Sky
Vittorio vb Bertola
Affacciato sul Web dal 1995

Lun 22 - 22:29
Ciao, essere umano non identificato!
Italiano English Piemonteis
home
home
home
chi sono
chi sono
guida al sito
guida al sito
novità nel sito
novità nel sito
licenza
licenza
contattami
contattami
blog
near a tree [it]
near a tree [it]
vecchi blog
vecchi blog
personale
documenti
documenti
foto
foto
video
video
musica
musica
attività
net governance
net governance
cons. comunale
cons. comunale
software
software
aiuto
howto
howto
guida a internet
guida a internet
usenet e faq
usenet e faq
il resto
il piemontese
il piemontese
conan
conan
mononoke hime
mononoke hime
software antico
software antico
lavoro
consulenze
consulenze
conferenze
conferenze
job placement
job placement
business angel
business angel
siti e software
siti e software
admin
login
login
your vb
your vb
registrazione
registrazione

Archivio per la categoria 'WeekBowl’s&Music'


domenica 15 Luglio 2007, 09:18

Traffic, day 4

Come può cominciare la serata del più atteso concerto dell’estate cittadina (a parte il giapponese a nastro all you can eat)? Beh, è facile; percorrendo via Lessona già in ritardo in mezzo al traffico, cercando di azzeccare un parcheggio impossibile – le auto già sin sui marciapiedi, alla milanese – e poi spaventarsi vedendo piombare da una via laterale una macchinina rossa a tutta velocità; la macchinina rossa inchioda proprio sul bordo della via, io mi giro per mandare affanculo il guidatore, e… ehi, è Fabbrone! Pensate che figo sarebbe stato inaugurare il concerto con un CID tra blogger torinesi: in tutta la blogosfera cittadina non si sarebbe parlato d’altro, men che meno del concerto.

Comunque, sono le dieci passate quando, con un colpo di genio, mollo la macchina nel parcheggio del Pam di via Crevacuore, lasciato incautamente incustodito, e a cui pochi avevano pensato; così arriviamo relativamente in fretta alla Pellerina, dove però il concerto di Battiato è già iniziato. Non è un problema aver perso i gruppi di supporto, ossia un paio di carneadi (per quanto Ivan Segreto sia passato abbastanza spesso sulle radio) e i Subsonica; certo che non potrò il mattino dopo dire “mi’ raga, visto che fighi i Subsonica l’altra sera?”. Però mi spiace perdere il Maestro, e allora ci infiliamo nella folla strabordante, un muro che comincia già duecento metri prima dell’ingresso nel vascone della Pellerina; tanto che entro cinque secondi perdiamo i nostri amici.

Finiamo così a vedere il concerto circa sulla luna, tipo a ottanta metri dal maxischermo che sta dietro il mixer a cinquanta metri dal palco. Sarà anche per questo, sarà perchè a quella distanza Battiato è un puntino e la gente intorno è più che altro intenta al coma etilico o a dirsi quanto erano fighi i Subsonica, ma il concerto stenta a decollare.

Battiato fa i pezzi degli ultimi dischi, che a me piacciono molto, ma certo non sono materiale di massa; in più, li vuol rifare uguali come nel disco, il che vuol dire che suona con le basi. Il palco è astronautico, la batteria chiusa in una galera di plexiglass perchè non disturbi i mille microfoni attorno, e poi tonnellate di strumentisti, compreso un quartetto d’archi, una seconda batteria elettronica, manciate di chitarristi e di accompagnatori, pile di tastiere, e almeno due portatili, di cui uno è un iBook identico al mio. I problemi sono due: il primo è che il Maestro, soverchiato da tanta complessità, fa fatica a capire e spesso attacca a cantare fuori tempo; il secondo è che, a forza di sentir sovraincisioni e vocine che emergono dal vuoto, non è chiaro in che misura io stia davvero vedendo un concerto, e quanto invece un playback alla Top of the Pops.

