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Archivio per la categoria 'NewGlobal'


sabato 20 Ottobre 2007, 12:23

In piazza per il lavoro

Oggi pomeriggio, un numero variabile ma consistente di giovani e vecchi che si riconoscono nella sinistra estrema sarà in piazza a Roma, per chiedere pane e f..a per tutti: posti fissi, pensioni, persino un reddito di cittadinanza che, immagino, dovrebbe essere garantito assegnando a ciascuno la giusta quota dei soldi che crescono spontanei sugli alberi. Ne parla persino l’house organ del governo, naturalmente molto ma molto più in basso rispetto allo scoop su quanto sia bella la nuova sede del Partito Democratico.

Come sapete, non sono mai tenero con la sinistra tradizionale, quella che difende i posti di lavoro degli assenteisti e dei fancazzisti pubblici e parapubblici, quella che promuove il principio tutto italico secondo cui i cinquantenni di oggi possono andare in pensione dieci anni prima che nel resto dell’Europa e a carico dei loro figli precari, quella che dell’economia del ventunesimo secolo non ha capito nulla e ha quindi tante possibilità di gestire un Paese con successo quante ne ho io di battere il record mondiale dei cento metri. Personalmente, se capisco i vecchi che difendono con le unghie le proprie prerogative, credo che ai giovani che saranno in piazza oggi si possa dare il tafazzino d’oro.

Però, sarebbe ora di parlare anche dell’altro lato della questione: perché è vero che la flessibilità è un elemento imprescindibile della vita di oggi e sarà meglio farci l’abitudine, ma è altrettanto vero che la maggior parte delle aziende italiane la sfrutta ben oltre i limiti della decenza, lasciandone al lavoratore tutti gli svantaggi e nessuno dei vantaggi.

E’ vero che la richiesta di un posto a vita a prescindere dall’impegno è anacronistica e pure moralmente ingiustificabile, ma è vero che chi lavora nello stesso posto da un anno tutti i giorni come un dipendente ha tutto il diritto di pretendere delle garanzie come un preavviso e una compensazione per il licenziamento, anziché un contratto rinnovato di mese in mese quando va bene.

E’ vero che i giovani italiani sono in buona parte bamboccioni, cresciuti nella bambagia ed educati con l’obiettivo di farsi raccomandare più che di dimostrare il proprio valore e venirne ricompensati, ma è anche vero che come si fa a metter su famiglia o anche solo vivere da soli, con ottocento euro al mese?

Ciò che mi preoccupa è la contrapposizione crescente tra una classe dirigente focalizzata sul salvare se stessa, che agita l’economia di mercato come scusa per fregarsene del crescente impoverimento dei propri cittadini, e la convinzione strisciante nel popolo che il paese dei balocchi è lì a un passo, basta fare sufficiente casino in modo che lo decretino per legge… e quindi, via col casino.

La sola via d’uscita è quella difficile, che passa per il lavoro di tutti nessuno escluso, ma anche per il riconoscimento di tale lavoro in termini economici, e per un rinnovamento che metta a goderne chi lo merita e non chi ci si è aggrappato con le radici; e mandi a gestire ministeri e aziende chi lo vede come un servizio alla collettività e un mezzo di realizzazione personale e collettiva, e non come un puro modo per arricchirsi alla faccia degli altri.

Certamente questo significa anche cacciare i fancazzisti senza pietà; però bisogna cominciare a farlo non solo con l’impiegato cinquantenne delle Poste che scalda la sedia, ma anche e soprattutto con il dirigente suvvato da cinquemila euro al mese che blatera e lecca culi tutto il giorno. Del resto, come pensate che si sia salvata la Fiat? Nel periodo della svolta il numero dei dirigenti in certe aree è sceso di botto del 60%…

Possiamo dissentire su quali siano gli strumenti più efficaci per raggiungere l’obiettivo; ma non possiamo dissentire sul fatto che esso debba essere quello di ricompensare un normale lavoro con una vita dignitosa. Non lo si può garantire con la bacchetta magica, ma anche nelle condizioni attuali lo si può certamente fare molto più di quanto lo si faccia oggi. Chiederlo, anzi pretenderlo da chi ci dirige è doveroso.

[tags]20 ottobre, lavoro, precarietà, legge biagi[/tags]

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mercoledì 17 Ottobre 2007, 15:53

Solidarietà al ribasso

La seconda notizia di oggi è questa: il governo avrebbe deciso di introdurre una sovrattassa sull’elettricità di 12 centesimi di euro al kilowattora a tutte le aziende e all’80% delle famiglie italiane, per finanziare uno sconto al rimanente 20%, ossia alle famiglie che hanno un indicatore economico sotto i 7500 euro.

La Stampa lo definisce un “miniprelievo”, ma visto che a Torino l’elettricità per la normale utenza residenziale costa 11 centesimi al kilowattora, se le cifre sono corrette si tratterebbe di un raddoppio della bolletta elettrica per l’80% dei torinesi; per non parlare dell’effetto indotto sull’aumento dei prezzi al consumo, per via dell’aumento dei costi di produzione delle aziende.

