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Archivio per la categoria 'Roomenta'


giovedì 28 Dicembre 2023, 10:21

Tutto il cielo è paese

Il Messico è un paese meraviglioso, davvero, e se non ci siete mai stati vi consiglio di andarci, e non solo sulle spiagge. Per noi latini d’Europa, per certi versi è familiare, anche se per altri è completamente alieno.

Una delle cose a noi familiari è l’invadenza della politica nell’economia, e in particolare nel trasporto aereo. Questa storia comincia dunque già negli anni 2000, quando l’aeroporto di Città del Messico, situato in mezzo alla città, comincia a essere insufficiente; si decide dunque di costruirne uno nuovo. Il Messico è uno stato presidenziale, e ogni nuovo presidente ha il suo progetto, portando a una pletora di piani alternativi. Quando infine viene eletto l’attuale, Lopez Obrador, lui organizza un referendum per abbandonare a metà la costruzione del nuovo aeroporto del presidente precedente e iniziare di nuovo in un posto diverso, con un progetto ancora più pantagruelico.

Il nuovo aeroporto, noto in breve come AIFA, viene costruito in fretta con l’aiuto dell’esercito, spianando ritrovamenti archeologici e i resti di almeno duecento mammut. Inaugurato l’anno scorso, ha un piccolo problema: è una cattedrale nel deserto, lontanissima dalla città e mal collegata, per cui le linee aeree non ci vogliono andare.

Cosa fa allora il presidente? Semplice: sempre con l’aiuto dell’esercito, mette in piedi una nuova linea aerea, 100% pubblica, che faccia base all’aeroporto e lo riempia di rotte. La chiama Mexicana, riprendendo il logo di una precedente storica compagnia fallita una decina di anni fa.

Qualche giorno fa, dopo vari rinvii, Mexicana è finalmente pronta per il suo primo volo ufficiale, da AIFA fino al nuovo aeroporto di Tulum, anch’esso costruito dall’esercito e appena inaugurato per servire la città turistica a un’ora a sud di Cancun, anche se l’aeroporto di Cancun era ampiamente sufficiente.

Così, molti in Messico seguono col fiato sospeso il volo, che parte, attraversa il paese, si mette sul percorso di discesa e… devia all’aeroporto di Merida, ufficialmente per problemi di maltempo, ma pare perché qualcosa non ha funzionato.

E insomma, la storia finisce qui, con l’aereo che poi riesce a ripartire e ad atterrare a Tulum, ma viene fotografato con un’inquietante bacinella sotto un’ala, posizionata sopra una macchia d’olio che si è formata sulla pista dopo che l’aereo è stato parcheggiato.

Però, noi possiamo divertirci con questa storia perché sappiamo come funziona, perché è la stessa storia di tante nostre infrastrutture da Malpensa a Alitalia, perché anche noi viviamo in un paese dove la politica fa disastri con i nostri soldi, fino a quando non arriveranno nuove elezioni e nuovi governanti, che faranno disastri simili, ma diversi.

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martedì 20 Dicembre 2016, 13:57

Dalla preistoria fino a oggi

Nella seconda metà del Seicento, il compositore religioso tedesco Joachim Neumann, ribattezzatosi Joachim Neander in onore del greco antico, andava a cercare ispirazione nella forra del fiume Düssel, una stretta gola lussureggiante intagliata tra le rocce.

Nel primo Ottocento la sua produzione fu riscoperta e gli venne intitolato quel tratto di valle.

Alcuni anni più tardi, nel 1856, in una piccola grotta sulle pareti della gola, degli operai ritrovarono delle strane ossa, che vennero consegnate a un professore della zona. Egli capì subito che si trattava di un fossile umano, ma l’accademia tedesca dell’epoca lo prese per cretino. Nel frattempo, l’intera gola, grotta compresa, venne cancellata dalla faccia della terra perché le pareti di roccia furono cavate e usate come materiale da costruzione.

Ci volle qualche decennio perché, grazie all’affermazione delle coeve teorie di Darwin, l’uomo di Neanderthal diventasse famoso in tutto il pianeta.

Nel Novecento i visitatori volevano vedere il luogo della scoperta, ma non esisteva più; fu solo edificato, pochi metri più in là, un simpatico museo didattico, pensato per i bambini ma molto utile anche all’adulto medio, che attualmente ospita anche una mostra sui quarant’anni dei Playmobil.

Solo negli ultimissimi decenni a qualcuno è venuto il dubbio di andare a setacciare i prati che si sono sviluppati a lato del fiume, sul terreno di scarto delle cave, e così ha ritrovato altri pezzi dell’uomo di Neanderthal, rimasti per altri 150 anni in mezzo ai residui.

Questo è il punto dove sono stati trovati; e le ricerche ancora continuano per estrarre il suo bravo corredo neanderthaliano, fatto di punte di selce, lance preistoriche, CD di Gigi d’Alessio e chiavi di Golf GTI nera.

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venerdì 2 Dicembre 2016, 19:32

Un referendum di distrazione di massa

Da diverse settimane volevo scrivere il mio parere sul referendum di dopodomani, ma non mi ci sono mai messo.

Il motivo è molto semplice: più ci penso e più ritengo questo referendum, se non del tutto inutile, comunque poco importante; un’arma di distrazione di massa.