L’unico episodio degno di nota in una prima mezz’ora raffinata ma fredda – a parte la cover di Ruby Tuesday – è l’ingresso sul palco di Sgalambro, che si esibisce nientepopodimenoché nella Canzone della galassia; peccato che sia tradotta maluccio e cantata peggio, perché la trovata è comunque eccellente. Ah, e poi Battiato cerca di mettere in evidenza una delle sue band di sostegno – le MAB, un quartetto di donne che si lavano poco i capelli – facendogli suonare un loro pezzo; e queste attaccano una roba che poteva stare tranquillamente in Powerslave nel 1984. Ok, a me gli Iron Maiden piacciono, e la cantante è effettivamente potente di voce come Bruce Dickinson, carica di energia come Bruce Dickinson, e sexy come Bruce Dickinson; però non so se fare heavy metal venticinque anni in ritardo sia una grande idea. Complimenti però per la grinta.

Comunque, dopo un po’, finalmente succede il miracolo: Battiato attacca una Tra sesso e castità che rapisce, e fa seguire al doloroso pensante Chissà com’è la tua vita oggi / Chissà perché avrò abdicato la scena magnifica di un temporale di luci nel tratto tempestoso del pezzo. Subito dopo, insieme a un buon terzo dei centomila presenti (gli altri erano lì essenzialmente per il casino), canta La cura, e a me viene per la prima volta lo strano pensiero che sia una canzone da dedicare a se stessi; ad ogni modo, è una canzone talmente perfetta che completa i dieci minuti che valgono la serata.

Di lì a poco, peraltro, anche il Maestro si scioglie, e attacca con i classici che accontentano la folla: Voglio vederti danzare e Cuccurucucu; poi la fine teorica; e poi, come bis, L’era del cinghiale bianco e Centro di gravità permanente. Cosa volere di più? Beh, praticamente tutti i brani del periodo 1979-1983, ma non sottilizziamo.

E’ mezzanotte, quindi è finita? No, perché c’è la sorpresa finale; quando Battiato termina i bis, attacca un terribile martellamento di cassa, e dopo tre minuti salgono sul palco loro: i Subsonica! I Take That sabaudi attaccano subito una lagna mortale, in pratica cinque minuti di tastierone effetto seta con sopra Samuel che miagola frasi ad effetto. Poi continuano con Disco Labirinto, che almeno è un gran pezzo; penso che l’abbiano scelto perchè è in sette, per non sfigurare. Il problema è che i Subsonica, messi su un palco dopo Battiato, sembrano finti, finti come musicisti, finti come autori e finti come persone; è come se dopo aver mangiato un gran tagliere di formaggi italiani ti mettessero sul piatto una bella confezione colorata e accattivante, però piena di sottilette. Samuel, per ribadire la propria figaggine, scende dal palco per gridare “Su ‘ste maniiiiii!!!” – e quello lo grida bene, quasi come Toni C. in curva Maratona – e poi, tornando su a favor di camera, spara uno sputazzo olimpico in primo piano. Ma si può?

La cosa peggiora ancora, perchè trascinano sul palco Battiato e, in suo onore, “suonano” Up patriots to arms. La suonano come… ecco, avete presente quando siete in sala da tre ore, e mancano cinque minuti, e avete esaurito i pezzi, e allora qualcuno dice “dai, improvvisiamo, proviamo a suonare X”, dove X è un pezzo molto famoso di un’altra band, che però non tutti si ricordano e quindi lo si suona un po’ a orecchio, come viene? Ecco, questa è l’impressione che mi ha dato la versione dei Subsonica di Up patriots to arms (anche se, intendiamoci, non dubito che loro l’abbiano coscienziosamente preparata per una settimana; e a pensarci bene forse questo aggrava le cose). In più, hanno scelto proprio il pezzo in cui Battiato si lamenta della vacuità della musica commerciale moderna; forse pensavano di essere autoironici, o forse non l’hanno proprio capito; fatto sta che Battiato, canticchiando Non è colpa mia se esistono spettacoli con fumi e raggi laser / se le pedane sono piene di scemi che si muovono, guarda il tarantolato Samuel e si trattiene a stento dal ridere.

Sarebbe finita qui, se non fosse per le scene da panico per andar via, dovute alla bella idea di aver ristretto a un budello di due metri, a forza di stand e bancarelle, la principale via d’uscita per centomila persone. Certo che organizzativamente ‘sto Traffic fa proprio schifo; l’annunciatrice giuliva urla che si sono superate le duecentomila presenze in quattro giorni (stima effettuata col Bracciomatic), e tu pensi che invece di considerarti uno spettatore un tanto al chilo per il comunicato stampa finale, forse dovrebbero avere un minimo di rispetto per te e per gli artisti, e organizzare il tutto in modo che la musica si senta, il pubblico ci veda, e nessuno rischi di essere calpestato. Anche costasse dieci euro l’ingresso.