Spero che le cifre siano sbagliate, visto che con un raddoppio della bolletta all’80% della clientela viene fuori per gli altri altro che uno sconto; a meno che, naturalmente, con la scusa dello sconto ai poveri lo Stato non sia pronto a incassare il resto, o peggio ancora a farlo incassare alle municipalizzate grasse ed amiche di cui già parlavamo.

In più, mi chiedo come faccia il 20% degli italiani a tenere in piedi una famiglia con 7500 euro lordi l’anno, perdipiù di indicatore economico (per cui basta possedere una casa, anche se il reddito è zero, per sforare la soglia). C’è una fascia di persone estremamente povere che vanno aiutate, ma non è possibile che siano una su cinque; più facile che buona parte del 20% siano evasori fiscali.

Ad ogni modo, non è possibile costruire un sistema economico in cui il 20% delle persone riceve sovvenzioni di reddito: una cosa è ridurre o eliminare le tasse per le fasce più povere, un’altra è pagare i loro costi quotidiani o dargli dei soldi in mano. Che da qualche parte dovranno pur venire, ossia da quella classe media che dovrebbe sopportare gli aumenti solidali, e insieme aver voglia di farsi ancora di più il mazzo sul posto di lavoro per far crescere l’economia. La vedo improbabile.

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mercoledì 17 Ottobre 2007, 14:47

Scienza e razzismo

Ha fatto scalpore tra i benpensanti l’intervista con cui il vecchio dottor Watson – quello di Watson & Crick, gli scopritori del DNA, premi Nobel nel 1962 – ha dichiarato che, secondo i suoi studi, i neri sono meno intelligenti dei bianchi.

Naturalmente, detta così è troppo generica; bisogna definire cosa si intende per “intelligenza”, e comunque è noto che buona parte di ciò che noi consideriamo tale deriva dall’educazione e non dal proprio patrimonio genetico; e sull’accesso all’educazione i neri, ovunque vivano, sono mediamente svantaggiati.

Credo comunque che uno scienziato di tal livello questo lo sappia, e suppongo quindi che abbia in qualche modo individuato una definizione di intelligenza di tipo esclusivamente genetico; bene, non mi stupirebbe affatto scoprire che i neri sono effettivamente meno intelligenti dei bianchi. Dal punto di vista strettamente matematico, per gruppi di persone di una certa dimensione, è molto difficile che la media di un qualsiasi indicatore all’interno di un sottogruppo coincida esattamente con la media su tutto l’insieme; succede se il parametro con cui si è selezionato il sottogruppo è completamente scorrelato da quello che si sta misurando, e invece nel mondo reale tout se tient. Darei quindi un 50% di chance ai neri di essere meno intelligenti dei bianchi, e un 50% di essere più intelligenti; per sapere quale delle due, bisogna fare misurazioni statistiche su larga scala, sempre ammesso di poterle depurare dell’effetto dell’educazione dei singoli.

Poi, per carità, magari Watson è veramente un vecchio stronzo e i suoi esperimenti non hanno alcun fondamento. La notizia interessante, però, non è la sua affermazione, ma la reazione: è che anche al giorno d’oggi, proprio da quegli strati sociali “laici” che si vantano di aver superato il buio del passato, ci siano teorie scientifiche respinte con sdegno per motivi morali. In un certo senso, la fiducia nel fatto che tutti gli uomini siano uguali almeno in potenza è una moderna religione laica, che va contro le differenze evidenti che ci sono tra tutti noi. Di fronte a questa religione illuminista, agli scienziati è richiesto di cedere il passo, come già a Giordano Bruno.

Eppure, tutte le inquisizioni di Santa Romana Chiesa non servirono a far sì che la Terra si mettesse a ruotare attorno al Sole; e così, spesso l’avere una visione ideologica degli esseri umani diventa un ostacolo al risolvere i loro problemi concreti.

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martedì 16 Ottobre 2007, 09:26

La censura di Internet in Cina

Si parla spesso di censura di Internet in Cina, forse persino all’eccesso, visto come Internet è filtrata e bloccata (seppure in misure diverse) in tante parti del mondo inclusa l’Italia. Comunque, Reporter senza frontiere ha pubblicato un interessante rapporto “sul campo” che documenta cosa e come le autorità di Pechino blocchino su Internet. Lo potete leggere qui; è certamente una lettura interessante.

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sabato 13 Ottobre 2007, 15:50

Otoberfest, ovvero dell’autoriduzione proletaria

Di Eataly, come ricorderete, ho già detto tutto il male possibile. Eppure, io al cibo non so resistere, specie se in compagnia: e così, mercoledì sono stato coinvolto nell’assalto alla Otoberfest (o meglio, questa sarebbe la grafia corretta in piemontese; loro, che sono barotti, scrivono un improbabile Ãœtuberfest), che colà si tiene per tutta la settimana, sino a domani sera.