Alla fine, infatti, non è la forma del procedimento legislativo il problema dell’Italia; i problemi dell’Italia sono economici e culturali, sono la mancanza di meritocrazia, le competenze decrescenti, la scarsa capacità di innovare, i bassi investimenti nelle persone, uniti a una carenza di posizionamento strategico del Paese sul mercato globale. Questi problemi, urgenti e vitali, non sono minimamente affrontati dal referendum.

Ma anche a chi invece è ancora convinto della centralità della politica e della Costituzione, io vorrei far notare che non sono le norme che fanno la democrazia. Certo, le norme hanno delle conseguenze, ma qualsiasi siano le norme ciò che ne determina l’effetto è la mentalità delle persone che sono chiamate ad applicarle.

L’Italia del futuro sarà più o meno democratica, più o meno costruttiva, più o meno competente, non per come sarà scritto questo o quell’articolo della Costituzione, ma per quanto saranno democratici, costruttivi e competenti i politici che la guideranno, dal governo e dall’opposizione.

In politica sono molto spesso le prassi non scritte, quelle delle cose che non sono illegali ma sono inopportune, a fare la democrazia; sono principi come il rispetto reciproco, il riconoscimento della legittimità degli altri, la capacità di dialogare e di arrivare a un compromesso.

E dato che ho visto continuamente calpestare questi principi da tutti, da Renzi come dal M5S e dai rottami del centrodestra, credo che l’esito di questo referendum potrà al massimo decidere se a sistemarsi al potere saranno ancora i renziani o piuttosto i vari giovani rampanti del M5S; ma, qualunque esso sia, non salverà certo l’Italia dal suo declino e dal suo degrado democratico e culturale.

Per questo, avendo avuto l’opportunità di andare via da Torino proprio in questi giorni, non mi sono stracciato le vesti all’idea di non poter andare a votare; e credo che saranno comunque in parecchi a non farlo, o a farlo di controvoglia, votando il meno peggio.

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martedì 8 Novembre 2016, 13:58

Se votare servisse a qualcosa

Oggi trecento milioni di americani vanno al voto per scegliere se farsi governare da un cretino sessista o dalle banche. Comunque vada, il risultato vero è ben riassunto da questo grafico, che mostra come i nati negli anni ’70 e ’80 comincino a pensare che tutto sommato una dittatura non sarebbe poi così male.

sondaggio-fiducia-democrazia

Il sondaggio viene da uno di quei paper fatti per stupire, visto che per essere classificati come amanti della dittatura bastava dare soltanto nove punti su dieci in risposta alla domanda “quanto è importante per te vivere in un paese democratico”. Ma l’articolo che lo presenta riassume bene il problema: la sensazione crescente nelle nuove generazioni è che chi cambia il mondo lo faccia tramite la propria professione o il proprio attivismo sociale, nonostante e non grazie alla politica e allo Stato, mentre la democrazia sia diventata semplicemente un costosissimo e infinito generatore di buffoni, ladri ed idioti.

Del resto, le poche campagne che in giro per il mondo hanno riavvicinato i giovani alla politica, da Sanders a Podemos, si basano spesso sulla contestazione della democrazia tradizionale, sostituita da forme innovative di partecipazione e di deliberazione diretta. Invece, ogni volta che le persone, grazie ai meccanismi della democrazia rappresentativa, si trovano semplicemente a scegliere tra i due faccioni sopravvissuti alle lotte di potere nei rispettivi partiti, tipicamente promossi con dosi da cavallo di marketing e di populismo, la fiducia nella democrazia scende un po’.

D’altra parte, il vero problema è che la democrazia moderna oggettivamente ha sempre meno armi per essere qualcosa di più di un reality show. La globalizzazione e il liberismo hanno sottratto agli Stati nazionali la parte più importante della propria sovranità, quella economica, che non è stata attribuita ad alcun altro meccanismo su cui i cittadini abbiano effettivamente possibilità di incidere. Al giorno d’oggi, l’idea di “prendere il potere per cambiare le cose” è estremamente naif; è uno slogan molto usato da quelli che entrano in politica presentandosi come “i nuovi”, ma soltanto l’ingenuità e l’entusiasmo possono portare a crederci veramente.

Si creano così due fenomeni contrapposti. Da una parte, c’è un pezzo di società che, trovandosi all’incrocio tra l’analfabetismo crescente e la progressiva fine del lavoro salariato, è sempre più impossibilitato a trovare un lavoro decente, e ha come unica speranza quella che la politica gli faccia avere dall’alto i soldi per vivere; e sono quelli che abbracciano la politica con grande entusiasmo, limitandosi però a ripetere slogan in modo superficiale e ad urlare più forte di quelli che, uguali a loro, sostengono però un altro partito. Dall’altra, c’è un altro pezzo di società, quello con competenze e mezzi culturali, che sarebbe anche interessato a una discussione politica seria e approfondita, ma che se ne ritrae disgustato per l’impossibilità di svolgerla in mezzo alle grida dei primi e agli slogan dei leader politici che se li coltivano; e purtroppo sempre più spesso conclude che la democrazia è roba inutile per ignoranti, da cui bisogna solo difendersi.

In mezzo, anzi sopra alle due, c’è l’1%, l’élite economica e sociale che ha in mano le vere leve del potere e che le usa come vuole, talvolta per proprio vantaggio personale, talvolta per perseguire l’ideale di un mondo globalizzato e tecnologico, anche bello in teoria, di cui però non è lei a sopportare le conseguenze negative.

