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sabato 9 Dicembre 2006, 04:17

Mai parlare troppo presto

Naturalmente, grazie alla disorganizzazione di ICANN, a un tassista poco avvezzo, e alla geniale Air France, sono rimasto a terra per overbooking. Il mio prossimo atterraggio a Torino è previsto per domenica sera, a meno che non riesca a prendere un treno da Parigi domenica mattina per risparmiarmi una giornata a CDG (detto anche che non ho dietro alcunchè di invernale…).

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venerdì 8 Dicembre 2006, 20:16

Ri-in partenza

Tra mezz’ora scarsa mi aspetta il taxi che mi porterà all’aeroporto (è ora di punta e spero che due ore nel traffico saranno sufficienti) per poi ritornare in Italia: se tutto va bene, dovrei essere a casa domani a metà pomeriggio.

Ho ancora molte cose da raccontare sul Brasile, e proverò magari a scrivere qualcosa sull’aereo, vista la lunghezza del volo (quasi dodici ore). Oppure cercherò di guardare qualche film – dovrebbe esserci Carros, la versione portoghese di Cars – e di lavorare un po’. E magari, di rilassarmi: stamattina ho fatto la mia prima apparizione sul palco di ICANN, anche se solo per mezz’oretta, che però è stata sufficiente per l’elezione a vicepresidente di Roberto Gaetano, che diventa così un autorevole candidato a sostituire Vint Cerf come presidente di ICANN l’anno prossimo. Poi, naturalmente, abbiamo avuto un paio di meeting e mi sono arrivate un paio di coltellate nella schiena da parte di colleghi che non hanno preso benissimo il risultato del voto di ieri… ma insomma, fa parte del gioco quando si svolge a certi livelli.

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giovedì 7 Dicembre 2006, 20:11

Italia 2 – Resto d’Europa 0

Ebbene sì, dopo tre giorni frenetici di discussioni, molte delle quali nel corridoio, l’Italia ha ottenuto il suo secondo membro del Board di ICANN, nella persona del sottoscritto, che ha appena vinto un tiratissimo voto (8 – 6) per diventare il rappresentante nel Board dell’At Large (senza diritto di voto) per il 2007, contro Wendy Seltzer di EFF. Mi aggiungo a Roberto Gaetano, che poche settimane fa era stato promosso a membro effettivo; e noto che, per il momento, non ci sono altri europei nel Board… nè tedeschi, nè francesi, nè inglesi (anche se forse ne arriverà qualcuno tra le altre liaison).

Questo vuol dire almeno un altro anno di meeting in giro per il mondo, però stavolta nell’albergo a cinque stelle invece che a quattro. Più significativamente, vuol dire trovarsi proprio al centro dell’azione, nella stessa stanza di Vint Cerf, Paul Twomey e un sacco di altra gente interessante, da Joi Ito a Janis Karklins, discutendo al massimo livello tutti i problemi di cui ICANN si occupa. E’ un’esperienza eccezionale, e spero che ne farò buon uso.

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giovedì 7 Dicembre 2006, 12:36

Dal Brasile

No, non sono sparito, e in effetti ho varie cose da raccontare, ma i meeting di ICANN hanno un andamento divergente: a un certo punto la quantità in arrivo di questioni, mail, eventi vari, documenti e discussioni da corridoio supera il tempo disponibile, e tutto ciò che non è essenziale viene tagliato dal sistema, incluso il blog. Oggi pomeriggio abbiamo la nostra riunione più importante, e dopo di essa, domani mattina, spero di avere tempo per portare un resoconto più dettagliato – ma potrebbe succedere anche solo tra qualche ora, se il Public Forum che è ora in corso (e in cui prenderò la parola alla prima pausa microfono…) si dovesse rivelare più noioso del solito.

Devo però dire che ogni tanto, in quei dieci minuti tra la fine di una riunione e l’inizio dell’evento sociale, si ha anche bisogno di staccare completamente… e così, ieri sera, sono finito per qualche minuto a chattare con Alessandro Rosina sul suo forum. Ammiro il fatto che, pur avendo vent’anni, sia già perfettamente in grado di gestire un dialogo del genere, con risposte diplomatiche quando devono esserlo, scherzose altrimenti, sempre simpatiche nonostante l’afflusso di tifosi. Questo ragazzo ha tutti i numeri per fare molta strada, se la sorte lo assisterà.