[tags]traffic, torino, festival, battiato, mab, subsonica[/tags]

divider
sabato 14 Luglio 2007, 13:08

Traffic, day 3

Ieri sera – perso Lou Reed per assenza fisica da Torino, e recuperati i Daft Punk perché non ci sono andato, ma dalla finestra di casa mia si sentivano benissimo: i residenti ringraziano – sono finalmente andato al Traffic, per l’attesa serata britannica.

Io e Andrea ci troviamo verso le otto, in attesa del materializzarsi delle donne, afferrando panino e birra da uno dei millanta baracchini attorno al festival (devono esserci pochi eventi quest’estate, visto che tutti i paninari del Nordovest paiono essersi allineati là).

Ignoriamo quindi il gruppo di coni che apre la serata, e ci sistemiamo nel vascone solo quando, alle otto e mezza, stanno per attaccare gli Art Brut. Sembrano le tre di pomeriggio e solo qualche centinaio di irriducibili è già pigiato davanti al palco.

Degli Art Brut ho già parlato; a me, a pelle, piacciono pure più degli Arctic Monkeys, nel senso che il genere è simile, ma gli Art Brut sono sardonici, veraci, e molto meno montati. La front line è composta dal cantante, uno che ha guardato alla moviola tutte le mosse e le pettinature di Morrissey, e dal chitarrista biondo posseduto dal demonio, che passa tutto il concerto a fare facce da film di Dario Argento.

Il concerto, proprio come il disco, è un caso di performing art, non solo per via di mossette, balletti e salti con la corda, ma perchè il cantante Eddie ogni tanto interrompe i pezzi a metà e si mette a raccontare i cazzi propri, o ad arringare la folla, ad esempio per raccontare di tutte le volte in cui è stato piantato dalla fidanzata ed invitare tutti i presenti a smetterla di pensare ai propri ex, che è solo una perdita di tempo. E’ un vero happening punteggiato dalla provocante semplicità dei testi; perchè Eddie non se la tira da santone come Bono, e i suoi pezzi, totalmente autoironici, parlano di due sole cose: di ragazze che l’hanno mollato o che si è fatto, e dell’obiettivo ultimo della sua vita, ossia mettere in piedi una band per apparire in Top of the Pops. E per facilitare l’obiettivo, oltre ad esporlo nel testo di una canzone su due, ha pure scritto un pezzo intitolato Top of the Pops, il cui testo è “Art Brut! Top of the Pops! Art Brut! Top of the Pops!”; ieri, nell’esecuzione live, ha inserito per cortesia anche i nomi degli altri gruppi in scaletta. Certo che deve esserci rimasto male, quando l’estate scorsa, dopo 41 anni di trasmissioni ininterrotte, la BBC ha cancellato Top of the Pops, proprio quando loro cominciavano ad avere successo: che sfiga.

Insomma, bel concerto e buon successo per gli Art Brut; alla fine, c’era già parecchia gente e sembrava apprezzare. Mezz’ora di cambio palco; tramonta ed entrano in scena i The Coral, gruppo di grande valore tecnico, che io apprezzo moltissimo sin da quando, nel 2002, vidi verso le due di notte su MTV il video di Goodbye. I Coral fanno di genere un mescolone tra gli ultimi anni sessanta e i primi anni settanta; c’è dentro il progressive, c’è dentro la psichedelia, ma con una base brit-pop tradizionale e concettualmente non lontana dai Travis o da altri gruppi britannici più mainstream. Di conseguenza, si presentano in scena con chitarre panciute e batteria scarna alla Ringo Starr (un piatto orizzontale e un charleston).