Da un Paese all’altro, a ben vedere, lo schema delle elezioni di questi anni è sempre lo stesso: il candidato dei poveri e populisti – che sia Trump, Tsipras o Di Maio cambia poco – contro il candidato delle élite, il quale in teoria dovrebbe vincere facilmente, essendo sostenuto più o meno da tutti i media e tutti i poteri forti, e invece non di rado perde, e quando non perde vince per il rotto della cuffia, come probabilmente farà stanotte Hillary Clinton.

E comunque, anche quando vince il candidato populista, poi quasi niente cambia; ci sarà magari un po’ di distribuzione di denaro pubblico a pioggia, ma poco, perché tanto gli Stati hanno sempre meno soldi da spendere; e poi comunque le cose andranno avanti come prima, e il candidato populista abbasserà la cresta molto rapidamente e farà quello che le banche gli dicono, anche perché, se non lo fa e si chiude nel suo mondo ideologico di giustizia sociale fabbricata dall’alto, facilmente finisce come in Venezuela. In Italia, poi, essendo anticipatori di tutto, sostanzialmente non esistono più candidati non populisti; la scelta è tra il populismo di governo e quello di opposizione, pronti a scambiarsi i ruoli senza cambiare il risultato.

Insomma, come non diceva Mark Twain, “se votare servisse a qualcosa non ce lo farebbero fare”; un po’ ovunque, questa è la percezione proprio della parte della società che, per ruolo sociale e per cultura, avrebbe meno interessi personali da perseguire e più capacità da mettere a disposizione; quella che tradizionalmente ha sempre avuto nella democrazia occidentale la massima fiducia e ne è stata la spina dorsale.

E così, il rischio è che la fine della classe media comporti anche la fine della democrazia; e che invece di inventare nuove forme di autogoverno, sfruttando le possibilità di partecipazione attiva introdotte dalla tecnologia, la società si indirizzi senza troppi rimpianti, almeno al principio, verso una nuova età delle dittature.

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giovedì 24 Marzo 2016, 12:31

Un progetto per il voto telematico

Uno dei risultati importanti di questa consigliatura è l’introduzione a Torino di nuovi strumenti di democrazia diretta e di partecipazione dei cittadini; era uno dei nostri obiettivi e circa un mese fa, con l’approvazione della delibera che istituisce il referendum propositivo vincolante col quorum al 25% e dimezza i numeri di firme necessari per convocarlo, l’abbiamo portato a casa.

Ci siamo riusciti anche grazie a una strategia politica intelligente, evitando di farne una questione di bandiera e scegliendo invece lo strumento della delibera di iniziativa popolare, promossa da un gruppo che oltre al Movimento 5 Stelle includeva i radicali dell’Associazione Aglietta e diversi importanti comitati di cittadini, dal Coogen al Forum dell’acqua, sulla quale abbiamo raccolto oltre 6500 firme (per la verità quasi interamente raccolte da una manciata di attivisti del Movimento 5 Stelle); e dato che in aula siamo arrivati sotto elezioni, è diventato molto difficile per il PD – che negli anni passati ha sempre mostrato scarso sostegno per questi temi, per esempio bocciando tutte le proposte di referendum comunale presentate – dire di no.

Alla delibera, oltre a tutto il lavoro di supporto tecnico e politico durante l’iter e all’opera di convincimento su diversi colleghi, io ho contribuito una riga di testo che mi sta particolarmente a cuore: è il nuovo articolo 8 comma 4 dello Statuto di Torino, che recita testualmente “La Città di Torino permette l’esercizio dei diritti di partecipazione anche in forma telematica, previa verifica dell’identità tramite opportune credenziali di accesso.”.

Questa riga è (volutamente) passata piuttosto sotto silenzio nella discussione generale, che si è concentrata soprattutto sul tema del quorum, ma è secondo me altrettanto dirompente: stabilisce che i cittadini torinesi possono firmare le petizioni al sindaco, le proposte di delibera di iniziativa popolare e le richieste di referendum anche online, facilitando notevolmente la raccolta delle firme; e che potranno votare i referendum comunali per via telematica, principio peraltro che ero già riuscito a far passare, con la scusa del risparmio, in una mozione un paio di anni fa, e che semplifica molto il raggiungimento del quorum.

Per ora, però, questa è soltanto una dichiarazione di principio; serve che la Città adegui la sua piattaforma telematica di interazione con l’amministrazione, Torinofacile (vero che siete iscritti?), implementando queste nuove funzionalità. Per poterlo fare, però, serve prima un altro passaggio normativo; serve (e serve anche per poter attuare il referendum propositivo) che il consiglio comunale riveda il regolamento comunale n. 297, che contiene le norme attuative. Questa revisione, visto che tra un mese l’attività del consiglio si conclude, è rinviata al prossimo mandato, dopo le elezioni; ma è importante che venga fatta subito.