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martedì 5 Dicembre 2006, 12:42

Piovve

Piovve… orca vacca se piovve! Un gruppo di rappresentanti delle associazioni di utenti sudamericane, in gita-shopping per la città, è rimasto bloccato su un autobus impantanato in mezzo a una via che si è trasformata in un fiume, inondando mezzo quartiere. Più prosaicamente, noi stasera avremmo il torneo di calcio – il vero motivo per cui siamo qui – e il campo è da strizzare, anche se stamattina, pur essendo il cielo grigio scuro, non piove. Saremo coraggiosi abbastanza? E avrò fatto bene a non portarmi dietro la roba, contando di riuscire a fare avanti e indietro dal mio albergo (cinque chilometri che nelle ore di punta sono completamente intasati) nelle due ore di buco che ho a fine pomeriggio?

Ieri, in compenso, mi sono visto l’approvazione definitiva dello Statuto della organizzazione At Large latino-americana, la prima organizzazione At Large che viene ufficialmente istituita. Oggi a mezzogiorno ci sarà la cerimonia della firma, con Vint e Paul sorridenti davanti ai fotografi! Nel frattempo, ieri hanno eletto i due nuovi membri sudamericani dell’ALAC, per rimpiazzare i miei colleghi di quattro anni di Comitato, l’argentino Sebastian Ricciardi e il peruviano Erick Iriarte Ahon (che tipo). Per sei voti a cinque, sono usciti fuori l’argentino Carlos Aguirre e il venezuelano José Ovidio Salgueiro; quest’ultimo, eletto in contumacia in quanto attualmente impegnato nello scrutinio elettronico della rielezione di Chavez, è noto per aver giocato in porta nella nostra squadra al precedente torneo di calcio di Mar del Plata 2005. Tuttavia, a fine riunione sono arrivati quelli che erano rimasti bloccati dalla pioggia, che ovviamente hanno chiesto di rifare la votazione; e stamattina si stanno scannando per decidere che fare.

Dal punto di vista sociale, va invece segnalata la mia cena al ristorante italiano del centro commerciale di fronte all’albergo, io e la Chair tedesca del comitato, soli come due piccioni. Il clou è stato quando mi hanno portato un bel vassoio pieno dei vari dessert, per farmi scegliere; io ne ho individuato uno e l’ho preso. Il cameriere mi guarda, e fa: “Nao come!” Ok, non mangio, penso io, ma perchè? Noto che le guarnizioni di panna sono in realtà di plastica, e penso: ah, deve togliere le guarnizioni, per farmi mangiare il gelato che sta in mezzo. E invece no, anche il gelato era di plastica: praticamente, sul carrello dei dolci portano delle perfette riproduzioni in plastica di tutti i dessert!

Per fortuna che mi sono tirato su con la TV via cavo, e in particolare con i canali di cartoni animati, dove ho potuto non solo vedere qualche puntata in portoghese dei Fairly Oddparents, un cartone americano buffissimo sulle avventure di un bambino e della sua coppia di pseudogenitori fatati (peccato che in italiano il gioco di parole non si possa rendere, e quindi su Sky è diventato banalmente Due fantagenitori); ma anche guardare due minuti dei Gigimon, la versione dei Digimon per un popolo che non riesce a pronunciare la D.

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lunedì 4 Dicembre 2006, 18:27

Un blog per ogni cosa

Purtroppo, qui a San Paolo manca Jacqueline Morris, di Trinidad & Tobago – una delle persone più intelligenti e gentili che conosco – che rappresenta l’America Latina nell’ALAC. Suo padre ha avuto un serio incidente d’auto poco prima che lei dovesse partire, e così ha dovuto annullare il viaggio per assisterlo in ospedale, in condizioni critiche.

Quel che volevo raccontare, però, è ciò che ha fatto dopo: i Caraibi sono una delle parti del mondo dove le persone sono ancora veramente interessate l’una all’altra, e le richieste di informazioni erano abbondanti e incessanti. E così, Jackie ha aperto un blog su cui possiamo leggere gli aggiornamenti sulle condizioni di suo padre, con tanto di bollettini medici e resoconti dettagliati, senza costringerla a ripeterle mille volte.

A prima vista può sembrare una cosa strana, forse inappropriata per informazioni così private, e invece è una grande idea: una dimostrazione del modo creativo in cui, anche in casi così particolari e tristi, si può usare la rete.