L’assalto doveva avvenire alle 19, orario di apertura, ma viene purtroppo ritardato causa orari lavorativi di parte del gruppo: e così, ci presentiamo là attorno alle 21, per scoprire una ventina di persone in attesa all’ingresso della zona dedicata, di fronte a un signore che con forte accento di vacca ci annuncia che bisognerà attendere circa mezz’ora. Chiediamo se si può prenotare, la risposta è no; prendere un numero e andare a fare un giro, nemmeno; a che ora precisamente riapriranno gli ingressi, boh. Non c’è nemmeno una fila; semplicemente un grumo di gente che sgomita cercando di stare il più possibile vicino all’ingresso, e passandosi continuamente davanti.

Dopo venti minuti di famelica attesa, riusciamo finalmente ad entrare… quasi. Già, perchè avendo aperto le cataratte, la gente-che-non-ci-vede-più-dalla-fame si proietta nello stretto ingresso a gomiti alti; amici perdono amici, madri perdono bambini, famiglie vengono disperse e finiranno per sempre a Chi l’ha visto. Noi siamo in sei; i quattro dai gomiti più allenati entrano; i due più timidi e meno scattanti restano fuori dal numero chiuso.

Qui si espone l’uomo di mondo, cioè io; chiedo al tizio dal sapor di vacca se può far passare i due rimanenti, che non si è mai visto di un posto dove i gruppi in attesa di cenare vengono separati a metà, e piuttosto potevano organizzarsi un minimo. Il tizio nicchia, ci dice che ha già tenuto fuori gente che aveva già pagato la cena, poi si affida alla tipica morale a scomparsa che regna in questi casi: invece di assumersi le proprie responsabilità, dice “per me va bene, se va bene agli altri in attesa”. Attimo di gelo; i due non scattanti non scattano, lasciando così il tempo a due più svegli di loro di dire “ma allora entriamo noi”. Preparo il fucile, e insomma riusciamo a fare entrare i nostri e tenere fuori gli altri.

All’alba delle 21:25 saliamo così le scale di Eataly, solo per trovarci di fronte a una ulteriore coda alla cassa. Arriviamo infine al bancone, dove una ragazza che sfoggia il caratteristico sguardo sveglio di chi è stato lobotomizzato da bambino ci spiega in soli quattro minuti che possiamo acquistare una birra a due euro, sei birre a dieci euro, il buffet a libero servizio a quindici, e dobbiamo lasciare tre euro di cauzione per avere il bicchiere in cui farsi servire la birra.

Qui parte il dramma. Il buffet è invitante, ma c’è una ulteriore e significativa coda per arrivarci, e poi è pur sempre un buffet da apericena; servono delle crespelle, e poi formaggi, salumi, pane, focaccia, insalata. L’idea di spendere quindici euro per un aperitivo, quando il prezzo di mercato, cocktail incluso, è tra i cinque e i sette, non piace ad alcuni; altri vorrebbero fregarsene e provare; tutti, comunque, odiano Eataly, compresi quelli che non c’erano mai stati e pensavano che io fossi un po’ troppo negativo. Alla fine, prendo un buono da sei birre, ne bevo una, ne offro un’altra ad Andrea, e poi scappiamo fuori a mangiare ai fast food dell’8 Gallery.

Poteva finire qui? Forse sì, ma a me non piace essere preso per i fondelli da una attività commerciale di gente dalle scarpe grosse, che ti fa pagare tutto uno sproposito e naviga nei miliardi, ma non ha neanche la decenza di organizzarsi per gestire i clienti non dico in modo perfetto, ma almeno come una trattoria di periferia.

Per cui, parte il piano “Rivincita con autoriduzione proletaria”: ieri sera, ci presentiamo in due alle 18:50, quando l’ingresso non è ancora presidiato nè chiaramente indicato. Saliamo di corsa le scale, e ci mettiamo in coda dietro a una decina di altri previdenti. Alle 19:10 (perchè, con la solita disorganizzazione, alle 19 non sono ancora pronti) aprono le porte; dietro di noi ci sono già un centinaio di persone, ma noi nel giro di tre minuti siamo alla cassa, dove prendiamo due bicchieri e un buffet, visto che io ho ancora quattro birre dalla sera precedente.

Io pago un buffet e un bicchiere; la tizia va in crisi, e prende la calcolatrice (non scherzo!) per fare 15 euro + 3 euro. Poi mi dà un euro di resto invece di due, e io la guardo perplesso, e lei mi spiega che, da oggi, la cauzione del bicchiere è salita a quattro euro; li pago di corsa prima che diventino cinque. Mi timbrano la mano con la data del giorno – no dico ragazzi, come nei centri sociali, ma lì almeno hanno i simbolini; proprio il numero sulla mano no, fa tanto Auschwitz! – e io mi presento al deserto buffet.