Ora, è chiaro che la loro musica è complicata per un festival: sul palco sono in sei, ci sono ennemila chitarre che cambiano continuamente, una base di organetto che (per esperienza) è sempre difficile da mixare, e pezzi dalla struttura non facile. Certo che se poi l’organizzazione non li aiuta, regolando il volume a livello da lounge… Io ero a dieci metri dal palco e non sentivo nulla; attorno a me, la gente chiacchierava tranquillamente senza nemmeno accennare ad urlare, e il chiacchiericcio copriva la musica; chissà più indietro cosa avranno sentito. A un certo punto volevo organizzare una colletta per regalare un paio di ampli al Traffic, che peraltro ha maltrattato i Coral in tutti i modi: per dire, quando hanno fatto She Sings The Mourning, la cui caratteristica è una chitarra suonata con l’archetto, il regista del maxischermo ha inquadrato qualsiasi cosa – cantante, dettagli del charleston, gente che cazzeggiava in platea, persino tre minuti di bassista che faceva sempre le stesse due note – ma non una volta il benedetto archetto; e dillo, regista, che non ti sei nemmeno documentato tre minuti per capire chi cavolo sono i The Coral e che canzoni fanno! Chiude in bellezza l’omino delle birre che passa tra il pubblico con una lampadina da 200 watt e un compressore che spara ottanta decibel di rumore assordante, nel bel mezzo dei pezzi d’atmosfera: capisco che il Traffic debba arrotondare, però un minimo di rispetto per la musica potevano pure mettercelo.

Loro, poveracci, ce l’hanno messa tutta e hanno fatto un bel concerto; la musica dei Coral è magica e affascinante, ma anche energetica (a fine concerto spaccano tutto con il finale di I Remember When). Peccato che la platea, già alla ventesima fila, fosse piena di tarri che erano lì solo per gli Arctic Monkeys o magari solo per le canne, e che li hanno cagati di striscio solo quando hanno fatto In The Morning, il singolino poppettaro che ormai tocca fare pure alle band indipendenti. Questi sono i casi in cui ti chiedi se non sarebbe meglio far pagare dieci euro ed evitare il tarrume; del resto, se tutti gli altri festival d’Italia sono a pagamento un motivo ci sarà.

Comunque, ormai è notte, e il cambio palco successivo è lungo ed estenuante, mentre il vascone della Pellerina ormai è pieno e impaziente; noi ci siamo spostati in fondo, per tranquillità. Alla fine, parte una musica introduttoria e salgono sul palco i figli degli Arctic Monkeys, quattro ragazzini brufolosi, per presentare il concerto. Dopodiché, a sorpresa, si siedono agli strumenti; il batterista, un tredicenne panzuto che pare uscito da una sitcom, si siede sul seggiolino, butta per terra la carta di un paio di Mars, si schiaccia un brufolo, poi prende le bacchette e attacca una mitragliata mai vista per lanciare The View From The Afternoon. Oddio, ma sono loro gli Arctic Monkeys!

Dopo tre pezzi ho capito il trucco dietro alla band; praticamente, il bambino panzuto, tra un panino con la Nutella e una manciata di M&M’s, spara delle basi di batteria mai viste, al che gli altri tre diventano abbastanza irrilevanti, e in particolare il chitarrista può dedicarsi ad assoli e virtuosismi degni del miglior Ghigo Renzulli (in qualche caso mi è venuto da dirgli “dai, scendi, salgo sul palco io con la chitarra di Guitar Hero e faccio degli assoli più tecnici”). Sono comunque ammirato; perché questi ragazzini mettono insieme una macchina da guerra che macina note a velocità supersonica, e ogni tanto ci infilano pure una spruzzatina di blues o un po’ di lentuccio. Ok, sono travolti dal successo, in buona parte perché gliel’hanno costruito attorno apposta, ma la musica è più che piacevole.

Ciò nonostante, a metà del loro concerto ce ne andiamo esausti, e ci diamo appuntamento per il sabato sera con Battiato. Speriamo solo che il pubblico tarro dei Subsonica non si metta a minchionare ad alta voce sulla metafisica del Maestro.

[tags]traffic, torino, festival, art brut, the coral, arctic monkeys[/tags]

divider
sabato 7 Luglio 2007, 22:10

Globalizzazione è…

…una soprano cinese che canta e gorgheggia sopra la base di Con te partirò di Andrea Bocelli, al concerto di Shanghai del Live Earth. (Ora in diretta sia su MTV terrestre che, coi Keane, su MTV Brand New, canale 706 di Sky.)

divider
sabato 7 Luglio 2007, 11:50

[[Art Brut – My little brother]]

La settimana prossima, a Torino, c’è Traffic: l’ormai consueto festival gratuito di musica al parco della Pellerina, quest’anno esteso a quattro serate.