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lunedì 4 Dicembre 2006, 14:36

Impressioni di San Paolo (2)

Ieri mattina ho finalmente fatto il mio primo giro per la città. A dire il vero, il tutto è nato in modo del tutto fortuito: difatti, sono andato a far colazione con l’idea di tornare alla sede del meeting, registrarmi, e cercare gli altri per capire innanzi tutto il programma della mia settimana. A colazione, però, ho incontrato il mio amico Izumi, in perfetta tenuta turistica e con il piano di andare a visitare la città, e in particolare il mercato delle pulci e il quartiere giapponese; e mi sono prontamente aggregato.

Innanzi tutto, ho scoperto che noi siamo in realtà molto lontani dal centro convenzionale di San Paolo. Su consiglio del concierge, abbiamo preso un taxi per venti minuti (25 real) che ci ha portati alla fermata Concepçao della metro, da cui, con sole dodici fermate (stazioni cementosissime, ma sistema molto efficiente), siamo arrivati a Sé, la piazza del Duomo nonchè incrocio della linea blu con la rossa, e quindi, per definizione, centro della città.

Il Duomo risale addirittura al 1954, ed è naturalmente in stile finto-gotico; più interessante la passeggiata per negozi e il mercato delle pulci domenicale di Praça Republica, dove Izumi ha comprato dei piccoli dipinti veramente belli per otto euro l’uno. Abbiamo attraversato una zona residenziale, con ampi vialoni alberati – effettivamente la città è piena di valli (solitamente occupate da superstrade di grande scorrimento, visto che le case si affollano in alto) e di verde rigoglioso – e poi visto il quartiere giapponese: San Paolo è la più grande città giapponese fuori dal Giappone, e si vede, con negozi dove vendono qualsiasi cosa, dai manga alla salsa di soia, fino alle spade da samurai. Nel frattempo, però, il clima si era fatto pesante: 28 gradi all’ombra, sole a picco, sudore e disidratazione a palla nonostante le maniche corte e un bel venticello.

Dopo un pranzo eccezionale in un ristorantino all’angolo – bistecca eccellente, riso, patate fritte, zuppa di fagioli e 33 cl di birra per 6,50 real ovvero 2,34 euro: il Brasile ha anche i suoi bei vantaggi – abbiamo visitato il museo dell’immigrazione giapponese, dove Izumi ha provato a comprare il biglietto in inglese e non lo capivano, poi ha tentato ipotetici spagnolo e portoghese senza risultato, e poi ha attaccato il giapponese e non solo gli hanno risposto, ma gli hanno fatto pure le feste. Sempre in giapponese, ha spiegato che non ero burasiriajin ma itariajin, e così hanno fatto le feste anche a me. E, tra l’altro, chissà quand’è che anche noi troveremo i soldi e la voglia per fare i monumenti all’epopea dei nostri emigrati all’estero.

Comunque, la cosa ha presa una piega piuttosto surreale, visto che nel teatro a pianterreno stavano tenendo, in diretta televisiva col Giappone, una edizione speciale dell’equivalente giapponese del Festival di Sanremo: 25 cantanti uomini sfidano 25 cantanti donne, e i giurati decidono quale sesso vince. Le canzoni andavano dal tradizionale (stile Orietta Berti tastierato) al molto tradizionale (avete presente quegli spettacoli giapponesi in cui un uomo travestito da geisha gorgheggia in modo incomprensibile per cinque minuti accompagnato solo dal suono di una corda da stendere fatta vibrare a caso? avete presente? beh, io ora ce l’ho presente e non è una bella sensazione). In sala c’erano cinquecento giapponesi ambosessi rigorosamente sopra i cinquant’anni, e un unico occidentale (io). E anche questa non è una bella sensazione.

Mi sono però preso la rivincita al ritorno, quando scesi dalla metro abbiamo preso il taxi, e Izumi ha detto al conducente: “Burue Terii Towerusu Morumubi Hoteru” (che sarebbe Blue Tree Towers Morumbi, il semplice nome del nostro hotel). E il conducente, un vecchio nero che sembrava il nonno di Huey dei Boondocks, ha abbozzato e ha fatto una faccia come a dire: de che? Al che, attimo di panico, intervengo io, e penso: conoscerà certamente il centro commerciale di fronte all’albergo, ma come faccio a dire “di fronte a”? E lì ho imparato che lo studio serve sempre, e ho ringraziato i miei lontani corsi di capoeira, e in particolare la “mezzaluna di fronte”: gli ho detto “De frente a shopping Morumbi”, con un perfetto accento brasileiro (cioè, come un genovese che dice “de frenci, belin”, però senza “belin”), e siamo partiti a razzo; è venuto giù il tettuccio dagli applausi. Poi mi ha chiesto perfino se volevo l’aria condizionata, ma c’è un limite anche ai virtuosismi linguistici.