Nella delibera approvata, si attribuisce agli uffici e alla presidenza del consiglio il compito di predisporre una delibera attuativa di revisione del regolamento; tuttavia, se l’attuazione di punti come la riduzione del numero di firme richiesto per i referendum è ovvia e automatica, attuare il principio generale della partecipazione telematica non lo è, e da come e quanto lo si attuerà dipenderà moltissimo la sua efficacia. Il voto telematico via Internet, difatti, è un concetto ampiamente dibattuto da vent’anni; tra chi (come me) si interessa al tema sin dai primordi dell’Internet di massa, c’è chi lo ama e chi lo odia, perché indubbiamente facilita la partecipazione, ma, se fatto male, espone la consultazione a rischi gravissimi di brogli e manipolazioni.

Per questo io ho lavorato una settimana per scrivere e lasciare agli atti una proposta di delibera attuativa, controfirmata dal consigliere Viale per i radicali; questa delibera prevede l’introduzione di un sistema di voto telematico basato sul voto disgiunto congiuntamente ricostruibile, ovvero su un voto digitale che viene memorizzato e pubblicato in forma anonima ma associato a un codice univoco, in possesso soltanto dell’elettore tramite una ricevuta firmata e controfirmata digitalmente sia da lui che dal sistema di voto, che permette di testimoniare con certezza quale è stato il voto espresso da quella persona e di dimostrare eventuali errori o manipolazioni.

Alla fine, il voto telematico senza rischi non esiste, così come non esiste un sistema di voto tradizionale privo di opportunità di manipolazione; è giusto secondo me provare la nuova tecnologia di voto, già peraltro adottata da anni in Estonia e in Svizzera, e prevista dalle regioni Lombardia e Friuli-Venezia Giulia per alcuni propri referendum. Per questo, essendo queste le mie ultime settimane da consigliere comunale, ci ho tenuto a lasciare ancora un contributo concreto, sperando che possa far avanzare ulteriormente il progresso su questo tema; e se qualcuno vuol divertirsi a leggere, questo è il testo della delibera, con allegato il nuovo testo proposto per il regolamento.

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martedì 31 Dicembre 2013, 15:16

2013, l’anno della cattiveria

In questi giorni di messaggi di fine anno, di lettere a Babbo Natale e di propositi per l’anno nuovo, io vorrei dedicare due parole a riflettere sul 2013, l’anno della cattiveria.

Non che gli anni prima non fossero stati almeno un po’ bastardi, dato che la cattiveria è un elemento fondamentale dell’animo umano; ma il 2013 ha visto un trionfo, una tracimazione di cattiveria generale, in questo nostro Paese derelitto e dal futuro sempre più difficile.

Certamente pesa in questo giudizio il mio ruolo di cittadino prestato alla politica; mai come quest’anno la discussione politica si è incattivita, e se una volta si parlava spesso in maniera approfondita di questioni di sostanza, e se ne discuteva anche con persone di diversa opinione, adesso la rete è quasi sempre uno scontro continuo; una enorme vasca in cui c’è sempre meno dialogo, e sempre più lotta nel fango.

A sempre più persone non interessa confrontare idee e proposte, interessa urlare più forte degli altri, e se non basta anche insultare e minacciare, senza più ascoltare; ognuno tifa per se stesso e per la propria squadra. Eppure la politica sarebbe l’arte del mettere d’accordo, del trovare soluzioni intermedie che possano andare bene per tutti, e non quella del vincere e sopraffare le opinioni e le esigenze degli altri cancellandole.

In questo scenario anche i rapporti umani passano in secondo piano, e succede persino di vedere vecchi amici a cui un tempo confidavi le cose più intime, ma ora tifosi di un’altra squadra, che vengono da te e cominciano a prenderti a male parole in quanto “grillino” – come se “grillino” o “piddino” o “pidiellino” fossero categorie esistenziali di persone tutte uguali – e magari poi si vantano pure di essere stati cattivi con te.

Ma non succede solo nella politica; Facebook – che, già di suo, è concepito come uno specchio in cui ognuno scrive senza pudore i propri pensieri – è un flusso di coscienza pieno di cattiverie di ogni genere. Non sei d’accordo con me? Non appartieni al mio clan? Muori, possibilmente tra tormenti atroci; succede coi terremotati di Napoli come con la malata pro-vivisezione. Ed è una reazione collettiva, di minoranze rumorose che diventano sempre più consistenti, fuori da ogni possibilità di controllo da parte di qualsiasi autorità, leader o istituzione, che perdipiù scaccia la discussione civile, perché in mezzo agli insulti gli altri se ne vanno e l’argomento del dibattito diventano gli insulti e non la questione iniziale.

Ma perché tutta questa cattiveria? L’Italia è da sempre una repubblica fondata sull’invidia, e spesso su quella negativa, quella che ti porta a sperare che l’altro perda la sua fortuna invece che a cercare di fartene una tua; atteggiamento peraltro giustificato dalla mancanza di meritocrazia, per cui spesso chi ha avuto fortuna non l’ha avuta per merito e chi ha merito non riesce comunque ad avere la fortuna a cui potrebbe aspirare.

Ma da noi si somma ora un altro fattore preoccupante: come disse bene prima di morire Alberto Sordi, il problema non è nascere e vivere poveri, perché i poveri sono abituati ad arrangiarsi e a non sentirsi tali. Il problema è essere ricchi, o perlomeno benestanti, e poi ridiventare poveri; tanto più dopo essere cresciuti in una società che spinge ad associare l’autostima col benessere materiale. E difatti spesso i più rabbiosi adesso non sono i poverissimi, ma quelli dell’ex classe media che perdono giorno dopo giorno il proprio benessere.