E qui, perfidamente, giriamo a nostro vantaggio la loro disorganizzazione; perchè alle 19:35 io ho già fatto tre giri del buffet, senza un secondo di attesa, e loro avranno fatto entrare sì e no cinquanta persone, visto quanto ci mettono a farle pagare; sai, ogni volta fare 15 + 4 (o, Dio non voglia, 15 + 10 + 4) con la calcolatrice… Ovviamente, io riempio ogni volta il piatto di roba, facendo pure tanti complimenti allo stagista da 400 euro lordi al mese che hanno messo a servire le lasagne; poi arrivo al tavolo, e ne mangiamo in due.

Il cibo, va detto, è di qualità eccellente; le lasagne sono ottime, i formaggi sono buoni, i salumi sublimi (nota: andare a comprare la mortadella da Eataly, dopo aver rapinato la banca). Mi servo senza ritegno di mezzo chilo di ottimo tonno delle Azzorre (cioè, non so da dove venisse, ma a Eataly non si può mica chiamarlo soltanto “tonno”). Le birre sono anche molto buone; a sorpresa, la migliore non è la Nora della leggendaria Baladin, ma una Menabrea 150° Anniversario che sa di lievito, e sembra di bere la pasta della pizza. Il suo unico difetto è che non riesce a trasformare in bellezze l’ammucchiata di bruttoni di ogni sesso che c’era in sala: concludo che il gene della bellezza fisica non è mai arrivato fino in Piemonte.

Purtroppo non sono riuscito a provare la pizza rossa, perché hanno cominciato a portarla dopo un po’, e appena la mettevano sul tavolo del buffet c’era una gazzarra indegna; le donne in particolare si riempivano i piatti senza ritegno, tipo cinque o otto pezzi per volta (appunto: mai sottovalutare l’aggressività femminile in materia di procurare il cibo, specie alla “festa della gente che compensa con il cibo le carenze affettive”).

Insomma, esco strapieno e compensato. Mentre scendiamo le scale, e sono le nove meno un quarto, la coda è diventata epica; inizia praticamente all’ingresso di Eataly, attraversa il piano terreno del negozio, si inerpica su per due piani di scale, poi percorre tutto il museo che sta al piano alto; saranno tranquillamente, senza esagerare, un centinaio di metri di coda, ovviamente amorfa e sregolata.

O voi in coda, che avete la faccia di quelli che si fanno turlupinare da Eataly! Imparate l’arte dell’autoriduzione proletaria, ché il capitalismo dalla faccia buona è fin peggiore di quello dalla faccia cattiva, e chi si fa abbindolare dalle finte motivazioni etiche finisce cornuto, mazziato, e a pancia vuota.

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sabato 29 Settembre 2007, 21:11

Hackmeeting 2007

Scrivo queste righe dall’Hackmeeting di Pisa, dove il servizio di DHCP umano è finalmente riuscito a suggerirmi di tirare a caso un IP, purché utilizzi un terzo byte sufficientemente alto (il mio innato senso di simmetria mi ha portato a scegliere 10.0.111.111).

Sta per iniziare la pausa cena, anche se nella sala principale è ancora in corso il penultimo seminario del pomeriggio – quello di Mayhem su tutti i modi per intercettare o prendere il controllo di una rete aziendale di telefoni VoIP; un consiglio, provate Oreka – e l’ultimo relatore sarà da qualche parte che frigge, oppure sarà andato a cena, chissà.

Del resto, quando mi sono presentato alle 16 nella sala che mi era stata assegnata per parlare, è arrivato anche Andy Mueller-Maguhn (chi si rivede) cercando di fare la sua presentazione: un chiaro caso di overbooking. Alla fine ci siamo accordati tra noi per fare un’ora a testa, e, in vero spirito acaro, mi sono procurato da solo pennarelli, scotch e cartelli da affiggere per gestire l’evenienza; e alla fine ho pure avuto la soddisfazione di scoprire che la sala era piena più per me che per lui.

Insomma, il mio seminario (quarta edizione) è stato un successone, tanto che sono dispiaciuto perché alla fine l’avevo preparato un po’ al volo, e non avevo delle grandi slide e nemmeno dei grandi aneddoti da raccontare. Pare comunque che sia piaciuto, sebbene le domande siano state più che altro richieste di informazione, e mi sono servite a capire come io sia, ecco, un po’ tanto specializzato sulla materia…

Però succedono anche delle cose preoccupanti; come quando, chiacchierando a fine seminario con tre o quattro persone, ho detto “Pensate che mercoledì ho persino infranto il monopolio di Sky, facendo la radiocronaca della partita dal divano di casa mia” e, invece di vedere facce stupite, uno dei quattro mi ha risposto “Ah sì, ma non era la prima volta, vero? L’avevi già fatto una volta, l’ho letto sul tuo blog”. Se mi leggi, kudos a te; io però mi coccolo il dubbio inquietante su quanta gente veramente apprenda le mie vicende personali da queste pagine.