C’è chi si esalta per mercoledì, la sera del bollito misto (suona Lou Reed); chi per sabato, con Battiato e i Subsonica. Ma per noi duri e puri della musica indipendente, la serata clou è venerdì, con nientemeno che gli Art Brut, i Coral e infine gli Arctic Monkeys: tre dei più famosi gruppi di indie britannico degli ultimi anni.

Se gli Arctic Monkeys sono famosi e i Coral dalla sostanziosa radice progressive sono un mio mito da anni, gli Art Brut sono i meno conosciuti in Italia; in effetti, quando mio zio me li ha fatti sentire mesi fa, nessuno li aveva mai sentiti nominare. Eppure, su Radio Flash, nelle ultime settimane, passa a ciclo continuo una canzone dei Tre allegri ragazzi morti (quelli del fumettista cult Davide Toffolo) intitolata Mio fratellino ha scoperto il rock’n’roll.

Bene, come si evince facilmente anche dal testo, è una traduzione letterale di questo pezzo degli Art Brut: che, come dice il titolo, fanno un punk a bassa fedeltà, ribelle e adolescenziale come tutto il vero punk, e volutamente suonato malissimo. O forse non volutamente, visto che il loro primo singolo aveva per ritornello “Formed a band / We formed a band / Look at us / We formed a band”. Enjoy, e ci vediamo il 13.

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
There’s a noise in his head, and he’s out of control

And yes it frustrates
Let’s let him make his own mistakes
On the dance floor watch him go now
Boy those moves I just don’t know how

My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
He’s only 22 and he’s out of control

How’s he living?
With all of that unforgiving
On the dance floor watch him go now
Boy those moves I just don’t know how

My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
He’s only 22 and he’s out of control

He no longer listens to A-sides
He made me a tape of bootlegs and B-sides
And every song, every single song on that tape, says exactly the same thing
Why don’t our parents worry about us?
Why don’t our parents worry about us?

My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
He’s only 22 and he’s out of control

My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
There’s a noise in his head, and he’s out of control

My little brother just discovered Rock & Roll
My little brother just discovered Rock & Roll
Stay off the crack!

[tags]art brut, traffic, torino, festival, tre allegri ragazzi morti[/tags]

divider
lunedì 18 Giugno 2007, 16:06

Le note sono secche

Ieri sera andavo tranquillamente in automobile per le vie di Torino, quando dalla radio una canzone ha attratto la mia attenzione: un pezzo di alcuni anni fa che conoscevo bene. Si tratta di The Seed 2.0 dei The Roots – anche se la canzone è originariamente di Cody ChesnuTT, un artista semisconosciuto “featured” nella versione dei The Roots, del 2003, distinta appunto dal “2.0”. I The Roots sono da vent’anni un gruppo hip-hop americano dei più quotati, anche se in Italia sono poco conosciuti. Il pezzo è molto bello, ha un riff di chitarra che si appiccica al cervello e racconta in modo crudo la storia di un uomo che commette un adulterio pur di avere un figlio, con tanto di dettagli su preservativi, pillole e test contro l’AIDS, e un metaforico parallelo con la nascita meticcia della musica nera di questi anni, che mescola jazz, rock e rap.

Peccato che qualcosa non tornasse: la musica era quella, ma sopra, invece di un flow in inglese, c’era la voce di Zucchero che cantava un testo altrettanto impegnato, qualcosa come “Sei proprio tu / Che cosa vuoi di più / Il poroporopompompero”. Insomma, alla fine il tutto era spacciato come “il nuovo singolo di Zucchero”: Un kilo, dal disco Fly dello scorso anno.

Ora, io ad Adelmo sono molto affezionato; Rispetto, oltre ad essere un capolavoro, è uno degli album a cui sono più attaccato, per motivi molto personali. Fino alla fine degli anni ’80 ha fatto della gran bella musica. Poi, però, la vena deve essersi seccata; e allora, è diventato il re del plagio: prende un pezzo bello ma poco conosciuto da noi, fa copia e incolla, cambia un paio di accordi in un angolino, e ci aggiunge un testo italiano pieno di vaghe e fini allusioni, tipo E scoppia la bomba, olé / Il grande baboomba è con te / E cala la mutanda, olé / Il grande baboomba è per te”; oppure, “Baila / Baila Morena / Sotto questa luna piena / Under the moonlight / E daila / Under the moonlight / Sotto questa luna piena / Daila Morena”. E poi, voilà, ecco il suo nuovo singolo!