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domenica 3 Dicembre 2006, 20:56

CenToro

Non temete, non me ne sono dimenticato: oggi il Toro compie cento anni.

Per me è una ricorrenza strana, visto che non posso esserci: sono dall’altra parte del mondo. Mi sono però portato fin qui la mia sciarpa granata, per poter festeggiare almeno un po’. La esibirò tra poco nella riunione, e poi in questi giorni, nel torneo di calcio organizzato come attività sociale per i partecipanti al meeting.

Credo di aver scritto varie volte che cos’ha di speciale il Toro. Non è soltanto il simbolo dell’attaccamento a una città e a una tradizione gloriosa, la fiera parte di una identità che, lungi dall’essere aggressiva verso le altre, permette a chi ne è parte di non perdersi, di non dimenticare mai che cosa è e da dove viene. E’ il simbolo di un valore, della lotta contro le difficoltà e le avversità della vita, dei successi (pochi e sudati) e delle sconfitte (tante e talvolta immeritate) che ognuno di noi incontra nella propria esistenza, senza per questo mai arrendersi. E’ un invito alla grinta e alla pazienza, alla forza d’animo e alla dedizione, di chi non si vergogna di non aver mai avuto le cose facili, nè se ne lamenta, ma piuttosto si rimbocca le maniche e continua a provare, migliorandosi centimetro dopo centimetro.

E’ anche un insieme di emozioni forti e di coincidenze incredibili come solo quelle reali sanno essere, come a provare che c’è certamente qualcosa di intrigante nel modo in cui le infinite possibilità dell’esistente si realizzano. Del resto, il granata come colore guerriero di Torino e la basilica di Superga nacquero insieme dal sangue prezioso del 1706; di lì in poi, la magia bianca e quella nera – che, in lotta perpetua, pervadono il sottosuolo della nostra città – hanno fatto il resto.

Insomma, se volete capire esattamente cosa sono cent’anni di Toro, nella storia collettiva di un popolo e di una città, vi consiglio di scorrere con calma questo thread di Toronews: cent’anni di tifosi, di giocatori, di storie, di vita, raccontati per immagini. Buon compleanno, Toro.

La maglia dello scudetto
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domenica 3 Dicembre 2006, 20:47

Impressioni di San Paolo

Il primo impatto con San Paolo è stato devastante. Ok, una buona responsabilità ce l’ha l’Air France, che non solo non è riuscita a recuperare nulla dell’ora abbondante di ritardo con cui siamo partiti, ma è anzi pure peggiorata, atterrando con un’ora e mezza di ritardo senza nessuna ragione apparente, cosa mai vista per un volo intercontinentale; e, ciliegina, siamo pure stati fermi per quasi venti minuti sulla pista dell’aeroporto di Guarulhos, in attesa che si liberasse un gate a cui farci attraccare. Quando sono sceso dall’aereo l’ho guardato bene da fuori per controllare che ci fosse scritto “Air France”; a giudicare dalla puntualità, mi sarei aspettato di vederci scritto Trenitalia.

Naturalmente, dopo questi venti minuti di sequestro gratuito a cento metri dall’arrivo – che direi responsabilità dei brasiliani – è seguita la coda infinita alla dogana; nonostante non facciano praticamente alcun controllo, le dogane brasiliane avevano aperto per 250 persone ben due sportelli, di cui uno permanentemente occupato da membri dell’equipaggio, famiglie con bambini e altri passeggeri prioritari ma di complicato trattamento.

Recuperati i bagagli e usciti dall’aeroporto – ed erano già le nove e mezza, cioè mezzanotte e mezza nella mia testa – l’organizzazione brasiliana ha colpito ancora: contrariamente a quel che ci era stato detto e che avviene normalmente per i convegni internazionali, non c’era alcun tipo di accoglienza, neanche un cartello scritto a penna. Identificato a fatica il banco dei taxi dove avremmo dovuto trovare il passaggio prepagato, ho scoperto che delle quattro impiegate nullafacenti tre non parlavano una parola d’inglese, mentre la quarta conosceva quel tanto necessario a dare ordini; e a dirmi che, non importa se io stavo in un altro albergo, lei aveva l’ordine di farmi portare all’hotel del convegno. E così, sono stato caricato su un taxi che per quarantacinque minuti mi ha scarrozzato fino alla sede del meeting, dove sono sceso, entrato nella hall con tutti gli onori, fatto dietrofront e preso un altro taxi (stavolta a mie spese) fino al mio albergo, cinque chilometri più in là.