Per il resto, l’Hackmeeting di quest’anno è spaziale, direi il migliore a cui sia stato. Il posto è raccolto ma bello, con un ampio cortile decorato da meravigliose pile di vecchi computer e altra ferraglia artisticamente rielaborata. Dentro c’è uno stanzone con file di lunghi tavoli, popolate di portatili e fissi stipati in ogni modo, con gente che si scambia in santa pace ogni sorta di file, e alcuni hanno anche messo su dei server per far scaricare il proprio materiale, e a fianco a me c’è uno che guarda i Griffin mentre mangia (una puntata in cui Brian e Stewie, persi nel deserto e assetati, pensano di salvarsi vedendo in lontananza un distributore automatico di Dr. Pepper; poi arrivano lì e si disperano, perchè in realtà era solo un distributore di RC Cola). E poi ci sono una cucina, svariati bagni neanche troppo di fortuna, e le sale dei seminari, e vari angolini in cui si smanetta con vecchi pezzi di computer e materiale di ogni genere, e ogni tanto si sparge nell’aria anche della dura musica sessantaquattrosa (grazie SID). Tutti sono gentili, amichevoli e interessanti (sarebbe diverso se fossi un giornalista…).

Tra gli highlight di oggi, c’è soprattutto il seminario in cui mi hanno fatto fare il pane; sono passato a prenderlo, cotto, a fine pomeriggio (ripartendo stasera, ho optato per il lievito di birra anziché la pasta madre), ed era buonissimo, meglio pure del preparato Lidl. Anche interessante il seminario in cui un ragazzo, lavagna e gessetto, dimostrava che l’algoritmo per verificare se un numero è primo è polinomiale; anche se dopo i primi quindici minuti di algebra dei campi mi sono dileguato. E poi, le chiacchierate con varia gente, come Emmanuel Goldstein e il suddetto Andy (Goldstein sembrava entusiasta dell’ambiente, che certo è ben diverso da quello degli hackmeeting tedeschi o americani, mentre Andy pareva un po’ perso nella totale anarchia); ho finalmente conosciuto Susan di persona; ho reincontrato varia gente di questo giro, come il suddetto Mayhem e il Dido, e conosciuto o ritrovato vari torinesi.

In più, si sta a Pisa; l’aria sa ancora di mare e di estate recente, e non fa freddo. Valeva davvero la pena di fare questo giro: nonostante lo sbattimento della sveglia mattutina e il ritorno notturno che mi aspetta, con un treno in partenza a mezzanotte e mezza, è stato un intermezzo rilassante.

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mercoledì 26 Settembre 2007, 11:26

Prossimi eventi

Domani sarò a Roma per il Dialogue Forum on Internet Rights, la conferenza organizzata dal governo italiano per discutere il tema della Carta dei Diritti della Rete. L’evento sarà certamente interessante, e i posti in sala sono già esauriti; tuttavia, fate ancora in tempo ad inviare le vostre idee sull’argomento tramite il forum, se volete.

L’altro evento sarà invece in serata: tecnologia permettendo, le immagini del divano di casa mia saranno proiettate in diretta mondiale via Internet sulla home page di Forzatoro.net, mentre racconterò insieme ad altri forumisti la partita di stasera (Parma-Toro). Ovviamente non abbiamo pagato i diritti a nessuno, ma che provi qualcuno a dire a un giudice che io non posso raccontare via Internet quello che vedo sul mio televisore, oltretutto in assenza di radiocronache ufficiali. La partita di stasera non va nemmeno sul digitale terrestre, nonostante i 21 euro (ventuno) che parecchia gente ha appositamente sborsato a La7

E così, speriamo di far riflettere su come l’intero sistema radiotelevisivo, e in particolare lo spillamento di soldi basato sul calcio, sia già irrimediabilmente obsoleto.

				
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domenica 23 Settembre 2007, 11:39

Slow food, fast money

Ieri sono andato a Bra, per Cheese: la fiera del formaggio organizzata da Slow Food. Bra è poco più che un paesello di campagna, sull’orlo del vallone del Tanaro; ieri era completamente invasa di gente, con il traffico ordinatamente bloccato a chilometri dal centro, navette e tutto il resto.

La fiera consiste di centinaia di bancarelle che vendono formaggi, provenienti da tutto il mondo, raggruppate in una piazza; in più, c’è una zona per assaggi di cibo tipico da varie regioni e stand di birra artigianale; e poi altre degustazioni e stand per tutta la città. Ieri era il giorno di punta, e la fiera era piena zeppa di gente: un successo insomma (finisce stasera).

Siamo tornati indietro con pile di ottimi formaggi mai visti e che non si trovano facilmente in giro; l’idea di mangiarli tutti subito è abortita quando ci siamo resi conto che ciò avrebbe distrutto il nostro fegato, ma ne abbiamo assaggiati vari e gli altri li faremo andare prossimamente in una apposita cena, cercando di farla sufficientemente presto da evitare che il mio frigo prenda vita.