E allora? Credo che nessuno abbia veramente una soluzione sottomano; io, questi potenti della politica e dell’economia che hanno veramente in mano il futuro del Paese, me li immagino sempre più preoccupati che si guardano tra loro dicendo “oddio, e adesso che facciamo?”, confidando semplicemente sulla duplice diga della propaganda e della polizia, che però non può reggere all’infinito.

Dopo, c’è chi come noi lavora a porre le basi per l’avvio della ricostruzione; il problema, però, è cosa ci sarà nel mezzo, e quale sarà il sentimento collettivo che segnerà l’anno 2014; già sapendo che, se non riusciremo ad ascoltarci tra italiani almeno un po’, non potrà che essere un anno ancora più cattivo.

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venerdì 8 Novembre 2013, 13:29

Vittorie e battaglie sui rifiuti

Nelle scorse settimane sono state approvate definitivamente le tariffe Tares, di cui vi avevo già parlato. Sono state approvate senza modifiche, e anzi alle opposizioni non sono nemmeno stati forniti i dati minimi necessari per fare proposte di modifica. Sono tariffe che concederanno anche qualche sconto ad alcuni, ma che su alcune categorie, dalle famiglie numerose ai ristoranti e ai banchi di alimentari del mercato, peseranno come un macigno.

In uno scenario del genere, noi abbiamo comunque studiato approfonditamente il tema e presentato numerose proposte concrete, strappando anche alcune vittorie. Queste sono le cose che abbiamo proposto e che il consiglio comunale ha approvato:

  1. L’impegno a stanziare ogni anno i soldi necessari per far crescere la raccolta differenziata in città dell’1,5%, mediante l’estensione della raccolta porta a porta (mozione 1, punto 1).
  2. L’impegno a studiare modi per migliorare la raccolta e aumentare il ricavo dalla vendita dei rifiuti differenziati, abbassando così le tariffe (mozione 1, punto 2).
  3. L’impegno a valutare metodi per misurare quanta immondizia produce ciascun utente e a farlo pagare in proporzione (mozione 1, punto 3; la maggioranza tuttavia non è del tutto convinta e ha reso il testo più vago parlando anche di “aree omogenee”).
  4. L’impegno a chiedere ad Amiat una “spending review” che faccia ridurre i costi e di conseguenza le tariffe (mozione 2; noi avevamo chiesto il 10% di taglio in tre anni, ma il sindaco ha risposto “così poi devono licenziare qualcuno”; l’impegno è a ridurre anche solo di un euro, ma se già per tre anni i costi non aumentassero ancora sarebbe una grande vittoria).
  5. L’impegno a rivedere gli studi, vecchi di un decennio, che determinano le tariffe delle varie categorie commerciali (mozione 3, punto 1).
  6. L’impegno a promuovere forme di autogestione della raccolta rifiuti nei mercati, per abbassarne il costo e permetterne il controllo diretto agli operatori (mozione 3, punto 2).
  7. L’impegno a prevedere sgravi sulla Tares per i “negozi leggeri” che vendono solo prodotti senza imballaggi (nostro emendamento accolto nella mozione 4).

Insomma, ci siamo dati da fare seriamente e costruttivamente, come potete sentire anche nel lungo intervento contenuto nel video. Peccato che, come vedete alla fine, poi arrivino altri gruppi politici che si mettono semplicemente a tirare fuori un bidone ed agitarlo in aula, attirando i fotografi come le mosche; noi siamo comunque convinti che il nostro approccio sia quello che alla fine produce più risultati per i cittadini.

Comunque, il problema della Tares resta ed è grave, e sicuramente avete saputo della manifestazione dei mercatali che martedì ha bloccato Porta Susa. Ognuno si può fare l’opinione che crede, ma queste sono famiglie che rischiano il posto di lavoro, a fronte dell’aumento delle tasse e della contemporanea politica di continua apertura di nuovi supermercati adottata da Fassino; martedì noi siamo gli unici che sono andati ad ascoltarli, e ora vi lasciamo con un testo che uno di loro ci ha mandato, con preghiera di pubblicazione, per far sapere che le cose non sono proprio come le raccontano i giornali.

“Per dare una risposta a Passoni, assessore al Bilancio, e al sindaco Fassino è doveroso chiarire alcuni punti: a Torino la situazione del commercio e quindi degli ambulanti sta precipitando per due principali motivi, oltre che per la solita storia della crisi:

  • una politica favorevole ai centri commerciali e di disinteresse e ostacolo verso i mercati.
  • una pressione fiscale da parte del Comune che non ha nulla a che vedere con gli scontrini ma che colpisce l’ambulante soltanto perché “esiste”.

Stiamo parlando di circa 3000 euro per 10 mq (nel 2004 si pagava euro 1320) per gli alimentari e 800 euro per non alimentari che fanno 1-2 kg di carta al giorno. Ed è riconosciuto che facciamo molti meno rifiuti di alcuni anni addietro. Strano: meno rifiuti si fanno negli anni, più si paga… Torino – Amiat (azienda raccolta e smaltimento) è proprio strana.