Per rendervi conto di quel che intendo, se siete registrati (che qui ai bot non apriamo), potete ascoltare il pezzo di Zucchero, che, come dicono i crediti ufficiali, è “music & lyrics by Zucchero”:

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

e confrontarlo con quello dei The Roots:

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

Non solo il riff è sostanzialmente identico, ma persino la maggior parte del ritornello lo è; addirittura, Zucchero lo attacca cantando “Il tuo cervello non pesa un kilo” (con la k che fa più successo coi ggiovani) sulla stessa precisa melodia vocale di “I push my seed in her bush for life” dell’altra canzone (mi scusino le signore, il testo quello è).

Fin qui, niente di nuovo; del resto la manina lunga di Adelmo è nota a tutti, nonostante la sua faccia di tolla: qui trovate vari esempi (anche di altri: Tiziano Ferro che clona Kelly Osbourne è fantastico). Tornando al nostro, l’altra settimana l’ho visto vantare in TV la sua “collaborazione” col “grande poeta Piero Ciampi”, la cui poesia Mare al tramonto costituisce quasi alla virgola il testo del ritornello di una famosa canzone di Zucchero; peccato che sulla prima versione del disco non ci fosse menzione di Ciampi, i cui parenti dovettero fare causa per ottenere il riconoscimento di diritti morali e materiali e la correzione dei crediti: altro che collaborazione…

E però, in questo caso Zucchero si è superato, oppure la canzone dei The Roots doveva piacergli davvero tanto, perchè nello stesso disco, a qualche traccia di distanza, si trova una ulteriore canzone intitolata Pronto:

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

Ok, qui ha cambiato almeno un paio di altre note del riff (la batteria è identica, eh). Ma si sa, le note sono sette, e queste cose succedono per caso…

divider
venerdì 8 Giugno 2007, 00:09

Zwooon

Tanto si dice sulle varie attività endorfiniche che si aprono all’essere umano; ma è inevitabile la constatazione che la serata più allegra degli ultimi mesi coincida con quella a più alta densità di birra! Benvenuta sia la riunione di una manciata di amici, se avviene in presenza di abbondante libagione carnivora, e viene innaffiata da una ampia scelta di liquido biondo, che peraltro converge in un secondo giro di medie di cui nessuno di noi ricorda il nome, ma solo la gradazione in doppia cifra.

Certo è che se ho concluso il viaggio questa volta – una di quelle in cui ti capita di guidare per gli incroci cittadini e solo dopo un centinaio di metri venirti in mente la domanda, “ma quella luce rossa che c’era a lato della strada, sarà mica stata un segnale stradale?” – posso concluderlo ancora ed ancora; e forse aiuta l’avere per caso a volume improponibile sullo stereo della macchina una vecchia, immortale edizione della precisa macchina roccheggiante di Strange Kind Of Woman. Da ascoltare solo ad alta velocità, e con l’amplificazione sopra i cento decibel.

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

divider
giovedì 17 Maggio 2007, 23:54

Il navigar m’è dolce

Ecco, non so bene come sia successo, ma questa è diventata una di quelle serate in cui mi perdo davanti all’oceano infinito della rete e non ne esco più.

Tutto è cominciato dal fatto che Tori Amos ha fatto un nuovo disco, American Doll Posse; me ne sono accorto perchè a San Francisco c’era della pubblicità, per quanto discreta. Tori è sempre stata inconoscibile, ma in questo disco ha raggiunto vertici di sincretismo ermetico alla Ceronetti – leggere qui per credere. In questa unione di miti greci e lotte anti-Bush, la canzone che ho sentito oggi su Radio FlashThe Dark Side Of The Sun – mi ha colpito nonostante la sua cupezza, un po’ come Cornflake Girl (e vabbe’, le star mature ripetono un po’ i vecchi hit) ma più oscura (il testo è riportato sotto).

Per motivi che non sto qui a raccontare, sono quindi finito ad aprire un account su Tagworld e a cercare un avatar alternativo… e di lì a guardare vecchie foto… e insomma, è venuto fuori anche l’album fotografico di !me (anche se in una foto mi si vede).