Io però volevo fare qualche considerazione su questa fiera e in generale su tutto il movimento dello slow food, che ormai da vent’anni anima il Piemonte in particolare; ha iniziato con i presidi sul territorio, poi ha promosso le osterie d’Italia con apposita guida, poi sono nati il Salone del Gusto e Cheese, Terra Madre – il convegno dei campesinos mondiali – e ultimamente Eataly, iniziativa commerciale che non è proprietà di Petrini – il fondatore del tutto – ma di un suo buon amico, e si richiama esplicitamente all’idea.

Sono sicuramente iniziative encomiabili, che permettono di conservare produzioni di nicchia e di presentarle al grande pubblico, portando sulle nostre tavole prodotti di qualità, e insomma facendoci mangiare bene. Tuttavia, già da un po’ ho parecchie perplessità su tutto questo movimento, sia etiche che filosofiche, che derivano dall’osservazione di come l’idea, focalizzata inizialmente sul difendere una parte crescentemente povera della società come quella delle nostre campagne, si sia poi evoluta in una macchina da soldi per Petrini e compagni.

Delle Osterie d’Italia si sa: certo non costano come i locali della guida Michelin, ma l’idea iniziale di segnalare “vecchie osterie da trentamila lire a pasto” è stata man mano sfregiata dall’aggiunta di “osterie di nuova fondazione” – aka ristoranti appena aperti, apposta per finire sulla guida – e dall’abolizione di fatto del limite di prezzo, per cui ormai in quasi tutti i posti, indipendentemente dal prezzo dichiarato sulla guida, è difficile spendere meno di 30-35 euro, spesso 40-45.

Proseguendo, ieri a Cheese i prezzi erano più o meno il doppio di quelli di mercato: con poche eccezioni, gli stand vendevano a 25 euro al chilo i formaggi freschi, a 30, 35, 40 quelli stagionati. Anche la parte di cibo veloce, gestita direttamente da Slow Food, era vergognosa: con tre euro ti davano due panini costituiti ciascuno da uno gnocco di pane grande come mezzo dito, una spalmata di burro e una (1) acciuga. Con cinque euro ti davano un wurstel. Ottimo, eh, eccezionale; ma pur sempre un wurstel.

Finiamo con Eataly: anche lì, il cibo è spesso eccellente; i prezzi sono da gioielleria. Con l’aggravante che, oltre al cibo eccellente, si trovano anche prodotti da supermercato prezzati al doppio – come le patate Selenella che compravo regolarmente all’Ipercoop – e persino esposizione di roba che non c’entra niente, che viene gabellata per eticamente buona (come i televisori piatti: “Eataly ha scelto Sharp perchè sposa la filosofia del mangiare lento”??), ma che è lì solo perchè, pur di esserci, ha coperto Eataly di soldi; come peraltro molti degli stessi produttori agricoli che in teoria dovrebbero beneficiare del movimento. Insomma, Eataly è un contro-discount: se al discount compri (oltre a prodotti inferiori) le stesse cose ma le paghi la metà perchè non c’è il marketing, da Eataly compri (oltre a prodotti superiori) le stesse cose ma le paghi il doppio perchè c’è un marketing super raffinato.

Le perplessità etiche derivano da questo: alla fine, qualcuno si sta facendo i miliardi sotto la bandiera di Slow Food? Non c’è nulla di male nel far soldi nel campo alimentare, se non che tutti i sondaggi indicano che la gente non può più permettersi la carne e taglia gli acquisti di cibo, perchè – si dice – gli intermediari alimentari ci marciano, a danno sia dei contadini che dei consumatori. Allora, questi costi stratosferici sono poi così giustificati?

Perché io ho invece l’impressione che prendano gli stessi peperoni di Carmagnola che vent’anni fa ti tiravano dietro al mercato, li rinominino “peperone quadrato giallo del Presidio Slow Food” e te li vendano a quattro volte tanto; e non credo che questo sia nè etico nè eco-compatibile nè “un altro mondo possibile”, nè, perdipiù, meriti il flusso di soldi pubblici e collettivi (ieri c’erano enormi stand della Regione Piemonte e del Sanpaolo) che i politici destinano a queste operazioni.

Comunque, supponiamo pure che le acciughe di Slow Food, per essere così buone (come oggettivamente sono), abbiano costi di produzione tali da dover raddoppiare o quadruplicare il prezzo rispetto a quelle da supermercato. Il risultato è una produzione che è alla portata di una fascia limitata della società, insomma dei ricchi o perlomeno dei single in carriera con tanti soldi da spendere, come me. Certo non della famiglia con i figli da far crescere, e difatti ieri si vedeva tanta gente che si avvicinava agli stand, assaggiava, chiedeva il prezzo e scappava.

Filosoficamente, Slow Food è diventata una operazione aristocratica, che secondo gli schemi classici si definirebbe “di destra”; concentrata sul produrre cibo di gran pregio per chi può permetterselo, cioè una parte molto ridotta della società, quella dominante. L’operaio di Mirafiori o il nuovo schiavo dei call center certo non va a mangiare regolarmente nelle Osterie d’Italia e non compra i formaggi da trenta euro al chilo, nè i cioccolatini di Gobino da quindici euro a scatolina sugli scaffali di Eataly.