Chi ha superfici maggiori paga proporzionalmente, quindi ci sono ambulanti che pagano anche 5000-6000 euro/anno e anche più. La tassa dei rifiuti per gli ambulanti torinesi è la più alta d’Italia, più del doppio di Milano e il triplo di Bologna, e gli aumenti proseguiranno. Non è più sostenibile: e il motivo che adduce Passoni che circa il 40% non paga la tassa non giustifica che bisogna caricare tutto su chi paga: è una risposta ben misera.

Questo fuoco che sta divampando tra i commercianti, anche i negozianti, è da circa un anno che lo facciamo presente. Ma lo stesso Fassino non ci ha mai incontrato, e tutte le volte che lo abbiamo cercato lui non c’era mai. Un sindaco che di fronte al grido di grande disagio di molti suoi cittadini non c’è mai. Probabilmente pensa che sono tutte storie, che i commercianti sono pieni di soldi… e via così. A Torino in gennaio e febbraio hanno chiuso circa 240 negozi, 6400 in tutta Italia in due mesi. Quindi sono tutte storie? Stiamo andando sempre peggio.

Molti mercati torinesi si sono desertificati perché gli ambulanti non li frequentano più, non rendono più niente e le licenze si stanno restituendo al Comune perché non si riescono a vendere da diversi anni. Ci sono un mucchio di ambulanti che incassano meno di 100 euro al giorno e devono decidere se mangiare o pagare le tasse comunali, compresa l’occupazione del suolo pubblico, minimo 1250 euro per 10 mq. Le organizzazioni sindacali Anva – Fiva – Confcommercio latitano e portano avanti il loro compito principale: fare da commercialisti agli ambulanti e negozianti.

Invece di ridurci queste tasse il Comune non interviene su Amiat, il cui amministratore delegato ha pensato bene di creare l’incarico di direttore commerciale e di farsene carico con il relativo stipendio. 2 incarichi = 2 stipendi.

Un fuoco probabilmente destinato a divampare!”

Aggiungo un’ultima cosa talmente assurda che non me ne capacito: nella tabella delle tariffe voi trovate dei valori a metro quadro e anno da cui apparentemente quella dei mercati sembra ragionevole: per esempio i ristoranti e simili pagano 41 €/mq/anno mentre gli ambulanti alimentari ne pagano 52. Il problema è che il Comune di Torino, unico in Italia, ha adottato questo metodo di calcolo: mentre un pizza al taglio di 20 mq aperto sei giorni a settimana paga 41 * 20 = 820 €/anno, un banco del mercato di 20 mq che fa ogni settimana sei mercati in sei giorni diversi paga sei volte, ovvero paga 52 * 20 * 6 = 6240 €/anno. Ma che senso ha, a parte quello di nascondere al cittadino medio l’esosità delle tariffe applicate ai mercati?

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venerdì 31 Maggio 2013, 15:44

Inceneritore del Gerbido: rotto al secondo giorno

La battaglia contro l’inceneritore del Gerbido è da sempre una delle principali priorità del Movimento 5 Stelle a Torino; da anni spieghiamo come l’incenerimento sia il modo sbagliato di disfarsi dei rifiuti, perché l’errore sta nel consumare materie prime preziose, in esaurimento a livello planetario, per realizzare un oggetto che si usa una volta e poi si brucia, estraendone al massimo una piccola frazione dell’energia necessaria a produrlo e creando ceneri e scarti tossici che poi dovranno comunque essere interrati o smaltiti. L’obiettivo deve essere quello di buttare via il meno possibile, di riutilizzare le cose il più possibile e di riciclare la materia prima di ciò che si butta; obiettivo peraltro sancito da una decisione europea che prevede nei prossimi anni il divieto di bruciare qualsiasi materiale che sia recuperabile.

A fronte di questo, spendere mezzo miliardo di euro per costruire un inceneritore è una scelta sciagurata; nel resto del mondo, dove li hanno costruiti venti o trent’anni fa, se ne stanno disfando, e tra pochi anni, almeno se facessimo le cose secondo una logica europea, non ci sarà comunque più niente che si possa o si debba bruciare; ma noi avremo questi enormi forni sulle croste e dunque dovremo restare indietro, invece di sviluppare nuove tecnologie, perché non ce li siamo ancora ripagati. Infine, la raccolta differenziata porta a porta e il riciclaggio creano molti posti di lavoro, mentre all’inceneritore, nonostante il mega-investimento, lavorano una manciata di persone.

Comunque, le amministrazioni locali proseguono imperterrite sulla strada dell’incenerimento, e dunque l’impianto del Gerbido è arrivato alla fase di prova; il primo maggio è iniziato ufficialmente il regime provvisorio, in cui si bruciano rifiuti per provare l’impianto. Ebbene, il due di maggio si era già verificato un grave incidente, che ha costretto a bloccare tutto. In pratica, pioveva sui circuiti elettrici a 6000 Volt; un difetto da niente!

Ovviamente, alla prima pioggia un po’ intensa è saltato tutto, e poi… chi abita intorno all’impianto ha visto fumi grigiastri uscire dal camino per tutta la notte, ma, nonostante le promesse di controllo, trasparenza e sicurezza, non c’è stata alcuna comunicazione ufficiale sull’accaduto. Per questo sono arrivati i vostri consiglieri comunali preferiti, che hanno presentato una interpellanza costringendo l’amministrazione comunale a riferire in aula.