Ora, ecco la prima impressione di San Paolo: in pratica, sono trenta chilometri lineari di cemento addossati a una placida fogna. Difatti, usciti dall’aeroporto e percorsa (ovviamente ad alta velocità) l’autostrada Ayrton Senna, ci si ritrova improvvisamente su di un lungofiume superstradale a tre corsie, tutte in un senso, mentre le tre corsie per il senso opposto sono dall’altra parte del fiume. Il fiume, però, è un rigagnolo putrido e piatto, dalle anse troppo regolari per essere naturali, che piano piano s’allarga.

Tutto questo va avanti per trenta chilometri buoni, in cui da un lato non si lascia mai l’acqua, mentre dall’altro scorrono via, in modo piuttosto lasco, casette, favelas, cementifici, megachurrascherie illuminatissime, concessionari di SUV, grattacieli con alberghi, centri commerciali, e soprattutto un sacco di grandi tabelloni pubblicitari, principalmente concentrati su telefonini, motociclette e schermi al plasma. Il paesaggio non è nè brullo nè piatto, ci sono continuamente collinette e avvallamenti, con alberi un po’ dappertutto; ma perplime un po’ questa sequenza di edifici (rigorosamente in cemento, al massimo con un po’ di ferro se sono vecchi, o un po’ di vetro se sono nuovi) in cui peraltro spuntano marchi noti di mezzo mondo: a un certo punto, con il Carrefour da una parte e Leroy Merlin dall’altra, mi sembrava di stare a Moncalieri.

La cosa che colpisce, però, non è solo il traffico spericolato (non si capisce da che parte si guidi, visto che in teoria si guida a destra ma il mio taxi, fisso sulla corsia di sinistra a 90 all’ora, era costantemente superato a destra da giganteschi camion di rumenta industriale). Si nota il fatto che le auto sono più grosse del dovuto, con tanti pickup e SUV che paiono adusi a fare a sportellate in fuga, e soprattutto che buoni due terzi di esse, senza esagerare, hanno i vetri oscurati, in modo che i criminali in attesa non possano capire cosa c’è dentro. Appena partiti, in due taxi su due, l’autista ha chiuso la sicura delle porte, e non l’ha riaperta finchè non siamo stati sotto il portico dell’albergo…

L’effetto di questa immensa, infinita sequenza di curvette indistinguibili, edifici riccamente sberluccicanti ed edifici poverissimi in cancrena, tutti mescolati, è totalmente alienante, disumano: non è un posto in cui un essere umano possa vivere. C’è solo un altro luogo al mondo che mi ha offerto le stesse prospettive e le stesse sensazioni: Los Angeles. Vi assicuro che non è un complimento.

San Paolo dalla finestra del mio albergo
San Paolo vista dalla finestra della mia stanza d’albergo.
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domenica 3 Dicembre 2006, 20:41

Ma anche no, eh

Dunque, ero già piuttosto annoiato dall’aver dovuto subire mezz’ora buona di coda per i controlli di sicurezza a CDG, che sommati agli inevitabili venti minuti a piedi da un terminale all’altro avevano succhiato via quasi tutto il mio tempo di coincidenza; e poi siamo pure partiti con oltre un’ora di ritardo, dopo una serie di annunci contrastanti, pare per aspettare un passeggero il cui volo in ingresso era ritardato (roba da Alitalia).

Però Air France poco dopo ha realizzato veramente un colpo grosso, quando, durante il decollo, ci ha presentato la sua grande innovazione tecnologica sulla flotta di lungo raggio: oltre alla classica telecamera di prora che riprende il cielo e te lo fa vedere, nello schermino a venti centimetri dal naso di ogni passeggero è improvvisamente comparsa l’immagine di una telecamera posta sotto l’aereo, che riprendeva il suolo dalla verticale, man mano che si allontanava.

Come prevedibile, visto che la visione verticale del suolo è proprio quella che scatena vertigini e paure varie, il risultato è stato devastante: per ogni passeggero che guardava divertito ce n’erano almeno tre che cercavano disperatamente di spegnere lo schermo, distoglievano lo sguardo, o si aggrappavano alla poltrona cercando di non vomitare. Geniale!

Infine, per completare il tutto, il filmone trasmesso per i passeggeri era La maledizione della seconda luna (o La maledizione della seconda prima luna, o La seconda maledizione della prima luna, o comunque si declini il sequel di un titolo del genere): praticamente, due ore di vascelli che precipitnaufragano in pezzi nell’Oceano Atlantico. Tranquillizzante!

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