Nel frattempo, renitente alla buona creanza, ho deciso che la solita versione dalla qualità troppo scarsa per fare concorrenza al mulCD si può anche mettere, così poi vi andate a scariccomprare il disco, che a me le ipocrisie non piacciono. Il testo, sotto – ma non è che poi dovrei anche postare traduzioni e spiegazioni, vero?

Audio clip: Adobe Flash Player (version 9 or above) is required to play this audio clip. Download the latest version here. You also need to have JavaScript enabled in your browser.

Is there a way out of this?
If there is I don’t see it
Can Heaven and Hell coexist?
Not when both battle for dominance

Brush back my tears and he said “girl
We have to soldier on
Yes girl even when we don’t feel strong”
So how many young men have to lay down
Their life and their love of their woman
For some sick promise of a heaven

Lies go back now to the garden
Even the four horses say all bets are off

We’re on the dark side of the sun
We’re on the dark side of the sun
We’re on the dark side of the sun

Soon there’ll be fast food on the moon
Painted in neon with For Sale signs up
You say “I’m more afraid of what
Tomorrow could bring to us”

Brushed back my tears and he said “girl
You have to soldier on
Yes girl even when you don’t feel strong”

So how many young men have to lay down
Their life and their love of their woman
For some sick promise of a heaven

Bushes burn there on the mountain
Abraham and Ishmael turn back the clock

We’re on the dark side of the sun
We’re on the dark side of the sun
We’re on the dark side of the sun

divider
lunedì 9 Aprile 2007, 10:22

Duro lavoro

A noi piace il duro lavoro. Piace ritrovarsi a inizio serata per distrarsi un po’, provare a fare una cosa, e non riuscirci perchè non si è assolutamente capaci; e nonostante questo, cominciare piano piano, un passo alla volta, a imparare i movimenti e a studiare l’approccio migliore. E poi, a fine serata, finalmente riuscire ed esserne talmente contenti da mettere il video su Youtube come prova.

Certo, se non sapete di cosa stiamo parlando, non capirete bene lo sforzo che c’è dietro. Ma per questo c’è il secondo video!

divider
giovedì 15 Marzo 2007, 09:26

Rastamanni

Se leggete questo articolo, vuol dire che sono riuscito ad andare in montagna per un giorno e mezzo di break (dovevo partire al mattino e, alle 15:30, son ancora qui attaccato).

Nel frattempo, vi segnalo l’unanime parere, ricevuto da più parti, che gli Easy Star All Stars, gruppo reggae che ha suonato all’Hiroshima martedì sera, vadano coltivati con attenzione. Si tratta di un supergruppo di stramanici che ricoprono interi dischi in stile reggae; il primo disco, The Dub Side of The Moon… vabbe’, si capisce da che disco deriva. Il secondo disco, Radiodread, rifà OK Computer dei Radiohead in modo eccellente, e io da giorni non riesco a togliermi dalla testa Karma Police suonata in levare. Chi è andato al concerto ha comprato i CD, ma si trovano anche al supermercato del mulo.

divider
martedì 13 Marzo 2007, 23:10

[[Foo Fighters – The One]]

Beh, parecchie volte in questi anni ho pensato di postare questa canzone; alla fine è venuta una sera adatta.

Everyone makes one mistake
One more time for old times’ sake
One more time before the feeling fades
One that’s born of memories
One more bruise you gave to me
One more test just how much can I take

You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like this
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like shit

Something never meant to be
Everything you meant to me
Wake me when this punishment is done
Those who try and get away
From the one who gets away
Someone’s always someone else’s one

You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like this
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like shit
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like this
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like shit

Until the end of time
In another life
Until the day I die
Just save it up for one more try
Save it for the last goodbye
We go on again off again on again off

You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like this
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like shit
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like this
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like shit
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like this
You’re not the one but you’re the only one who can make me feel like
Shit

divider
 
Creative Commons License
Questo sito è (C) 1995-2024 di Vittorio Bertola - Informativa privacy e cookie
Alcuni diritti riservati secondo la licenza Creative Commons Attribuzione - Non Commerciale - Condividi allo stesso modo
Attribution Noncommercial Sharealike