Nel video trovate i venti minuti di dibattito che ne sono seguiti, ma in breve ciò che abbiamo appurato è che l’incidente c’è stato, esattamente come descritto, e che di conseguenza vi sono state emissioni più alte del normale di vari elementi inquinanti, in un caso anche fuori dai limiti di legge; e che però questo non è un problema, perché la legge italiana consente agli inceneritori di sforare i limiti di legge sull’inquinamento per sessanta ore all’anno!

L’amministrazione ci ha garantito che sono state seguite tutte le procedure di emergenza, ma quello a cui non hanno risposto, e torneremo alla carica, è quali siano tali procedure. In particolare, a noi risulta che in mancanza di corrente non funzioni nemmeno il sistema di filtraggio dei fumi, che vengono dunque scaricati nel camino e nell’atmosfera senza essere depurati; e su questo la risposta non è arrivata. Se un incidente del genere al secondo giorno di test, a regime ridotto, è stato comunque sufficiente a far sforare i limiti di legge, cosa accadrebbe in caso di un incidente simile durante l’esercizio a pieno regime?

Nella risposta, ci viene detto che dopo l’incidente l’impianto è stato fermato. Eppure, i cittadini attorno all’impianto testimoniano, con tanto di foto, che in questi giorni i fumi continuano a uscire… di notte e fino all’alba. Pare, da quanto detto venerdì a una riunione del comitato di controllo, che in realtà l’esercizio di prova sia ripreso, ma soltanto di notte: per non inqiuetare l’opinione pubblica?

L’assessore Lavolta ha iniziato il suo intervento invitando a far circolare informazioni corrette; spesso i favorevoli all’inceneritore ci hanno infatti accusato di alimentare il panico. Noi siamo assolutamente a favore dell’informazione corretta, e proprio per questo abbiamo preteso la pubblica spiegazione che vedete nel video. Ma una gestione del genere, da poco venduta ai privati per necessità di soldi del Comune, e che in caso di incidente non rilascia informazioni al pubblico fin che non le chiedi formalmente, e che sembra spesso fare le cose un po’ di nascosto, che tranquillità dà ai cittadini?

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venerdì 10 Maggio 2013, 13:51

Chiediamo per voi

L’attività consiliare non è fatta solo dei grandi temi, quelli che finiscono sul giornale, quelli a cui di solito dedichiamo i post e le discussioni più accese in rete. Ognuno di noi riceve ogni giorno parecchie segnalazioni di problemi e proposte, di solito accompagnate da una richiesta di incontro; alcune vicende riguardano situazioni personali, mentre altre hanno un valore collettivo. Noi cerchiamo per quanto possibile di dare ascolto e seguito a tutti, anche se questo spesso ci impedisce di approfondire tutto; spesso le segnalazioni potrebbero dare il via a indagini o studi interessanti, ma che richiederebbero ore o giorni da dedicare a quel singolo problema, cosa di cui non disponiamo; per questo chiediamo ai cittadini di attivarsi, ad esempio nei gruppi di lavoro.

Comunque, quando le segnalazioni riguardano problemi collettivi, spesso ci ritagliamo le ore necessarie per analizzarle e produrre una interpellanza, ovvero un atto che richiede alla giunta comunale di rispondere alle nostre domande ufficialmente, in aula, con ciò costringendo l’amministrazione a prendere atto del problema e “mettere la faccia” su promesse di risoluzione. Le interpellanze vengono trattate il lunedì mattina in un’aula solitamente deserta, dato che ognuno viene soltanto a sentire le risposte alle proprie, e che sono solo alcuni consiglieri, praticamente tutti di opposizione, a utilizzare regolarmente questo strumento. Noi, però, quando possibile estraiamo il video e lo mettiamo sul nostro canale Youtube; inoltre i video sono reperibili sul sito del Comune, nella sezione dei verbali del consiglio.

In questi due anni, io ho scritto e presentato 124 interpellanze, più un altro centinaio scritte da Chiara (ognuno di noi firma le interpellanze dell’altro) e qualcuna presentata insieme ad altri colleghi. Per darvi qualche piccolo esempio, qui sotto riporto i video di alcune delle interpellanze di cui mi sono recentemente occupato io, con una piccola spiegazione; così potrete capire che fine fanno le vostre segnalazioni, o le mie osservazioni di situazioni problematiche.

I) Qualche tempo fa, diversi cittadini si sono accorti che i nomi e i dati dei propri cari defunti erano stati riportati senza autorizzazione su un sito Web organizzato come “cimitero virtuale” da una società di origine americana, con tanto di offerte di servizi aggiuntivi a pagamento; i dati erano stati scaricati dal sito del Comune, che li pubblica in maniera aperta a tutti. Questa è la spiegazione data dall’amministrazione su come sia stato possibile: in pratica, attendono da un anno e mezzo un parere del garante della privacy sulla legittimità della pubblicazione, legittimità che secondo me, come sentite nella mia risposta, è molto dubbia.

II) Negli anni subito prima del 2006, corso Francia è stato oggetto dei lavori per realizzare la metropolitana; a fine lavori, solo il tratto fino a piazza Bernini fu risistemato, mentre il resto fu rappezzato alla meglio a titolo “provvisorio”. Tuttavia, da allora la risistemazione definitiva del tratto più periferico viene continuamente rinviata per mancanza di fondi, e allora noi abbiamo chiesto, per la seconda volta da quando siamo stati eletti, quand’è che pensano di farla, o se (come di fatto ci dicono) l’opera sia ormai passata in cavalleria, e in questo caso se non si possano almeno sistemare le buche e i punti pericolosi.