Confrontate questo modello con la bevanda più democratica del mondo, la Coca Cola: sarà americana e insalubre e tutto il resto, ma costa poco ed è uguale per tutti; anche se sei ricco, non puoi avere una Coca Cola migliore di quella del barbone sdraiato sul marciapiede. Sarà che ciò si può fare solo abbassando il livello, insomma producendo schifezze; eppure, dal punto di vista sociale, se fatto con cibo di qualità, sarebbe uno scenario molto più meritorio.

Io credo insomma che tutto questo movimento andrebbe sostenuto, anche dal pubblico, se lo scopo fosse quello di migliorare la qualità del cibo che le persone normali mangiano ogni giorno; se invece, come è ora, lo scopo è quello di produrre cibo molto ricercato per i ricchi, credo che dovrebbero farlo pagare interamente ai ricchi, senza chiedere appoggi pubblici, senza presentarcelo come il futuro progressista e alternativo, e senza utilizzare presunti principi etici come slogan pubblicitari.

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venerdì 21 Settembre 2007, 10:06

Folgorati sulla via di Bologna

Ieri sera, senza volerlo, mi sono ritrovato davanti alla nuova puntata di Annozero, che, ho scoperto, era interamente dedicata al V-Day; in pratica, mandati a letto i bambini, hanno mandato in onda quasi per intero il discorso di Beppe Grillo a Bologna, accompagnato dai commenti nello studio, dove buona parte degli ospiti – Travaglio e Sabina Guzzanti – erano figure ormai arruolate nel grillismo.

Sapete che di Grillo ho spesso pensato male: che – oltre a farsi un mucchio di soldi – mescoli temi ottimi a demagogia d’accatto, che critichi tutto e tutti indistintamente e con scarsa propensione alle proposte, e che ultimamente abbia anche avuto una svolta violenta, almeno a parole, che rischia di essere la scintilla in una polveriera molto più estesa di quel che ci immaginiamo.

Tutta questa impressione però è cambiata ieri, dopo che ho potuto sentire il discorso quasi per intero proprio grazie a Santoro (che per averlo trasmesso, credo, sarà presto fucilato). Vi raccomando di farlo anche voi: lo trovate a pezzetti su Youtube, ad esempio, qui, qui, qui e qui; basta una mezz’oretta. Mi sono reso conto di come l’immagine che di Grillo diano i media sia molto più distorta di quel che dovrebbe. Alla fine, le cose che ha detto Grillo a Bologna mi sembrano ampiamente condivisibili.

Persino il presunto “attacco a Marco Biagi” (o meglio, alla legge Biagi, una legge scritta da Maroni e Berlusconi su cui poi è stato appiccicato il santino per difenderla dalle critiche) si è rivelato essere una semplice osservazione sul fatto che la legge vada cambiata in modo da scoraggiare il precariato; e qui, anche i sostenitori di una sana (ma non sregolata) economia di mercato, come il sottoscritto, non possono che essere d’accordo.

Ma la cosa più importante è come Grillo inquadri la crisi nel modo giusto: come una crisi generazionale, un problema di vecchiaia. Fa gli stessi esempi, su Sgarbi che non sa cosa sia un indirizzo email e sui computer paleolitici dei palazzi romani, che potrei fare io, per la mia esperienza diretta. Ha capito che il problema, più ancora dell’atteggiamento da casta, è la vecchiaia intrinseca, l’obsolescenza della nostra classe dirigente. Più di tutti, ha capito che Internet è la risposta, non in quanto strumento tecnologico, ma in quanto piattaforma che permette alle persone di parlarsi e di organizzarsi autonomamente, senza passare da controlli centrali. In pratica, pensa le stesse cose che penso io.

Certo, resta il problema di dove porti tutto questo. In un certo senso, Grillo lancia il sasso ma nasconde la mano, non volendo diventare un soggetto politico. Grillo, però, non crea la crisi, ne è solo il messaggero; e la crisi c’è, è sempre più evidente, non si trova più un solo italiano, a parte Prodi e Napolitano, che pensino che l’Italia non sia in un momento di totale emergenza.

Io credo proprio che siamo vicini a un punto di svolta, se persino un’algida ventenne altoborghese come Beatrice Borromeo, di fronte al solito inguardabile giovane sinistrogiovanile che propone il Partito Democratico come fonte di democrazia e che sarà cugino chissà a chi, perde la pazienza e lo aggredisce ruggendo, dicendogli in pratica “ma chi cazzo sei e cosa stai a dire”. Il tutto chiosato da Vauro con la seguente vignetta:

Politico: “Non basta un Vaffanculo day!”
Cittadino: “Allora andate affanculo every day!”

