politico, sono andati avanti per tutto il giorno a ripetere con fermezza in pubblico cose opposte.

E’ questa la genialità diplomatica di Erdogan: ha messo il dito nella piaga vera, cioè nel fatto che “in Europa non si sa chi comanda”. Ed è vero, perché le tre istituzioni fondamentali – Commissione, Parlamento e Consiglio – finiscono spesso a litigare sulle reciproche competenze invece che a lavorare insieme per l’Europa. E’ vero perché le procedure per arrivare a una decisione senza scontentare nessuno sono talmente lunghe e complesse che quasi tutto richiede anni, e non di rado non arriva mai in porto (qualcuno ha visto la nuova legge sui cookies in discussione dal 2016?).

Noi europei siamo talmente rincoglioniti che questo lo facciamo passare come un valore: siamo tutti fratelli e decidiamo solo se siamo tutti d’accordo e se qualcuno non è d’accordo passiamo tanto tempo a parlare per non rompere la nostra amicizia. La realtà è che questo è il meno peggio che possiamo fare, in un continente in cui la maggior parte delle persone si sente ancora orgogliosamente irlandese, olandese, italiana, polacca o portoghese invece che europea, e nessuna capitale europea vuole più cedere un briciolo di potere a Bruxelles, anzi. Ma quello che tendiamo a dimenticare è che la nostra elevata democrazia e la complicazione burocratica delle nostre procedure hanno un costo crescente, come dimostra anche l’impietoso confronto con il resto del mondo occidentale sulle vaccinazioni.

Sarebbe eccessivo biasimare Michel e von der Leyen for questa situazione, che loro hanno soltanto ereditato. Ma forse, tra tanti orizzonti 2027 e piani strategici, sarebbe opportuno porsi davvero il problema di come ripensare la struttura dell’Unione Europea in modo che sia chiaro a tutti chi comanda.

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giovedì 7 Gennaio 2021, 14:16

Così muore un populista

Vedo molta confusione nelle analisi politiche sul modo in cui è finita la presidenza Trump. In particolare c’è gente che dice: visto, noi abbiamo sempre detto che i politici populisti puntano al colpo di stato, e che non dovrebbe nemmeno essergli permesso di esistere.

In realtà, quello di ieri non è stato affatto un tentativo di colpo di stato. Lo era forse nella testa di quelli che hanno provato a entrare in Parlamento, magari dello stesso Trump e di altri ingenui stupidotti americani. Ma anche se entri in massa nel Parlamento e lo conquisti, poi che fai? Non è così che si fa un colpo di stato nel ventunesimo secolo. Lo si fa con i media, con l’apparato statale e/o con l’esercito, e nessuno dei tre, ieri, era al seguito dei trumpiani. Anzi, i media – specialmente i social – non vedevano l’ora di poterlo finalmente censurare per bene.

In fondo, la parabola di Trump conferma l’assunto di base per cui i populisti al potere devono adeguarsi al sistema. Se non lo fanno, finiscono per isolarsi e ridicolizzarsi da soli; se sono pazzi, come forse è adesso Trump, possono rischiare di fare grossi danni, ma non di distruggere il sistema. Del resto, non appena si è capito che il cavallo era definitivamente perdente, persino i suoi fedelissimi, Pence in testa, hanno immediatamente iniziato il riposizionamento verso lidi più sicuri; e quei pochi che ancora circondano Trump, come quelli che ancora circondano Berlusconi, son lì solo per ereditare i suoi residui voti.

Quindi, insomma, tranquillizzatevi; ieri, alla fine, non è successo niente di che. L’episodio sarà certo ingigantito all’infinito nei racconti e nei commenti, essenzialmente per suggerire alla gente di non rompere troppo le scatole, una cosa che al potere piace sempre ricordare. Ma poi, ragazzi, la ricreazione è finita.

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