III) L’hitball è uno sport nato a Torino e che vanta in città un buon numero di praticanti, tanto che negli anni si era parlato di aggiungere una seconda sede all’unico impianto disponibile… fin quando non si è scoperto che la Città vuole sfrattare gli sportivi dall’unico impianto perché ha venduto l’area agli “operatori immobiliari”.

IV) Il fenomeno dei furti di rame e del commercio illegale di rame è in continua crescita, e viene spesso collegato nell’opinione popolare ai roghi nei campi nomadi: è vero? Cosa fa l’amministrazione per reprimere questi fenomeni, e quanto spesso interviene?

V) Con un blitz, alcune settimane fa i vigili urbani hanno fatto chiudere alcune copisterie in cui si fotocopiavano testi universitari; eppure le fotocopie sono l’unico modo con cui molti studenti possono avere accesso ai testi. Siamo sicuri che l’intervento sia stato fatto correttamente, e come possiamo aiutare il diritto allo studio?

[tags]interpellanze, consiglio comunale[/tags]

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venerdì 5 Aprile 2013, 13:08

La città del cemento

Torino è una città dall’anima urbanistica particolare, meravigliosa. Ve lo dice persino il sito del Comune, ricordando come Le Corbusier abbia definito Torino come la città con la più bella posizione naturale del mondo; tra i fattori fondamentali di tale giudizio cita “i 300 chilometri di strade alberate”.

Tra le strade alberate ce n’è una piuttosto particolare, quella storicamente nota come corso del Valentino. Quando nel Seicento fu costruito l’attuale castello del Valentino, davanti al suo ingresso si concepì uno scenografico viale alberato che collegasse la reggia con il convento di San Salvatore (popolarmente San Salvario). Quel viale alberato è chiaramente riportato in tutte le carte storiche, come ad esempio quella del Grossi (1791). Gli alberi ovviamente sono cambiati col tempo, ma il viale esiste come tale da circa quattrocento anni, e l’unico cambiamento significativo degli ultimi cento, dopo la sua inurbazione, è stato intitolare il corso a Guglielmo Marconi dopo la sua morte.

Ma poiché questa è un’epoca senza storia e senza memoria, l’amministrazione di Fassino è pronta a cancellare quattrocento anni di storia per farci un parcheggio; l’immancabile, imperdibile vascone di cemento destinato a ospitare le auto dei pochi fortunati che possono ancora permettersi l’auto e anche il box, come se non sapessimo tutti che tra quarant’anni (nemmeno quattrocento) la mobilità sarà tutta diversa, causa esaurimento del petrolio, e chissà se serviranno ancora i box interrati.

Non dite che non l’avevamo detto: noi (non l’amministrazione, che dovrebbe farlo per mandato) lo scorso autunno abbiamo pubblicato l’elenco dei parcheggi proposti dall’amministrazione e abbiamo chiesto il parere dei cittadini. E poi in perfetta solitudine abbiamo votato contro la delibera, presentando anche una serie di emendamenti per chiedere l’eliminazione di tutti i progetti particolarmente devastanti, tra cui – esplicitamente citato nell’intervento in aula che vedete nel video – questo di corso Marconi. E dunque, tutta l’aula ha specificamente bocciato il nostro emendamento che proponeva di cancellare questo parcheggio e poi ha allegramente approvato la delibera, con noi soli contrari.

Quale sia il senso di un parcheggio privato interrato nella parte finale di corso Marconi sfugge ai più. Non si tratta nemmeno di un parcheggio pubblico, ma di box privati; 180 box privati da vendere a 50-60.000 euro l’uno. In compenso, sarebbe rasa al suolo l’alberata e creata una grande piazza pedonale (dall’uso tutto da capire), con quei pochi alberelli che possono crescere sopra una soletta di cemento, eliminando 220 posti dalle strisce blu in superficie, dunque peggiorando ancora la situazione dei parcheggi a San Salvario. L’unico che ci guadagna è il privato, che a fronte di quasi 10 milioni di euro di incasso potenziale ne spenderebbe quattro o cinque per lo scavo e la risistemazione superficiale, e una cifra indefinita (ma probabilmente sotto il milione di euro) per il diritto di concessione.

Ieri sera si è finalmente svolto il consiglio di circoscrizione aperto, su mozione del nostro consigliere di circoscrizione Claudio Di Stefano. Per l’amministrazione è stata una disfatta, con l’assessore Lubatti che è scappato a metà (aveva un altro improrogabile impegno) e i tecnici comunali presi a insulti dalla gente. Persino il bollettino ufficiale della Circoscrizione parla di contestazione

Bastava parlarne prima con i cittadini della zona, e chiedere a loro se volevano o no un parcheggio (tanto i box servirebbero eventualmente a loro, a chi se no?). Ma su piccole e grandi opere l’atteggiamento del centrosinistra è sempre questo: decidiamo noi per voi cittadini, e se qualcuno si oppone è un retrivo ignorante. Per fortuna la gente è sempre meno disposta a subire!

[tags]parcheggi, torino, fassino, san salvario, valentino, trasporti[/tags]

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