Il clima questo è; un clima di rivolta che sta diventando aperta. Ora, è vero che il populismo di un Grillo può aprire la strada a svolte autoritarie? Forse. E’ vero che l’ultima volta che c’è stata una crisi del genere si è aperta la strada a vent’anni di P2 al potere? Vero. E’ vero che la penultima volta è arrivato Mussolini? Vero.

Tutto questo, però, significa soltanto che alle piazze di Grillo si debba dare una risposta credibile, la quale però non può arrivare dalla classe politica attuale, che – pur con tante ma marginali eccezioni – non è più in grado di uscire dal palazzo, nè di capire l’Italia e il mondo, nè di comprendere anche solo il concetto di etica pubblica. Sta a tutte quelle persone che sono ancora nel mezzo, che vedono il limite del populismo ma anche la marcescenza delle istituzioni italiane, spingere questa crisi verso un esito positivo; trasformarla da protesta violenta, a parole se non nei fatti, in proposta rinnovatrice.

Io però rimetto l’accento sul fattore nuovo: Internet. L’esclamazione di Grillo di voler distruggere i partiti è figlia della rete: perché in rete le forme di aggregazione sono nuove e tante e dirette, e anche l’intermediazione dei partiti – che peraltro hanno già da trent’anni perso la funzione di creatori del pensiero politico, trasformandosi in macchine di marketing e controllo – diventa in buona misura superflua. Solo uno che non ha capito la rete può pensare che l’eliminazione dei partiti sia necessariamente una proposta fascista; e difatti, proprio così l’hanno interpretata i commentatori perbene, da Scalfari in giù. Tutti da sessant’anni in su, tutti probabilmente incapaci di accendere un computer, figuriamoci capire cosa sia un meetup.

Invece, la politica in futuro sarà glocale e virtuale come tutto il resto; centrata in azioni locali su problemi concreti, e coordinata online; fatta di masse sotterranee che si manifestano improvvisamente attorno a un sito, a una campagna, a una raccolta di firme; una flash mob elettorale che colpisce duro quando meno te l’aspetti, ma che non è disposta a delegare niente a nessuno, tantomeno a un proprio dipendente come appunto dovrebbero essere i politici. Questo, credo, è lo scenario che ha in mente Grillo; ed è molto più moderno di qualsiasi altra cosa sia mai stata pensata per il futuro dell’Italia.

Resta però il problema di come riuscire a trasformare la crisi di rabbia collettiva di Bologna – per ora centrata su una serie di no, santissimi ma pur sempre distruttivi: no ai pregiudicati, no ai politici di professione, no alle liste bloccate – in una proposta costruttiva, facendola evolvere secondo le regole della democrazia, prima che si possa trasformare in una protesta di piazza incontrollabile, da cui chiunque, Grillo compreso, sarebbe disarcionato.

Bene, Beppe Grillo è un fenomeno creato dalla rete; è anche lui un nostro dipendente. Usiamolo. Perché alla fine il messaggio fondamentale di tutto questo – che Grillo peraltro ha capito, e ha lanciato esplicitamente – è che è ora che ognuno di noi si riprenda un pezzo importante della propria vita: quello pubblico. Ciascuno di noi fa politica tutti i giorni, nelle scelte economiche, nello stile di vita, nelle cose che dice agli amici o che scrive sul proprio blog. La fa ancora di più se sceglie di non farla.

E quindi, in prima persona, riprendiamoci l’Italia.

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giovedì 20 Settembre 2007, 15:04

Beep! Domanda sbagliata

Nel caso ve le siate perse, ecco le domande da non fare al senatore Kerry, ex candidato democratico alla Casa Bianca nel 2004, sconfitto da Bush:

“Vari libri dicono che lei avrebbe effettivamente vinto le elezioni del 2004. Il giorno delle elezioni, ci furono molte segnalazioni di elettori neri mandati via dai seggi. Ci fuorno anche segnalazioni di risultati che diminuivano invece di aumentare. Davanti a tutte queste segnalazioni di brogli, come mai lei ha immediatamente concesso l’elezione quella sera stessa? Voleva veramente diventare Presidente?” [Ndr – In America è uso che il candidato perdente “conceda” l’elezione ritirandosi formalmente prima della fine del conteggio ufficiale, quando i risultati sono sicuri.]

“Lei è contro l’invasione dell’Iran, dunque perchè non cacciamo Bush prima che possa invadere l’Iran? Clinton fu cacciato per cosa: un pompino! quindi perchè non chiede di cacciare Bush?”

“Infine, lei è stato un membro di Skull and Bones? E’ stato un membro della stessa società segreta di Bush?” [Ndr – Si tratta di una loggia massonica dell’università di Yale di cui Bush è notoriamente stato membro]

Dunque, se per caso farete in pubblico queste domande, turbati dalla possibilità che i democratici e i repubblicani siano sotto sotto ben contenti di spartirsi allegramente il potere sullo stato più ricco ed armato al mondo, questo è ciò che vi succederà:

Auguri.

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